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Cina

I cattolici di Shanghai e le restrizioni del vescovo Ma Daqin

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Una voce cattolica da Shanghai ricorda ad AsiaNews il caso del vescovo ausiliare che si dimise dall’Associazione Patriottica all’atto dell’ordinazione e da allora vive recluso. Si sperava che la tormentata nomina di mons. Shen Bin come ordinario sbloccasse questa situazione, ma a ormai due anni di distanza nulla è successo. E Ma Daqin resta l’icona del «giusto sofferente».

 

Abbiamo ricevuto la seguente riflessione da un membro della comunità cattolica di Shanghai. Riteniamo importante far conoscere al pubblico le opinioni dei cattolici in Cina, anche quando hanno toni sommessamente critici, espressi nel rispetto della decisione delle autorità ecclesiastiche.

 

Molti cattolici di Shanghai desideravano due anni fa e tuttora desiderano che la decisione della Santa Sede di nominare mons. Joseph Shen Bin come vescovo della diocesi di Shanghai potesse portare presto sollievo anche per il vescovo Taddeo Ma Daqin, che ha dovuto affrontare «restrizioni» per oltre un decennio.

 

Nell’autunno 2024, l’arcivescovo Claudio Maria Celli, capo del team negoziale della Santa Sede, ha visitato Shanghai. Più recentemente, nel febbraio 2025, anche una delegazione della diocesi di Hong Kong, guidata dal card. Stephen Chow Sau-yan, si è recata a Shanghai. Sebbene la partecipazione alla loro Messa nella basilica di Sheshan e ad altre attività diocesane sia stata limitata, anche con questo basso profilo le visite di queste figure di spicco hanno acceso la speranza tra i cattolici di Shanghai, che ora intravedono una rinnovata possibilità per il vescovo Ma.

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L’argomento principale contro la ripresa delle funzioni del vescovo Ma è che un vescovo ausiliare può svolgere il suo compito solo con il mandato dell’ordinario della diocesi. Con il vescovo Shen ora a Shanghai, se fosse disposto a rinominare il vescovo Ma, quest’ultimo potrebbe tornare immediatamente al suo lavoro. Da quasi due anni ormai il vescovo Shen presta servizio nella diocesi di Shanghai e ha ricopre la carica di presidente della Conferenza episcopale della Chiesa cattolica in Cina (BCCCC, organismo non riconosciuto dalla Santa Sede ndr) e sono stati compiuti sforzi significativi per mettere in luce il suo lavoro.

 

La diocesi di Shanghai, il binomio One-Association-One-Conference cinese (Associazione patriottica e BCCCC, ndr) e persino Vatican News hanno ampiamente raccontato sia le attività della diocesi sia quelle del nuovo vescovo, contribuendo a rafforzare la sua reputazione. Nonostante questi sforzi, però, la questione del vescovo Ma rimane tuttora irrisolta.

 

Per quanto tempo ancora le restrizioni continueranno? Molti lettori probabilmente ricordano il suo caso. Il 7 luglio 2012, durante il suo discorso di ringraziamento al termine della Messa di consacrazione episcopale, dichiarò: «D’ora in poi dovrò dedicare tutta la mia mente e il mio corpo all’evangelizzazione pastorale. Certi incarichi non mi si addicono, per cui da questo momento della consacrazione non è più conveniente che io sia membro dell’Associazione patriottica».

 

Quel pomeriggio stesso fu sospeso e interrogato, poi rimosso dal suo incarico e posto sotto sorveglianza residenziale, dove rimane tuttora. Quello che molti forse non sanno è che il governo cinese aveva da tempo intenzione di nominare il vescovo Ma come successore del vescovo Aloysius Jin Luxian, in sostituzione del vescovo Joseph Xing Wenzhi.

 

Questo piano era stato messo in moto già prima del graduale ritiro del vescovo Xing dalle funzioni pubbliche. E quando il vescovo Xing era andato in pensione, la Santa Sede aveva accettato di approvare la nomina del vescovo Ma.

 

In seguito all’«incidente del 7 luglio» (l’ordinazione episcopale del vescovo Ma al mattino e al successivo isolamento iniziato da quel pomeriggio ndr), la Santa Sede ha ripetutamente comunicato attraverso vari canali che, per rispetto dei due vescovi allora viventi, il vescovo Aloysius Jin Luxian (vescovo coadiutore, deceduto poi nel giugno 2013) e il vescovo Joseph Fan Zhongliang (ordinario «sotterraneo», deceduto nel marzo 2014), il vescovo Ma avrebbe potuto servire solo come vescovo ausiliare. Tuttavia, la Santa Sede aveva chiarito le sue intenzioni durante la sua nomina: Ma è stato designato come successore dei vescovi anziani, per assumere infine il ruolo di ordinario (vescovo diocesano) della diocesi di Shanghai.

 

Data la relazione unica tra Cina e Vaticano, il governo cinese non riconosce i vescovi della Chiesa clandestina. Nella lettera di nomina emessa dalla BCCCC, Ma è stato designato come vescovo coadiutore della diocesi di Shanghai, mentre la lettera di nomina della Santa Sede lo nominava vescovo ausiliare. Dopo l’incidente del 7 luglio, sebbene l’insediamento del vescovo Ma fosse valido e legittimo ai sensi del diritto canonico, egli non era in grado di soddisfare tutti i requisiti previsti dagli articoli 6(6) e 7 delle «Misure sulla registrazione dei vescovi nella Chiesa cattolica in Cina (processo e attuazione)» emanate dall’Amministrazione statale cinese per gli Affari religiosi.

 

In particolare, non ha potuto presentare la domanda di registrazione alle autorità governative cinesi attraverso il sistema «una Associazione-una Conferenza». Di conseguenza, il vescovo Ma non ha potuto completare la sua registrazione presso le autorità religiose statali, esercitare i suoi doveri o condurre attività religiose come vescovo.

 

Il 12 dicembre 2012, la BCCCC ha revocato ufficialmente la lettera di nomina a vescovo coadiutore. Tuttavia, la nomina della Santa Sede a «vescovo ausiliare, con l’intenzione esplicita di farlo succedere al vescovo diocesano ordinario» è rimasta invariata fino ad oggi. Nel frattempo, l’affermazione che il vescovo Ma è ancora sotto «restrizione» è stata ripetutamente respinta e ignorata dai suoi oppositori all’interno della diocesi, così come dalle autorità governative cinesi.

 

La situazione si è sviluppata in modo paradossale. Inizialmente, Ma era un candidato fortemente favorito e promosso dal governo cinese. Eppure, una sola dichiarazione di opportunità che esprimeva la sua indisponibilità a ricoprire una posizione nell’Associazione patriottica, è stata interpretata come un rifiuto del patriottismo e dell’amore per la Chiesa, superando una linea rossa politica.

 

Con la nuova leadership in carica, l’«affidabilità politica» è diventata il criterio principale per la selezione dei quadri e dei leader religiosi. Il principio secondo cui «la lealtà che non è assoluta non è assolutamente lealtà» sembra aver lasciato il vescovo Ma in un vicolo cieco. Ed è chiaro che un ambiente politico del genere è eccezionalmente duro.

 

In secondo luogo, esperti anonimi hanno sottolineato che la revoca della nomina di Ma a vescovo ausiliare da parte della BCCCC si basava su una norma giuridica superiore intitolata «Misure sulla registrazione dei vescovi nella Chiesa cattolica in Cina (processo e attuazione)». Questo documento, indicato come Documento n. 25 [2012] emesso dall’Amministrazione statale per gli affari religiosi, è stato pubblicato sul sito web del governo centrale il 12 novembre 2012.

 

Solo il 12 dicembre 2012, lo stesso giorno in cui è stata revocata la lettera di nomina del vescovo Ma, è stata adottata la corrispondente norma giuridica subordinata, intitolata «Misure per l’elezione e la consacrazione dei vescovi da parte della Conferenza episcopale della Chiesa cattolica in Cina».

 

Questo documento è stato poi pubblicato l’8 aprile 2013, «con la data di pubblicazione che segna la sua attuazione». In precedenza, l’Associazione patriottica e la BCCCC avevano pubblicato un documento con lo stesso titolo nel 1993. Tuttavia, quel documento precedente conteneva solo sei semplici articoli e non includeva norme che avrebbero riguardato la consacrazione episcopale.

 

Pertanto, la gestione dell’incidente del 7 luglio costituisce un chiaro caso di «legislazione retroattiva». L’atto della BCCCC di revocare la nomina del vescovo Ma a vescovo ausiliare è quindi discutibile e illegale. Inoltre, alcuni vescovi che hanno partecipato alla liturgia hanno scelto di tradire il loro fratello non difendendo la validità della consacrazione di Ma nella liturgia, il che ha indubbiamente aggiunto insulto al danno.

 

L’esperto anonimo fa anche osservare che questa forma di legislazione retroattiva è controproducente per gli sforzi di rafforzare lo stato di diritto negli affari religiosi. La promozione dello Stato di diritto nella governance religiosa richiede un’attenta considerazione di fattori quali la stabilità giuridica, la legittimità procedurale, la conformità costituzionale e la fiducia del pubblico. È fondamentale garantire che la creazione e l’attuazione delle leggi non solo aderiscano ai principi dello Stato di diritto, ma salvaguardino anche l’equità sociale e la giustizia in modo efficace.

 

Il vescovo Ma è molto apprezzato per la sua predicazione e gode di una forte reputazione tra i cattolici locali di Shanghai. I suoi diversi talenti, uniti alle pressioni politiche e al trattamento freddo che ha subito negli ultimi 13 anni, lo hanno trasformato in «un uomo giusto che soffre», che ricorda Giobbe seduto nella cenere, evocando una profonda compassione. È diventato l’esempio per eccellenza dell’«uomo giusto che soffre» nella Cina contemporanea.

 

Questa situazione rappresenta una sfida significativa anche per il vescovo Shen, portando persino a valutazioni ingiuste nei suoi confronti. Le persone considerano inconsciamente il vescovo Shen come qualcuno che ha preso il posto di un altro, spesso confrontando i punti di forza del vescovo Ma con le debolezze percepite dal vescovo Shen.

 

Il Vescovo Ma è celebrato per la sua profonda spiritualità e l’eccezionale eloquenza, e le sue omelie sono molto apprezzate. Al contrario, la gente critica le omelie del nuovo vescovo giudicandole meno spirituali.

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Il vescovo Ma è ampiamente rispettato per la sua frugalità, semplicità di vita e capacità di mantenere misure appropriate nei rapporti interpersonali. Al contrario, il nuovo vescovo è stato criticato per aver adottato uno stile di lavoro più secolarizzato e per aver nominato collaboratori fidati della sua città natale in posizioni chiave a Shanghai. Sono accuse che possono mescolare elementi di verità e falsità, rendendo difficile discernere la realtà completa.

 

Molti dei religiosi e delle suore della diocesi di Shanghai rifiutano di rispondere a domande su questo argomento. Tuttavia, alcuni hanno condiviso i loro pensieri, sottolineando che la diocesi non può funzionare senza un vescovo. Riflettendo sull’ultimo decennio, hanno riconosciuto di essersi affidati esclusivamente alla fede e alla coscienza personale nei loro sforzi di evangelizzazione, spesso non riuscendo a cogliere il quadro generale.

 

Da quando il vescovo Shen è entrato in carica, la situazione è migliorata. Ha riorganizzato il clero diocesano, ha adeguato gli stipendi, ha rafforzato la gestione finanziaria e ha implementato molti regolamenti. Il Seminario di Sheshan, che al suo punto più basso contava meno di dieci seminaristi, ha vissuto una rinascita. Ora conta 25 seminaristi, tra cui 10 nuovi ingressi, oltre a tre suore novizie e 14 partecipanti al programma inaugurale di formazione per le suore, con una vitalità incoraggiante a cui non si assisteva da anni.

 

Tuttavia, alla domanda sulle visite dell’arcivescovo Celli o della delegazione di Hong Kong guidata dal card. Chow, qualcuno ha candidamente osservato: «forse queste cose non sono destinate a noi». Con un tono malinconico, lo stesso cattolico ha aggiunto: «In questa Chiesa sinodale, per quanto tempo ancora potremo rimanere ignorati?».

 

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Cina

La Cina accusa gli Stati Uniti di un grave attacco informatico

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La Cina ha accusato la National Security Agency (NSA) degli Stati Uniti di aver condotto un «significativo» attacco informatico protrattosi per anni contro l’ente cinese incaricato di gestire l’orario nazionale ufficiale.   In un comunicato diffuso domenica sul suo account social ufficiale, il Ministero della Sicurezza dello Stato (MSS) ha dichiarato di aver acquisito «prove inconfutabili» dell’infiltrazione della NSA nel National Time Service Center. L’operazione segreta sarebbe iniziata nel marzo 2022, con l’obiettivo di sottrarre segreti di Stato e compiere atti di sabotaggio informatico.   Il centro rappresenta l’autorità ufficiale cinese per l’orario, fornendo e trasmettendo l’ora di Pechino a settori cruciali come finanza, energia, trasporti e difesa. Secondo l’MSS, un’interruzione di questa infrastruttura fondamentale avrebbe potuto provocare «instabilità diffusa» nei mercati finanziari, nella logistica e nell’approvvigionamento energetico.

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L’MSS ha riferito che la NSA avrebbe inizialmente sfruttato una vulnerabilità (exploit) nei telefoni cellulari di fabbricazione straniera utilizzati da alcuni membri del personale del centro, accedendo così a dati sensibili.   Nell’aprile 2023, l’agenzia avrebbe iniziato a utilizzare password rubate per penetrare nei sistemi informatici della struttura, un’operazione che avrebbe raggiunto il culmine tra agosto 2023 e giugno 2024.   Il ministero ha dichiarato che gli intrusi hanno impiegato 42 diversi strumenti informatici nella loro operazione segreta, utilizzando server privati virtuali con sede negli Stati Uniti, in Europa e in Asia per nascondere la loro provenienza.   L’MSS ha accusato gli Stati Uniti di «perseguire in modo aggressivo l’egemonia informatica» e di «violare ripetutamente le norme internazionali che regolano il cyberspazio».   Le agenzie di intelligence americane «hanno agito in modo sconsiderato, conducendo incessantemente attacchi informatici contro la Cina, il Sud-est asiatico, l’Europa e il Sud America», ha aggiunto il ministero.   Negli ultimi anni, Pechino e Washington si sono scambiate accuse reciproche di violazioni e operazioni di hacking segrete. Queste tensioni si inseriscono in un più ampio contesto di scontro tra le due potenze, che include anche una guerra commerciale.   All’inizio di gennaio, il Washington Post aveva riportato che, il mese precedente, hacker cinesi avrebbero preso di mira l’Office of Foreign Assets Control (OFAC) del dipartimento del Tesoro statunitense. All’epoca, Mao Ning, portavoce del ministero degli Esteri cinese, aveva definito tali accuse «infondate».   Come riportato, ad inizio anno le agenzie federali USA accusarono hacker del Dragone di aver colpito almeno 70 Paesi. Due anni fa era stata la Nuova Zelanda ad accusare hackerri di Pechino di aver penetrato il sistema informatico del Parlamento di Wellington.

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Le attività dell’hacking internazionale da parte di gruppi cinesi hanno negli ultimi anni raggiunto le cronache varie volte. A maggio 2021 si è saputo che la Cina ha spiato per anni i progetti di un jet militare USA, grazie a operazioni informatiche mirate.   Come riportato da Renovatio 21, a ottobre 2023 si è scoperto che hackers cinesi hanno rubato dati da un’azienda biotech americana, colpendo il settore della ricerca.   A febbraio 2022, allo scoppio del conflitto ucraino, Microsoft ha rilevato un malware «wiper» diretto a Kiev, con sospetti di coinvolgimento cinese.   Come riportato da Renovatio 21, a gennaio 2023 un attacco cibernetico cinese ha colpito università sudcoreane. Due anni fa vi fu inoltre un attacco cibernetico a Guam, isola del Pacifico che ospita una grande base USA. Analisti dissero che poteva essere un test per il vero obbiettivo, cioè lo scontro con Taiwan.

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Cina

La Cina espelle 9 generali di alto rango, tra cui due dirigenti del Partito Comunista, in una purga radicale

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In una delle più significative operazioni di epurazione degli ultimi decenni, il presidente cinese Xi Jinping ha avviato una nuova ondata di licenziamenti ai vertici delle forze armate. Il Partito Comunista Cinese (PCC) ha infatti espulso nove generali di alto rango, in quella che gli analisti definiscono una mossa dettata non solo da motivazioni disciplinari, ma anche da logiche di lealtà politica.

 

Secondo una dichiarazione del ministero della Difesa pechinese, i nove ufficiali sarebbero sotto inchiesta per «grave illecito finanziario». A rendere il caso ancora più insolito è il fatto che la maggior parte di loro erano generali a tre stelle e membri del potente Comitato Centrale del Partito.

 

Non si è trattato di semplici retrocessioni: la maggior parte dei militari è stata completamente espulsa dalle forze armate. Nella nota ufficiale, il ministero ha accusato i generali di aver «gravemente violato la disciplina di partito» e di essere «sospettati di gravi reati connessi al servizio, che coinvolgevano una quantità di denaro estremamente elevata, di natura estremamente grave e con conseguenze estremamente dannose».

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Le autorità cinesi hanno sottolineato che gli ufficiali «saranno puniti legalmente e militarmente» a seguito dell’indagine, definita «un risultato significativo nella campagna anticorruzione del partito e dell’esercito».

 

La figura più illustre tra gli epurati è il generale He Weidong, fino a poco tempo fa vicepresidente della Commissione Militare Centrale (CMC) e membro del Politburo, l’élite di 24 dirigenti che guidano il Paese. He era considerato il secondo uomo più potente dell’apparato militare dopo Xi Jinping stesso, che presiede la CMC.

 

Negli ultimi mesi si erano diffuse voci secondo cui il generale He si fosse scontrato con Xi e con la leadership del Partito. Da marzo, infatti, non era più apparso in pubblico, circostanza che aveva alimentato le speculazioni su una possibile inchiesta interna.

 

Secondo il Wall Street Journal «il generale He è l’ufficiale militare in servizio attivo più anziano che Xi abbia mai epurato, e il primo vicepresidente in carica della Commissione Militare Centrale a essere estromesso in quasi quarant’anni». Il quotidiano statunitense ricorda inoltre che il 68enne He è «il primo membro in carica del Politburo a essere indagato dal 2017».

 

L’ultima volta che la Cina aveva assistito a un’epurazione di vertici militari di simile livello risale a circa un decennio fa, quando furono espulsi due vicepresidenti in pensione della CMC per corruzione, durante il primo mandato di Xi Jinping.

 

Segnali di una possibile purga erano già emersi a luglio, quando la Commissione Militare Centrale aveva emanato nuove linee guida che invitavano a eliminare «l’influenza tossica» nelle forze armate e a seguire «regole ferree» per gli ufficiali di alto grado.

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I nove ufficiali epurati sono He Weidong (vicepresidente della Commissione Militare Centrale, CMC); Miao Hua (direttore del dipartimento di Lavoro Politico del CMCM), He Hongjun (vicedirettore esecutivo del Dipartimento di Lavoro Politico del CMC); Wang Xiubin (vicedirettore esecutivo del Centro di Comando delle Operazioni Congiunte del CMC; Lin Xiangyang (comandante del Teatro Orientale); Qin Shutong (commissario politico dell’Esercito); Yuan Huazhi (commissario politico della Marina); Wang Houbin (Comandante delle Forze Missilistiche); Wang Chunning (comandante della Forza di Polizia Armata).

 

Secondo osservatori interni, potrebbero esserci ulteriori epurazioni nelle prossime settimane. I licenziamenti, infatti, sono stati annunciati alla vigilia del conclave annuale a porte chiuse del Comitato Centrale del Partito Comunista, in programma dal 20 al 23 ottobre a Pechino, durante il quale si discuterà il prossimo piano quinquennale.

 

Wen-Ti Sung, analista del Global China Hub dell’Atlantic Council, ha commentato la notizia ai media statunitensi affermando: «Xi sta sicuramente facendo pulizia. La rimozione formale di He e Miao significa che potrà nominare nuovi membri della Commissione Militare Centrale, che è rimasta praticamente mezza vuota da marzo, durante il Plenum».

 

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Immagine di China News Service via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported

 

 

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Cina

Trump: «gli Stati Uniti sono in guerra commerciale con la Cina». E spinge l’UE a imporre dazi del 500% su Pechino

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Il presidente Donald Trump ha dichiarato che Stati Uniti e Cina sono già immersi in una guerra commerciale, definendo i dazi sulle importazioni da Pechino essenziali per la sicurezza nazionale.   Mercoledì, rispondendo ai giornalisti che gli chiedevano se l’assenza di un accordo con Xi Jinping avrebbe prolungato lo scontro commerciale, Trump ha affermato: «Beh, ora ci siete dentro… Abbiamo tariffe doganali del 100%. Se non avessimo tariffe, saremmo considerati una nullità… Le tariffe sono uno strumento molto importante per la nostra difesa, per la nostra sicurezza nazionale».   Riguardo al confronto con gli Stati Uniti, il portavoce del ministero degli Esteri cinese Lin Jian ha ribadito che «le guerre tariffarie e commerciali non hanno vincitori» e ha invitato a risolvere le divergenze «attraverso consultazioni basate su uguaglianza, rispetto e reciproco vantaggio».   La settimana scorsa Trump ha minacciato di applicare un ulteriore dazio del 100% sui prodotti cinesi a partire da novembre, segnando un netto inasprimento delle tensioni dopo che Pechino ha introdotto restrizioni più stringenti sulle esportazioni di terre rare.   Anche se la misura non punta esplicitamente agli Stati Uniti, le imprese high-tech americane dipendono in misura rilevante dalle forniture cinesi di questi minerali.   All’inizio dell’anno, Trump ha elevato drasticamente i «dazi reciproci» sulla Cina, portandoli in alcuni casi oltre il 100%, ma ha poi sospeso l’aumento per favorire i negoziati commerciali, con la proroga ora valida fino al 10 novembre. La tariffa base attuale per la Cina è al 10%, sebbene certi beni siano gravati da aliquote superiori.

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Il leader statunitense ha inoltre esercitato pressione su Pechino affinché tagliasse gli acquisti di petrolio russo, sostenendo che tali importazioni aiutino a finanziare l’esercito di Mosca. La Cina ha respinto le dichiarazioni come «intimidatorie», mentre Mosca ha rimarcato che i Paesi sovrani hanno il diritto di selezionare i propri partner economici.   Nel frattempo, in un ulteriore indizio di attriti crescenti, Trump ha annunciato martedì che gli Stati Uniti cesseranno di importare olio da cucina dalla Cina, presentandolo come ritorsione alla diminuzione degli acquisti di soia da parte di Pechino.   Ciononostante, nonostante i continui alti e bassi, il Segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent ha confermato all’inizio della settimana che Trump e Xi si incontreranno ancora al forum della Cooperazione economica Asia-Pacifico (APEC) in Corea del Sud alla fine di ottobre.   L’amministrazione del presidente statunitense Donald Trump sta inoltre sollecitando i Paesi dell’UE che appoggiano Kiev a imporre dazi del 500% sulle importazioni dalla Cina, destinando i ricavi al finanziamento dell’impegno bellico ucraino, ha riferito mercoledì il Telegraph.   Secondo il Telegraph, i dazi proposti confluiranno in un meccanismo denominato «Fondo per la vittoria dell’Ucraina». Il rapporto indica che il Segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent è stato incaricato di promuovere l’iniziativa presso i governi europei in vista della visita a Washington del presidente ucraino Vladimir Zelensky fissata per venerdì.   Kiev sta cercando di ottenere missili da crociera Tomahawk di produzione americana: una richiesta che l’amministrazione Trump ha detto di poter autorizzare, purché gli alleati europei ne sostengano i costi.   Il ministro della Difesa degli Stati Uniti, Pete Hegseth, che ha preso parte mercoledì alla riunione dei ministri della Difesa della NATO a Bruxelles, ha ribadito che Washington pretende dai partner europei «donazioni ancora maggiori» per l’acquisto di armamenti americani destinati all’Ucraina.   Mosca ha sostenuto che gli aiuti militari occidentali non possono influenzare l’esito del conflitto, che considera una guerra per procura orchestrata dalla NATO contro la Russia e una minaccia esistenziale.  

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr  
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