Connettiti con Renovato 21

Geopolitica

Biden abbandona Zelens’kyj?

Pubblicato

il

Il presidente Joe Biden venerdì ha detto che il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj ha ignorato gli avvertimenti degli Stati Uniti secondo cui un’invasione russa dell’Ucraina era imminente.

 

Biden ha espresso questo duro commento sul celebrato presidente-attore ucraine lo scorso venerdì ad una conferenza dei donatori a Los Angeles a margine del semi-fallito Vertice delle Americhe organizzato in California.

 

«Non è successo niente del genere dalla seconda guerra mondiale. So che molte persone pensavano che forse stavo esagerando », ha affermato Biden, secondo Associated Press, aggiungendo che gli Stati Uniti avevano dati che mostravano che il presidente russo Vladimir Putin stava per invadere.

 

«Non c’erano dubbi», ha insistito Biden. «E Zelens’kyj non voleva sentirlo».

 

Il Biden non ha torto: i massimi funzionari ucraini nei giorni e nelle settimane precedenti l’invasione avevano respinto le ipotesi Washington, incolpando le agenzie di Intelligence statunitensi di aver ripetutamente seminato il panico.

 

A quel tempo, lo Zelens’kyj aveva persino detto personalmente a Biden di «calmare i messaggi» sui timori di invasione.

 

La pubblicazione delle valutazioni dell’Intelligence è molto rara. All’epoca si pensò che fosse una tattica di disinformazione per allarmare l’opinione pubblica mondiale.

 

Tuttavia, una recente testimonianza del direttore dell’intelligence nazionale statunitense Avril Haines ha mostrato come Biden aveva compiuto il raro passo di declassificare l’intelligence relativa all’invasione preparata per convincere gli alleati scettici.

 

Vi è anche un’altra teoria in circolazione: gli americani non avevano prova certa dell’intenzione di invadere, ma avevano cognizione di possibili sabotaggi contro la Russia praticati da forze ostili a Mosca: si tratta della prospettiva raccontata dal colonello svizzero Jacques Baud (ex collaboratore di NATO e ONU) nel suo saggio pubblicato da Renovatio 21.

 

La lettura del colonnello Baud spiegherebbe anche l’insistenza che aveva Biden in quei giorni nel parlare pubblicamente di false-flag russo in arrivo: ossia, un attentato che i russi si sarebbero fatti da soli per aver la scusa di invadere, ma che invece – questa è l’idea – era il nemico a procedere con un vero attacco stealth per poi incolpare i russi di esserselo fatti da soli per giustificare l’invasione.

 

«Il 18 gennaio, i combattenti del Donbass intercettano sabotatori equipaggiati con equipaggiamento occidentale e di lingua polacca che cercano di creare incidenti chimici a Gorlivka» scrive il colonnello Baud.

 

«Potrebbero essere mercenari della CIA , guidati o “consigliati” da americani e composti da combattenti ucraini o europei, per compiere azioni di sabotaggio nelle Repubbliche del Donbass».

 

«Infatti, già dal 16 febbraio Joe Biden sa che gli ucraini hanno iniziato a bombardare le popolazioni civili del Donbass, mettendo Vladimir Putin di fronte a una scelta difficile: aiutare militarmente il Donbass e creare un problema internazionale o restare a guardare guarda i russofoni che vengono investiti dal Donbass».

 

Molte settimane dopo l’invasione, Zelens’kyj ha rivelato in dichiarazioni schiaccianti rilasciate durante un’intervista a Fareed Zakaria della CNN che durante la crisi dell’accumulo di truppe russe al confine, la leadership della NATO lo stava spingendo a mantenere una ferma linea pubblica sul fatto che l’Ucraina stava cercando l’adesione alla NATO.

 

Tuttavia, lo Zelens’kyj ha confessato di essere stato assicurato in privato che l’adesione alla NATO per l’Ucraina in realtà non sarebbe mai avvenuta.

 

«Tutti in Occidente mi hanno detto che non abbiamo alcuna possibilità di adesione alla NATO o all’UE» riporta la trascrizione dell’intervista del 20 marzo. «Ho chiesto loro di non mettere all’angolo il popolo ucraino perché il nostro popolo è coraggioso e anche l’Occidente dovrebbe essere coraggioso nel dire direttamente al popolo ucraino che, beh, non diventerai un membro della NATO-UE. Non hanno una posizione consolidata e l’ho chiesto personalmente».

 

«Ho chiesto loro personalmente di dire direttamente “vi accetteremo nella NATO tra un anno o due o cinque”. Ditelo direttamente e chiaramente o semplicemente dite di no, e la risposta è stata molto chiara, non sarete un membro della NATO o dell’UE, ma pubblicamente le porte rimarranno aperte. Ho chiesto loro delle sanzioni preventive, ho parlato del Nord Stream 2, ne stavamo discutendo tutto e contemporaneamente stavamo rafforzando il nostro esercito perché con vicini come questi, come abbiamo fatto noi, questa è l’unica via d’uscita».

 

Ora, non è chiaro cosa stia convincendo Biden (o meglio, i suoi pupari) a mettere in discussione lo status di eroe martire santo superstar di Zelen’skyj, ossia a mollarlo.

 

Può essere il realismo: la guerra dell’Ucraina, a meno che non si decida per la Terza Guerra Mondiale termonucleare contro Mosca (e Pechino, e Delhi, e chissà quanti altri…) è persa, meglio limitare i danni.

 

Insomma, qualcuno a Washington (a Langley, a Foggy Bottom) sta facendo finalmente una doccia di realismo?

 

Oppure c’è un piano per sostituire Zelens’kyj magari con qualcuno di ancora più aggressivo, per portare la Russia ad uno scontro ancora più sanguinario?

 

 

 

Immagine da Wikimedia di Pubblico Dominio CC0

 

 

 

Continua a leggere

Geopolitica

Turchia, effigie di Netanyahu appesa a una gru: «pena di morte»

Pubblicato

il

Da

Un’effigie raffigurante il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è stata avvistata appesa a una gru edile nel Nord-Est della Turchia, suscitando forte indignazione in Israele.

 

Secondo la stampa turca, l’episodio si è verificato sabato in un cantiere nella città di Trebisonda, sul Mar Nero. L’iniziativa sarebbe stata organizzata da Kemal Saglam, docente di comunicazione visiva presso un’università locale. Saglam ha dichiarato ai media turchi che il gesto aveva un intento simbolico, volto a denunciare le violazioni dei diritti umani a Gaza.

 

Le immagini, diffuse viralmente e riportate anche dal quotidiano turco Yeni Safak, mostrano la figura sospesa alla gru, accompagnata da uno striscione con la scritta: «Pena di morte per Netanyahu».

 

Il ministero degli Esteri israeliano, tramite un post su X, ha condiviso un video dell’incidente, accusando un accademico turco di aver creato l’effigie «con il fiero sostegno di un’azienda statale». Il ministero ha condannato l’atto, sottolineando che «le autorità turche non hanno denunciato questo comportamento scandaloso».

 

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

Le autorità turche non hanno ancora fornito una risposta ufficiale.

 

I rapporti diplomatici tra Israele e Turchia sono tesi da anni e si sono ulteriormente deteriorati dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha accusato Netanyahu di aver commesso un «genocidio» a Gaza.

 

La Turchia, unendosi agli altri Paesi che hanno portato il caso al tribunale dell’Aia, ha accusato Israele di aver commesso un genocidio a Gaza. Il presidente Recep Tayyip Erdogan in precedenza aveva definito il primo ministro Benjamin Netanyahu «il macellaio di Gaza», suggerendo a un certo punto – in una reductio ad Hitlerum che è andata in crescendo, con contagio internazionale – che la portata dei suoi crimini di guerra superasse quelli commessi dal cancelliere della Germania nazionalsocialista Adolfo Hitlerro.

 

Nel 2023 la Turchia ha richiamato il suo ambasciatore da Israele e nel 2024 ha interrotto tutti i rapporti diplomatici. Mesi fa Ankara aveva dichiarato che Israele costituisce una «minaccia per la pace in Siria». Erdogan ha più volte chiesto un’alleanza dei Paesi islamici contro Israele.

 

Come riportato da Renovatio 21, i turchi hanno guidato gli sforzi per far sospendere Israele all’Assemblea generale ONU. L’anno scorso il presidente turco aveva dichiarato che le Nazioni Unite dovrebbero consentire l’uso della forza contro lo Stato degli ebrei.

 

Un anno fa Erdogan aveva ventilato l’ipotesi che la Turchia potesse invadere Israele.

 

La Turchia ha avuto un ruolo attivo nei recenti negoziati per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi, con diversi rapporti che indicano come l’influenza di Ankara su Hamas abbia facilitato il rilascio degli ostaggi nell’ambito del piano in 20 punti del presidente statunitense Donald Trump.

 

Venerdì, Erdogan ha dichiarato alla stampa che gli Stati Uniti dovrebbero intensificare le pressioni su Israele, anche attraverso sanzioni e divieti sulla vendita di armi, per garantire il rispetto degli impegni presi nel piano di Trump.

 

Domenica, Netanyahu ha annunciato che Israele deciderà quali forze straniere potranno partecipare alla missione internazionale proposta per Gaza, prevista dal piano di Trump per garantire il cessate il fuoco. La settimana precedente, aveva lasciato intendere che si sarebbe opposto a qualsiasi coinvolgimento delle forze di sicurezza turche a Gaza.

 

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine screenshot da Twitter; modificata

 

 

Continua a leggere

Droga

Trump punta ad attaccare le «strutture della cocaina» in Venezuela

Pubblicato

il

Da

Il presidente statunitense Donald Trump sta esaminando proposte per operazioni militari americane contro presunte «strutture per la produzione di cocaina» e altri bersagli legati al narcotraffico all’interno del Venezuela. Lo riporta la CNN, che cita fonti anonime.   Due funzionari non identificati hanno dichiarato alla rete che Trump non ha scartato l’ipotesi di un negoziato diplomatico con Nicolás Maduro, nonostante recenti indicazioni secondo cui gli Stati Uniti avrebbero interrotto del tutto i colloqui con Caracas, mentre valutano una possibile campagna per destituire il leader venezuelano.   Tuttavia, una fonte della CNN ha precisato che «ci sono piani sul tavolo che il presidente sta esaminando» per azioni mirate all’interno del Venezuela. Un terzo funzionario ha indicato che l’amministrazione Trump sta considerando varie opzioni, ma al momento si concentra sulla «lotta alla droga in Venezuela».

Sostieni Renovatio 21

A giudizio di alcuni esponenti dell’amministrazione statunitense, una campagna antidroga nel Paese sudamericano potrebbe accrescere la pressione per un cambio di regime a Caracas. Trump ha pubblicamente smentito l’intenzione di rimuovere Maduro dal potere.   Nelle scorse settimane, le forze armate americane hanno condotto vari raid contro imbarcazioni sospettate di narcotraffico e, secondo Washington, collegate al Venezuela, causando decine di vittime.     Giovedì, Trump – che aveva già confermato l’autorizzazione di operazioni della CIA in Venezuela – ha dichiarato che gli Stati Uniti potrebbero estendere la loro campagna antidroga dal mare alla terraferma, senza entrare in dettagli. Inoltre, la portaerei USS Gerald R. Ford è stata inviata nei Caraibi per sostenere l’operazione antidroga.   Maduro ha respinto ogni legame del suo governo con il traffico di stupefacenti, insinuando che gli Stati Uniti stiano usando le accuse come copertura per un cambio di regime. Dopo le notizie sul dispiegamento della portaerei, il presidente venezuelano ha accusato Washington di perseguire «una nuova guerra eterna».   Secondo un reportaggio del New York Times, Maduro stesso avrebbe proposto agli Stati Uniti significative concessioni economiche, inclusa la possibilità per le aziende americane di acquisire una quota rilevante nel settore petrolifero, durante negoziati segreti durati mesi. Tuttavia, Washington avrebbe rifiutato l’offerta, con il futuro politico del presidente Nicolas Maduro come principale ostacolo.   Un precedente articolo del quotidiano neoeboraceno riportava che Trump avesse ordinato l’interruzione dei colloqui con il Venezuela, «frustrato» dal rifiuto di Maduro di cedere volontariamente il potere. Il giornale suggeriva anche che gli Stati Uniti stessero pianificando una possibile escalation militare.   Nel frattempo, Maduro ha avvertito che il Venezuela entrerebbe in uno stato di «lotta armata» in caso di attacco, aumentando la prontezza militare in tutto il Paese.

Iscriviti al canale Telegram

Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso, gli Stati Uniti hanno inviato almeno otto navi della Marina, un sottomarino d’attacco e circa 4.000 soldati vicino alla costa venezuelana, dichiarando che la missione mirava a contrastare i cartelli della droga. Washington ha sostenuto che l’armata ha affondato tre imbarcazioni venezuelane, senza però fornire prove che le persone a bordo fossero criminali.   La Casa Bianca accusa da tempo Maduro di guidare una rete di narcotrafficanti nota come «Cartel de los Soles», sebbene non vi siano prove schiaccianti o prove concrete che lo dimostrino, tuttavia lo scorso anno gli USA sono arrivati a sequestrare un aereo presumibilmente utilizzato dal presidente di Carcas. È stato anche accusato di aver trasformato l’immigrazione in un’arma, sebbene Maduro si sia mostrato pronto a dialogare con le delegazioni diplomatiche americane sulla questione.   Come riportato da Renovatio 21, a inizio anno Maduro aveva dichiarato che Washington ha aperto il suo libretto degli assegni a una schiera di truffatori e bugiardi per destabilizzare il Venezuela, quando gli Stati Uniti si sono rifiutati di riconoscere le elezioni del 2024 in Venezuela.   Secondo Maduro, almeno 125 militanti provenienti da 25 Paesi sono stati arrestati dalle autorità venezuelane. Aveva poi accusato Elone Musk di aver speso un miliardo di dollari per un golpe in Venezuela. Negli stessi mesi si parlò di un piano di assassinio CIA di Maduro sventato.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
Continua a leggere

Geopolitica

Thailandia e Cambogia firmano alla Casa Bianca un accordo di cessate il fuoco

Pubblicato

il

Da

Cambogia e Thailandia hanno siglato un accordo di cessate il fuoco ampliato per porre fine a un violento conflitto di confine scoppiato a inizio anno. La cerimonia di firma, tenutasi domenica, è stata presieduta dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che aveva mediato la tregua iniziale.

 

Le tensioni storiche tra i due Paesi del Sud-est asiatico, originate da dispute territoriali di epoca coloniale, sono esplose a luglio con cinque giorni di scontri armati, che hanno spinto centinaia di migliaia di persone a fuggire dalla zona di confine. Un incontro ospitato dalla Malesia aveva portato a una prima tregua, segnando l’inizio della de-escalation.

 

Trump ha dichiarato di aver sfruttato i negoziati commerciali con entrambi i paesi per favorire una riduzione delle tensioni.

 

Aiuta Renovatio 21

Durante il 47° vertice dell’ASEAN in Malesia, il primo ministro cambogiano Hun Manet e il primo ministro thailandese Anutin Charnvirakul hanno firmato l’accordo, che amplia la tregua di luglio.

 

Il documento stabilisce un piano per ridurre le tensioni e assicurare una pace stabile al confine, prevedendo il rilascio di 18 soldati cambogiani prigionieri da parte della Thailandia, il ritiro delle armi pesanti, l’avvio di operazioni di sminamento e il contrasto alle attività illegali transfrontaliere.

 

Dopo la firma, il primo ministro thailandese ha annunciato l’immediato ritiro delle armi dal confine e il rilascio dei prigionieri di guerra cambogiani, insieme a un’intesa commerciale congiunta. Il primo ministro cambogiano ha lodato l’accordo, impegnandosi a rispettarlo e ringraziando Trump per il suo ruolo, proponendolo come candidato al Premio Nobel per la Pace del prossimo anno.

 

Trump ha definito l’accordo «monumentale» e «storico», sottolineando il suo contributo e descrivendo la mediazione di pace come «quasi un hobby». Dopo la cerimonia, ha firmato un accordo commerciale con la Cambogia e un importante patto minerario con la Thailandia.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine da Twitter

Continua a leggere

Più popolari