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«Il coraggio di scendere in strada a gridare che Dio è vivo e che Cristo è Re». Intervista a Cristiano Lugli sulla processione di riparazione a Carpi

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I lettori conoscono Cristiano Lugli, per anni portavoce e organizzatore inarrestabile di tanti eventi di Renovatio 21. Cristiano è anche uno dei fondatori del Comitato Beata Giovanna Scopelli, un gruppo di fedeli cattolici nato nell’anno 2017 a Reggio Emilia. In questi anni il Comitato ha organizzato diverse azioni di riparazione, in particolare agli scandali pubblici dei vari gay Pride.

 

Quest’anno il Comitato si è occupato particolarmente dell’organizzazione di una processione di riparazione avvenuta a Carpi sabato 11 maggio scorso, a seguito dell’allestimento, all’interno di una chiesa, di una mostra con opere che sono state definite da alcuni come «blasfeme». Cristiano è stato uno degli organizzatori di questa processione.

 

Cristiano, facciamo un recap per quanti non conoscono questa storia. Cosa è successo a Carpi?

Succede che il 2 marzo 2024, nella chiesa di Sant’Ignazio, chiesa del museo diocesano di Carpi, l’artista locale Andrea Saltini apre la mostra «Gratia Plena». Dopo nemmeno due giorni dalla data inaugurale, sono arrivate le reazioni indignate di molti fedeli cattolici che ravvisavano blasfemia nei quadri dove veniva rappresentato Gesù Cristo, la Madonna e Maria Maddalena.

 

La notizia si è poi allargata anche nell’ambiente dell’informazione cattolica e, di conseguenza, in pochissime ore è diventata già un caso non solo locale ma anche nazionale.

 

Si ha idea di come si sia arrivati ad esibire, in luoghi della Curia, opere del genere?

Le prime spiegazioni, da parte della Curia, sono state le classicissime arrampicate sugli specchi: il vescovo Erio Castellucci, ad esempio, ha dichiarato di aver visto le opere solo ad installazione già compiuta e a mostra già inaugurata. Certamente l’iniziativa è stata tutta locale, con il parroco di riferimento che ha aperto le porte all’artista locale, con tanto di approvazione del museo diocesano di Carpi.

 

 

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Quali sono state le prime rimostranze?

La casella di posta elettronica della segreteria vescovile è stata inondata di mail, con fedeli da tutta Italia che domandavano la chiusura immediata della mostra.

 

Nel mentre, l’avvocato Francesco Minutillo di Forlì ha depositato una denuncia nei confronti dell’artista Saltini, del vescovo Castellucci e dei curatori della mostra, facendo riferimento al reato di cui all’art. 403 del Codice Penale [«Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone: Chiunque pubblicamente offende una confessione religiosa, mediante vilipendio di chi la professa, è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000», ndr].

 

La Procura, con una certa velocità, ha deciso di chiedere l’archiviazione dicendo che «la notizia di reato si ritiene del tutto infondata». L’avvocato Minutillo si è opposto alla decisione promettendo di portare nuove prove davanti al GIP.

 

Qual è stato l’atteggiamento del vescovo?

Come dicevo, inizialmente ha dichiarato di aver visto le opere solo dopo; poi ha iniziato a difendere la mostra a spada tratta, arrivando persino a dire che il male non è nella mostra, ma la malizia è piuttosto negli occhi di chi la guarda.

 

Parole poco diplomatiche e con alla base, forse, una visione che ritengo totalmente relativista. Riflettere, ragionare con noi fedeli offesi non è stato quindi possibile per la gerarchia della chiesa moderna.

 

 

Spiegaci meglio…

In tutta questa faccenda il ruolo del vescovo Castellucci è stato centrale. Sarei anche propenso a credere al fatto che Castellucci abbia visto le opere a fatti compiuti: d’altronde oggi funziona così, i vescovi non comandano più, e sono presi da mille altre faccende di carattere prettamente burocratico. Certo, i vescovi sono sempre stati impegnati, ma il loro primo dovere è quello di vigilare e di essere pastori di anime. Il fatto che oggi il governo di un vescovo sia visto come un parlamento democratico in cui tutti hanno libertà di fare ciò che vogliono porta a questi risultati.

 

Sarebbe stato impensabile in anni di cattolicesimo si fosse allestita, in una chiesa consacrata – e sottolineo, consacrata – una simile mostra, che da cattolico reputo abbia evidenti tratti provocatori e contenuti blasfemi. Una mostra, penso, portata a destare scandalo fin da subito.

 

Un tempo sarebbe stato impensabile e qualora fosse pure successo, i responsabili religiosi non sarebbero certo rimasti scevri da conseguenze. Qui, invece, ci troviamo al capovolgimento: il vescovo non solo non corregge, ma addirittura difende la mostra, l’artista, i curatori, e se la prende con coloro i quali sono rimasti indignati, offesi dai quadri in mostra.

 

A mio giudizio, nello scandalo Castellucci non ha saputo agire diplomaticamente, magari cercando di sedare gli animi e tenere in considerazione la sensibilità dei fedeli scandalizzati, che hanno sentito vilipesa la religione cattolica perfino all’interno di una chiesa, di un loro luogo di culto.

 

C’è stato un attacco fisico al quadro e all’artista…

Tutti hanno potuto vedere l’opera danneggiata; nessuno, almeno che io sappia anche in base a ciò che è trapelato dai media, ha visto cosa sia realmente accaduto. Le versioni sono state discordanti fin da subito, e la procura sta indagando. Non mi risulta, per lo meno al momento, che ci siano video, né veri e propri testimoni oculari. Pare che il presunto aggressore avesse una parrucca ed una mascherina chirurgica, che avrebbe poi lasciato cadere durante la presunta fuga. La notizia è finita sui principali quotidiani internazionali, ma senza prove vere e proprie capaci di offrire una piena ricostruzione quanto accaduto. Almeno per adesso.

 

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L’attacco è avvenuto dopo che avevate segnalato la volontà di fare attività di riparazione?

No, il nostro comitato non aveva ancora speso alcuna parola rispetto agli intenti poi concretizzatisi l’11 maggio scorso. Alcuni gruppi autonomi, però, avevano iniziato a pregare al sabato pomeriggio davanti alla chiesa di Sant’Ignazio dentro la quale era allestita la mostra, tuttavia in maniera totalmente pacifica e senza mai disturbare, con nessun intento provocatorio e nessun atto per surriscaldare ulteriormente il clima.

 

Il colpevole è stato preso? Si sa qualcosa di come stanno procedendo le indagini?

Ad oggi non si sa nulla. Nessun colpevole è stato preso e non vi è nemmeno un presunto indagato, stando a quanto è emerso. Le indagini proseguono, ma a quanto so non ci sono aggiornamenti rilevanti.

 

La mostra quando si è conclusa?

A dire il vero, la mostra, così come era stata pensata inizialmente, si sarebbe dovuta concludere il prossimo 2 giugno. L’artista, accusando il presunto clima di tensione venutosi a creare, ha deciso di chiudere anticipatamente il 18 aprile. Anche in questo caso si può notare come non sia stata la Curia a chiederne la chiusura, ma il pittore stesso. Non sappiamo, e forse non potremo mai saperlo, se la Curia possa aver mosso qualche pressione per la chiusura, ma certo è che, anche se fosse, nessuno pare aver avuto il coraggio di metterci la faccia.

 

Veniamo alla processione di riparazione. Quanti hanno partecipato?

Noi abbiamo stimato, durante il percorso, circa 400 persone. Sono numeri davvero importanti se si pensa, appunto, che la mostra era già stata chiusa anticipatamente e questo poteva tentare molti a credere di aver già sistemato le cose. Invece è stata colta l’importanza di una pubblica riparazione, che avrebbe avuto ragion d’essere anche solo per un giorno di installazione di mostra.

 

 

Come si è svolta?

Come nelle precedenti edizioni organizzate dal nostro Comitato, è stata a tutti gli effetti una funzione liturgica, una vera e propria processione religiosa, con un sacerdote a presiederla, vestito con cotta, piviale viola – il colore penitenziale – e berretta, croce da processione, accoliti e tutto ciò che riguarda il servizio liturgico.

 

Sono state cantate le litanie ai Santi, recitato il Santo Rosario, le litanie al Sacro Cuore, la preghiera di riparazione al Sacro Cuore di Gesù e, infine, il Te Deum di ringraziamento per la chiusura anticipata della mostra.

 

La processione è partita dal cimitero di Carpi, attraversando poi le principali vie della città, in particolare soffermandosi davanti alla grande Cattedrale di Carpi, in piazza Martiri, per concludere poi con la preghiera di riparazione sul sagrato della chiesa di Sant’Ignazio, dove si è consumato lo scandalo della mostra «Gratia Plena».

 

Il tutto è stato accompagnato da un servizio d’ordine interno al Comitato e, ovviamente, dall’ottimo servizio della questura di Carpi, che ha garantito la massima sicurezza durante tutto il percorso. Tanti giovani, tante famiglie.

 

 

Come hanno reagito i carpigiani?

C’è stata una compostezza esemplare. E dico di più, un rispetto davvero inaspettato. Diverse persone, anche sedute al bar per consumare un aperitivo, si sono alzate al passaggio della processione facendosi il segno della Croce. È stato davvero commovente. Nessun commento, nessuna provocazione, ma tanto silenzio e rispetto.

 

La stampa vi ha dato contro?

Ormai credo che la stampa abbia capito che dar contro equivale a fare pubblicità, quindi molte testate scelgono piuttosto il silenzio. Altre, invece, con un po’ di serietà, hanno capito che non poteva essere ignorato un simile evento, e quindi si sono attenute a riportare ciò che noi abbiamo dichiarato — sia rispetto al numero di partecipanti, sia rispetto allo svolgimento della funzione.

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Bisogna ricordare che la prima processione di riparazione – in quel caso, per il Gay Pride di Reggio Emilia – fu organizzata da te nel 2017. In Italia non se ne vedevano da decenni. Grazie ai tuoi sforzi, molte altre sono seguite. Che bilancio fare di questi 7 anni, includendo il disgraziato biennio pandemico?

Effettivamente il disgraziato biennio pandemico non aiuta a stabilire un bilancio di questi anni, ma ciò che posso dire è che, sorprendentemente, la fiammella, nonostante tutto, non si è mai spenta. Il nostro timore è sempre stato quello di non riuscire a tenere alta l’attenzione e la tensione dopo la grande e prima processione del 2017: la novità, una volta vissuta, sé ripetuta rischia sempre di non avere più il sapore di novità e, quindi, di essere meno partecipata. In questo caso dobbiamo invece constatare che non è stato così, e la processione di Carpi ne è la prova.

 

Quanto è importante fare una processione oggi?

Direi che è una delle cose più importanti che ci possa essere, il segno della militanza più vero e più tangibile, ciò che ci distingue dai cattolici da tastiera che parlano, denunciano, sbraitano ma poi non hanno il coraggio di scendere in strada a gridare che Dio è vivo e che Cristo è Re. Purtroppo questo è ciò che tanto del conservatorismo bussolotico e provitico italiano non riesce a dimostrare. Non può esserci cattolicesimo senza militanza, e la militanza non può essere legata solo ed esclusivamente all’informazione, che certo è utile, ma non è tutto.

 

 

Quanti si rendono conto che si tratta di una riconquista dello spazio pubblico da parte dei cattolici, secondo riti che hanno abitato i nostri borghi per millenni? È per questo che la chiesa moderna, votata alla liquidazione della cristianità, combatte le processioni?

Non a sufficienza. 400 persone alla processione di Carpi è un buon numero, certo, ma è ridicolo se si pensa a quanti realmente saremmo potuti essere. Siamo una minoranza, questo è fuor di discussione, ma temo che ci si riduca sempre ad essere la minoranza di una minoranza. Come giustamente dici, la chiesa moderna combatte le processioni e continuerà a farlo perché ha capito che è proprio da questo che la Cristianità potrebbe ripartire. Lo hanno capito loro, ma purtroppo non noi. O almeno non tutti e non del tutto.

 

Il modernismo vuole che Dio rimanga nel privato, nella sfera intima delle persone – e non sappiamo nemmeno per quanto ancora intendano lasciarcelo almeno lì. La chiesa moderna è il nemico più grande del Regno Sociale di Nostro Signore Gesù Cristo, e per questo detesta le processioni, perché esse, oltre all’intento riparatorio che hanno rappresentato sin qui, sono ciò che di più semplice, naturale e concreto possa esserci per ristabilire il Regno Sociale di Gesù Cristo, portandolo a regnare laddove Egli deve regnare: nei crocicchi delle strade, nelle piazze, nei borghi e nella società intera.

 

Vi sono altre iniziative da seguire? L’impressione è che spesso si tratti di eventi improvvisati creati da sigle e personaggi improbabili, ancorché sconosciuti. Quanto può nuocere il dilettantismo degli ingenui rispetto alla battaglia?

Il Comitato Beata Giovanna Scopelli, dall’inizio della sua fondazione, ha deciso di dedicarsi solo ed esclusivamente ad iniziative di riparazione, questo per non mescolarsi ad altre realtà già esistenti, certamente importanti ma aventi altri ruoli. A motivo di questo, abbiamo sempre cercato di mantenerci autonomi nelle nostre iniziative. Questo non per sfiducia o vanto, ma perché sappiamo per esperienza che questo genere di organizzazioni richiedono davvero tanto tempo, impegno e concentrazione.

 

Organizzare una processione di riparazione o un qualsivoglia atto di riparazione non può essere visto come una cosa semplice o fattibile a prescindere da ogni condizione. Dobbiamo tenere presente che, se è vero che ciò che conta è l’azione e la proporzione soprannaturale di una riparazione pubblica che fa da contraccolpo ad uno scandalo pubblico, è altrettanto vero la dimensione naturale e quindi sociale dell’evento non può essere ignorata. In altre parole, bisogna rendere culto e la dovuta lode a Dio anche organizzando qualcosa che, numericamente parlando, renda questi onori.

 

Potrà sembrare strano ma non lo è affatto, perché non ci si può permettere in alcun modo che un evento pubblico possa essere deriso a causa di una presenza scarsa di fedeli. Questo, ad onor del vero, non è mai successo nelle riparazioni organizzate dal nostro Comitato. Non perché siamo più bravi o più intelligenti, ma perché sappiamo come, quando e dove muoverci. Cosa che, mi si creda, è davvero importante.

 

Del resto non abbiamo mai detto e mai diremo a nessuno di non organizzare atti di riparazione: non siamo nessuno e non possediamo alcuna autorità per poterlo fare, ma certo consigliamo a tutti di stare attenti a non essere precipitosi, rischiando di voler fare a tutti costi, per un proprio desiderio individualista, qualcosa che non si riesce a strutturare nel migliore dei modi.

 

A quanti in passato ci hanno chiesto aiuto e collaborazione, l’abbiamo sempre prestata cercando di mettere a disposizione la nostra umile esperienza raccolta in questi anni. Anni in cui, effettivamente, la società ha dovuto fare i conti con un nuovo ma pur vecchio fenomeno, cioè quello dei cattolici militanti che ancora conoscono il latino, sanno pregare e cercano di amare Dio.

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Immagine fornite da Cristiano Lugli

 

 

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Bergoglio incontra i comici goscisti, abortisti, omotransessualisti e vaccinari

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Papa Francesco incontrerà comici di spicco, tra cui Stephen Colbert, Whoopi Goldberg e Jimmy Fallon – tutti personaggi pro-aborto, pro-omotransessualismo e pro-vaccino – in un evento a cui parteciperà anche l’attivista LGBT gesuita padre James Martin.   Lo scorso sabato, il Vaticano ha annunciato che l’evento si svolgerà nel Palazzo Apostolico il 14 giugno alle 8:30. L’incontro «mira a stabilire un legame tra la Chiesa cattolica e gli artisti comici».   Il Vaticano ha sottolineato nel suo annuncio le parole di Francesco tratte da un’intervista televisiva del 2016 con il canale cattolico italiano TV2000. «Il senso dell’umorismo è una grazia che chiedo ogni giorno, e prego quella bella preghiera di San Tommaso Moro: “Dammi, Signore, il senso dell’umorismo”, che io sappia ridere di una battuta… è bella quella preghiera, vero?» aveva detto il sommo pontefice. «È un atteggiamento umano, ma è il più vicino alla grazia di Dio».   L’evento è co-organizzato dal Dicastero per la Cultura e l’Istruzione e dal Dicastero per la Comunicazione.

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L’ elenco di 105 comici provenienti da 15 paesi include nomi noti dell’industria dell’intrattenimento statunitense, tra cui Stephen Colbert, Jimmy Fallon, Whoopi Goldberg, Conan O’Brien. Si tratta di nomi molto conosciuti in USA, magari per i loro programmi notturni con talk show e battute, oggi però considerati da una vasta parte della popolazione americana – in ispecie quella che sostiene Trump – come puri propalatori della propaganda di Washington e dei suoi valori corrotti.   Soprattutto, molti in America riconoscono che questi «artisti» della comicità oltre ad aver venduto l’anima al Deep State e alla Cultura della Morte sono divenuti di fatto incapaci di far ridere.   È previsto che partecipi anche il gesuita filo-omotransessualista padre Martin, precedentemente soprannominato il «cappellano» del volgare e di sinistra «The Colbert Report» di Stephen Colbert ed è stato indicato come «artista» da Vatican News.   La maggior parte di questi eminenti comici statunitensi sono noti per essere favorevoli all’aborto e pro-LGBT. Colbert, un sedicente cattolico che spesso vanta della sua partecipazione in parrocchia, fece un giorno un lungo monologo in cui dichiarava, in chiara violazione dell’insegnamento cattolico che il libero aborto non andava toccato in alcun modo.   Il Colberto sostiene fortemente il cosiddetto matrimonio omosessuale, ha promosso una serie Netflix che sessualizzava i bambini e prendeva in giro Gesù, scrive LifeSiteNews. Il personaggio ha dato prova anche di un classismo totalmente divorziato dalla realtà: nella sua trasmissione, tra applausi scroscianti registrati e risate fasulle, aveva dichiarato che l’aumento del costo della benzina – un effetto contestato duramente all’amministrazione Biden – non lo toccava, perché lui aveva una macchina elettrica Tesla.   Resterà tuttavia negli annali, magari anche come prova al futuro processo di Norimberga 2.0, il balletto pro-vaccino che Colbert allestì per lo show, in cui siringhe giganti ballavano invitando la gente a sottomettersi alla puntura mRNA. Si tratta di una vetta altissima: quando il cringe può trasformarsi in danno biologico di massa.  

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Anche Whoopi Goldberg, che Francesco ha incontrato nell’ottobre del 2023, promuove l’aborto e l’ideologia LGBT e sostiene che l’uccisione dei bambini nel grembo materno che ritiene «non è menzionata» nei Dieci Comandamenti. La Goldberg, che in passate interviste ha affermato di essere ebrea, ha rivelato che in un precedente incontro con il Santo Padre gli ha proposto di prendere parte ad un seguito di Sister Act. Considerando i passati impegni di Bergoglio con la Disney, potrebbe trattarsi di una proposta che l’argentino ha valutato seriamente.   Presente nella ciurma papale anche Chris Rock, stand-up comedian considerato tra i maestri della scena attuale, pur essendo in pista dagli anni Ottanta. In una recente scenetta comica, Chris Rock ha ammesso che l’aborto uccide un bambino, ma ha detto che crede che le donne «dovrebbero avere il diritto di uccidere i bambini». Il Rock, famoso per aver condotto la notte degli Oscar due anni fa ricevendo un enigmatico schiaffo in diretta dall’attore afroamericano Will Smith, apparirebbe nelle liste di Epstein.   Il presentatore e comico Jimmy Fallon ha criticato le politiche pro-vita nel suo programma a tarda notte, riempiendo anche lui il programma di sketch pro-vaccino di infinito cringe. Il Fallon, come altri, è arrivato ad ospitare il plenipotenziario pandemico Anthony Fauci per indottrinare il pubblico su restrizioni ed iniezioni geniche sperimentali  

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Un’altra «artista» statunitense invitata all’evento vaticano è Tig Notaro, una lesbica che ha contratto un matrimonio monosessuato per poi ottenere due gemelli dalla sua «moglie» attraverso la fecondazione in vitro e la maternità surrogata, che la Chiesa cattolica condanna come gravemente immorali. Il Vaticano aveva anche invitato il comico Jim Gaffigan, che si presenta come un fedele cattolico ma ha portato i suoi figli piccoli alla «parata del orgoglio» LGBT di New York nel 2017.   Tutto questo alla faccia del falsi «scoop» sulla condanna papale della «frociaggine» (sic) nei seminari. Come si possa credere ad una «svolta» conservatrice contro il dilagare dei gay in curia, mentre il pontefice incontra questi personaggi e soprattutto padre Martin, non riusciamo a comprenderlo.   Papa Francesco ha segnalato il suo sostegno a padre Martin in molti modi nonostante la promozione dell’omosessualità da parte di quest’ultimo, più recentemente scrivendo la prefazione all’ultimo libro di Martin. Il papa lo ha anche nominato e riconfermato consulente per le Comunicazioni vaticane e ha incontrato Martin più volte, lodando le sue iniziative pro-LGBT.   Padre Martin ha insistito affinché il termine «oggettivamente disordinato» in riferimento all’orientamento omosessuale fosse rimosso dal Catechismo della Chiesa Cattolica e sostituito con «diversamente ordinato». Il gesuita spesso dichiarazioni scandalose sull’omosessualità che violano l’insegnamento cattolico sulla moralità sessuale. Prelati di alto profilo e personalità cattoliche avvertono che Martin sta portando le persone fuori strada e mettendo a rischio le anime incoraggiando l’attività omosessuale e non chiamando le persone alla castità.   Come riportato da Renovatio 21, a poche ore dalla pubblicazione della dichiarazione vaticana Fiducia Supplicans, padre Martin aveva benedetto una «coppia» omosessuale nella residenza dei gesuiti a Nuova York.   Come riportato da Renovatio 21, nel novembre 2022 Bergoglio aveva dapprima concesso un’udienza privata al Martin, per poi elogiarlo pubblicamente durante l’assemblea plenaria del Dicastero per le comunicazioni vaticane.   Un anno fa, il Martin aveva dichiarato in pratica che la dottrina del catechismo sull’omosessualità uccide, in quanto porterebbe taluni alla morte per suicidio. Il papa la scorsa estate gli scrisse una lettera di incoraggiamento: «Vi incoraggio a continuare a lavorare sulla cultura dell’incontro, che accorcia le distanze e ci arricchisce delle nostre differenze, come ha fatto Gesù, che si è fatto vicino a tutti».

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Rivista di moda cancella dalla foto la spilletta pro-Palestina dell’attore hollywoodiano

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L’edizione francese di Vanity Fair ha ritoccato l’immagine dell’attore Guy Pearce, rimuovendo una spilla palestinese che indossava al Festival di Cannes. La rivista è stata poi costretta a scusarsi dopo le accuse di censura.

 

La star australiana di film come Memento e LA Confidential ha camminato sul tappeto rosso con una spilla con la bandiera palestinese visibile sulla giacca. La stessa spilla era assente nella foto ritratto dell’attore realizzata da Vanity Fair France e pubblicata sul suo sito.

 

La modifica è stata segnalata per la prima volta dal giornalista Ahmed Hathout durante il fine settimana. «Così Guy Pearce ha mostrato solidarietà con la Palestina a Cannes indossando una spilla e Vanity Fair ha deciso di ritoccarla con Photoshop», ha scritto su X, sottolineando che l’attore indossava anche un braccialetto con i colori della bandiera palestinese.

 

 


La rivista è stata rapidamente accusata di censura dagli utenti dell’internet. Molti hanno sottolineato che Pearce è un convinto sostenitore dei palestinesi e ha etichettato il primo ministro israeliano Benjamin Natanyahu «un tiranno vendicativo» per la condotta dell’IDF a Gaza. «I palestinesi vengono assassinati mentre parliamo. Sfollati, traumatizzati, rovinati», ha scritto martedì l’attore sui social media. «Tutto questo DEVE finire. VERGOGNA Netanyahu».

 


Lunedì Vanity Fair France ha risposto alle critiche. «Abbiamo erroneamente pubblicato sul sito una versione modificata di questa foto. La versione originale è stata pubblicata su Instagram lo stesso giorno», ha scritto la testata su X. «Abbiamo corretto il nostro errore e ci scusiamo».

 

Hathout ha ritwittato la dichiarazione della rivista, aggiungendo che «non è chiaro il motivo per cui esisteva una versione modificata».

 

Il Pearce altre volte si è fatto fotografare con i colori palestinesi.

 


Pearce non è stata l’unica celebrità a esprimere solidarietà alla Palestina a Cannes. L’attrice britannica Cate Blanchett è apparsa sul tappeto rosso con un abito che riprendeva i colori della bandiera palestinese.

 

 

Anche la modella palestinese-americana Bella Hadid indossava un abito ispirato alla sciarpa kefiah.

 

 

Come riportato da Renovatio 21, la Hadid, che è di padre palestinese, ha già avuto a che fare con le polemiche della questione israelo-palestinese. Una casa di alta moda francese lo scorso novembre fu accusata di averla sostituita con una modella israeliana.

 

La sorella di Bella, Gigi Hadid, ad un certo punto presa di mira persino dallo stesso governo israeliano, che le scrisse su internet la minacciosa frase «ti vediamo».

 

Va ricordato l’impegno di altre vedette hollywoodiane, come la filopalestinese Susan Sarandon.

 

Temendo manifestazioni filo-palestinesi, le autorità locali di Cannes hanno vietato le proteste lungo l’iconico viale della Croisette e nei suoi dintorni per tutta la durata del festival.

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Il mistero delle 23 chiese nere in Norvegia, durate nei secoli e bruciate dai metallari esoterici

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Le stavkirker sono meraviglie che puntellano la terra di Norvegia sin dal Medio Evo. Si tratta di edifici medievali sacri di colore scuro, costituite interamente da parti di legno. Risalgono al periodo in cui la Cristianità era ancora unita, su tutto il continente europeo ed oltre.   La parola deriva dal fatto di essere costruite utilizzando assi portanti (stafr, in lingua norrena) per erigere pareti, navate e tetti tra il XII e il XIV secolo. In italiano sono chiamate chiese a doghe o a pali portanti.  

Stavkirke di Borgund Laerdal; immagine di Janusz Drap via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Norway

 

Stavkirke di Urnes; immagine di Bjørn Erik Pedersen via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

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Le stavkirker, dichiarate Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, sono considerate tra i più importanti esempi di architettura medievale in legno. Il legno di pino era il materiale da costruzione più comune per queste chiese nel Paese Scandinavo. Chiese di questo genere, tuttavia, sarebbero state costruite in Paesi limitrofi (a Hedarded in Svezia e nelle montagne di Karkonosze in Polonia) e perfino nella regione inglese del Sussex, come la chiesa di Saint Andrews a Greensted, che ha pareti di quercia. Gli studiosi notano le somiglianze tra il modello della stavkirke e le Chiese lignee del Maramureș in Transilvania.   Si calcola che inizialmente fossero qualcosa come 1.300, ora ne rimangono solo 28, quasi tutte in Norvegia.  

Stavkirke di Lom; immagine copyright di Micha L. Rieser via Wikimedia

 

Stakirke di Kaupanger; immagine di Bjørn Erik Pedersen via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

  Come spiega un recente articolo di Architectural Digest, l’apparizione delle stavkirker va fatta risalire a quando i sovrani norvegesi iniziarono la cristianizzazione dei loro popoli, allora seguaci del paganesimo politeista nordico. Dopo l’assassino di re Olaf (1030), cominciarono a verificarsi miracoli e le genti di Norvegia cominciarono quindi a riconoscere la santità dei cristiani e del cristianesimo, facendo divenire la religione di Cristo la fede prevalente.   Nelle città vennero quindi costruite chiese in pietra, mentre nei centri rurali – dove abbondano i boschi e l’esperienza nell’uso di materiali vegetali – si erigevano edifici sacri in legno.

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L’architettura delle stavkirker fonde antiche influenze nordiche con altre tradizioni europee – britanniche, normanne – e bizantine.  

Stavkirke Gol a Oslo; immagine di H.-N. Meiforth via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported

  «L’arte vichinga, in particolare, si fonde con la fase iniziale dello stile romanico» scrive AD. «Le ricche decorazioni derivano sia dall’arte pagana (creature fantastiche, divinità, storie mitologiche) sia dal cristianesimo che stava emergendo nel Paese (archi, croci, volte). Ogni chiesa ha elementi protettivi sul tetto: un drago in cima, croci per allontanare demoni, spiriti maligni e disastri naturali. Le teste di drago sono ispirate ai codici delle navi vichinghe e hanno la stessa funzione dei gargoyle sulle chiese in pietra: la protezione dai nemici. In seguito, la stavkirke sarebbe stata decorata con dipinti raffiguranti la vita di Cristo. All’interno, i fedeli fanno la comunione in piedi, con le donne a sinistra».  

Stavekirke di Heimaey; immagine di Sakaris Ingolfsson via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

  La sparizione delle stavkirker è cominciata nel XVIII secolo, quando sono state sostituite da edifizi più moderne. Due delle 28 rimaste sono state trasferite nella capitale Oslo e a Bergen per essere trasformate in centri turistici.  

Stavkirker di Heddal; immagine di Christian Barth via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 no

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La stavkirke più nota è quella di Borgund, che si è conservata molto bene e dispone di decorazioni di bellezza impressionante, che si dicano abbiano ispirato il castello nel film Disney Frozen. A Urnes vi è invece la stavkirke più antica, che risale al 1140.  

Stavkirke di Borgund; immagine di Tulipasylvestris via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

  Una stavkirker fu oggetto anche di episodi di quello che è stato definito «esoterrorismo», ossia «terrorismo esoterico».   Tra il 1992 e il 1996, ci sono stati almeno 50 attacchi contro chiese cristiane in Norvegia, alcune delle quali erano chiese a doghe. Si ritiene che i membri della scena black metal norvegese siano in gran parte responsabili; in ogni caso di incendio doloso risolto, i responsabili erano fan di questa sottocultura musicale.   La prima chiesa bruciata è stata la stavkierke di Fantoft, rasa al suolo nel giugno 1992. Secondo quanto riportato, la polizia norvegese ritiene che il responsabile fosse Varg Vikernes, anche detto «Conte Grishnack», musicista metal della band Burzum: la copertina dell’EP Aske («cenere») di Burzum è una fotografia della chiesa distrutta.  

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Il 16 maggio 1994, Vikernes fu dichiarato colpevole di aver bruciato la cappella di Holmenkollen, la chiesa di Skjold e la chiesa di Åsane. Coloro che furono condannati per gli incendi di chiese non mostrarono rimorso e descrissero le loro azioni come una simbolica «ritorsione» contro il cristianesimo in Norvegia. Vikernes sarebbe stato visto come «l’autore di alcuni incendi e l’ispiratore di molti incendi».   Inoltre, è stato giudicato colpevole di tentato incendio doloso di una quarta chiesa e di furto e deposito di 150 kg di esplosivo. Anche i membri della scena black metal svedese iniziarono a bruciare le chiese nel 1993.   Secondo il documentario Once upon a Time in Norway, in concomitanza con l’uscita dell’album De Mysteriis Dom Sathanas dei Mayhem, Vikernes ed Euronymous – al secolo Øystein Aarseth, cantante dei Mayhem – avrebbero complottato per bombardare la cattedrale di Nidaros, che appare sulla copertina dell’album. Il Vikernes una sera del 1993 avrebbe poi pugnalato a morte Euronymus con 23 ferite da taglio: due alla testa, cinque al collo e 16 alla schiena.   Il Vikernes è stato giudicato colpevole di omicidio e incendio doloso nel 1994 e condannato a 21 anni di prigione, rilasciato dopo aver scontato 15 anni. Ha promosso visioni che combinavano l’odinismo e il nazismo esoterico, ma in seguito rinnegato l’ideologia e i movimenti ad essa associati, anche se i critici continuano a etichettare le sue opinioni come di estrema destra. Vikernes, che dice di essere un lontano parente da parte materna del collaborazionista Vidkun Quisling, chiama le sue convinzioni «Odalismo» e difende una «società pagana europea preindustriale» che si oppone alle religioni abramitiche e sistemi come il capitalismo, il comunismo, il materialismo e il socialismo.   Ora vive in Francia con la moglie e figli. La coppia si definisce «autistica». Vikernes è comparso in video in cui fa discorsi sul DNA neanderthaliano e l’autismo, visti in maniera positiva e con un ruolo precipuo nella storia antica dell’Europa.

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Immagine di Siri Johannessen via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Norway; immagine tagliata      
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