Cina
Città cinese fa i tamponi ai pesci

Le autorità della città costiera di Xiamen, provincia, hanno dato spettacolo pubblico testando i pesci per il coronavirus , dopo aver accusato un pescatore nella provincia del Fujian di «importare» il virus tramite un «commercio illegale» con barche straniere.
«Durante le operazioni, i pescatori devono sottoporsi a un test al giorno. Quando i pescatori e il loro pescato raggiungono la riva, devono essere testati sia l’uomo che le merci», si legge in un avviso ufficiale emesso alla fine del mese scorso, che si applica ai pescatori, il pesce, granchi e tutti i gamberetti catturati.
Ai tamponi, insomma, non sfugge niente della fauna ittica, nemmeno i crostacei, tamponati senza alcuna pietà.
La cosa è ben visibile in un video pubblicato dalla testata di Hong Kong South China Morning Post.
Il quadretto edificante tuttavia non è finito.
L’avviso ufficiale annunciava fino a mezzo milione di yuan (74 mila euro) per chi denunciare i trasgressori dell’ordinanza.
Quella del pesce contagioso tuttavia non è una novità.
Come riportato da Renovatio 21, due anni fa le autorità cinesi cominciarono ad accusare Paesi come l’Argentina, da cui importavano carne e pesce congelato: il COVID si nascondeva lì, era stato importato con alimenti surgelati, macché laboratorio di Wuhano.
Si andò oltre: ad un certo punto iniziarono a parlare di gelato contenente coronavirus: ebbene sì, «gelato gusto Coviddo» titolò Renovatio 21.
La storia dei tamponi ai pesci non è la più improponibile di quelle serviteci dai cinesi in questi anni.
Non possiamo dimenticare le proteste dell’ambasciata americana per i tamponi anali subiti in aeroporto dal personale diplomatico statunitense. Pechino negò tutto.
L’obbligo di bastoncino anti-COVID su per il sedere, in realtà, riguardava tutti gli arrivi dall’estero.
Un mondo così, grazie alla Cina.
Che bei ricordi.
Just a reminder of what China’s anal swab test for COVID looks like.
They have now made it mandatory for every foreign arrival into the country.
I can tell you one place I won’t be going soon. pic.twitter.com/3HCo5yaImD
— Dr. David Samadi (@drdavidsamadi) March 4, 2021
Immagine screenshot da YouTube
Cina
L’UE potrebbe diventare una «provincia della Cina»: parla il leader industriale tedesco

L’eccessiva dipendenza dell’Unione Europea dalle materie prime cinesi potrebbe ridurre l’industria del blocco al punto tale da farla diventare «una provincia della Cina», ha avvertito un alto dirigente industriale tedesco.
Mercoledì Stefan Scherer, CEO del produttore di batterie per veicoli elettrici AMG Lithium, ha dichiarato al quotidiano britannico Guardian che senza protezioni temporanee, il blocco rischia di rimanere ulteriormente indietro nelle tecnologie chiave.
Attualmente la Cina raffina circa il 60% del litio mondiale e domina la produzione mondiale di componenti per batterie, il che le conferisce un’influenza sproporzionata sulle catene di approvvigionamento critiche.
«L’Europa deve diventare indipendente dalla Cina», ha dichiarato Scherer al giornale presso la sede aziendale a Bitterfeld-Wolfen, in Germania.
Nonostante le promesse della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen di ridurre la dipendenza e aumentare la produzione interna, Scherer ha affermato che il mercato continua a essere inondato di importazioni cinesi più economiche, dall’acciaio a intere unità di batterie.
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Senza misure decisive da parte di Bruxelles, ha sostenuto, la base industriale dell’UE continuerà a erodersi. «Forse sarebbe meglio candidarsi per diventare una provincia della Cina», ha detto. «È un’idea interessante, se ci si pensa bene. Siamo davvero a un punto di svolta e non ha nulla a che fare con la guerra in Ucraina, è un cambiamento radicale nelle relazioni globali».
La Von der Leyen ha riconosciuto i rischi di un’eccessiva dipendenza da Pechino e ha spinto per una «riduzione del rischio» piuttosto che per un disaccoppiamento completo. Ha anche accusato la Cina di utilizzare tattiche distorsive del mercato che minacciano di deindustrializzare alcune parti d’Europa – un’affermazione fermamente respinta dai funzionari cinesi.
Scherer ha inoltre sottolineato il rischio rappresentato dal peggioramento delle relazioni commerciali tra UE e USA, mettendo in guardia da ulteriori tensioni per l’industria automobilistica tedesca in difficoltà.
Bruxelles e Washington rimangono bloccate nei colloqui in vista della scadenza del 9 luglio, dopo la quale gli Stati Uniti potrebbero imporre una tariffa del 50% su tutte le importazioni dall’UE. I funzionari europei stanno cercando di attenuare la proposta di imposta di base del 10% e di ottenere concessioni, tra cui la riduzione del 25% dell’imposta sulle auto e del 50% del dazio su acciaio e alluminio.
L’istituto economico tedesco ha stimato che la Germania potrebbe perdere fino a 200 miliardi di euro entro il 2028 se i dazi venissero pienamente applicati.
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Cina
AI, la guerra fredda USA-Cina per il controllo della società futura

.@pmarca to @jaltma: U.S.-China AI Race Mirrors Cold War with Soviet Union
“There is a two-horse race. This is shaping up to be the equivalent of what the Cold War was against the Soviet Union in the last century. It is shaping up to be like that. China does have ambitions to… pic.twitter.com/Q6ik8WSZLR — Josh Caplan (@joshdcaplan) June 15, 2025
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Cina
Cina, vescovo «sotterraneo» riconosciuto come ausiliare anche dalle autorità pechinesi

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
La cerimonia si è svolta oggi nella provincia del Fujian, mentre Leone XIV – nella sua prima scelta riguardante la Chiesa in Cina æ nominava formalmente mons. Lin Yuntuan accanto all’ordinario mons. Cai Bingrui (l’ultimo vescovo cinese nominato da Francesco a gennaio). Soddisfazione della Santa Sede per un «passo rilevante» che conferma il «cammino di comunione» alla base dell’Accordo con Pechino. Il precedente di Mindong e la speranza in un esito migliore.
Nella provincia cinese del Fujian un vescovo fino ad ora «sotterraneo» è stato riconosciuto ufficialmente dalle autorità di Pechino. E papa Leone XIV lo ha oggi nominato come vescovo ausiliare di Fuzhou, in quella che è la sua prima nomina legata alla Chiesa in Cina. Mons. Giuseppe Lin Yuntuan, 73 anni, che secondo quanto comunicato oggi dalla Santa Sede aveva già ricevuto l’ordinazione episcopale alla fine del 2017, è stato insediato questa mattina ufficialmente come ausiliare di mons. Cai Bingrui. Quest’ultimo era stato nominato vescovo di Fuzhou da papa Francesco nel gennaio scorso in quella che è stata la sua ultima nomina episcopale per la Chiesa in Cina: è facile dunque leggere la continuità con quanto accaduto oggi.
E si tratta di un fatto importante nel quadro dell’Accordo tra Roma e Pechino sulla nomina dei vescovi in vigore dal 2018 e rinnovato per altri quattro anni nell’ottobre scorso.
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Il riconoscimento da parte delle autorità politiche di mons. Lin Yuntuan va infatti nella direzione di un cammino verso l’unità in una comunità che – come ricordavamo a gennaio su AsiaNews – è una delle più significative per la storia del cattolicesimo cinese, ma è anche stata segnata da profonde divisioni. Che questa fosse la direzione lo faceva già intuire il commento che mons.
Lin Yuantuan aveva diffuso allora in occasione della nomina del vescovo Cai Bingrui, molto più giovane (57 anni) e già in precedenza vescovo di Xiamen. Il presule «sotterraneo» scriveva già cinque mesi fa che la Santa Sede ne auspicava «la collaborazione attiva nel guidare il clero, le suore e i fedeli di Fuzhou affinché siano obbedienti e sostengano il vescovo Cai Bingrui». Dunque l’atto avvenuto oggi conferma in maniera formale queste parole, affidandogli un ruolo ora riconosciuto anche dagli organismi ufficiali della Chiesa in Cina, controllati dal Partito.
Della cerimonia di insediamento avvenuta questa mattina nella cattedrale di Fuzhou alla presenza di circa 300 persone ha dato notizia anche China Catholic, il sito dell’Associazione patriottica. L’evento è stato presieduto dal vescovo di Mindong mons. Vincenzo Zhan Silu (che è uno dei due vescovi cinesi che hanno partecipato al Sinodo dello scorso ottobre in Vaticano), insieme ovviamente al vescovo ordinario di Fuzhou mons. Cai Bingrui e al vescovo Pietro Wu Yishun della prefettura di Shaowu (Minbei) nel Fujian settentrionale (che è un altro degli ultimi vescovi nominati l’anno scorso ai sensi dell’Accordo). Insieme a mons. Lin Yuantuan hanno poi concelebrato tutti insieme una Messa di ringraziamento.
China Catholic si affretta a rassicurare che il nuovo vescovo ausiliare ha giurato di rispettare «la Costituzione e le leggi del Paese, salvaguardare l’unità della madrepatria e l’armonia sociale, amare il Paese e la religione, aderire al principio di indipendenza e autogestione della Chiesa, seguire la direzione della sinicizzazione del cattolicesimo nel nostro Paese e contribuire alla costruzione complessiva di un moderno Paese socialista e alla promozione a tutto campo della grande rinascita della nazione cinese».
Paiono però più che affermazioni di sostanza rassicurazioni formali, per nascondere un dato evidente: il riconoscimento che le comunità «sotterranee» sono un volto importante nella storia e nel presente della Chiesa nel Fujian. Non a caso anche il predecessore di mons. Cai Bingrui, il vescovo Pietro Lin Jiashian morto a 88 anni nel 2023, era un ex vescovo «clandestino», passato anche per i lavori forzati e poi riconosciuto dalle autorità nel 2020, sempre ai sensi dell’Accordo tra Pechino e la Santa Sede.
Si capisce – dunque – la soddisfazione della Santa Sede per quanto avvenuto oggi che segna oggettivamente un passo avanti nella linea voluta da papa Francesco nei rapporti con la Chiesa in Cina.
«Si apprende con soddisfazione – ha dichiarato il direttore della Sala Stampa della Santa Sede Matteo Bruni – che oggi, in occasione della presa di possesso dell’ufficio di vescovo ausiliare di Fuzhou da parte di mons. Giuseppe Lin Yuntuan, il suo ministero episcopale viene riconosciuto anche agli effetti dell’ordinamento civile. Tale evento costituisce un ulteriore frutto del dialogo tra la Santa Sede e le autorità cinesi ed è un passo rilevante nel cammino comunionale della diocesi».
La sfida ora sarà vedere quale ruolo effettivo verrà assegnato al vescovo ausiliare Lin Yuantuan nel governo della diocesi e quanto la sua presenza aiuterà davvero a superare la frattura tra cattolici «ufficiali» e comunità «sotterranee».
La speranza è che le cose vadano meglio rispetto a quanto accaduto nella vicina diocesi di Mindong, dove nel 2018 il Vaticano aveva adottato la stessa soluzione nominando il vescovo “ufficiale” mons. Zhan Silu come ordinario, affiancandogli il «clandestino» mons. Vincenzo Guo Xijin come ausiliare.
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La «coabitazione» durò però poco con mons. Guo che – relegato ai margini – dopo appena due anni rinunciò all’incarico. E ancora recentemente ha dovuto subire gravi restrizioni perché gli organismi ecclesiali controllati dal Partito non tollerano che molti cattolici locali facciano ancora riferimento a lui almeno per la loro vita spirituale.
Con la scelta annunciata oggi e le parole di commento diffuse dalla Santa Sede, papa Leone XIV mostra comunque chiaramente di voler proseguire nell’attuazione dell’Accordo firmato dal Vaticano con Pechino nel 2018. Resta però da vedere quali scelte prenderà rispetto alle due elezioni di candidati vescovi avvenute durante il periodo della sede vacante a Shanghai (per un nuovo vescovo ausiliare) e nella diocesi di Xinxiang (per un nuovo ordinario nella provincia dell’Henan).
Per le vicende interne delle due diocesi, infatti, queste due nomine contengono risvolti più problematici rispetto a quella odierna nella diocesi di Fuzhou.
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Immagine da AsiaNews
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