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Fusione nucleare, la Russia invia alla Francia un magnete gigante per il progetto ITER

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La Russia martedì 1 novembre ha inviato uno dei sei magneti giganti necessari per il programma di fusione nucleare ITER in Francia, uno degli ultimi progetti scientifici internazionali che si rifiuta di escludere la partecipazione russa.

 

La nave che trasportava il magnete di fabbricazione russa – o «bobina di campo poloidale» – è partita da San Pietroburgo il 1 novembre.

 

A bordo, la massiccia bobina di nove metri di larghezza, che pesa 200 tonnellate, è diretta per un viaggio di due settimane a Marsiglia, da lì a ITER a Saint Paul-lez-Durance, dove 35 nazioni (tra cui Stati Uniti, Cina, Russia, Giappone, Corea del Sud, India e UE) stanno collaborando per costruire l’International Thermonuclear Experimental Reactor (ITER), il il più grande reattore a fusione nucleare tokamak mai costruito.

 

Il magnete a forma di anello costruito sotto la supervisione di Rosatom costituirà la parte superiore del reattore.

 

Il componente russo avrebbe dovuto partire a maggio, ma le sanzioni che vietavano alle navi russe di attraccare in Europa hanno ritardato la partenza. Tuttavia, «la situazione attuale non ha cambiato il fatto che adempiremo ai nostri obblighi», ha affermato il rappresentante di Rosatom per i progetti internazionali Viacheslav Perchukov. Le tensioni geopolitiche «praticamente non hanno influito sulla realizzazione di questo progetto», ha confermato.

 

Senza la bobina russa, «il tokamak non funzionerà», ha detto all’AFP Leonid Khimchenko, scienziato senior del progetto ITER, che ha salutato il risultato di otto anni di lavoro come «unico», in otto anni di lavoro. «Questo è un progetto così interessante che in realtà siamo tutti una famiglia… non c’è competizione tra noi, niente», ha dichiarato il professor Khimchenko.

 

Tim Luce, direttore scientifico di ITER, ha dichiarato che il progetto è «separato dalla guerra in Ucraina»: «Il bisogno di energia è universale, e se un’entità ce l’ha e un’altra no, non importa cquali bandiere o quali cappelli indossino le persone. L’iniquità causerà sempre conflitti».

 

Il progetto è stato avviato dopo un vertice del 1985 tra il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan e il presidente russo Mikhail Gorbachev, nel tentativo di raffreddare le tensioni tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica.

 

«È venuto fuori dai loro programmi di armi», ha detto Luce. «Questo è diventato un ponte tra queste diverse entità politiche, per poter parlare tra loro… Non erano molto d’accordo, tranne che avrebbero lavorato insieme sulla fusione come fonte di energia».

 

Andrey Mednikov, uno scienziato responsabile della produzione della bobina di campo poloidale, ha elogiato la continua cooperazione internazionale. «Se questa cooperazione si interrompesse, perderebbero tutti: sia la Russia che la comunità internazionale», ha detto Mednikov.

 

A inizio anno, un team di scienziati cinesi aveva affermato di aver trovato un metodo nuovo e più conveniente per ottenere la fusione nucleare.

 

Come riportato da Renovatio 21, la Russia domina la produzione di energia nucleare in tutto il mondo, concetto ribadito, in senso di cooperazione internazionale, anche dall’ultimo discorso del presidente Putin al Club Valdai 2022.

 

«Ad esempio, quando costruiamo centrali nucleari in altri Paesi, creiamo centri di competenza e formiamo personale locale. Creiamo un’industria. Non costruiamo solo un impianto, creiamo un intero settore. In effetti, diamo ad altri Paesi la possibilità di aprire nuove strade nel loro sviluppo scientifico e tecnologico, ridurre le disuguaglianze e portare il loro settore energetico a nuovi livelli di efficienza e rispetto dell’ambiente» ha dichiarato il presidente della Federazione Russa lo scorso mese.

 

Nel frattempo, la carenza energetica registrata in Europa a causa delle sanzioni alla Russia ha messo a rischio chiusura anche il più grande acceleratore di particelle al mondo, il Large Hadron Collider (HDC), la megastruttura di studio di fisica della materia operata dal CERN di Ginevra.

 

La Francia, ospite del progetto ITER, sta affrontando problemi improvvisi alle sue centrali atomiche, con crepe inaspettate in dozzine di reattori, mentre il presidente Macron si spinge a parlare di «rinascita dell’industria nucleare francese», anche quando poi poco dopo parla di razionamenti energetici, monumenti lasciati al buio e «fine dell’abbondanza».

 

Renovatio 21 aveva riportato della crisi di circa metà dei reattori nucleari francesi ancora sei mesi fa. Già a gennaio, Renovatio 21 aveva riferito di una strana serie di «danni inaspettati» e riparazioni alle centrali atomiche francesi.

 

 

 

 

 

 

Immagine di Oak Ridge National Laboratory via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)

 

 

 

 

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Nucleare

Conferenza mondiale sulla fusione nucleare in Cina

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Il 14 ottobre è stata inaugurata nella megalopoli cinese di Chengdu, in Cina, la seconda riunione ministeriale del World Fusion Energy Group dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), con 1.000 partecipanti.

 

Il Global Times, giornale in lingua inglese del Partito Comunista Cinese, ha titolato: «Il “sole artificiale” di nuova generazione della Cina in fase di aggiornamento per i test al plasma: un esperto», offrendo un riassunto del programma cinese sulla fusione, con particolare attenzione al Tokamak superconduttore sperimentale avanzato (EAST).

 

Zhong Wulu, vicedirettore del Southwest Institute of Physics della China National Nuclear Corporation (CNNC) e responsabile della Divisione di Scienza della Fusione, ha dichiarato: «Per raggiungere l’energia da fusione commerciale, dobbiamo completare sei fasi, e al momento siamo alla terza». Il Zhong ha elencato le sei fasi come «esplorazione concettuale, esperimenti su larga scala, esperimenti al plasma, reattori sperimentali, reattori dimostrativi e reattori commerciali».

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Huang Mei, capo scienziato del CNNC e responsabile del progetto del ciclotrone elettronico, ha detto al Global Times che, nonostante la tabella di marcia preveda la produzione di energia da fusione entro il 2050 circa, «stiamo lavorando intensamente per anticipare questa scadenza il più possibile». Nella fase 3, il 20 gennaio 2025, il Tokamak EAST ha raggiunto un funzionamento continuo del plasma ad alto confinamento per 1.066 secondi (circa 17 minuti e tre quarti), con temperature superiori a 82 milioni di gradi Celsius.

 

Tuttavia, questo risultato straordinario non ha ancora raggiunto il punto di pareggio, in cui una reazione di fusione produce più energia di quella usata per riscaldare il plasma, né l’ignizione, in cui la reazione diventa autosostenibile.

 

Il Global Times sottolinea che gli esperti cinesi evidenziano come «i materiali e l’ingegneria rappresentino ulteriori sfide. È necessario sviluppare materiali strutturali capaci di resistere a temperature estreme e intense radiazioni neutroniche, magneti superconduttori altamente affidabili, sistemi criogenici e sistemi di diagnostica e controllo per monitorare il plasma in tempo reale con feedback rapido».

 

Questo sta portando a concentrarsi su leghe di tungsteno per componenti strutturali e magneti superconduttori in niobio-stagno, niobio-titanio o materiali superconduttori ad alta temperatura. Un’altra questione cruciale è «l’autosufficienza al trizio». Un obiettivo chiave è il passaggio dell’EAST a un reattore sperimentale, corrispondente alla quarta fase del processo.

 

Huang Mei del CNNC ha espresso ottimismo, secondo il Global Times, affermando che «il Southwest Institute of Physics, come “squadra nazionale” per la fusione, accelererà i progressi tecnici attraverso diverse piattaforme». Ha aggiunto: «Il momento che attendo con più entusiasmo è quando useremo il primo kilowatt di energia da fusione per accendere una lampadina, sarà l’istante più emozionante».

 

Come riportato da Renovatio 21, due mesi fa scienziati cinesi avevano introdotto un nuovo dispositivo di prova per la produzione di fusione.

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Lo scorso marzo la Cina aveva fatto sapere che costruirà un reattore ibrido a fusione-fissione entro il 2030, con l’obiettivo di generare 100 megawatt di elettricità continua e connettersi alla rete nazionale entro la fine di questo decennio.

 

Come riportato da Renovatio 21la Cina sta portando avanti le ricerche sulla fusione da anni. La Cina ha accelerato con i suoi studi per la fusione dopo che negli scorsi anni un team di scienziati cinesi aveva affermato di aver trovato un metodo nuovo e più conveniente per il processo.

 

Una volta scoperto un processo stabile per ottenere la fusione, potrebbe entrare in giuoco l’Elio-3, una sostanza contenuta in grande abbondanza sulla Luna, dove la Cina, come noto, sta operando diverse missioni spaziali di successo. Da qui potrebbe svilupparsi definitivamente il ramo cosmico dello scacchiere internazionale, la geopolitica spaziale che qualcuno già chiama «astropolitica», e già si prospetta come un possibile teatro di guerra.

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«Non c’è vittoria nella guerra nucleare»: parla l’esperto in armamenti del MIT

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Alla fine della scorsa settimana, a Berlino si sono tenuti diversi eventi che hanno evidenziato il rischio per la Germania derivante dal dispiegamento di missili a medio raggio e dalla fornitura di tali armi all’Ucraina, considerati come un possibile preludio a una Terza Guerra Mondiale. Lo riporta EIRN.   Uno di questi eventi è stata una presentazione di tre ore, svoltasi il 10 ottobre, tenuta dal professor Ted Postol, rinomato esperto di armi del MIT, organizzata congiuntamente dallo Schiller Institute (ente legato al gruppo Larouche) e dalla Eurasian Society. L’argomento era la minaccia rappresentata dal posizionamento di missili a medio raggio in Germania, accompagnata da un’analisi lucida delle conseguenze di una potenziale guerra nucleare.   Postol ha illustrato l’enorme potenziale distruttivo delle moderne armi nucleari, molto più potenti rispetto a quelle che, nel 1945, causarono tra le 200.000 e le 250.000 vittime in Giappone, confutando l’idea assurda di poter vincere una guerra nucleare, dimostrando che la cosiddetta «vittoria» diventa priva di senso quando il Paese vincitore non ha più sopravvissuti al termine del conflitto.   L’esperto ha quindi smontato il mito della vittoria in una guerra nucleare tattica, spiegando che l’uso di una singola arma nucleare porterebbe, in circa cinque giorni, a una guerra globale che estinguerebbe ogni forma di vita sulla Terra.

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Riflettendo sulla sua esperienza personale nella pianificazione di una guerra nucleare, Postol ha sottolineato il problema della riduzione del tempo di allerta precoce, dovuto al posizionamento avanzato dei missili, e il rischio di una rapida escalation verso l’uso di armi nucleari, per entrambe le parti, a causa del dilemma «usalo o perdilo».   «Nel 1983, si svolse un war game chiamato Able Archer. In quel war game, i vertici americani simularono, da una prospettiva sociale, psicologica e militare, uno scontro tra il Patto di Varsavia e la NATO, con l’uso di armi nucleari (…) È importante comprendere che gran parte di ciò che avvenne in quel gioco fu guidato da imperativi militari. Il problema, ancora una volta, deriva dalla natura delle armi nucleari. Sono così potenti che, quando una parte inizia a usarle, entrambe si sentono obbligate a contrattaccare e a distruggere il più possibile la capacità offensiva del nemico. Non hai scelta una volta che sei in questo gioco. Non puoi dire “basta”. Perché non sai se l’avversario intensificherà il suo attacco prima che tu ti fermi. Questo dà al nemico l’opportunità di aumentare la sua potenza in modo da causarti danni ancora maggiori. Sei quindi costretto a entrare in un ciclo in cui devi colpire il nemico per tenerlo sotto controllo».   Postol ha spiegato che questa dinamica di attacco e contrattacco è centrale nel pensiero militare sulla guerra nucleare, basato sull’erronea convinzione che si possa combattere e vincere, chiarendo che non esiste vittoria, poiché «i livelli di distruzione sono così elevati che entrambe le parti vengono annientate». Ha aggiunto che l’idea di una guerra nucleare paragonabile a un conflitto convenzionale è fuorviante, poiché i danni sono incomparabilmente più devastanti.   Il professore ha anche criticato la politica autolesionista del governo tedesco, che consente il dispiegamento di queste armi sul proprio territorio, rendendo la Germania, senza alcuna valida ragione, un bersaglio per la distruzione nucleare in caso di conflitto, deplorando inoltre il rapido declino del senso di realtà tra i leader politici occidentali, un fattore che di per sé alimenta il rischio di un confronto nucleare, a causa della loro incapacità di comprendere le conseguenze delle proprie scelte politiche.   Come riportato da Renovatio 21, Postol l’anno scorso aveva condannato l’attacco di droni ucraini contro le stazioni di rilevamento per la guerra atomica Armavir (nota come «Lupi dello Zar») e Orsk, nella Russia meridionale e orientale, parlando di una possibile escalation che da lì poteva partire verso la distruzione nucleare pantoclastica.   Si trattava di attacchi ad una componente componente dell’«ombrello nucleare» della Federazione Russa.   «Gli ucraini hanno ora attaccato un secondo radar strategico di allarme rapido nucleare russo critico a Orsk» aveva avvertito Postol. «Questo radar guarda verso l’Oceano Indiano e ha qualche sovrapposizione con i radar del radar già danneggiato di Armavir. I primi indicatori indicano che l’entità dei danni subiti dall’Orsk è probabilmente limitata, ma non si può escludere che il radar non funzioni per il momento a causa dell’attacco».   «Questa è una situazione molto seria. A differenza degli Stati Uniti, i russi non dispongono di sistemi di allarme satellitare spaziali in grado di rilevare attacchi di missili balistici a livello globale. Ciò significa che la copertura radar persa a causa degli attacchi a questi radar riduce notevolmente il tempo di preavviso contro gli attacchi a Mosca dal Mediterraneo e dall’Oceano Indiano».

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«L’estrema pressione temporale sulla leadership russa potrebbe quindi aumentare significativamente le possibilità di un catastrofico incidente nucleare. Il fatto che Blinken e la sua squadra di sicurezza nazionale abbiano dato il via libera al governo ucraino per attaccare siti russi fuori dall’Ucraina, significa che Blinken ha incautamente detto agli ucraini che possono impegnarsi in tali atti che avrebbero conseguenze potenzialmente catastrofiche per gli Stati Uniti e per l’intero pianeta».   Renovatio 21 rammenta come anche nei discorsi degli strateghi russi sia apparsa, negli scorsi mesi, l’idea di attaccare per primi utilizzando armi atomiche.   Come riportato da Renovatio 21, il noto esperto di relazioni internazionali russo Sergej Karaganov ha scritto interventi molto discussi dove ha parlato apertis verbis della revisione della strategia militare atomica di Mosca, arrivando a ipotizzare la nuclearizzazione di una città europea in risposta al sostegno della guerra ucraina.   Siamo arrivati al punto più prossimo allo sterminio atomico. Mai nella storia, nemmeno nei momenti più caldi della guerra fredda, eravamo giunti così vicino all’abisso pantoclastico, alla prospettiva della distruzione massiva dell’umanità.  

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Trump reagisce all’offerta di trattato nucleare di Putin

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha accolto favorevolmente la proposta del presidente russo Vladimir Putin di estendere di un ulteriore anno l’ultimo trattato di controllo degli armamenti tra i due Paesi.

 

Domenica, mentre conversava con i giornalisti fuori dalla Casa Bianca, a Trump è stato chiesto cosa pensasse dell’offerta di Putin riguardo al New START. «Mi sembra una buona idea», ha risposto.

 

Le parole di Trump sono state apprezzate da Kirill Dmitriev, consigliere economico di Putin e figura centrale negli sforzi per migliorare le relazioni con Washington.

 

Dmitriev ha scritto su Telegram che la posizione del presidente statunitense indica che Washington e Mosca sono «abbastanza propense» a prorogare l’accordo.

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Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso Putin aveva espresso la disponibilità di Mosca a estendere di un anno il Trattato sulla riduzione delle armi strategiche del 2010 (New START), a patto che gli Stati Uniti rispondano positivamente e si astengano da azioni che potrebbero alterare l’equilibrio nucleare.

 

All’inizio di questa settimana, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha dichiarato che Washington non ha ancora fornito una risposta ufficiale alla proposta.

 

L’ultimo trattato di riduzione degli armamenti tra Stati Uniti e Russia, che limita ciascuna parte a un massimo di 1.550 testate nucleari strategiche e 700 sistemi di lancio schierati, scadrà a febbraio, salvo un’eventuale proroga.

 

Come riportato da Renovatio 21, tre anni fa, all’apice delle tensioni per la guerra ucraina, il ministero degli Esteri russo aveva accusato la «flagrante» violazione del trattato Start da parte di Washingtone. Nell’agosto 2022 la Russia aveva quindi annunciato la sospensione delle ispezioni nucleari con il nuovo trattato START.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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