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Geopolitica

I governanti del Niger ordinano alla polizia di espellere l’ambasciatore francese

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Il nuovo governo militare del Niger ha dichiarato di aver revocato l’immunità diplomatica dell’ambasciatore francese Sylvain Itte e di aver ordinato alla polizia di deportarlo, dopo che lunedì era scaduto il termine di 48 ore per la sua partenza.

 

In una dichiarazione indirizzata a Parigi giovedì, il Ministero degli Affari Esteri di Niamey ha affermato che Itte «non gode più dei privilegi e delle immunità legati al suo status di membro del personale diplomatico dell’ambasciata francese».

 

La settimana scorsa, i leader militari che hanno preso il potere dal presidente Mohamed Bazoum con un colpo di stato il 26 luglio, hanno concesso all’ambasciatore francese due giorni per lasciare il paese.

 

L’inviato aveva rifiutato l’invito a incontrare i nuovi governanti, ha detto venerdì il ministero degli Esteri nigerino. Come motivo dell’espulsione dell’inviato vengono citate anche «altre azioni» del governo francese, descritte come «contrarie» agli interessi del Niger.

 

La Francia ha rifiutato di richiamare il diplomatico dalla sua ex colonia, affermando invece che, nonostante le pressioni delle «autorità illegittime», l’ambasciatore rimarrà a Niamey.

 

Lunedì il presidente francese Emmanuel Macron ha ribadito che Parigi riconosce solo il deposto presidente Bazoum come autorità legittima nel Paese dell’Africa occidentale.

 

Macron ha elogiato Itte e altri ambasciatori francesi per il loro impegno nonostante le «situazioni difficili» che Parigi ha dovuto affrontare in alcune delle sue ex colonie negli ultimi mesi.

 

Tuttavia, il Ministero degli Esteri nigeriano nella sua ultima dichiarazione ha affermato che le «carte diplomatiche e i visti» dell’inviato così come quelli dei suoi familiari «sono annullati» poiché l’ultimatum è scaduto il 28 agosto.

 

«La polizia è stata incaricata di eseguire la sua espulsione», ha aggiunto il ministero. Come riportato da Renovatio 21, l’ambasciata francese è stata giorni fa circondata da masse di nigerini inferociti durante le proteste a sostegno della giunta golpista.

 

Giovedì il ministero degli Esteri francese ha insistito sul fatto che i golpisti non hanno l’autorità per chiedere all’ambasciatore di andarsene.

 

Anche il colonnello Pierre Gaudilliere, portavoce dello stato maggiore francese, ha avvertito che le forze parigine «sono pronte a rispondere a qualsiasi aumento della tensione [che] possa indebolire l’influenza militare e diplomatica francese in Niger».

 

La giunta nigerina ha dato un ulteriore ultimatum anche ai militari francesi presenti nel Paese, domandando il ritiro completo delle truppe francesi dal Paese dell’Africa occidentale entro il 3 settembre.

 

Secondo testate arabe, il Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria (CNSP) nigerino ha annunciato l’annullamento di tutti gli accordi militari e di sicurezza con la Francia. Entro la fine della settimana, i sostenitori del ritiro organizzeranno una protesta a tempo indeterminato contro la presenza dell’esercito francese in Niger.

 

Alcuni residenti avrebbero chiesto alle autorità di interrompere la fornitura di acqua ed elettricità alla base francese, nonché di interrompere le consegne di cibo.

 

Come riportato da Renovatio 21, Paesi dell’area accusano i francesi di aver sostenuto il terrorismo che dicono di voler combattere con le loro missioni militari che hanno portato soldati di Parigi nell’area.

 

Il Niger di fatto è stato improvvisamente attaccato dai terroristi islamici del JNIM, una sigla locale affiliata ad Al Qaeda, causando 17 morti tra i soldati di Niamey.

 

Il Gabon, altra colonia francese dell’Africa Occidentale, ha subito un golpe militare nelle scorse ore.

 

 

 

 

 

Immagine US Africa Command via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)

 

 

 

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Geopolitica

Khamenei: Israele «non durerà a lungo»

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L’attacco a sorpresa contro Israele lanciato da Hamas l’anno scorso è stato un passo «logico e legale» verso la sconfitta del regime sionista «malizioso e codardo», ha affermato la Guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei.

 

Venerdì scorso, nel suo primo sermone pubblico in quasi cinque anni, Khamenei ha difeso le azioni contro Israele da parte del cosiddetto «asse della resistenza», che include Hezbollah, con base in Libano, e il gruppo palestinese Hamas.

 

Khamenei ha detto nel suo sermone che i palestinesi, come «ogni popolo», hanno «il diritto di difendere la loro terra, la loro casa, il loro paese e i loro interessi dagli aggressori», e questa «logica è supportata dal diritto internazionale», aggiungendo che «coloro che aiutano» i palestinesi e li sostengono stanno semplicemente «facendo il loro dovere».

 

«Questa è la regola dell’Islam, la regola della ragione e della logica internazionale e globale. I palestinesi stanno difendendo la loro terra; la loro difesa è legittima e aiutarli è anche logico e legale», ha affermato l’ayatollah, il quale ha difeso il recente attacco missilistico dell’Iran contro Israele, affermando che si trattava della «punizione minima per l’usurpatore e sanguinario regime sionista… il cui unico risultato è stato quello di bombardare case, scuole, ospedali e centri di ritrovo civili» a Gaza.

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La guida suprema della Rivoluzione Islamica ha continuato dicendo che l’Iran «svolgerà qualsiasi compito richiesto» per vedere Israele sconfitto, sostenendo che lo Stato Ebraico è riuscito a «sopravvivere» per così tanto tempo solo grazie all’assistenza dei suoi alleati in Occidente.

 

«Questo regime agisce come lupi rabbiosi e cani infuriati dell’America nella regione. Questa entità malvagia e codarda è riuscita a malapena a sopravvivere grazie al sostegno dell’America, e non durerà a lungo», ha affermato.

 

Khamenei nel suo discorso ha sottolineato che il problema principale in Medio Oriente è l’interferenza straniera, poiché «i Paesi della regione sono in grado di stabilire sicurezza e pace» se lasciati soli, criticando il coinvolgimento e il sostegno di Washington allo Stato di Israele, affermando che gli Stati Uniti non hanno mai voluto la pace in Medio Oriente, ma hanno invece perseguito l’obiettivo «di trasformare Israele in uno strumento per impossessarsi di tutte le risorse naturali della regione e investirle in importanti conflitti globali».

 

Come riportato da Renovatio 21, in un segno piuttosto chiaro riguardo la presente postura della sua guida, pochi giorni fa l’ayatollah si era mostrato in pubblico impugnando la canna di un fucile. Nel suo discorso aveva quindi minacciato di colpire le strutture energetiche israeliane in caso di reazione.

 

Da diversi mesi la guida suprema iraniana racconta della necessità di punire il «malvagio regime sionista», chiamato anche «regime usurpatore», contro cui aveva annunciato una «rivolta internazional

 

Già due mesi fa, a seguito dell’assassinio a Teheran del leader di Hamas Ismail Haniyeh, il Khamenei aveva promesso vendetta vera.

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Immagine di Khamenei.ir via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International.

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Geopolitica

Giornalista americano si dà fuoco durante una manifestazione pro-palestinese

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Un giornalista della CBS News si è dato fuoco durante una protesta pro-palestinese nei dipressi della Casa Bianca sabato.   In un post del blog scritto in precedenza, l’uomo ha affermato di essersi auto-immolato per protestare contro la «disinformazione» dei media sulla guerra di Israele a Gaza.   Le riprese video condivise sui social media hanno mostrato l’uomo che si dava fuoco al braccio sinistro, prima che poliziotti e passanti lo circondassero e spegnessero l’incendio con acqua e un tradizionale indumento palestinese, la kefiah.   «Abbiamo diffuso la disinformazione», ha urlato in seguito, seguito da «sono un giornalista e ho detto che andava bene».   L’uomo è stato in seguito identificato come Samuel Mena, un fotoreporter della rete affiliata alla CBS KTVK/KPHO in Arizona. La rete ha affermato che Mena era «fuori servizio e non a Washington per questioni di stazione» al momento dell’incidente e che sarebbe stato licenziato per aver violato la politica aziendale su «obiettività e neutralità».    

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In un lungo post sul blog pubblicato prima dell’incidente, Mena si è lamentato di dover descrivere la guerra a Gaza come un conflitto tra Israele e Hamas, quando la maggior parte delle sue vittime sono state civili.   «Quanti palestinesi sono stati uccisi che ho permesso di marchiare come Hamas? Quanti uomini, donne e bambini sono stati colpiti da un missile cofirmato dai media americani?» ha scritto.   «Ai diecimila bambini di Gaza che hanno perso un arto in questo conflitto, offro il mio braccio sinistro», ha urlato il giornalista autocombusto.   Le ferite di Mena non sembravano gravi nel video e la polizia ha poi dichiarato che era stato portato in ospedale e curato per ustioni lievi.   L’incidente è avvenuto otto mesi dopo che Aaron Bushnell, un membro in servizio attivo dell’aeronautica militare statunitense, si era dato fuoco fuori dall’ambasciata israeliana a Washington DC per protestare contro il sostegno americano a Israele.   Come riportato da Renovatio 21, il Bushnell si era cosparso in un liquido infiammabile e ha urlato «Palestina libera» mentre le fiamme divoravano il suo corpo. La polizia ha spento il fuoco con gli estintori, ma Bushnell è comunque morto per le ferite riportate più tardi quel giorno. Hams in seguito ha dichiarato che il militare americano sarà reso immortale dalla sua azione.   Ieri ricorreva il primo anniversario dell’attacco di Hamas a Israele, durante il quale i militanti palestinesi hanno ucciso circa 1.100 persone e riportato a Gaza circa 250 ostaggi.   Manifestazioni pro-Palestina si sono vedute in varie città del mondo, dove la causa sembra essersi saldata, come un tempo, con quella della sinistra più o meno estrema.   Come riportato da Renovatio 21, sei mesi fa fuori dal tribunale in cui veniva processato il candidato presidente Donald J. Trump si era immolato fra le fiamme un bizzarro blogger-attivista americano.

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La Russia rimuove i talebani dalla lista dei terroristi

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Il rappresentante presidenziale speciale russo per l’Afghanistan, Zamir Kabulov, ha detto ai giornalisti il ​​4 ottobre che «il ministero degli Esteri [russo], insieme all’FSB [Servizio di sicurezza federale russo] e a una serie di altre agenzie russe, sta ultimando gli ultimi ritocchi legali alla rimozione del movimento talebano dalla lista dei terroristi della Russia».

 

Il Kabulov ha fatto queste osservazioni al termine di un incontro sull’Afghanistan a Mosca.

 

In precedenza, quel giorno, il direttore dell’FSB Alexander Bortnikov ha detto che «i talebani sono pronti a combattere l’ala più pericolosa dello Stato Islamico (IS), l’ISIS-K», secondo la dichiarazione rilasciata all’agenzia di stampa TASS.

 

Si tratta di una decisione importante da parte della Russia, che aveva inserito i talebani nella sua lista di organizzazioni terroristiche nel 2003.

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Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha detto, parlando al suo incontro con il ministro degli Esteri di Kabul Amir Khan Muttaqi: «Partiamo dal fatto che l’Afghanistan si sta inserendo sempre più organicamente nella nostra ampia famiglia regionale. E tutti i partecipanti all’incontro odierno, a modo loro, con caratteristiche nazionali, hanno parlato della necessità che l’Afghanistan ritorni finalmente a questa famiglia regionale, e tutti gli stati nel nostro formato hanno espresso la loro disponibilità e determinazione a fornire ogni possibile assistenza a questo scopo».

 

Nell’incontro tra Lavrov e il suo omologo nel governo ad interim dell’Afghanistan, si sarebbe discusso anche di droga e terrorismo, secondo Kabulov.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’ISIS ha rivendicato l’attacco del settembre 2022 fuori dall’ambasciata russa a Kabul, dove un attentatore ha detonato un ordigno e due membri del corpo diplomatico sono stati uccisi. Il bilancio parziale sarebbe di almeno una decina di vittime.

 

Come riportato da Renovatio 21, due settimane fa un corteo di automobili su cui viaggiavano l’ambasciatore russo in Pakistan Albert Khorev e altri diplomatici è stato colpito da un’esplosione.

 

Secondo la vulgata occidentale, sarebbe stato l’ISIS-K a procurare la strage del centro commerciale Crocus a Mosca lo scorso aprile. Tuttavia il Cremlino ha dichiarato prove significative» del coinvolgimento di Kiev nell’attacco terroristico.

 

L’ISIS-K sarebbe dietro all’attentato alla chiesa di Santa Maria a Istanbul, ed è stata sospettata anche della doppia carneficina con oltre 50 morti consumatasi lo scorso ottobre in Pakistan. Sempre nel 2023 l’ISIS-K (la variante locale dell’ISIS) rivendicò un attentato nella provincia di Khyber Pakthunkhwa che uccise 54 persone, la metà delle quali erano bambini.

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Immagine di DFID – UK Department for International Development via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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