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Economia

Industria italiana, Bloomberg scrive dei licenziamenti di massa

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Le fabbriche in Italia hanno iniziato a licenziare i dipendenti mentre il settore manifatturiero nazionale continua a contrarsi: ne dà notizia la testata economica americana Bloomberg.

 

I dati basati sul Composite Purchasing Managers’ Index (PMI) compilato da S&P Global hanno mostrato che la terza economia dell’UE è scesa a 45,4 in agosto, ben al di sotto della soglia di 50, indicando una contrazione.

 

L’industria e il manifatturiero italiani, in particolare, sono stati in difficoltà negli ultimi mesi a causa della mancanza di nuovi ordini a causa dell’indebolimento della domanda globale.

 

«La recessione manifatturiera, iniziata a metà dello scorso anno, continua ad estendersi», ha affermato Tariq Kamal Chaudhry, economista della Hamburg Commercial Bank. «Ancora una volta, gli ordini complessivi hanno subito una contrazione, soprattutto a causa della domanda estera».

 

La debolezza industriale continua a pesare sull’economia italiana, trascinandola in contrazione. Le ultime stime hanno mostrato che l’economia del paese si è contratta dello 0,4% invece dello 0,3% previsto in precedenza nei tre mesi fino a giugno.

 

Nel frattempo, gli economisti avvertono che anche il mercato del lavoro del Paese mostra segni di esaurimento.

 

«Sul fronte dell’occupazione, per la prima volta in tre anni sono state registrate perdite di posti di lavoro», ha affermato venerdì S&P Global in una nota. «Diversi relatori hanno segnalato la mancata sostituzione dei lavoratori in uscita nei loro stabilimenti».

 

Secondo le statistiche ufficiali, la disoccupazione in Italia è cresciuta al 7,6% nel mese di luglio, con la perdita di 73.000 posti di lavoro.

 

Bloomberg il 1° agosto aveva pubblicato un articolo in cui parlava di una contrazione nel terzo quarto dell’anno causata dalla debolezza dell’industria, con il PIL crollato improvvisamente nel secondo quarto pure a seguito di un momento di crescita.

 

In un ulteriore articolo pubblicato a inizio luglio, Bloomberg scriveva che le fabbriche italiane avevano avuto il loro momento peggiore dai tempi della pandemia.

 

Come riportato da Renovatio 21, la disastrosa situazione è leggibile anche dai dati di consumo energetico: recenti calcoli permettono di dire che la quantità di energia elettrica consumata la scorsa settimana – la 33ª dell’annata 2023 – è inferiore a quella consumata nella 12 ª settimana del 2020, cioè dal 16 al 22 marzo 2020, in pieno lockdown, con fabbriche, ristoranti, scuole, uffici chiusi.

 

 

«Nel 2020, la settimana n.33 vide il consumo di oltre 5 miliardi di kWh (5,06 miliardi). Significa che in Italia le aziende producono meno che durante il lockdown. Unica la causa: il crollo della domanda, interna ed estera» dice il professor Mario Pagliaro, chimico membro della Academia Europæa nonché docente di nuove tecnologie dell’energia al Polo Fotovoltaico della Sicilia.

 

È possibile pensare quindi che, nel mezzo della crisi energetica dovuta all’assenza del gas russo, l’Italia abbia evitato blackout estivi solo grazie allo stato di deindustrializzazione avanzata in cui si trova.

 

 

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Economia

AI, capitalismo ultra-finanziario e erosione dei diritti fondamentali dell’uomo

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Renovatio 21 pubblica il comunicato del Comitato Internazionale per l’Etica della Biomedicina (CIEB).

 

Parere (n. 26): sull’erosione dei diritti fondamentali dell’uomo causata dalla diffusione del capitalismo ultra-finanziario e digitale e dell’intelligenza artificiale

 

È indubbio che la caratteristica principale del capitalismo contemporaneo è la sua dipendenza dalla creazione di crescenti volumi di liquidità diretti a sostenere i mercati finanziari, a fronte della demolizione sistematica dell’economia reale fondata sulla produzione di beni e servizi destinati al consumo di massa.

 

Questo processo è iniziato negli anni Settanta, con l’introduzione su larga scala dell’automazione nei processi produttivi: da allora, il capitale non ha più potuto, o voluto, riassorbire la massa di lavoro salariato che si andava progressivamente disoccupando e ha preferito trovare rifugio nei mercati finanziari, dove il danaro fa lavorare il danaro, e non le persone.

 

Il carattere fittizio dell’economia post-industriale si è accentuato ulteriormente con la rivoluzione neoliberista degli anni Ottanta, quando la frenesia speculativa – specialmente sulle obbligazioni, titoli di debito societari e sovrani – ha iniziato ad assumere vita propria, estendendosi nel tempo fino a travolgere ogni possibile corrispondenza tra i titoli negoziati e il loro valore reale. 

 

Oggi, sembra di essere giunti a un punto di non ritorno: se, per qualsiasi motivo, l’appetito per le obbligazioni viene meno, la legge dell’auto-espansione del capitale fa sì che scendano in campo le banche centrali per stampare denaro contante e consentire, così, l’acquisto dei titoli obbligazionari rimasti invenduti.

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La gestione centralizzata di questa bolla di debito, dove la «crescita» viene letteralmente simulata grazie a massicce iniezioni di credito a opera delle Banche Centrali, costituisce l’ultimo baluardo a difesa dei mercati finanziari e, in definitiva, dell’intero sistema economico contemporaneo.

 

Non a caso questa operazione di soccorso è ormai divenuta permanente, tenuto conto del fatto che l’alternativa a una politica inflattiva consisterebbe solo nell’aumento sostenuto dei tassi di interesse, che a sua volta provocherebbe il crollo dei mercati, la polverizzazione di capitali a tutti i livelli e, a cascata, fallimenti d’impresa, licenziamenti di massa e conseguenti ondate di caos sociale.

 

In altri termini, se la scelta è tra affossare la valuta per salvare il sistema o affossare il sistema per salvare la valuta, non stupisce che l’opzione seguita dalle banche centrali – e caldeggiata dalle élites – sia quella di proteggere a ogni costo il sistema, ossia i mercati, anche a costo di abbassare i tassi di interesse, ossia il costo del denaro, per creare ulteriore liquidità inflattiva: e quindi affossare la valuta per generare altro debito. 

 

Un dato può tornare utile: tra l’ultimo semestre del 2019 e il primo del 2020, proprio mentre il mondo cominciava a essere distratto dall’emergenza COVID, la banca centrale degli Stati Uniti d’America ha elargito alle banche d’affari a corto di liquidità l’astronomica e sbalorditiva cifra di 48mila miliardi di dollari, più del doppio del PIL statunitense di allora. (1)

 

Questo dato permette di comprendere a un tempo perché espansioni monetarie e distorsioni finanziarie siano diventate endemiche e necessarie al sistema e perché la sopravvivenza del capitalismo ultra-finanziario dipende dalla sua capacità di tenere sotto controllo popolazioni sempre più improduttive, impoverite e superflue, gestendo un declino sociale che vede le classi medie proletarizzarsi a fronte della frammentazione del vecchio proletariato industriale in una moltitudine di disoccupati, sottoccupati, precari e soggetti che rinunciano tout court a cercare lavoro. 

 

Ovviamente, la rischiosa combinazione tra impoverimento e reazione della popolazione deve essere controllata in qualche modo: e se guerre, epidemie e derive eutanasiche non bastassero a eliminare i «quattro miliardi di mangiatori inutili» lamentati da esponenti delle élites finanziarie, a ciò provvede efficacemente la gestione totalitaria della società, che punta al soggiogamento delle masse mediante la propaganda del terrore fondata sulla manipolazione dei dati scientifici, siano essi di natura sanitaria, climatica, ambientale, energetica, geo-politica o strategica. 

 

L’emergenzialismo permanente è ideologicamente integrale alla prospettiva totalitaria: la crisi sanitaria causata dal COVID ha permesso di introdurre uno strumento di controllo – il Green Pass ispirato al sistema di credito sociale e ai principi dell’economia comportamentale – la cui ratio è stata ripresa e ampliata nell’ambito del processo di digitalizzazione dei flussi finanziari e delle valute, che sta portando all’adozione delle Central Bank Digital Currency (CBDC) (2); la sola minaccia di una escalation dei conflitti armati – dall’Ucraina alla Palestina – fa rifluire ancora una volta enormi quantità di denaro sui mercati obbligazionari ritenuti sicuri; l’inarrestabile diffusione dell’Intelligenza Artificiale (IA) costituisce indubbiamente il passo definitivo verso una dimensione post-umana destinata ad azzerare i diritti fondamentali dell’uomo e a cancellare il primato dell’essere umano sugli interessi della scienza e della società, sancito dall’art. 2 della Convenzione di Oviedo sulla biomedicina del 1997, ma curiosamente continua a essere celebrata, da istituzioni e decisori politici, come la prova suprema per superare retrivi tabù antropologici e culturali, come un vero e proprio percorso iniziatico alla gnosi, da intraprendere a tutti i costi: ciò che spiega anche la necessità, avvertita a vari livelli, di dissimulare i rischi conseguenti, vuoi presentandoli come retaggi oscurantistici, vuoi promuovendo l’adozione di strumenti che, di fatto, conducono a risultati opposti a quelli dichiarati. 

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Emblematico, in questo senso, è il regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 2024/1689, del 13 giugno 2024 (3), che, da una parte, enfatizza la necessità di salvaguardare i «diritti fondamentali» (espressione che ricorre ben 97 volte nel testo regolamentare), ma che, dall’altra, lascia chiaramente trasparire la volontà del legislatore europeo di sottrarre la concreta azionabilità dei diritti in parola all’iniziativa dei singoli individui – che pure ne sono i titolari – per rimetterla alle decisioni di agenzie, comitati e istituti in vari modi controllati della Commissione Europea: organismo che, come noto, non è eletto e, di fatto, risponde solo a se stesso.

 

In un mondo che appare sempre più sospeso tra collasso economico e soluzioni totalitarie, il CIEB continua a sollecitare i cittadini affinché sviluppino la consapevolezza critica necessaria per dubitare della bontà e dell’efficacia delle soluzioni emergenziali proposte da apparati di governo sempre più insensibili ai diritti fondamentali dell’uomo, perché organici alle élites finanziarie che di quelle emergenze hanno fatto una ragione d’essere, e per aprire la strada a reali alternative sistemiche.

 

CIEB

 

31 ottobre 2024

 

Il testo originale del Parere è pubblicato in: www.ecsel.org/cieb

 

 

NOTE

1) Cfr. www.newyorkfed.org/markets/OMO_transaction_data.html#rrp. La cifra riflette l’ammontare complessivo dei contratti Repo (Repurchase Agreement) – corrispondenti ai «pronti contro termine» – erogati dalla Federal Reserve alle Banche di importanza sistemica globale (Globally Systemic Important Banks o G-SIBs). Si tratta, in sostanza, di prestiti a breve termine in cui il debitore riceve liquidità in cambio di un titolo a garanzia (in genere, titoli di Stato) che s’impegna a riacquistare a un prezzo più elevato alla scadenza prefissata, scadenza che, però, viene generalmente prorogata.

2) Secondo i principi dell’economia comportamentale, in condizioni di incertezza il giudizio umano tende a non allinearsi alle soluzioni indicate dalla teoria economica e, per questo motivo, deve essere guidato, «whatever it takes», verso le opzioni indicate dai decisori politici: gli individui obbedienti saranno poi ricompensati con oggetti, anche virtuali (come i token), o con la possibilità di accedere a determinati servizi o prestazioni (secondo l’esperienza del Green Pass).

3) In GU serie L del 12 luglio 2024.

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Economia

Scioperi di massa nell’industria tedesca

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Il sindacato tedesco IG Metall ha lanciato martedì degli scioperi nelle industrie metalmeccaniche ed elettriche della nazione nel tentativo di ottenere salari più alti, hanno riferito i media tedeschi. L’azione arriva in un momento di crescente preoccupazione per la salute della più grande economia manifatturiera dell’UE.   Secondo la testata Bild, i dipendenti hanno iniziato ad abbandonare il lavoro durante il turno di notte, anche nello stabilimento Volkswagen di Osnabrück, dove i lavoratori temono che la fabbrica possa essere chiusa.   Altrove, circa 200 dipendenti del produttore di batterie Clarios hanno scioperato ad Hannover, nella Bassa Sassonia, portando torce e bandiere sindacali, ha scritto il giornale.   Nel frattempo, a Hildesheim, nella Bassa Sassonia, circa 400 dipendenti, tra cui quelli di Jensen GmbH, KSM Castings Group, Robert Bosch, Waggonbau Graaff e ZF CV Systems Hannover, avrebbero interrotto le attività.  

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Si prevedono proteste anche negli stabilimenti BMW e Audi in Baviera. Il lavoro verrà interrotto in tutta la nazione nel corso della giornata, ha scritto il tabloid germanico.   «Il fatto che le linee di produzione siano ora ferme e gli uffici vuoti è responsabilità dei datori di lavoro», ha affermato il negoziatore e direttore distrettuale di IG Metall Thorsten Groger, citato dall’emittente statale Deutsche Welle.   IG Metall chiede un aumento salariale del 7% rispetto all’aumento del 3,6% in un periodo di 27 mesi offerto dalle associazioni dei datori di lavoro, a causa dell’inflazione alle stelle. Le aziende definiscono tali richieste irrealistiche.   Gli scioperi di massa arrivano mentre la Volkswagen ha annunciato lunedì che avrebbe chiuso «almeno» tre dei suoi dieci stabilimenti in Germania, licenziato decine di migliaia di dipendenti e ridimensionato gli stabilimenti rimanenti nel paese. Le misure fanno parte di una spinta al taglio dei costi, ha affermato in precedenza il conglomerato. Oliver Blume, amministratore delegato del Gruppo VW, ha citato un «ambiente economico difficile» e «una competitività in calo dell’economia tedesca» come fattori alla base della decisione.   L’Associazione tedesca dell’industria automobilistica ha lanciato l’allarme lo scorso anno: il Paese sta «perdendo drasticamente la sua competitività internazionale» a causa dell’impennata dei costi energetici.   Un recente sondaggio dell’associazione dell’industria automobilistica VDA ha ipotizzato che la riorganizzazione dell’industria automobilistica tedesca potrebbe comportare la perdita di 186.000 posti di lavoro entro il 2035, circa un quarto dei quali si sono già verificati.

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Economia

La vittoria prevista di Trump spinge la domanda di dollari

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La crescente convinzione sui mercati finanziari che Donald Trump vincerà le elezioni presidenziali americane il mese prossimo ha rafforzato il dollaro, ha riportato Bloomberg, citando la banca multinazionale britannica Standard Chartered.

 

Sondaggi recenti suggeriscono che il repubblicano e la sua rivale democratica, la vicepresidente Kamala Harris, sono in parità a meno di due settimane dalle elezioni.

 

Tuttavia, secondo i calcoli della banca, il 60% dei guadagni del dollaro in ottobre sono legati alle crescenti scommesse sulla vittoria dell’ex presidente alle elezioni del 5 novembre, ha riportato Bloomberg giovedì.

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«Il dollaro si è rafforzato insieme alla crescente probabilità di una vittoria di Trump nei mercati delle scommesse», ha riportato l’agenzia, citando una nota di Steven Englander, responsabile della ricerca globale G-10 FX presso la banca multinazionale britannica Standard Chartered.

 

I mercati stimano una probabilità del 70% che Trump vinca, ha aggiunto Englander.

 

La piattaforma di previsioni più grande al mondo, Polymarket, stima una probabilità vicina al 64% che Trump diventi il ​​prossimo presidente degli Stati Uniti.

 

Secondo il progetto di ricerca di mercato PredictIt, Trump ha il 58% di possibilità di vincere le elezioni.

 

La valuta nazionale statunitense è aumentata di quasi il 3% rispetto all’euro nell’ultimo mese; Bloomberg aveva precedentemente riferito che il biglietto verde era sulla buona strada per raggiungere il suo mese migliore dal 2022.

 

Sebbene la corsa alle elezioni sia stata il principale motore del dollaro, altri fattori includono la resilienza dell’economia statunitense e un solido rapporto sull’occupazione negli Stati Uniti pubblicato all’inizio di questo mese, ha osservato Bloomberg.

 

Prima delle precedenti elezioni presidenziali del 2020, i mercati si aspettavano che Joe Biden, piuttosto che Trump, avrebbe vinto e offerto uno stimolo fiscale. Le aspettative hanno indebolito il dollaro nell’ottobre di quell’anno.

 

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