Cina
I timori di Pechino per la rivolta di Prigozhin
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Anche sui social network cinesi oggi tutti parlano di quanto sta accadendo in Russia, mentre i media ufficiali diffondono le notizie sulla mobilitazione «anti-terrorismo». Una crisi che alimenti i pericoli di disgregazione in Russia è il peggior incubo per Xi Jinping. Putin ha telefonato al presidente kazako Tokaev che gli ha risposto definendo quanto sta accadendo «una questione interna russa».
Nessuna presa di posizione ufficiale, come è ovvio che sia in una situazione ancora convulsa. Ma anche in Cina si seguono con attenzione le notizie che arrivano da Mosca e da Rostov sul Don riguardo all’ammutinamento del gruppo Wagner.
Sui siti di informazione, controllati dal governo cinese, si riferisce del discorso televisivo di questa mattina di Putin e delle «misure antiterrorismo» scattate a Mosca, in mezzo alle notizie sull’ondata di caldo che sta colpendo Pechino e alle fotografie da tutta la Cina del Dragon Boat Festival.
Nel frattempo anche sui social network cinesi la Russia e Prigozhin fin da stamattina sono balzati in cima ai trend topic. E non mancano letture tutte orientali, come quelle dei netizen che su Weibo hanno paragonato la mossa di Prigozhin alla rivolta (fallita) del 26 febbraio 1936 in Giappone, quando settori militari provarono a regolare i conti con le fazioni rivali al grido di «cacciamo i traditori».
I palazzi del potere a Pechino per ora tacciono, ma non è difficile immaginare che lo scenario che si va materializzando in queste ore sia il peggiore dal punto di vista del presidente Xi Jinping. Sotto la coltre dell’«amicizia senza limiti» tra Cina e Russia, fin dall’invasione russa dell’Ucraina la principale preoccupazione di Pechino è stata l’affermazione del principio dell’«integrità territoriale» dei territori coinvolti.
Preoccupazione che guarda molto alle tensioni interne alla Repubblica popolare Cinese, a partire dalla questione dell’indipendentismo nello Xinjiang. Al contrario la prospettiva di uno scontro tra milizie russe potrebbe indebolire ulteriormente la tenuta di Mosca, alimentando le spinte alla disgregazione già presenti in molte regioni. Senza contare le possibili ripercussioni economiche di una possibile situazione di instabilità – in un contesto già fortemente indebolito dal conflitto in Ucraina e dalle sanzioni occidentali – e i riflessi di un eventuale tracollo russo anche nell’area del Pacifico.
Quanto ai rapporti con Prigozhin a Pechino qualche settimana fa non era certo sfuggito lo scetticismo sulle iniziative diplomatiche cinesi nelle dichiarazioni del comandante della Wagner.
«C’è uno scenario ottimistico al quale non credo molto – aveva detto Prigozhin il 25 maggio scorso – secondo cui l’Europa e l’America si stancheranno del conflitto ucraino e la Cina metterà tutti al tavolo dei negoziati. Ci accorderemmo sul fatto che tutto ciò che abbiamo già conquistato è nostro, e tutto il resto non è nostro». «È improbabile che questo scenario sia possibile», aveva aggiunto, giudicando ben più plausibile la controffensiva ucraina e anche «qualche suo successo».
Con lo scacchiere cinese si intrecciano, infine, anche le possibili ripercussioni sull’Asia Centrale di un’eventuale crisi a Mosca. Non a caso una delle prime telefonate compiute questa mattina da Putin è stata quella al presidente del Kazakistan Kassym-Jomart Tokaev, l’alleato più riottoso negli ultimi tempi dell’area ex sovietica, che sta cercando di barcamenarsi tra Mosca, Pechino e l’Occidente.
All’evidente invito di Putin a rinsaldare le fila Tokaev ha risposto che «quanto sta accadendo è una questione interna russa».
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Immagine da Telegram
Cina
Prima vendita di armi a Taiwan sotto Trump
Il dipartimento della Difesa statunitense ha reso noto di aver autorizzato la prima cessione di armamenti a Taiwan dall’insediamento del presidente Donald Trump a gennaio. Pechino, che rivendica l’isola autonoma come porzione del proprio territorio, ha tacciato l’iniziativa come un attentato alla sua sovranità.
Il contratto in esame prevede che Taipei investa 330 milioni di dollari per acquisire ricambi destinati agli aeromobili di produzione americana in dotazione, come indicato giovedì in un comunicato del Dipartimento della Difesa degli USA.
Tale approvvigionamento dovrebbe consentire a Formosa di «preservare l’operatività della propria squadriglia di F-16, C-130» e altri velivoli, come precisato nel documento.
La portavoce dell’ufficio presidenziale taiwanese, Karen Kuo, ha salutato la decisione con favore, definendola «un pilastro essenziale per la pace e la stabilità nell’area indo-pacifica» e sottolineando il rafforzamento del sodalizio di sicurezza tra Taiwan e Stati Uniti.
Secondo il ministero della Difesa di Taipei, l’erogazione dei componenti aeronautici americani «diverrà operativa» entro trenta giorni.
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Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Lin Jian, ha espresso in un briefing il «profondo rammarico e l’opposizione» di Pechino alle forniture belliche USA a Taiwano, che – a suo dire – contrastano con gli interessi di sicurezza nazionali cinesi e «inviano un messaggio fuorviante alle frange separatiste pro-indipendenza taiwanesi».
La vicenda di Taiwan costituisce «la linea rossa imprescindibile nei rapporti sino-americani», ha ammonito Lin.
Formalmente, Washington aderisce alla politica della «Cina unica», sostenendo che Taiwan – che esercita de facto l’autogoverno dal 1949 senza mai proclamare esplicitamente la separazione da Pechino – rappresenti un’inalienabile componente della nazione.
Ciononostante, gli USA intrattengono scambi con le autorità di Taipei e si sono impegnati a tutelarla militarmente in caso di scontro con la madrepatria.
La Cina ha reiterato che aspira a una «riunificazione pacifica» con Taiwan, ma non ha escluso il ricorso alle armi se l’isola dichiarasse formalmente l’indipendenza.
A settembre, il Washington Post aveva rivelato che Trump aveva bloccato un’intesa sulle armi da 400 milioni di dollari con Taipei in vista del suo colloquio con l’omologo Xi Jinpingo.
Come riportato da Renovatio 21, all’inizio del mese, in un’intervista al programma CBS 60 Minutes, Trump aveva riferito che i dialoghi con Xi, tenutisi a fine ottobre in Corea del Sud, si sono concentrati sul commercio, mentre la questione taiwanese «non è stata toccata».
In settimana la neopremier nipponica Sanae Takaichi aveva suscitato le ire di Pechino parlando di un impegno delle Forze di Autodifesa di Tokyo in caso di invasione di Taiwano.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Cina
Apple elimina le app di incontri gay dal mercato cinese
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Cina
Test dimostrano che i veicoli elettrici possono essere manipolati a distanza da un produttore cinese
I test di sicurezza sui trasporti pubblici in Norvegia hanno rivelato che i produttori cinesi possono accedere e controllare a distanza gli autobus elettrici.
Una compagnia di autobus norvegese ha condotto dei test segreti confrontando autobus realizzati da produttori europei e cinesi per scoprire se i veicoli rappresentassero una minaccia per la sicurezza informatica.
Non sono stati segnalati problemi con l’autobus europeo, ma si è scoperto che il veicolo cinese, prodotto da un’azienda chiamata Yutong, poteva essere manipolato a distanza dal produttore.
Questa manipolazione includeva la possibilità di accedere al software, alla diagnostica e al sistema di batterie dell’autobus. Il produttore cinese aveva la possibilità di fermare o immobilizzare il veicolo.
Arild Tjomsland, un accademico che ha collaborato ai test, ha sottolineato i rischi: «l’autobus cinese può essere fermato, spento o ricevere aggiornamenti che possono distruggere la tecnologia di cui l’autobus ha bisogno per funzionare normalmente».
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Tjomsland ha poi aggiunto che, sebbene gli hacker o i fornitori non siano in grado di guidare gli autobus, la capacità di fermarli potrebbe essere utilizzata per interrompere le operazioni o per esercitare un’influenza sul governo norvegese durante una crisi.
Le preoccupazioni sui veicoli cinesi sono diffuse. I think tank hanno lanciato l’allarme: i veicoli elettrici potrebbero essere facilmente «armati» da Pechino.
Le aziende cinesi hanno testato su strada i loro veicoli negli Stati Uniti, raccogliendo dati, tra cui roadmap, che gli esperti ritengono potrebbero rivelarsi di utilità strategica.
I risultati dei test sono stati ora trasmessi ai funzionari del ministero dei Trasporti e delle Comunicazioni in Norvegia.
La militarizzazione dei prodotti cinesi importati in gran copia non riguarda solo le auto.
Come riportato da Renovatio 21, mesi fa è emerso che sono stati trovati dispositivi «non autorizzati» trovati nascosti nei pannelli solari cinesi che potrebbero «distruggere la rete elettrica».
Una trasmissione giornalistica italiana aveva dimostrato che nottetempo le telecamere cinesi usate persino nei ministeri italiani inviavano dati a server della Repubblica Popolare.
Il lettore di Renovatio 21, ricorderà tutta la querelle attorno al decreto del governo Conte bis, in piena pandemia, chiamato «Cura Italia» (da noi ribattezzato più onestamente «Cina Italia»), che in bozza conteneva concessioni a produttori di IT di 5G cinesi come Huawei che, secondo alcuni, mettevano a rischio la sicurezza del nostro Paese e del blocco cui è affiliato.
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