Pensiero
Contrordine: Draghi riapre l’Italia. Solo per i vaccinati

«Nuovo decreto COVID, Draghi riapre l’Italia» titola La Stampa.
«Draghi riapre l’Italia» titola Il Piccolo.
Il momento sa di trionfo. È la fine della guerra. Vien voglia di chiamare i parenti: è finita! È finita! Coriandoli. Parate sulle strade. Marinai che baciano infermiere.
«Vogliamo un’Italia sempre più aperta, soprattutto per i nostri ragazzi» è il virgolettato gioioso che tutte le testate riprendono dal Consiglio dei Ministri.
Il momento sa di trionfo. È la fine della guerra. Vien voglia di chiamare i parenti: è finita! È finita! Coriandoli. Parate sulle strade. Marinai che baciano fanciulle
«I provvedimenti di oggi vanno nella direzione di una ancora maggiore riapertura del Paese» dice Draghi.
È il segnale della libertà. Stiamo facendo come tutti. Come la Danimarca. Come il Regno Unito. Come la Finlandia. Come la Svizzera. Come la Francia. Come gli USA. Come la Spagna. Come tutti.
Ci credete? No.
Vabbè, ci hanno provato. A leggere il Corriere di stamane sembrava fatta. «Draghi: l’Italia sarà più aperta» in prima pagina. Pagina due: «Il premier annuncia la svolta, pronti a superare i divieti». Segue fotina con profilo del premier che pare una statua romana, o di Arno Breker. Pagina 3: «Il contagio si spegne molto velocemente. CTS verso lo scioglimento, serviva pe l’emergenza».
Aguzzate la vista – la vostra vita, dai DCPM di Conte in giù, è diventata del resto una Settimana Enigmistica. SPOILER: la liberazione, nei fatti, riguarda i soli vaccinati.
Solo l’Huffington Post ha il coraggio di scriverlo nel titolo: «La pandemia sta finendo. Draghi riapre l’Italia ai vaccinati».
Avete capito: il Paese tornerà libero, ma solo per i sottomessi al triplice mRNA
Avete capito: il Paese tornerà libero, ma solo per i sottomessi al triplice mRNA.
«Nelle prossime settimane andremo avanti su questo percorso di riapertura. Sulla base dell’evidenza scientifica, e continuando a seguire l’andamento della curva epidemiologica, annunceremo un calendario di superamento delle restrizioni vigenti»: ecco l’altro virgolettato del Draghi piazzato ovunque.
Di grazia, di quale «evidenza scientifica» parla il premier? Quella per cui bastava il 70% dei vaccinati? Dell’immunità di gregge all’80%? Quella del vaccinato che non contagia? Quella del vaccinato (doppio-triplo-quadruplo) che non contagia? Quella del vaccinato liberato dal tampone? Quella della «pandemia dei non vaccinati? Quella che «i nostri problemi dipendono dai non vaccinati»? Quella che il non vaccinato dà la morte? Quella dei vaccinati completi che hanno il COVID «in forma lieve» e non finiscono in terapia intensiva?
Oppure, vogliamo – così, sottovoce, come tocca fare ai no vax – parlare delle evidenze scientifiche attorno alle persone che muoiono, come una stupenda ragazzina ligure, o un ragazzotto 26enne del Sud Dakota? Tanto per citare due casi sui quali comincia a saltar fuori qualche carta.
Ma no, l’«evidenza scientifica» è quella per cui gli anticorpi durano sei mesi (non una settimana di più, non una meno), l’idrossiclorochina, l’ivermectina, l’azitromicina vanno bene forse per gli animali. Forse.
Il tutto, bellissimo, tirando dentro prima i bambini. Come certi pubblicitari terra-terra, che per attirare l’attenzione sanno che nello spot ci va o la tettona, o il cagnolino, o il bambino con gli occhi dolci
Il tutto, bellissimo, tirando dentro prima i bambini. Come certi pubblicitari terra-terra, che per attirare l’attenzione sanno che nello spot ci va o la tettona, o il cagnolino, o il bambino con gli occhi dolci.
Eccerto, bisognava partire dalla DAD, le grandi ingiustizie nelle scuole dei bambini.
Sui bimbi è pronto il teatrino della politica. I ministri della Lega , non avrebbero partecipato al voto delle nuove norme COVID sulla Dad e quarantene scolastiche, perché «discriminano i bambini non vaccinati». Vorremmo ridergli in faccia, ma Salvini, teoricamente vaccinato, ora è in quarantena positivo al COVID, quindi non si può.
Avete capito? La discriminazione dei bambini. I genitori sono alla fame, i genitori li hanno ritirati da scuola – quanti casi ci sono di bambini in istituti privati che ora non frequentano più perché i genitori, sospesi senza stipendio, sono sul lastrico? Pensate agli asili pubblici, dove, grazie alla legge Lorenzin (grande esperimento politico prodromico del presente pandemico) la famiglia contraria ai vaccini già non poteva mandare i bambini, perché vigente l’obbligo di vaccinazione: l’unica possibilità era l’asilo privato, che è difficile permettersi se si è senza stipendio.
Quella della DAD, con i bambini nel cuore del premier che fu sovrano della torre BCE passando per Goldman Sachs e panfilo Britannia, è come abbiamo detto una strategia pubblicitaria, è fumo negli occhi.
Ma non solo: sanno che esistono dei genitori, che per un ragionamento francamente stupido, dicono «io accetto il rischio del vaccino, ma non per mio figlio». Quelle che accettano la roulette russa mRNA, ma «mai per i piccoli».
Una percentuale dice così al momento, poi magari pian piano vede erodersi il suo eroismo genitoriale e offre allo Stato pandemico anche il piccolo deltoide della prole. (Non dite loro che se la roulette russa butta male, gli amati figli si possono ritrovare con un genitore danneggiato al punto magari di non poter più far il genitore, oppure si risvegliano proprio orfani)
Un’altra porzione di genitori contrari alla siringa sui piccoli, invece, potrebbe rimanere dell’idea: e questo è un rischio che non si può correre, la trasformazione dei vaccinati in no vax non è accettabile per le logiche della pièce in scena.
Quindi: liberiamo i bambini, dimentichiamoci dei contagi tra i piccoli, del resto lo Stato vuole loro bene: e loro lo sanno, i ringraziano con tentati suicidi, suicidi realizzati, anoressie precoci, disturbi dell’apprendimento, malattie mentali, violenze pubbliche di ogni tipo.
Ma non è finita. Perché ad una certa hanno fatto parlare Roberto Speranza.
«La certificazione verde COVID-19 ha validità a far data dalla medesima somministrazione senza necessità di ulteriori dosi di richiamo». Tutti con i cappellini a cono e le trombette: chi ha il green pass, almeno loro, lo avranno indefinitamente? Yeeee…
Leggete bene le avvertenze prima dell’uso.
«Prolunghiamo la vigenza del green pass dopo il booster: oggi è di 6 mesi. La valutazione del governo è di non porre limiti al green pass per chi ha il booster, che oggi conta 34 milioni di italiani».
Avete letto. Rileggete, magari dal sito dell’ANSA.
«La bozza del decreto prevede dunque che, per chi ha completato il ciclo vaccinale e anche per chi si è contagiato e è guarito dopo essersi vaccinato, il pass ha validità “senza necessità di ulteriori dosi di richiamo”. Dunque, illimitata. Per chi, invece, si è contagiato dopo la prima dose, il certificato varrà 6 mesi». Corsivo nostro.
Se siete guariti, magari dopo aver preso il virus in questo tsunami ancora in corso, avrete il green pass senza scadenza solo se siete guariti dopo essere stati vaccinati
Quindi, chiariamoci subito: se siete guariti, magari dopo aver preso il virus in questo tsunami ancora in corso, avrete il green pass senza scadenza solo se siete guariti dopo essere stati vaccinati.
Cioè, se siete stati gabbati – vi siete vaccinati per non prendere la malattia, l’avete presa lo stesso, magari finendo in terapia intensiva – sarete premiati, è pronto per voi un ristoro che vi ridà qualche (qualche) libertà in più.
Se invece avete preso il COVID da non vaccinati, pare di capire, non avrete nulla: green pass a scadenza come i vostri anticorpi, anche se sono identici a quelli del vaccinato guarito.
Cioè, se siete stati gabbati – vi siete vaccinati per non prendere la malattia, l’avete presa lo stesso, magari finendo in terapia intensiva – sarete premiati, è pronto per voi un ristoro che vi ridà qualche (qualche) libertà in più
Sicuro: questa è un’evidenza scientifica. Il guarito vaccinato vale più del guarito non vaccinato. Non scherziamo: sappiamo che questo è (in modo strisciante, perché hanno paura di farlo davvero alla luce del sole) il cambio di paradigma a cui ci hanno preparato, e che è già subdolamente praticato da tanti Stati in tutto il mondo: l’immunità naturale non esiste, non conta – conta solo l’immunità vaccinale.
Il lettore di Renovatio 21 lo ricorda quando lo segnalammo un anno fa: in modo un po’ furtivo, qualcuno aveva cambiato la definizione di immunità di gregge sul sito dell’OMS. «L’immunità di gregge si ottiene proteggendo le persone da un virus, non esponendole ad esso» ora sta scritto nel sito dell’ONU della Sanità. «L’immunità di gregge esiste quando viene vaccinata un’alta percentuale della popolazione». È inutile dirvi che ciò contraddice decenni di immunologia, giusta o sbagliata che fosse.
In pratica, l’unico anticorpo che la Repubblica accetta, è quello Pfizer, Moderna, AZ, J&J.
Se invece avete preso il COVID da non vaccinati, pare di capire, non avrete nulla: green pass a scadenza come i vostri anticorpi, anche se sono identici a quelli del vaccinato guarito
È così ovunque: gli obblighi di vaccinazione semplicemente ignorano chi ha già avuto il COVID. Ti fai la sprizza mRNA, ebbasta: non ci importa se il tuo corpo è già protetto.
Ancora. Speranza va avanti, con sincerità encomiabile.
«Se una regione finisce in zona rossa, le limitazioni connesse non riguarderanno le persone vaccinate”». Traduciamo: lockdown per i non vaccinati.
Quindi: urrà, «l’Italia riapre. Ma con il green pass e con l’Apartheid biotica realizzata, in attesa magari dei lager, come in Australia e come parrebbe voglia indicare la legge austriaca.
In pratica, l’unico anticorpo che la Repubblica accetta, è quello Pfizer, Moderna, AZ, J&J.
Vi stupite che si finisca a parlare di repressione, confinamenti? Forse vi dimenticate che Speranza, passato indenne tra Conte e Draghi nonostante gli scandali internazionali (e nonostante abbia un partito che vale forse il 3%) è de facto un poliziotto più poliziotto dei poliziotti, al punto che il capo di questi gli aveva ricordato, quando voleva mandare le volanti a controllare le festicciole in casa a seguito delle delazioni dei vicini, che una cosa del genere non si può fare, forse nella Repubblica di Weimar…
A questo punto vi farete la solita domanda: perché?
A questo punto, vi diamo la solita risposta.
Dovrebbe esservi chiaro che siamo dinanzi alla fotocopia di quello che abbiamo visto in Francia, con il furbo premier Castex a dichiarare che avrebbe sì riaperto, ma tenendo per un po’ il pass sanitario.
Ricordate? Il presidente Macron aveva giurato di volere rendere la vita dei non vaccinati impossibile («immerdarli», secondo la traduzione che bisognerebbe dare). Preparano altre regole di clausura generale. Poi, quattro giorni dopo, ecco che premier e ministro della Salute di Francia tirano fuori un piano di liberazione graduale, tanto che riaprono le discoteche nel picco di Omicron.
Urrà, «l’Italia riapre. Ma con il green pass e con l’Apartheid biotica realizzata, in attesa magari dei lager, come in Australia e come parrebbe voglia indicare la legge austriaca
Solo una cosa, il pass francese resta. «Applicheremo il pass vaccinale per tutto il tempo necessario, ma non più del necessario». Insomma, il pass è più importante dei contagi.
In Italia è lo stesso. Anzi: in Italia è dove l’esperimento del fascismo elettronico verde (lo ha chiamato più o meno così un articolo del Wall Street Journal di recente) è andato più a fondo. Più a fondo perfino di Israele, che il green pass lo ha inventato, e ora invece vuole liberarsene.
No. Il green pass resta in piedi, in Italia. A quelli obbedienti, ai bovini vaccini, sarà esteso. Ma non sarà tolto.
Il lettore di Renovatio 21 sa perché.
Sul green pass correrà l’euro digitale. Cioè l’abolizione del contante. Cioè la certificazione economica ed informatica del vostro nuovo status di esseri umani: la schiavitù
Sul green pass correrà l’euro digitale. Cioè l’abolizione del contante. Cioè la certificazione economica ed informatica del vostro nuovo status di esseri umani: la schiavitù.
L’intenzione viene dritta dalla BCE, che lo ha annunciato tante volte, lo ha dichiarato «inevitabile» , ora sappiamo che sta studiando come il green pass servirà a giudicarci per come paghiamo le tasse – ed è la stessa BCE sulla cui torre prima si posavano Draghi.
Gli stessi Draghi che parteciparono attivamente alle «privatizzazioni» delle industrie pubbliche del Paese – cioè alla sua svendita.
Non credo che serva un disegnino. Per lo meno ai lettori di Renovatio 21.
È in atto la desovranizzazione definitiva del vostro Paese, ma non solo. L’attacco ora è arrivato fin dentro le vostre cellule, a livello biomolecolare: la vostra sovranità biologica è stata espugnata dal potere costituito
È in atto la desovranizzazione definitiva del vostro Paese, ma non solo.
L’attacco ora è arrivato fin dentro le vostre cellule, a livello biomolecolare: la vostra sovranità biologica è stata espugnata dal potere costituito.
Andranno oltre. Il controllo di estenderà su ogni ramo della vostra vita, con modalità alle quali nemmeno Pechino è arrivata.
Non stiamo dicendo per ischerzo.
Andranno oltre. Il controllo di estenderà su ogni ramo della vostra vita, con modalità alle quali nemmeno Pechino è arrivata
A breve, non ci sarà niente da ridere. Per i non vaccinati, per i vaccinati. Per tutti.
Non avete idea di quale contratto sia stato firmato con la vostra paura e la vostra indifferenza.
E ora lasciate che l’Italia riapra, ma solo per la schiavitù.
Roberto Dal Bosco
Pensiero
Renovatio 21 saluta Giorgio Armani. Dopo di lui, il vuoto che inghiottirà Milano e l’Italia

È morto quello che si può definire il più grande stilista vivente, e al contempo un gigante, imprenditoriale e finanche morale, dell’Italia moderna e della sua immagine. È il caso di dire pure, cercando di dimostrarlo nelle prossime righe, che la sua morte apre gli occhi su un vuoto pericoloso che potrà inghiottirsi la moda, Milano, l’Italia.
Quindi non scriviamo il solito coccodrillo, per quello ci sono gli altri giornali, anche internazionali. Vogliamo salutare Giorgio Armani con alcuni flash personali che testimoniano come la sua semplice grandezza era tale che, anche senza conoscerlo di persona, ha attraversato giocoforza le nostre vite.
Le testimonianze che posso raccogliere sono tante: ho un amico di ottant’anni, praticamente spesi tutti nella moda, che mi racconta che sì, vero, faceva il vetrinista alla Rinascente, lo aveva conosciuto così, fino a che non era arrivato a scoprirlo il biellese Nino Cerruti (1930-2022). Ho in testa altre storie che mi arrivavano da amici di famiglia che lo avevano conosciuto, sempre lavorando nel tessile, agli albori, quando passava per Valdagno. Impossibile verificare: sono tutti morti, e quelle storie sono andate via con loro…
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Un primo flash: ho diciannove anni, e ho messo via i soldi per comprare un completo Armani (di brand minore dell’impero, certo, non «Le Collezioni»), con il quale, non solo nelle occasioni importanti, rifiutare il conformismo coetaneo di t-shirt e scarpe da ginnastica. Ricordo la sensazione di appagamento che dava quel vestito, come cascava bene sulle spalle, sui fianchi, ricordo come mi piaceva indossarlo anche con una maglia a maniche corte sotto, con le braccia accarezzate dal fodero in seta.
L’eleganza era possibile. Era diffusa, distribuita. Un’eleganza che non era ostentosa. Era decisa, precisa. Era reale.
Un secondo flash: decido di prendere un altro vestito Armani per appagare il mio desiderio di arrivare al matrimonio di mia sorella, in centro all’Africa, con un completo bianco, come Klaus Kinski nella giungla amazzonica di Fitzcarraldo. Il piano ebbe un effetto collaterale: l’aereo da Londra tardò enormemente su Johanessburg, facendomi perdere la coincidenza per Livingstone, e inserendo uno stop imprevisto in un hotel della città più violenta del mondo. Quando uscii dalla porta del ritiro bagagli dell’aeroporto sudafricano mi ritrovai di fronte ad una muraglia umana di autoctoni nerissimi (più un albino, epperò geneticamente nero anche lui) che aspettano un turista straniero a caso per spennarlo portandogli la valigia: si videro innanzi l’icona di un colonizzatore in abiti firmati, non ci credettero, e mi inseguirono per tutta l’aviosuperficie per un’oretta buona. (Storia da raccontare un’altra volta)
Vi fu poi la festa notturna delle nozze di mia sorella, dove partecipava una varietà impressionante di personaggi, tra cui uno zoccolo durissimo di allevatori di crocodilus niloticus, una delle attività della zona. Uno in particolare, che si era presentato non esattamente elegantissimo e a cui certo inizialmente non stavo simpatico, cominciò a chiamarmi «Armani», come fosse un insulto. Bizzarro: avevo, sì, un ulteriore abito armaniano, quindi aveva indovinato, al contempo nella sua zoticheria esibita stava di fatto ammettendo che il vertice della monda mondiale era anche per lui, farmer di coccodrilli dello Zambia, Giorgio Armani. (Se non credete che esista, ho una foto di quest’uomo paonazzo a tavola con quella che sarebbe divenuta la moglie di un sindaco di una grande città del Nord Italia, purtroppo mancata mesi fa. Ciao, A.)
Ricordo antico: ho si è no sei anni, i miei genitori mi porta in vacanza a Pantelleria, allora non ancora luogo di jet-set euroamericano ed architetti omosessuali, ma isola selvaggia tra mare blu, segni di attività vulcanica e tombe fenicie che spuntavano in mezzo ai boschi. C’era un posto, chiamato arco dell’elefante, dove una colata lavica copiosa e antichissima si era solidificata gettandosi in mare e creando, appunto, l’immagine di una proboscide. Lì vicino, una nave affondata a pochi metri dalla riva, dalla quale giovani facevano tuffi acrobatici. Per arrivarci si scendeva un pendìo scoseso, tra le terre brulle tipiche dell’isola.
È lì che appariva, d’un tratto, una casetta stupenda. Non era enorme, non era una reggia, eppure sprigionava un tale buon gusto – che mai cadeva nello sforzo – che era leggibile persino a me, bambino piccolo: vedevo che aveva il giardino a prato inglese, cioè aveva l’erba verde a differenza del resto del giallo pantesco, in un’isola dove l’acqua, mi raccontavano, arrivava in nave – e non si poteva bere dal rubinetto. Lui probabilmente, mi diceva mio padre, utilizzava quella del mare, fatta risalire sulla scogliera e ripulita con l’osmosi… un esempio, anche qui, più che di lusso, di gusto e ingegnosità, di organizzazione.
Anni dopo ricordo un’apparizione dell’uomo a pochi metri da me: oramai due decadi fa, erano gli ultimi anni della fabbrica di famiglia, e amici che erano già fornitori del gruppo ci avevano combinato un breve appuntamento con qualcuno delle vendite… avevamo escogitato dei braccialetti eccezionali oro e schiena di coccodrillo (fornito da mia sorella, che allora viveva presso il più grande allevamento di niloticus al mondo, in Zambia).
Dall’incontro con la gentile signora che ci accolse non cavammo nulla, tuttavia ricordo con nitore quando appena fuori dalla sede del gruppo in via Borgonuovo comparve una manipolo di persone (bodyguard? Collaboratori? Troppo veloci per capire) con al centro lui, piccolino, ma con il passo rapidissimo, e questa chioma canuta luminescente da aristocratico ricchissimo… Non trasmetteva, tuttavia, le vibrazioni che davano gli aristocratici e i ricchissimi, anzi: era, in chiarezza, uno che stava facendo delle cose.
A dire il vero, Armani di persona lo aveva già veduto: quando ancora esisteva il cinema in centro a Milano, c’era in corso Vittorio Emanuele, nella galleria dove era anche Palazzo Colla, una sala chiamata Pasquirolo. Lì si poteva intravedere in tranquillità Armani il mercoledì, nel giorno del cinema a prezzo scontato. Più avanti, lo avrei rivisto, sempre senza gorilli e bodyguardie varie, in un cinema sopravvissuto all’olocausto delle sale attorno al Duomo, l’Eliseo: si accompagnava con una donna tra i quaranta e i cinquanta chissà da che Paese, bellissima, elegantissima, che sorrideva come lui.
Al cinema, alla storia del cinema, lui aveva partecipato attivamente, vestendo i personaggi indimenticabili dei maestri cineasti di Nuova York (American Gigolo di Paul Schrader, poi tanto Scorsese, che gli dedicò un documentario introvabile, Made in Milan), eppure eccotelo lì, che andava ritualmente al cinematografo il mercoledì, come tanti, come tutti.
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Tutto questo per dire: non solo era una persona concreta, umana, ma era un milanese. E qui si innesta un discorso meno personale, e più serio, se non terrificante.
Armani, piacentino, era in realtà il milanese quintessenziale, l’uomo che amava Milano, la conosceva, la aiutava, non vi fuggiva, mai.
Lo proposero brevemente come sindaco, ma lui – che di fatto andava d’accordo con tutti – non accettò. Il suo senso civico si espresse, se posso dire, con la sponsorizzazione della squadra basket di Milano, dove lo vedevi tifare in prima fila tutte le domeniche di campionato. Capito: non scappava, nel weekend, ma stava con il popolo urlante a tifare per la squadra della città. Facciamo i conti – in diciassette anni come proprietario dell’Olimpia, Armani ha conquistato quindici trofei: sei campionati, quattro Coppe Italia e quattro Supercoppe italiane. Un vincente. Con la città che vince con lui.
Mi rammento poi di quando riaprirono, dopo tanti lavori, il Piccolo Teatro di Milano. Il suo dominus, il celebratissimo Giorgio Strehler, era morto da poco, era probabilmente attorno al 1997. Tra i VIP convenuti al vernissage, la TV intervistò Armani, che disse che gli pareva che ci fosse solo una persona che mancava… comprendevo quindi che Armani conosceva, frequentava pure Strehler – elementi della scena milanese che hanno attraversato tante ere, gli anni di piombo, i socialisti craxiani, la «Milano da bere» tangentopoli, lavorando e sopravvivendovi, e prosperandovi.
La milanesità vissuta integralmente. La comparazione con il presente è terrificante: qualche tempo fa emerse che, durante un podcast, Fedez – personaggio forse egemone della scena «culturale» milanese attuale – non sapeva chi fosse Strehler, quasi non avesse mai preso la metrò, dove il nome del regista è stampigliato sempre vicino alla fermata Lanza (Piccolo Teatro).
Il vuoto per Milano è anche di altro tipo. La moda dopo Armani, cosa sarà? Beh, lo sappiamo. Negli anni, quando la città ha finito per identificarsi sempre più con la fashion week, gli «stilisti» hanno portato, con le loro perversioni di ogni livello, un mondo di degrado e di disperazione – se non di Necrocultura vera e propria – sotto la Madonnina. Si tratta di un argomento su cui ho dovuto ragionare, specie guardando la quantità di amiche che sono state di fatto sterilizzate dal sistema della moda, degenerato in modo invincibile negli ultimi 25 anni. (Ne scriverò più avanti)
Armani, al contrario dei «colleghi» che ora calcano le scene, non ha mai imposto le sue inclinazioni agli altri, non ne ha fatto spettacolo, notizia, rivendicazioni estetica o politica. Viveva con l0understatement di chi lavora davvero, e non perde tempo come i traffici.
Come quando, sempre negli anni Novanta, le forze dell’ordine di Parigi bloccarono una sua sfilata a Saint-Germanin-des-Pres, cuore della capitale francese che aveva perso concretamente lo scettro di regina del modismo: «Armani go home» gridavano frotte di sciovinisti francesi mentre davanti a loro si consumava lo spettacolo di modelle in ghingheri fermate da gendarmi. Non fece un plissé, si rifiutò di dare la colpa alla polizia, che eseguiva ordini dall’alto della Prefettura di Parigi (dove, immaginiamo, abbia la tessera della massoneria anche quello che pulisce i pavimenti).
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La cifra dell’italianità nell’impresa: ecco, gestire tutto in famiglia, circondato da nipoti, è già un capolavoro, e se aggiungiamo la resistenza alla lusinga dei megagruppi transalpini (Arnault-Pinault) capiamo che siamo oltre, siamo davanti ad un esempio da scolpire nel marmo milanese, quello non occupato dalle bombolette dei graffitari leoncavallari o dalle orine dei maranza, se ne è rimasto.
La morte di Giorgio Armani non solo priva il mondo del suo equilibrio, ma va letto come ennesimo episodio dell’imbarbarimento di Milano: che siano ragazzini criminali marocchini o stilisti gay, il vuoto che stiamo vedendo crearsi, in mancanza di esempi e di virtù, minaccia di inghiottirsi tutta la metropoli, e poi, come sempre, il resto d’Italia, ridotta a bolo dell’anarco-tirannia.
La soluzione, abbiamo cercato di dirlo tante volte su Renovatio 21, non può essere che il ritorno ad Ambrogio, il santo che scacciò gli eretici e unì la città – il santo che probabilmente ancora oggi la protegge dalla sua distruzione definitiva, mentre anche gli ultimi pezzi della Milano per bene, la Milano bella, elegante, benevola se ne vanno senza poter essere sostituiti.
Roberto Dal Bosco
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Immagine di Bruno Cordioli via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Bizzarria
Ecco la catena alberghiera dell’ultranazionalismo revisionista giapponese


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Fumiko Motoya, di hirune5656 via Wikimedia CC BY 3.0






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Geopolitica
«L’era dell’egemonia occidentale è finita»: parla un accademico russo

Farhad Ibragimov, docente presso la Facoltà di Economia dell’Università RUDN e docente ospite presso l’Istituto di Scienze Sociali dell’Accademia Presidenziale Russa di Economia Nazionale e Pubblica Amministrazione, ha pubblicato il 1° settembre sulla testata governativa russa in lingua inglese Russia Today un interessante editoriale sulla recente riunione dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO), intitolato «L’Occidente ha avuto il suo secolo. Il futuro appartiene ora a questi leader».
Lo scritto tratta il tema della decadenza del potere planetario occidentale.
«Il vertice della Shanghai Cooperation Organization in Cina si è già affermato come uno degli eventi politici più significativi del 2025» ha scritto l’Ibragimov. «Ha sottolineato il ruolo crescente della SCO come pietra angolare di un mondo multipolare e ha evidenziato il consolidamento del Sud del mondo attorno ai principi di sviluppo sovrano, non interferenza e rifiuto del modello occidentale di globalizzazione. Ciò che ha conferito all’incontro un ulteriore livello di simbolismo è stato il suo collegamento con la prossima parata militare del 3 settembre a Pechino, che celebra l’80° anniversario della vittoria nella guerra sino-giapponese e la fine della Seconda Guerra Mondiale».
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«Parate di questo tipo sono una rarità in Cina – l’ultima si è tenuta nel 2015 – a sottolineare quanto questo momento sia eccezionale per l’identità politica di Pechino e il suo tentativo di proiettare sia la continuità storica che l’ambizione globale. L’ospite principale sia al vertice che alla prossima parata è stato il presidente russo Vladimir Putin» continua il professore. «La sua presenza ha avuto non solo un peso simbolico, ma anche un significato strategico. Mosca continua a fungere da ponte tra i principali attori dell’Asia e del Medio Oriente, un ruolo che conta ancora di più sullo sfondo di un ordine di sicurezza internazionale frammentato».
Il Programma di Sviluppo della SCO, adottato al vertice, è una «roadmap volta a definire il percorso strategico dell’organizzazione per il prossimo decennio e a trasformarla in una piattaforma a tutti gli effetti per il coordinamento di iniziative economiche, umanitarie e infrastrutturali», continua l’articolo. «Altrettanto significativo è stato il sostegno di Mosca alla proposta cinese di istituire una Banca di Sviluppo della SCO. Un’istituzione del genere potrebbe fare di più che finanziare progetti congiunti di investimento e infrastrutture; aiuterebbe anche gli Stati membri a ridurre la loro dipendenza dai meccanismi finanziari occidentali e ad attenuare l’impatto delle sanzioni, pressioni che Russia, Cina, Iran, India e altri paesi affrontano a vari livelli».
L’evento, ha affermato il professor Ibragimov, «ha confermato l’esistenza di un ordine mondiale multipolare, un concetto che Putin promuove da anni. La multipolarità non è più una teoria. Ha assunto una forma istituzionale nella SCO, che si sta espandendo costantemente e sta acquisendo autorevolezza in tutto il Sud del mondo».
L’ampia partecipazione delle nazioni arabe, aggiunge l’accademico, «sottolinea che un nuovo asse geoeconomico che collega l’Eurasia e il Medio Oriente sta diventando realtà e che la SCO sta emergendo come un’alternativa interessante ai modelli di integrazione incentrati sull’Occidente».
La SCO «non è più una struttura regionale, ma un centro di gravità strategico nella politica globale. Unisce paesi con sistemi politici diversi, ma con una determinazione condivisa a difendere la sovranità, promuovere i propri modelli di sviluppo e rivendicare un ordine mondiale più equo».
«L’era dell’egemonia occidentale è finita» conclude lo studioso. «Il multipolarismo non è più una teoria: è la realtà della politica globale, e la SCO è il motore che la spinge avanti».
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L’idea della fine della primazia dell’Occidente sul mondo circola da diverso tempo in ambienti accademici e diplomatici. Essa è stata ripetuta più volte, negli scorsi mesi, dal premier ungherese Vittorio Orban. Il ministro degli esteri russo Sergio Lavrov due anni fa ha parlato del termine del «dominio di 500 anni» da parte dell’Ovest.
Putin in questi anni ha ribadito, in discorsi che puntavano il dito contro le élite occidentali», che «il mondo unipolare è finito».
Come riportato da Renovatio 21, all’incontro SCO di Tianjin della settimana passata lo stesso presidente Xi Jinpingo ha parlato di resistenza «all’egemonismo e alla politica di potenza», cioè di sfida vera e propria al predominio occidentale. Subito dopo, a Pechino, ha mostrato armi di nuovo tipo (come i razzi ipersonici) nella colossale parata in Piazza Tian’anmen, nonché ha esibito gli apparati della triade nucleare (aerei, missili balistici, sommergibili) a disposizione della Repubblica Popolare Cinese.
Discorsi sul declino occidentale da parte di studiosi russi erano scivolati, come nel caso del politologo Sergej Karaganov, in ipotesi di lanci nucleari contro le città europee.
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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
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