Pensiero
Memorie dal sottosuolo ebraico
Anche quest’anno è giunto il «giorno della Memoria». Si chiama così, senza che sia specificato di cosa: gli altri dì dell’anno, forse sono senza memoria, pare il messaggio degli organizzatori. Oppure che questa è una memoria più importante delle altre?
È una memoria che non si può lavar via, che va fissata in mondo indelebile: le altre memorie sono RAM, mentre quella dell’«olocausto» – altra espressione generica assai, che sposta via tanti altri significati, compresi quelli della religione cristiana – è decisamente da hard disk.
Dal mio disco rigido quindi, quest’anno voglio estrarre un po’ di memorie assortite sull’argomento. Mi sblocco un po’ di ricordi personalissimi, così, per cercare di stare in linea, per una volta, con una giornata mondiale.
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Io ho memoria, innanzitutto, di una cosa accaduta ieri l’altro. Mio figlio, 8 anni, ha sentito in una conversazione l’espressione «campo di concentramento» e, pur non sapendo esattamente cosa volesse dire, mi ha chiesto di «Teresen. Teresin…».
«Theresienstadt...?» gli ho chiesto sbalordito.
«Sì, quello».
«E dove lo hai sentito?»
«A scuola…»
Scopro così che, dopo il lavaggio di cervello sul caso Cecchettin, qualcuno in classe ha parlato ai bambini dello sterminio degli ebrei, cosa del quale, almeno lui, ha potuto capire fino ad un certo punto. Come sappiamo, non è importante: quello che conta è che il discorso pubblico venga sfogato, e che qualche parola chiava («Theresien…» «Auschw…») entri nei giovani cervelli, e anche solo qualche sillaba va bene.
Scopro così che l’assessore regionale all’istruzione Elena Donazzan ha inviato una lettera aperta alle scuole del Veneto:
«Vi invito, anche quest’anno, in occasione della Giornata della Memoria in ricordo delle vittime della Shoah, come comunità educante del nostro Veneto, a ricordare degnamente questa data simbolo della persecuzione dell’odio nei confronti degli ebrei. Purtroppo la battaglia all’antisemitismo non è ancora compiutamente vinta perché il seme dell’antisemitismo continua a riemergere con molte facce e strumenti diversi. È una battaglia che soprattutto nella scuola dobbiamo affrontare trovando la più ampia diffusione tra le nuove generazioni così da costruire gli anticorpi contro l’odio antisemita. L’odio, nei confronti del popolo ebraico e contro lo Stato di Israele, è un dramma che ancora oggi si perpetra nel mondo».
Sono parole che, scrive il messaggio, l’assessore aveva usato anche l’anno scorso, ma che ha copincollato anche quest’anno perché «purtroppo, ancora più attuale dopo i fatti del 7 ottobre 2023 da parte del terrorismo islamico con l’obiettivo di colpire lo Stato di Israele».
«Si assiste ad un dibattito pubblico acceso e polarizzante ed è quanto mai necessaria una riflessione in ordine ai pericoli di un rinnovato odio nei confronti degli ebrei, che si è caratterizzato recentemente per episodi di estrema violenza anche nel nostro territorio, come accaduto a Vicenza in occasione di un recente evento internazionale ove partecipavano degli espositori israeliani. Episodio esecrabile che ha visto la giusta condanna da parte di tutte le forze politiche e che non deve ripetersi grazie all’apporto culturale garantito dalle nostre scuole».
«Il 27 gennaio è ancora più importante difendere la democrazia e la libertà».
La democrazia e la libertà coincidono con lo Stato di Israele? Non è tanto questo, che colpisce il quivis de populo. Ma scusate, la Donazza non è quella che la sinistra accusava di revisionismo? Non è quella che avrebbe cantato «faccetta nera» per radio a La Zanzara? Insomma quella considerata di destra, tanto di destra?
A fine anni Ottanta, la Donazzana fu presidente provinciale vicentina del Fronte della Gioventù, il movimento giovanile del MSI. Qui si sblocca un ricordo dell’era almirantiana: com’è, che ad un certo punto, i missini – tra i quali nel 1979 si candidò anche il marito della senatrice sopravvissuta ad Auschwitz Liliana Segre – presero a difendere lo Stato Ebraico? Sì, è successo. Si disse: è perché l’URSS difende i palestinesi (certo: dopo essere stato il primo Paese a riconoscere Israele, e a tenersi in pancia e fuori caterve di ebrei russi). Anzi no: è perché Israele è uno stato militarista, uno stato etnico – il motivo per cui piace pure al Battaglione Azov, che lo dice ufficialmente (e non scherziamo).
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Sarà quello? Mboh. Intanto io sblocco quella memoria, così per capire come le «lettere aperte» istituzionali dalla fiamma arrivano fino alla mente di mio figlio.
Quello degli ebrei a scuola è un tema ciclico e risalente. Dall’hard disco personale ripesco un giorno di più di un quarto di secolo fa, un sabato pomeriggio, sono da solo in un bel bar dentro una rara casetta liberty, di solito andavo lì alla sera per gli amici e le ragazze ma il pomeriggio, quando non c’è nessuno, c’è grande pace, e lo spritz lo pagherò 1000 lire (fate voi i conti – comunque era un posto costoso, nel baretto successivo della via il prezzo era 500 lire).
I tizi del locale sono di sinistra: ecco che sul bancone spunta Repubblica, giornale che leggo con avidità. Mi colpisce un grande editoriale, un articolone, un’articolessa, si intitola «Io professore fallito». Mi fiondo a leggerlo, perché fiuto subito la voglia del quotidiano di vellicare questa parte consistente del suo pubblico, gli insegnanti di scuola, medie, elementari, superiori, università, che vuolesi ceto medio riflessivo ma è soprattutto casta statale sempre in cerca di qualcuno che riconosca quanto bravi, intelligenti sono – e soprattutto dire quanto, ancorché talvolta tristi ed incompresi, quanto sono necessari al Paese.
Il pezzo è tutto un racconto intimo di dettagli personali anche poco significanti (tipo l’articolo che state leggendo). L’autore racconta di aver portato i suoi studenti a vedere un film in un multisale di una città del Lazio. Si tratta di Train de vie, una pellicola sull’Olocausto però con allegra musichetta balcanica alla Bregovic (quella che, anni dopo, Elio e le Storie Tese dissero solennemente che «ci ha rotto i…»): «un film straordinario, geniale, capace di ribaltare da un’inquadratura all’altra ogni ruolo e di guardare alla tragedia della Shoa [sic] con uno sguardo obliquo, ironico, poetico, in modo diverso (perché diverso è lo stile) ma analogo (per una vicinanza poetica tra i due autori) a La vita è bella di Benigni» scrive il professore nella mirabile infilata iniziale.
«Io non l’avevo mai visto prima e mi sono emozionato, gli alunni in gran parte si sono annoiati. A un certo punto mi sono dovuto alzare per andare ad azzittire un gruppetto di ragazzi che dalle prime file continuava ad alzare grida di “Heil Hitler!”» racconta con amarezza.
«Nell’intervallo sono andato al bar, fuori dal cinema, a prendermi un caffè. Vicino a me c’era il proprietario del cinema. Io l’ho riconosciuto, lui no. È un uomo sulla sessantina, uno di quegli ex malandrini talmente narcisisti da non riuscire a memorizzare un solo volto. Ne ho conosciuti a migliaia. Sono talmente concentrati sulla loro vita che tutto il resto non solo lo ignorano, ma faticano a considerarne l’esistenza. Sono perfino comici, certe volte, perché a un occhio inesperto tanta pienezza di sé, e senso dell’esclusione, può confondersi facilmente con un rincoglionimento da macchietta».
Diciamo di non sapere se, dopo la pubblicazione, sia partita una denuncia per diffamazione: ci starebbe. Ma si va avanti:
«Il barista gli ha chiesto se nel cinema ci fossero i ragazzi della scuola, e lui ha riposto di sì con la testa, appoggiando la tazzina del caffè alle labbra protese. Poi l’altro si è informato sul film che stavano proiettando. Allora lui ha mandato giù il caffè inghiottendo sonoramente, ha fatto schioccare la lingua, ha infilato una mano in tasca, ne ha estratto un mazzo di biglietti di vario taglio, ha sfilato con la punta di indice e pollice una banconota da mille, l’ha allungata alla cassa e infine ha risposto: – Un treno per vivere, ‘n’antra stronzata sull’ebbrei».
Ecco: «‘n’antra stronzata sull’ebbrei». Scritto proprio così: «sull’ebbrei». La frase romanesca mi è rimasta impressa nella memoria per anni, e non manca di farmi ridere ancor’oggi.
Ricercando questo mirabile testo, ho appreso che l’autore non era solo un professore, ma anche uno scrittore – specie nota in Italia, i docenti di scuola pubblica che gliela fanno a farsi fare il giro in giostra con il grande editore, e conseguentemente con qualche saletta di libreria o circolo Arci riempita di loro simili e tesserati PCI-PDS-DS-PD che per una sera si fanno convincere ad uscire di casa rinunziando al film su Rete 4. Si chiama Sandro Onofri, purtroppo sarebbe morto poco dopo la pubblicazione dell’articolo per cancro al polmone.
Lo scrittore e poeta e insegnante, ci chiediamo, come si sarebbe sentito quando, sugli stessi canali della grande sinistra e dell’establishment che ospitavano il suo sdegno per la mancanza di devozione olocaustica, anni dopo sarebbero apparsi peana al battaglione Azov? Quando la sinistra mondiale e il suo padronato borghese slatentizzato avrebbero fischiettato davanti a svastiche e lettere runiche, e anche a certi video recenti di supposte persecuzioni degli ebrei in Est Europa?
Davanti a chi gli avrebbe mostrato l’orrore nazista vivo e vegeto, e armato e finanziato dal contribuente italiano, avrebbe detto: «‘n’antra stronzata su Hitleh»…?
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Sblocchiamo un ricordo più recente. Il lettore deve sapere che mesi fa, molto prima dell’efferata strage di Hamas del 7 ottobre, Renovatio 21 aveva in canna un editoriale che parlava della Finestra di Overton che si stava aprendo riguardo l’antisemitismo. Il pezzo non fu prodotto e pubblicato, e mal ce ne incolse: ci avevamo, come sempre, ragionissima, e poco dopo avremmo visto l’odio per gli ebrei divenire mostruosamente mainstream con il cortocircuito attuale, dove in USA università e giovani della Generazione Z (più o meno goscisti, ma tutti, comunque, «fluidi», woke e nichilisti) arrivano a giustificare e persino celebrare i massacri contro gli ebrei (e ad esaltare le epistole del Bin Laden).
L’articolo che volevamo scrivere partiva dalle sparate del rapper Kanye West, che di colpo aveva cominciato a fare discorsi sugli ebrei piuttosto puntuti. Intervistato da Tucker Carlson, l’uomo – che è bipolare e miliardario, e popolarissimo – si era contenuto.
Poi, presentatosi in Texas da Alex Jones vestito tipo lo «storpio» di Pulp Fiction (una maschera nera che gli copriva il viso che forse veniva dalle sue frequentazioni con Balenciaga, marchio con cui ha collaborato molto), aveva spalancato tutto: lodi a Hitler, responsabile anche dell’invenzione dei microfoni, e attacchi diretti, nome e cognome, a Ari Emanuel, figlio di un terrorista sionista dell’Irgun e uomo più potente di Hollywood (e della TV, e della UFC, e chissà di cos’altro), fratello del capo di Gabinetto di Obama Rahm Emanuel (ora controverso ambasciatore in Giappone) e pure di Ezekiel Emanuel, medico e ultravaccinista della Bioetica di governo che va oltre l’eutanasia per chiedere direttamente la rinuncia alle cure per le persone oltre i 75 anni.
Anyone remember this? ????
Ye on Infowars with Alex Jones talking about Netanyahu.#Netanyahu #InfoWars #AlexJones #KanyeWest #Ye pic.twitter.com/LqhPwHVVYX
— ????Sno™️???? (@vrotocol) January 20, 2024
L’intervista del Jones con questo tizio mascherato era a dir poco incredibile: i discorsi sugli ebrei che faceva Kanye, che per qualche ragione ora vuole contrarre il suo nome in «Ye» – erano semplicemente inauditi in pubblico.
Capiamo anche l’imbarazzo del caso: difficile dire che si tratta del peccato onnipresente della società americana, quel suprematismo bianco che ci devono convincere essere legato al voto a Trump, perché il Kanye è nero.
E quindi: le critiche ferali sui potentati ebraici stavano diventando mainstream…? Certi discorsi, erano relegati all’underground dei lunatici.
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Un attimo, mi si sta bloccando un altro ricordo: sono a Nagasaki, la città più bella del mondo, tanti anni fa. Vicino alla stazione dei treni, tra la baia e i monti verdi, dopo un grande ballatoio che ti fa camminare sopra le strade, c’è un imperdibile negozio di libri usati. Il mio povero giapponese non mi consente la lettura di testi in presenza di troppi ideogrammi kanji, ma è uno spasso vero per il bibliofilo ammirare l’arte libraria nipponica: la tipografia, la consistenza della carta, il design delle copertine… anni dopo, alla Fiera di Francoforte, mi sarei fatto amico produttori di libri locali solo per sentire la passione con cui descrivono questo lavoro.
Tra i libri che sfoglio nella città del mio pellegrinaggio atomico, uno attira la mia attenzione: si chiama «Zionist Underground Conspiracy», o qualcosa del genere, ma non credo che parli davvero di complotti sionisti del sottosuolo: forse è un libro che parla di jazz, o di avanguardia letteraria, non lo ricordo, non lo so, perché, da mòna, lo sfogliai e non lo comprai.
Epperò è vero che c’è da chiedersi come i giapponesi vivano ‘sto «Giorno della Memoria». Messi giapponesi partecipavano alle «conferenze» razziali nella Germania nazista, dove cercavano di convincere tutti che i cinesi sono gli ebrei d’Oriente: ne parlava anche molto scandalizzato, Julius Evola nei suoi racconti di quegli eventi.
Ecco che scatta la voglia di rammentare il Fugukeikaku, l’«operazione fugu»: a forza di sentire i tedeschi lamentare delle incredibili capacità di controllo economico degli ebrei, i giapponesi, molto pragmaticamente, si erano detti: ma scusate, ma perché non sfruttiamo questa loro competenza? Pianificarono quindi di portare quantità di ebrei in Manciukuò, lo Stato fantoccio che il Giappone Imperiale aveva creato in Manciuria (lo potete vedere nel film L’Ultimo Imperatore).
Il fugu è una pietanza nota ai lettori di Renovatio 21: il pesce palla è cibo prelibato, che ha ucciso, vogliamo rammentarlo spesso, Bando Mitsugoro VIII (1906-1975), un attore che aveva il titolo di Ningen Kokuho, «tesoro nazionale vivente». Il pesce va preparato con una cura assoluta, perché varie parti sono velenose, quindi se finiscono, anche solo in parte in bocca al cliente del ristorante (che deva avere una licenza speciale per offrirlo nel menu), c’è la morte. L’attore patrimonio vivente morì dopo averne mangiato una quantità, una sfida al fato stile roulette russa ittico-venefica.
Ebbene, quei capoccia militari nipponici che idearono il Piano Fugu riconoscevano che l’importazione di ebrei poteva essere fatale al Paese. Per capire la situazione necessitiamo di una certa dose di elasticità, che è quella che serve spesso a contatto con le mentalità orientali. Cionondimeno, alcuni trovano la cosa talmente bizzarra da essere divertente.
Secondo alcuni, l’operazione fugu permise a molti ebrei di salvarsi dallo sterminio cui andavano incontro in Europa: il fugu come Schindler, come Perlasca. Tuttavia, non ci sembra che nemmeno quest’anno, nella pletora di contenuti olocaustici piombati per il «giorno della memoria», il pesce palla abbia trovato il suo posto. Ricordiamo pure, en passant, che in quello stesso 1934 Stalin creò ai confini della Manciuria l’oblast’ degli ebrei, una provincia autonoma estremo-orientale solo per giudei, che è peraltro ancora esistente. Anche il baffone… aveva concepito un suo piano fugu?
Vabbè, rimane il fatto che questo «underground sionista» di cui parlava quella copertina di libro a Nagasaki non ho capito cosa sia.
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Un attimo, si sblocca un ulteriore ricordo, recentissimo. È un altro articolo che non siamo riusciti a scrivere, forse per mancanza di tempo, forse perché inebetiti dalla questione, che toglie il fiato e le parole pure…
Sapete cosa è successo a Brooklyn. Avete visto nitidamente quelle immagini sconvolgenti… sotto una sinagoga degli Chabad Lubavitcher (avete presente: sono quelli con la barbona, i riccioletti palandrano, il capellazzo a tutte le stagioni, quelli che sarebbero dietro a Milei, anzi davanti, perché mica la cosa è più nascosta), hanno trovato dei tunnel sotterranei, scavati dagli stessi ebrei ortodossi.
????
The Israeli students in question tore down the walls, started a riot with the police, and protested inside the tunnel. 10 people have since been arrested and the buildings are closed to the public. pic.twitter.com/hEuACCQYVi— CueBacca (@CueBacca17) January 9, 2024
I giornali mainstream americani, quelli filoisraeliani, magari pure con famiglie ebree come editori, hanno dovuto titolare proprio così: «Jewish Tunnel in New York City».
Ci siamo stropicciati gli occhi diverse volte, e dato tanti pizzicotti. La faccenda è che ci sono le immagini, che sono semplicemente pazzesche. La polizia che scopre i tunnel, o cerca di murarli, e la torma di ebrei hassidici – tutti uguali identici – che scatenano la rivolta: lasciateci le nostre strutture segrete sotterranee.
????Riot Unfolds as NYPD Responds to Discovery of Underground Tunnel in Brooklyn Temple
????#CrownHeights | #Brooklyn
Currently, numerous law enforcementare at the scene of a riot at the Chabad headquarters in Crown Heights, Brooklyn, where individuals tore wooden panels to… pic.twitter.com/JwttELX5ya
— The Truth Hammer #ProjektJncojok????????????????⭐️⭐️⭐️???? (@TruthHammer1776) January 10, 2024
Il podcaster Tim Pool la ha detta giusta. Mostrando il filmato che mostra incontrovertibilmente un signore ebreo che esce da un tombino in strada (!?!) ha considerato: «pensa di essere senza il video, e dover descrivere questa scena a qualcuno».
Hasidic Jew seen crawling out of sewer after NYPD busts Chabad tunnel network under New York City.
Follow: @AFpost pic.twitter.com/hJurb2Cc4Q
— AF Post (@AFpost) January 9, 2024
Effettivamente, il racconto di tale realtà fotografica in Italia potrebbe essere materia da legge Mancino.
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Ebrei che operano nel sottosuolo? Ebrei che costruiscono tunnel sotto le città? Credo che nell’antisemitismo a cavallo tra XIX e XX secolo fosse venuta fuori pure una storia del tipo che gli ebrei erano dietro la costruzione della metropolitana, perché da sotto terra sarebbe stato più facile, poi, farle cadere a suon di terrorismo (non ricordo dove ho letto questa cosa, ma immagino la facilità con cui il complottaro antisemita ottocentesco poteva arrivare a simili idee).
Bisogna capire che il sotterraneo è la proiezione psicospaziale del complottista di bassa lega: se sentite qualcuno che improvvisamente vi parla di tunnel segreti sotto la vostra città, qualsiasi essa sia, siete in presenza spesso di cospirazionista domofugo, cioè scappato di casa, cioè inattendibile e perdigiorno: perché chi vuole sempre credere ad un lato occulto della realtà, se pensa a dove vive, ci proietta subito una parte invisibile, che non può che essere sottoterra.
Poi però arrivano queste immagini.
Scusate, ma cosa sono quei materassi? È vero che sono materassi delle dimensioni dei letti da bambini? E cosa sono quelle macchie? E quel seggiolone…?
Stop it stalker! Go home or go find a tunnel in NY to hide or at least clean your mattress ???? pic.twitter.com/0B0gJFQ0LA
— Maged (@MagedMorsy) January 26, 2024
The first video of those moments has emerged.❗️❗️❗️
Recently, Jews who dug tunnels under #NewYork to an underground synagogue were exposed.
Bloody beds, baby high chairs and cutting tools were found in the tunnel. pic.twitter.com/YmZcQ0FcRr— J.Mırror???????? (@J__Mirror) January 13, 2024
Im trying get this straight. Some unmarried Jews dig a tunnel, for an “unexplained” reason. The tunnel contains baby high chairs and stained mattresses. Wtf is going on here? Could it have to with this scandal? https://t.co/okKMRv37F5 pic.twitter.com/dbX28giXlm
— The Man from the North (@Curtis39873882) January 9, 2024
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Risposte che mica arrivano con facilità. Tuttavia vari media hanno tentato di spegnere il fuoco con getti di teorie rassicuranti: va tutto bene, i tunnel erano per allargare la sinagoga. Allargare la sinagoga, sottoterra?
Ma no, i tunnel servivano a collegare la sinagoga con altre sinagoghe, o centri, o case, della zona. Ma perché scavare una galleria sotterranea illegale per farlo?
Ma no, tutto OK, in verità sappiamo che gli ebrei di Nuova York si erano opposti eroicamente al lockdown COVID del sindaco e del governatore, servivano quello… ma scusate, non è stato detto che i tunnel sono stati fatti l’anno scorso o poco prima, a restrizioni pandemiche morte?
Ma no, si tratta di mikvah, bagni rituali, quelli che si usano ritualmente per le donne ebree quando hanno il mestruo, solo che qui sono fatti per gli uomini… ma scusate, gli uomini hanno le mestruazioni? In USA anche sì, tuttavia è difficile che siano gli ebrei ortodossi a crederlo. Quindi: mikve rituali per purificare i futuri rabbini dal loro ciclo? Machedaverodavero?
Un comico su YouTube fa la battuta: il segno davvero apocalittico della situazione è il fatto che si sono visti dei giovani maschi ebrei ortodossi fare lavori manuali. Umorismo tutto neoeboraceno, dove è noto che di queste centinaia di aspiranti, solo il 2% diverranno rabbini, e gli altri saranno sistemati in qualche lavoro avulso dal lavoro materiale come la tratta dei diamanti in triangolazione con Anversa, Tel Aviv e forse qualche parente piazzato sopra una remota miniera africana.
Un altro dice: dopo questa cosa, la nostra vita è in discesa. Come faranno a chiamarci ancora complottisti? A deridere chi dice che la realtà, forse, non è quella che vediamo in superficie?
Qualcuno del giro QAnonista tira fuori dei disegni di artisti che, dicono, sarebbero nelle collezioni artistiche dei fratelli Podesta, che non capiamo bene come possano c’entrare qualcosa qui, ma sono inevitabili rigurgiti del Pizzagate.
It’s possible John Podesta’s artwork came to life yesterday.
There is absolutely zero reason for a child size mattress should be soiled and kept in an illegally constructed tunnel under a synagogue in NYC.
ZERO!!!! pic.twitter.com/12PcnMvEXP
— Teresa (@pepedownunder) January 10, 2024
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Altri ricordano più concretamente una pagina del sito internet dell’ADL. L’Anti Defamation League è il potente ente creato per combattere i discorsi antisemiti, anche schedando chiunque possa produrne anche solo echi lontani.
Nata – e collegata, secondo E. Michael Jones, al giro della mafia ebraica – per contrastare una fiammata di antisemitismo quando una 13enne di Atlanta fu trovata morta stuprata, l’ADL negli anni è passata a tacciare quantità impressionanti di persone di razzismo e di deviazione dai dogmi del politicamente corretto, arrivando di recente ad attaccare persino Elon Musk.
Il lavoro certosino di censimento di ogni possibile idea eterodossa da condannare perché pericolosa, aveva portato l’ADL a scrivere anche di una credenza detta «Mole/tunnel children», circolante fra i gruppi QAnon.
«Durante i primi mesi della pandemia di COVID-19, il governo ha allestito un ospedale improvvisato nel Central Park di New York. Allo stesso tempo, la Marina degli Stati Uniti ha inviato volontariamente in città la nave ospedale USNS Mercy per aiutare gli ospedali traboccanti» scrive il sito dell’ente di censura ebraico. «QAnon ha affermato che le tende a Central Park erano lì per nascondere buchi nel terreno che sarebbero stati utilizzati per salvare i numerosi bambini presumibilmente trafficati nei tunnel sotto il parco. Questi bambini salvati sarebbero stati portati alla USNS Mercy. Questa teoria ha guadagnato ulteriore popolarità perché la linea Q della metropolitana corre sotto il parco».
Diciamo che questa scheda che deride chi crede in tunnel segreti e traffici di bambini è invecchiata male – specie considerando che proviene da un’organizzazione, l’ADL, fondata nel 1913 dall’ordine giudeo-massonico B’nai B’rith.
E quindi… quei tunnel cosa sono? L’FBI, che ha programmi per infiltrare i pericolosi cattolici della messa in latino, sta indagando?
Non è che avremo risposta, lo sappiamo. Ci rimane l’immagine degli ebrei che escono dalle fogne, come le tartarughe ninja mutanti del vecchio cartone che un trentennio fa impazzava negli USA e anche un po’ in Italia.
Tuttavia, sblocchiamo un altro ricordo nel giorno memoria personale.
Sono in India, è il tardo autunno 2005. Sono ad Auroville, una stramba cittadina dove abitano in larga parte occidentali seguaci del filosofo e attivista separatista indiano Sri Aurobindo, delle cui stranezze magari parliamo un’altra volta. La mitica Marta, l’amica che ci ospita ci porta ad una sorta di festicciola sulla spiaggia, è notte, e l’Oceano Indiano scroscia nel buio più totale. Ad un tavolo ci sono dei ragazzi che mi presentano. Uno ha la pelle ambrata, il volto simpatico, ed è intento a prepararsi una sigaretta esotica. Capisco subito che si tratta di un israeli chilum smoker, espressione con cui gli indigeni indiani definiscono la massa di giovani israeliani che si abbattono costantemente sul subcontinente.
In pratica funziona così: in Israele fai tre anni di naja tremenda, dove di fatto non è che ti annoi in caserma, vai praticamente in guerra. I ragazzi (e le ragazze) sono talmente distrutti dall’esperienza che l’immediata reazione, già durante il servizio, è quella di convertirsi alla musica elettronica di tipo trance e all’uso di droghe sintetiche – insomma, il mondo dei rave, che ha fatto da teatro alla strage iniziale del 7 ottobre, con i parapendii motorizzati di Hamas a planare sul festival del ferale massacro nel deserto.
Finito il militare, ai giovani israeliani non bastano più i festoni locali – cercano uno spazio di decompressione in terre lontane per continuare a drogarsi ed ascoltare musiche para-spiritualiste, almeno per un po’, almeno prima di entrare finalmente all’università. L’India è la meta favorita per questo tipo di lavoro: qui trovano un certo senso di libertà, una qualche cifra spirituale orientale (che magari non intacca il loro ebraismo, secolare o no che sia, ma che è presente) e magari pure la cannabis che cresce in ogni angolo.
Quella sera avevo voglia di saperne di più. Il ragazzo stava davanti a me, e quindi sono partito con le domanda.
«Quanti passaporti hai?». Due. Uno era di un Paese UE che non avrei detto.
«Hai fatto il militare?». Sì, tre anni. L’ha fatto tutto. Ora stava decidendo dove, nel mondo, andare all’università.
«Hai mai ucciso un uomo?» chiedo a bruciapelo.
Lui, noto, cerca di non reagire d’istinto. Solo per un secondo, ferma il rollaggio.
«Sì» mi dice facendo come un sorriso, che però non è un sorriso. I suoi occhi dicono altro. Poi il sorriso finisce, lo sguardo gli diventa più controllato, razionale.
«Stavo in un carrarmato. Di notte, ho visto sullo schermo uno che scendeva dal muro. Una volta a terra, a cominciato a camminare così, come per non essere visto… combat walking»
«Ho chiesto al mio superiore se sparare. Lui mi ha detto di sì. L’ho fatto. In seguito sono stato premiato».
A questo punto il ragazzo israeliano accende. È chiaro che ci ha pensato mille volte. È chiaro che vuole dimenticare. È altrettanto chiaro, tuttavia, che non sa ancora cosa pensare, come sentirsi. O almeno, sa di non poterlo esprimere, forse nemmeno a se stesso: sia dentro stia venendo macinato, sia abbia invece il nulla.
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Ultimo ricordo di ebrei dal sottosuolo della mia mente, sempre con ambientazione indica, questa volta più leggero.
Estate 2010, sono a Dharamsala, la capitale del governo tibetano in esilio, residenza del Dalai Lama, eterna meta di pellegrinaggio di buddisti e divorziate a go-go. Sono con un gruppo di amici, cinque italiani e cinque indiani e indiane; abbiamo appena attraversato l’Himalaya in moto, siamo all’ultima tappa prima di tornare a Delhi.
Siamo esausti: in un passo a 5000 metri di altitudine metà della ciurma è caduta vittima del mal di montagna, e attorno a noi c’era il nulla, il deserto himalayano per chilometri di burroni sulla strada più pericolosa del mondo. A Leh, città più a Nord dell’India, avevamo visto come l’altitudine arrivi nei polmoni impedendoti quasi di fare le rampa di scale. A Lamayuru, un luogo sperduto vicino ad un monastero lamaista, eravamo finiti in un Overlook Hotel dove una ragazza finlandese sembrava intrattenere indiani a caso, in un contesto spettrale raccapricciante. A Sri Nagar, in Kashmir, sembrava che ci potessimo riposare: ed ecco invece che, di notte, viene nella nostra stupenda house boat che galleggia intarsiata sul lago Dal la polizia con il tizio che ce l’ha affittata, e ci dicono, apertis verbis, che è meglio se prendiamo le moto e fuggiamo via, perché per l’indomani era prevista una rivolta musulmana, cosa a cui qualcuno di noi pure pensava perché arrivando c’erano soldati armati di kalashnikov ogni cinquanta metri: ecco che sgommiamo impanicati, mentre prima dell’alba partono dai minareti suoni che si mischiano in un rumore che domina la valle e che sembra sul serio uscito dall’inferno.
Quindi, siamo a Dharamsala, qui bisogna riposarsi. Ce lo meritiamo. E se non trovi pace nella capitale del buddismo internazionale (almeno secondo Hollywood), dove la vuoi trovare? Gli israeli chilum smokers ci sono anche qui, ma ci sono tanti altri foreigner. La presenza israeliana era stata una costante in tutto il viaggio. Li avevamo visti a Manali, cittadina montana da cui si parte, dove negozi e call center hanno cartelli in hindi e in ebraico, skippando in alcuni casi del tutto l’inglese ed i caratteri latini. Nella valle di Numbra, posto remoto e magico con yak e cammelli d’alta quota da cui l’Himalaya guarda al Karakorum, ne avevamo incontrati una torma, tutti altamente disinteressati a fare amicizia con noi, anche se eravamo gli unici esseri viventi in tutta la zona.
Ecco che esce una rischiosa idea per il meritato relax: da qualche parte, dispersa nelle colline attorno a Dharamsala, c’è… una pizzeria. Proprio così: pur sapendo che stiamo andando incontro all’orrore puro, decidiamo unanimemente di partire alla sua cerca. Non ci si arriva in macchina e nemmeno in moto: bisogna camminare su un sentiero a piedi, dalla fine di un paesino, dove ancora si vede qualche stall, qualche localino dove notiamo lo spalmo di ulteriore presenza israeliana, poi avanti, nel buio, tra le colline. Alla fine, si giunge a questo posto sperduto povero ed indefinibile come la cosa che ci danno da mangiare, ma che ci importa, siamo qui, siamo in compagnia, siamo vivi, siamo sopravvissuti a tutto, siamo sopravvissuti all’Himalaya.
È stato camminando sul sentiero di ritorno che si è manifestata la scena con cui voglio chiudere questo scritto.
«Robi… Robi… vieni…. guarda!»
L’amico mi chiama da distante, ma come sussurrando, agitando le mani in aria. Pure nella tenebra, vedo che sta ridendosela di gusto. Lo raggiungo. Lui mi indica un punto sotto il sentiero, e continua a sganasciare sommessamente.
Allungo gli occhi: nel mezzo del niente, c’era una sorta di piccola struttura residenziale, quasi un condominio, tutto avvolto nell’oscurità. Tutte le finestre mostravano però che dentro c’era vita, le luci erano accese, forse si poteva sentire pure qualcuno parlare, e un lieve tunza-tunza della musica techno-trance in sottofondo.
«Guarda, Robi, guarda in quella finestra!»
A questo punto, vedo: nel caldo paratropicale indiano, nella capitale dei tibetani esiliati, nella notte più cupa ai piedi dell’Himalaya… ci sono, dentro un appartamento, due ragazzi ebrei ortodossi, riccioli, barba, cappello, palandrano, occhiali a fondo di bottiglia – proprio come quelli che a Nuova York scavano i misteriosi tunnel con dentro i materassi. Erano lì che parlavano, chiacchieravano uno metteva la mano sulla spalla dell’altro, sembravano sereni… felici.
Forse a leggerlo non fa effetto, ma assicuro che il cortocircuito di senso – tizi stile video Rock The Casbah dei Clash nell’oscurità asiatica – sul momento mi sconvolse, e non ricordo se risi o piansi, di dolore o di gioia (anche questo, in quel viaggio pazzesco, dovevo vedere).
Ci penso, in questo giorno della memoria, voglio ricordarlo: una delle prove che in effetti gli ebrei, dalla scuola elementare di mio figlio ai sotterranei americani, sono davvero un po’ dappertutto, sono un po’ in ogni cosa, e in modo paradossale – nel momento in cui si parla dei tunnel di Hamas, saltano fuori i tunnel ebraici di Brooklyn, nel giorno indetto per la memoria dello sterminio nazista, vengono accusati di genocidio all’Aia.
Rimane il dubbio: non sappiamo fino a che punto sia lecito, legale, tenere a mente queste cose, e pure scriverle.
Per cui, con le memorie dal sottosuolo ebraico, fermiamoci qua.
Roberto Dal Bosco
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Immagine generata artificialmente
Pensiero
Mons. Viganò: dissonanza cognitiva e rivelazione del metodo, il colpo da maestro di Satana
Ex fructibus igitur eorum cognoscetis eos.
Mt 7, 20
Premessa
La crisi nella Chiesa è di natura teologica, non canonica. Non solo: questa non è una crisi tra le tante, ma la crisi dell’Autorità, perché è appunto l’Autorità ad essere oggetto di un sovvertimento che fino a sessant’anni fa non era nemmeno immaginabile in seno alla Chiesa Cattolica. Se infatti l’Autorità, quando è esercitata per il bene, è certamente lo strumento più idoneo ad assicurare il buon governo dell’istituzione che presiede, così essa si può mutare in uno strumento altrettanto efficace per distruggerla, nel momento in cui chi la ricopre rescinde il proprio vincolo di obbedienza verso Dio, che dell’Autorità è supremo garante (1).
Questo hanno fatto i Giacobini nel 1789, questo hanno ripetuto i fautori della rivoluzione conciliare nel 1965: appropriarsi illegittimamente dell’Autorità per costringere i sudditi ad accettare di obbedire a ordini iniqui, finalizzati ad un piano eversivo. E tanto i Giacobini quanto i Modernisti si sono avvalsi non solo della collaborazione attiva dei propri complici e dell’inazione dei codardi, ma anche del consenso di coloro che obbedivano in buona fede e da una massa progressivamente indotta ad accettare in nome dell’obbedienza qualsiasi cambiamento (2).
L’idealizzazione dell’autorità
Nelle scorse settimane «conservatori» come Riccardo Cascioli, Luisella Scrosati, Daniele Trabucco e Giovanni Zanone hanno sostenuto che laici e chierici, dinanzi alla crisi della Gerarchia cattolica, non dovrebbero adottare forme di resistenza nei confronti di cattivi Superiori; né dovrebbero mettere in discussione la loro Autorità, dal momento che essa promana direttamente da Nostro Signore.
Costoro affermano che l’indegnità di un vescovo o del papa non inficia la legittimità della loro autorità, ma questo può essere vero nel caso di un’indegnità personale che non coinvolge l’esercizio dell’autorità stessa. L’autorità, tuttavia non può essere esercitata legittimamente al di fuori dei confini che le sono dati né tantomeno contro i propri fini o contro la volontà del divino Legislatore. Un vescovo che coopera consapevolmente ad uno scopo iniquo con atti di governo, inficia la legittimità di quegli atti e la sua stessa autorità, proprio perché sono posti in fraudem legis.(3)
La visione idealista e sconnessa dalla realtà degli Autori citati, secondo la quale l’Autorità non perderebbe la propria legittimità nemmeno quando i suoi ordini sono volti al male, rende evidente il cortocircuito logico tra la realtà di papi e vescovi eretici – formali o materiali, poco importa: è comunque una cosa inaudita – e la teoria di un’Autorità immune dall’eresia e dalle cattive intenzioni di chi ricopre quell’Autorità.
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Una crisi sistemica
Chi si ostina a giudicare i singoli fatti prescindendo dall’evidente coerenza che li lega tra loro e dal quadro complessivo che se ne evince, falsifica la realtà dandone una rappresentazione ingannevole. Questa è una crisi che dura da sessant’anni, sempre nella medesima direzione, sempre con la connivenza dell’Autorità, sempre contraddicendo gli stessi articoli di Fede e sostenendo i medesimi errori già condannati.
I responsabili di questa crisi sono tutti accomunati dalla volontà eversiva di appropriarsi e mantenere il potere per raggiungere gli scopi che si prefiggono. E a riprova che deep state e deep church agiscono di concerto, basti vedere come gli artefici di questa sovversione in campo ecclesiastico agiscono specularmente ai loro omologhi nella sfera civile, giungendo a mutuarne il lessico e le tecniche di manipolazione di massa. L’evidenza dei risultati disastrosi ottenuti dai papi e dai vescovi conciliari non li ha indotti a tornare sui propri passi e a riparare al danno compiuto, ma al contrario li vediamo proseguire ostinatamente sulla medesima linea, confermando dolo e premeditazione, ossia la mens rea. (4)
Ci troviamo in una situazione di gravissimo conflitto istituzionale, dal quale emerge che la maggior parte dei vescovi costituiti in Autorità – senza alcuna ombra di dubbio – agisce con l’intenzione determinata e volontaria di commettere atti illeciti contro il bene della Chiesa e delle anime, nella consapevolezza delle loro conseguenze.
Se in costoro non vi fosse intenzione di compiere il male – se, cioè, essi fossero in buona fede – non si ostinerebbero a ripetere i medesimi errori, nel perseguimento dei medesimi risultati. Né cercherebbero con ogni mezzo di indurre fedeli e sacerdoti a rinnegare ciò che la Santa Chiesa ha insegnato per secoli, facendo loro abbracciare quanto essa condannava e puniva con le pene più severe.
L’accettazione della frode
Abbiamo dunque una Gerarchia composta da vescovi e papi traditori che pretende dai propri fedeli non solo il silenzio inerte dinanzi ai peggiori scandali dei suoi membri, ma anche l’entusiastica accettazione e condivisione di questo tradimento, secondo quel principio esoterico che il satanista Aleister Crowley aveva così riassunto agli inizi del Novecento: «Il male deve nascondersi alla luce del sole, poiché le regole dell’universo impongono che chi viene ingannato acconsenta al proprio inganno».
Questo è il modus operandi del demonio e dei suoi servi, che troviamo confermato dalla narrazione delle tentazioni cui Satana sottopone Nostro Signore nel deserto: «Tutto questo io ti darò – dice il Maligno a Cristo – se prostrato mi adorerai» (Mt 4, 9). Nel pretendere di essere adorato come Dio, Satana chiede anzitutto l’accettazione della frode, ossia della premessa – Tutto questo io ti darò – che è assolutamente falsa, in quanto Satana non può cedere ciò che non gli appartiene. Se per assurdo Nostro Signore si fosse prostrato a Satana adorandolo, Egli non avrebbe avuto da lui nemmeno un granello di polvere del deserto e questo baratto si sarebbe rivelato una frode.
er questo il Signore gli risponde «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto» (ibid., 10). Con queste parole Nostro Signore svela l’identità del tentatore e i suoi inganni. Anche nell’Eden, tentando Eva, il Serpente aveva prospettato ai Progenitori di diventare sicut dii (Gen 3, 5).
Essi sapevano benissimo che Satana non sarebbe stato in grado di renderli come dèi e che avrebbero dovuto rispondere a Dio della loro orgogliosa disobbedienza, ma nonostante questo hanno consentito alla menzogna del Maligno come se fosse vera, rendendosi responsabili del sovvertimento di Bene e Male e agendo come se Dio non fosse onnipotente e in grado di punirli. È questa, in definitiva, la ὕβρις, la superbia che spinge l’uomo a sfidare Dio scegliendo di compiere il peccato, che ha come conseguenza la νέμεσις, ossia la punizione inevitabile che colpisce chi ha violato l’ordine divino oltrepassando i limiti imposti da Dio.
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La «Rivelazione del Metodo»
Lo storico ed esperto di ingegneria sociale Michael A. Hoffman ha affrontato il medesimo tema da una prospettiva differente, identificando un’élite nascosta che usa tecniche di manipolazione per controllare le masse. Essa non vuole solo conquistare il potere, ma intende condurre una guerra psicologica che trasforma la realtà in un rituale magico, alchemico (e in questo coincide con le parole di Crowley).
Questa élite non nasconde più tutto, ma rivela deliberatamente parti del suo piano (da qui la Rivelazione del Metodo), come atto di umiliazione dei sudditi e di affermazione della propria supremazia. Gli studi di psicologia sociale confermano che questo gioco crudele per soggiogare e dominare le vittime serve a provocare la dissonanza cognitiva, ossia quello stato di disagio psicologico che si verifica quando ci troviamo dinanzi a due affermazioni o fatti in conflitto tra loro, come ad esempio è avvenuto quando le autorità sanitarie sostenevano, mentendo, che il siero genico sperimentale fosse «sicuro ed efficace» ma allo stesso tempo chiedevano lo scudo penale per i medici inoculatori; o quando abbiamo sentito affermare da Jorge Bergoglio che «Dio non è cattolico».
Questa dissonanza cognitiva, questa percezione di una contradictio in terminis è voluta, perché ci demoralizza (siamo consapevoli della nostra impotenza), perché ci induce ad un consenso implicito (un consenso passivo, come dire: «Ti mostro cosa faccio, e tu non fai nulla, quindi acconsenti») e infine perché ci porta all’accettazione di un potere dispotico (anche se esso sbeffeggia le masse, rafforzando su di noi il proprio controllo psicologico).(5)
La «dissonanza cognitiva» e il «gaslighting» dei conservatori
Non ci deve dunque stupire se queste tecniche di manipolazione di massa sono usate anche nella sfera ecclesiastica, allo scopo di provocare la stessa dissonanza cognitiva nei fedeli, la stessa demoralizzazione, lo stesso consenso estorto, la medesima accettazione dell’autorità che ostenta la contraddizione ma pretende obbedienza. Pensiamo al paradosso di Leone che dichiara la libertà religiosa un diritto umano sulla base del Vaticano II e allo stesso tempo canonizza il Beato Bartolo Longo, che nei suoi scritti condanna l’indifferentismo religioso e il concetto di libertà religiosa (6); o che presiede incontri ecumenici con gli islamici, ma canonizza il Beato Ignazio Choukrallah Maloyan, vescovo armeno martirizzato dai maomettani per essersi rifiutato di apostatare la vera Fede.
Non ci deve stupire nemmeno che la Nuova Bussola si comporti esattamente come previsto in questi casi dai manuali di psicologia sociale, negando ostinatamente la contraddizione ancorché evidente, in un’operazione di vero e proprio gaslighting (7): «Ciò che hai visto non è mai successo».
Anche il ricorso a video o immagini generate dall’AI diventa strumento di destabilizzazione, perché queste contribuiscono a erodere la base sensibile della conoscenza della realtà, rendendo impossibile distinguere il vero dal falso e di fatto cancellando la nozione stessa di «reale» mediante la sua sostituzione con il «verosimile».
L’apparenza prende così il posto della sostanza, solo perché essendo veicolata dall’immagine che appare sul cellulare o sul computer noi non sappiamo se ciò che ci sembra vero lo è davvero o lo sembra soltanto. Come non vedere in questo nuovo fenomeno un attacco con cui Satana sfida con i suoi artifici teatrali e con i suoi effetti speciali la verità di Dio che è simplex, senza pieghe?
Questi sono test di massa per mettere alla prova la devozione alla religione sinodale, esattamente come in ambito civile avviene con la religiones anitaria o la religione green. E non è diverso chiedere al fedele di accettare la messa protestantizzata di Paolo VI se vuole avere il permesso di assistere alla Messa tridentina, che del Novus Ordo è l’antitesi.
Anche la «scomunica» che Jorge Bergoglio mi ha inflitto palesa una enorme contraddizione: da un lato io sono stato dichiarato scismatico per aver denunciato gli stessi errori che tutti i Papi fino a Pio XII incluso hanno condannato; dall’altro i veri eretici e scismatici sono ammessi alla communicatio in sacris con chi mi condanna, senza alcuna conseguenza canonica. Il messaggio è chiaro: «Possiamo mostrarti la contraddizione tra le nostre parole e le nostre azioni, e tu non farai nulla. Accetterai sia la menzogna che la prova di essa».
Ogni assurdità accettata indebolisce la capacità di discernimento dei fedeli e del Clero, per poter responsabilmente obbedire ai propri Pastori. Se la nostra Fede non è forte e convinta, questo ci porta ad una forma di apatia verso ogni nuova provocazione. È una forma di umiliazione rituale che funziona non più attraverso la segretezza, ma attraverso una sfacciata ostentazione, specialmente quando l’obbedienza all’Autorità che imparte ordini abusivi e addirittura criminali è richiesta come un sacrificio della propria razionalità, come un’immolazione della volontà mediante un concetto pervertito di autorità e di obbedienza.
Se l’Autorità della Gerarchia, fino ai suoi massimi vertici, si rende responsabile di questa manipolazione psicologica dei fedeli finalizzata a perpetuare il proprio potere per demolire la Chiesa, a chi dovrebbero rivolgersi, sacerdoti e laici, per veder condannati i colpevoli di tanto tradimento? A quegli stessi eretici manipolatori, incistati a Roma e in tutti gli organi e le istituzioni della Chiesa Cattolica?
Non stupisce che troppe vocazioni sacerdotali si perdano e che molti fedeli si rassegnino o abbandonino la pratica religiosa. È il risultato voluto e pianificato di questo crudele stillicidio.
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Il «colpo da maestro» di Satana
Il demonio vuole ottenere la nostra adesione al male non per inganno, ma portandoci ad accettare la menzogna con la quale egli definisce bene il male, e ad accettare la finzione mediante la quale ci presenta il bene come un male. Il colpo da maestro di Satana consiste in questo: nell’ottenere da noi un assenso irrazionale, pur dinanzi all’evidenza della frode e del sovvertimento che riconosciamo per tali ma che, in un atto di folle annientamento suicida, accettiamo come se fossero verità divinamente rivelate. Per il Cattolico la Fede non è mai irrazionale: rationabile sit obsequium vestrum, dice San Paolo (Rom 12, 1), perché Dio è autore della Fede e della ragione, e non vi può essere contraddizione nella Verità.
Satana, al contrario, essendo menzognero e padre della menzogna (Gv 8, 44) non può non dissimulare i propri inganni con la frode, per i quali pretende da noi non un’adesione razionale, ma un consenso superstizioso, un atto di fede al contrario, nel quale l’assenso dell’intelletto a errori e eresie evidenti è motivato non dall’autorità di un Dio verace, ma dall’usurpazione di quell’autorità da parte di una creatura ribelle, bugiarda e che sappiamo che ci vuole ingannare e perdere.
Satana vuole che abdichiamo alla ragione e allo stesso sensus fidei, trasformando l’atto di fede in una folle apostasia.
L’assolutizzazione dell’obbedienza
Assolutizzare l’obbedienza, scardinandola dalla necessaria coerenza che essa presuppone tra tutti i soggetti del corpo gerarchico in cui essa viene esercitata,[8] significa consegnare nelle mani dell’autorità vicaria della Gerarchia un potere che il supremo Legislatore non le ha mai concesso, ossia la facoltà di poter legittimamente legiferare contro la volontà del Legislatore stesso e in danno dei fedeli.
Qui non stiamo parlando di ordini incidentalmente sbagliati, o di singoli vescovi che abusano della propria autorità in un contesto ecclesiale in cui la Virtù è incoraggiata e il peccato condannato e punito. Qui stiamo parlando di un intero sistema gerarchico che è riuscito – nella Chiesa Cattolica come nella cosa pubblica – ad impossessarsi del potere, ottenendo riconoscimento e obbedienza dai sottoposti mediante l’uso di mezzi coercitivi.
Non solo: l’assolutizzazione dell’obbedienza nei riguardi dell’autorità finisce anche con l’essere deresponsabilizzante: un comodo alibi offerto ai tanti, troppi don Abbondio in veste filettata o in clergyman, ben attenti a non dispiacere ad alcuno, ad «evitare polarizzazioni» – secondo l’auspicio di Leone – a beneficiare dei favori del potente che si conosce come iniquo ma a cui si presta ossequio per viltà o interesse.
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Conclusione
La Sacra Scrittura, i Padri, i mistici e la stessa Vergine Maria a Fatima ci hanno messi in guardia su un’apostasia che la Chiesa dovrà affrontare negli ultimi tempi. Come possiamo pensare che questa apostasia si concretizzi, se non attraverso falsi pastori al posto di buoni pastori, e di pseudocristi e falsi profeti al posto di Cristo e dei Profeti? Come potrebbero gli eletti essere tratti in inganno dagli eretici e dagli scismatici (Mt 24, 24), se non nel momento in cui questi ricoprono ruoli d’autorità nella Chiesa? Ma la Chiesa è indefettibile, ripetono alcuni con petulanza.
E lo è davvero: nonostante la stragrande maggioranza dei suoi vescovi infierisca su di essa e agisca di concerto con nemici di Cristo. La Chiesa Cattolica è indefettibile nel senso che essa non può mai venir meno nella sua missione di custodire e trasmettere la Verità rivelata da Dio, né può cadere in errore definitivo nella sua Fede e nella sua Morale. E questo di fatto non accade nemmeno quando una Gerarchia eretica e corrotta cerca di oscurare o di sfigurare il sacro Deposito della Fede. Non dimentichiamo che la Chiesa non è solo quella militante su questa terra (hic) e oggi (nunc), ma è anche quella penitente in Purgatorio e trionfante in Paradiso.
La sua compagine celeste è garanzia di quell’indefettibilità che il suo divino Fondatore le ha promesso e che lo Spirito Santo le assicura. E se la chiesa conciliare-sinodale che oggi si presenta come militante contraddice quella di ieri, spezzando la continuità e l’unità nella Professione dell’unica Fede che la rende una e apostolica anche nel fluire del tempo e non solo nella sua diffusione nello spazio, essa non è più la stessa Chiesa.
Per questo il Signore non manca di suscitare una vox clamantis in deserto che rompa il muro di silenzio e di complicità dei congiurati: mi riferisco ai “dottori degli ultimi tempi” cui accenna Augustin Lémann (9) nel suo saggio L’Anticristo. Sono i nuovi Sant’Atanasio imprigionati, esiliati, perseguitati ma infine risarciti dalla Giustizia divina con la proclamazione della loro santità. Ecco come il grande Vescovo di Alessandria e Dottore della Chiesa si rivolge ai fedeli durante la grande eresia ariana (10):
Che Dio vi consoli! (…) Quello che rattrista (…) è il fatto che gli altri hanno occupato le chiese con violenza, mentre in questo periodo voi vi trovate fuori. È un dato di fatto che hanno la sede, ma voi avete la Fede apostolica. Possono occupare le nostre chiese, ma sono al di fuori della vera Fede. Voi rimanete al di fuori dei luoghi di culto, ma la Fede abita in voi. Vediamo: che cosa è più importante, il luogo o la Fede? La vera Fede, ovviamente. Chi ha perso e chi ha vinto in questa lotta – quella che mantiene la sede o chi osserva la Fede? È vero, gli edifici sono buoni, quando vi è predicata la Fede apostolica; essi sono santi, se tutto vi si svolge in modo santo… Voi siete quelli che sono felici, voi che rimanete dentro la Chiesa per la vostra Fede, che mantenete salda nei fondamenti come sono giunti fino a voi dalla Tradizione apostolica, e se qualche esecrabile gelosamente cerca di scuoterla in varie occasioni, non ha successo. Essi sono quelli che si sono staccati da essa nella crisi attuale. Nessuno, mai, prevarrà contro la vostra Fede, amati fratelli, e noi crediamo che Dio ci farà restituire un giorno le nostre chiese. Quanto più i violenti cercano di occupare i luoghi di culto, tanto più essi si separano dalla Chiesa. Essi sostengono che rappresentano la Chiesa, ma in realtà sono quelli che ne sono a loro volta espulsi e vanno fuori strada. Anche se i Cattolici fedeli alla Tradizione sono ridotti a una manciata, sono loro che sono la vera Chiesa di Gesù Cristo.
L’accusa ricorrente che tanto i Conservatori e i Sinodali rivolgono a chi rimane saldo nella Fede e denuncia i loro errori è di volersi creare una propria chiesa, separandosi con lo scisma dalla Chiesa Cattolica, visibile e gerarchica, di cui essi si sono però impossessati con un vero e proprio golpe e nella quale pretendono di esercitare una legittima Autorità per gli scopi opposti a quelli che Nostro Signore le ha affidato.
Ma non sono stati forse costoro, con i loro errori condannati da tutti i Papi preconciliari, a crearsi una chiesa parallela che contraddice il Magistero immutabile e sovverte il Papato? Come può un’autorità ribelle a Cristo Capo del Corpo Mistico pretendere di esercitare l’Autorità di Cristo per contraddire la Sua Parola?
Come può chi si è separato dalla comunione ecclesiale con la vera Chiesa Cattolica Apostolica Romana accusare di scisma chi le rimane fedele?
+ Carlo Maria Viganò
Arcivescovo
Il Canonico Augustin Lémann, ebreo francese, si convertì al Cattolicesimo insieme al fratello Joseph. Divenuti amici di Pio IX, furono entrambi consultori del Concilio Vaticano I.
10) Sant’Atanasio, Epistolæ festales, Lettera XXIX, in: Coll. Selecta SS. Eccl. Patrum, a cura di Caillaud e Guillon, vol. 32, pagg. 411-412.Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Pensiero
Ci risiamo: il papa loda Don Milani. Torna l’ombra della pedofilia sulla Chiesa e sul futuro del mondo
Ci risiamo, ed è l’ennesimo spettacolo doloroso e mostruoso cui tocca assistere: il nuovo papa loda Don Milani. Le implicazioni di questa scelta sono spaventose.
L’11 ottobre, parlando ai pellegrini delle diocesi toscane, Prevost ha citato in modo molto benevolo il controverso prete-maestro della Barbiana: «Don Lorenzo Milani, profeta della Chiesa toscana, che Papa Francesco ha definito “testimone e interprete della trasformazione sociale ed economica”, aveva come motto “I care“, cioè “mi importa”, mi interessa, mi sta a cuore».
Questa cosa del Don Milani «profeta» (colui che anticipa i tempi: a suo modo, non errato) non è nuova: Leone il 12 giugno all’incontro con il clero della diocesi di Roma aveva definito di Don Lorenzo Milani come di «un profeta di pace e giustizia».
La chiesa conciliare, quindi, non lascia Don Milani. No: raddoppia.
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Per noi non è solo il segno chiaro della contiguità assoluta, e infame, con il papato di Bergoglio. Ci prende l’idea di forze oscure – davvero oscure – che bramano per espugnare definitivamente il Soglio e devastare l’umanità tutta.
Perché, per chi si è perso le puntante precedenti – o chi, da buon boomer, si informa su TV e giornali senza chiedersi nessuno sforzo personale per la comprensione della realtà – Don Milani, la grande icona della sinistra (non solo quella, vero Salvini?) e dei cattolici benpensanti, negli ultimi anni è stato accusato di essere una figura molto ambigua, che in una sua lettera, pubblicata dagli stessi seguaci, parlava della sodomizzazione dei suoi allievi ragazzi.
Citiamo dalla lettera di Don Milani a Giorgio Pecorini, contenuta nel libro di quest’ultimo Don Milani! Chi era Costui?, edito Baldini&Castoldi nel 1996, alle pagine3 86-391.
«… Come facevo a spiegare che amo i miei parrocchiani più che la Chiesa e il Papa? E che se un rischio corro per l’anima mia non è certo quello di aver poco amato, ma piuttosto di amare troppo (cioè di portarmeli anche a letto!). E chi non farà scuola così non farà mai vera scuola e è inutile che disquisisca tra scuola confessionale e non confessionale e inutile che si preoccupi di riempire la sua scuola di immaginette sacre e di discorsi edificanti perché la gente non crede a chi non ama e è inutile che tenti di allontanare dalla scuola i professori atei … E chi potrà mai amare i ragazzi fino all’osso senza finire col metterglielo anche in culo se non un maestro che insieme a loro ami anche Dio e tema l’Inferno e desideri il Paradiso?». Il corsivo è nostro.
Ora, questo brano è impossibile che in Vaticano non lo hanno letto. Non dopo che, all’altezza del fallito push per la beatificazione del 2019, era rispuntato fuori in tutta il suo orrore. E non solo nei circoletti tradizionalisti, o in intelligentissimi pubblicazioni come Il Covile. La faccenda era rispuntata nel mainstream, quello dei giornaloni e dei grandi editori.
Mi hanno scritto in diversi che dell’episodio non ricordano più niente. Quindi, sintetizzo.
Il 5 giugno il ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli organizza al MIUR «un evento dedicato a Don Milani, a cinquant’anni dalla sua scomparsa (…) “Avere una scuola aperta ed inclusiva era l’obiettivo di Don Milani ed è l’impegno del mio ministero».
C’è, notevole, una vera convergenza con il Sacro Palazzo: «a scuola, come ci ha ricordato il papa nel messaggio inviato per l’evento dedicato oggi a Don Milani, nell’ambito della Fiera dell’editoria, deve essere capace di dare una risposta alle esigenze delle ragazze e dei ragazzi più giovani» scrive la nota del MIUR.
Non ci sono solo le parole. Il 20 giugno 2017 Bergoglio effettua un «pellegrinaggio» (sic – proprio come per i viaggi presso santuari e luoghi sacri) a Barbiana, per onorare don Milani.
In quei giorni, strana coincidenza davvero, esce per Rizzoli un libro di un celebrato scrittore nazionale, tale Walter Siti. Sedicente omosessuale, nei circoli giusti il Siti conta: normalista, professore universitario, studioso di Montale, curatore delle opere di Pasolini (lui), collaboratori dei giornali di De Benedetti Repubblica e Domani, pochi anni prima aveva vinto il premio Strega. Una voce difficile da ignorare nel contesto dei grandi media di regime.
Il romanzo, che oggi per qualche ragione si vende su Amazon in cartaceo a 100 euro, si intitola Bruciare tutto. Racconta la storia di Don Leo, un immaginario prete pedofilo, e dei suoi struggimenti. È un’opera di fiction, ma si apre con una dedica che apre un bello squarcio sulla realtà: «All’ombra ferita e forte di don Lorenzo Milani».
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Boom. I giornali cominciano ad occuparsene: «Ho creduto che don Milani somigliasse al mio prete pedofilo» titola un articolo sul sito apparso su La Repubblica. Qualche giorno prima, un commento («La pedofilia come salvezza. L’inaccettabile romanzo di Siti») era partito dalla filosofa del PD Michela Marzano, nota per la sua attenzione al tema dell’anoressia e il suo abortismo militante.
Il 21 aprile la bizantinista TV Silvia Ronchey, figlia del ministro PRI Alberto Ronchey e cognata della collaboratrice dell’Osservatore Romano Lucetta Scaraffia in Galli della Loggia, aveva scritto un’ulteriore difesa («Le vere parole di Don Milani») su La Repubblica, che forse è una toppa peggio del buco: prima definisce il Milani come «è un ebreo non praticante che fa “indigestione di Cristo” (…) la sua conversione non è certo dall’ebraismo al cristianesimo, bensì da un battesimo di convenienza, ricevuto per sfuggire alle leggi razziali, a un abito scomodo, indossato per vocazione di riscatto»; poi lo scrive egli era «calamitato dalla letteratura, dalla poesia, dalla pittura fin da adolescente, artista bohémien dalla non celata omosessualità nella Firenze di fine anni Trenta».
«Non celata omosessualità»: quindi, almeno dell’omofilia del prete-icona tutti sapevano, allora come oggi? Almeno fra le élite, era cosa nota? È un argomento che non va trattato con il popolo? Chiediamo.
Non che l’interessato non sapesse di cosa si parlasse. in una lettera sul suo direttore spirituale don Raffaele Bensi, nume tutelare della chiesa «resistenziale» della Firenze del dopoguerra, scrisse: «può darsi che lei abbia in vista una felice sintesi delle due cose, di cui io invece non intravedo la compatibilità p. es. passare a un tempo da finocchio e da maestro, da eretico e da padre della Chiesa, da murato vivo nel chiostro e da pubblicatore del più polemico dei libri».
A Firenze, va detto, chiacchierano di Bensi. Si dice avesse bruciato tutta la corrispondenza privata, dove, sostiene Neera Fallaci, forse si parlava anche di Paolo VI.
Le pulsioni sono disseminati in altre regioni dell’epistolario milaniano. In un’altra lettera ad un amico vi sarebbe scritto «Vita spirituale? Ma sai in che consiste oggi per me? Nel tenere le mani a posto».
Forse, abbiamo pensato, davvero tutti sapevano. Tuttavia qui c’è un primo grande mistero: come è possibile che prima del Concilio Vaticano II, quando la selezione dei sacerdoti scartava immediatamente quanti erano anche solo lontanamente sospettati di avere pulsioni omofile, il Milani sia riuscito a farsi consacrare?
Andiamo poco oltre, e troviamo un’ulteriore storia terrificante, quella del Forteto. Va chiarito che non vi sono prove del coinvolgimento dei guru fortetani con il Milani. La comunità nacque dopo la morte di Don Lorenzo, tuttavia il fatto che il donmilanismo potesse essere stato un’ispirazione è un’idea piuttosto accettata.
Il Forteto è, secondo il vaticanista Sandro Magister, «quella catastrofe che si è consumata in quel di Firenze, tra i circoli cattolici che fanno riferimento a don Lorenzo Milani e alla sua scuola di Barbiana. Una catastrofe che opinionisti e media hanno a lungo negato o passato sotto silenzio, per ragioni che si intuiscono dalla semplice ricostruzione dei fatti».
Al Forteto, scrive la Relazione della Commissione regionale d’inchiesta «l’omosessualità era non solo permessa ma addirittura incentivata, un percorso obbligato verso quella che Fiesoli [il leader della comunità, ndr] definiva “liberazione dalla materialità” (…) l’amore riconosciuto e accettato, l’amore vero, alto e nobile era solo quello con lo stesso sesso (…) Il bene e l’amore vero erano quelli di tipo omosessuale, perché lì non c’è materia».
Faccenda è complicata e spaventosa. Ci hanno messo dentro di tutto. Renovatio 21 ha pubblicato un’intervista al magistrato Giuliano Mignini, che si occupò oltre che del caso Kercher anche di quello del Mostro di Firenze, in cui accenna a questioni di cui ha parlato di recente anche alla «Commissione Parlamentare d’inchiesta sui fatti accaduti presso la comunità Il Forteto»,
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In realtà, non vorremmo tornare a riparlare di tutto questo – ne abbiamo trattato più di dieci anni fa, arrivando a partecipare una conferenza in Regione Toscana con vari soggetti, tra cui Giovanni Donzelli, allora consigliere regionale e oggi parlamentare membro del cerchio magico della Meloni, mentre ad organizzare c’era l’indomito Pucci Cipriani, che per decenni ha combattuto il Don Milani e il donmilanismo.
Qui ci importa di notare altro. Dinanzi a questa mole assoluta di melma, Leone, come con il blocco di ghiaccio benedetto e la sua benedizione cringe, tira dritto, come se niente fosse: viva Don Milani, dice il papa americano, chiaramente imbeccato da qualche puparo della gerarchia. L’agenda della neochiesa va avanti. Ma verso dove?
Già. Noi avevamo una nostra allucinante ipotesi. In quell’articolo di oramai otto anni fa scrivevamo: «La finestra di Overton, già spalancata per l’omoeresia, ora pare aprirsi, per mano del Papa, per la pederastia ecclesiastica (…) Il cosiddetto “ritardo cattolico” martiniano è finito. La società secolare può metterci anni a normalizzare la pedofilia; la Chiesa ci può invece impiegare pochissimo. Con il golpe modernista è tutto chiaro: la dissoluzione aumenta esponenzialmente, e la foga satanica contro l’Ecclesia è ben maggiore di quella usata contro la società civile».
Cosa stai dicendo? Il Vaticano, che tanto sta pagando per la questione delle vittime degli orrendi abusi commessi da sacerdoti e vescovi… starebbe lavorando per normalizzare la pedofilia?
Le forze che controllano l’agenda del papato possono volere un tale abisso? Eccerto.
E cosa pensate, che il Male non si concentri sul katechon? Che l’avversario non voglia distruggere la diga costruita da Cristo? Credete che Satana non voglia che il pontefice smetta di creare ponti con il Paradiso?
Pensate davvero che chi vuole il dominio del maligno sulla Terra non cerchi di corrompere la Chiesa dall’interno?
Capiteci: la finestra di Overton spalancata sulla pedofilia è solo uno dei tasselli del disegno, che in realtà è già bello che scritto: una società mostruosa, dove i tabù – compreso soprattutto l’incesto – sono rimossi definitivamente dai suoi schiavi perverso-polimorfi, dove la morte (per eutanasia, per aborto, per omicidio tout court pienamente legalizzato) è un valore auspicabile, e con essa, vero obiettivo, il sacrificio umano.
Ecco che approntano il Regno Sociale di Satana, e lavorano incessantemente non solo per plasmarne la «morale» demoniaca, ma per progettarlo biologicamente: Renovatio 21 ha cercato di ripeterlo negli anni, i bambini della provetta potrebbero essere proprio coloro «il cui nome non è scritto nel libro della vita fin dalla fondazione del mondo» (Ap 13, 8) di cui parla San Giovanni nell’Apocalisse. Cioè, il futuro popolo, il futuro esercito, dell’anticristo.
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Roma si sta muovendo anche lì, verso lo sdoganamento papista degli umanoidi: e non solo con conferenze ammicanti, ma con la proposta (incredibile davvero) di beatificare il politico democristiano che tanto lavorò per normare, cioè permettere, la fecondazione in vitro in Italia. Dell’agghiacciante processo di beatificazione di Carlo Casini – che gli ebeti pro-vita italici celebrano ancora oggi – avremo modo di scrivere più avanti.
Non siamo davanti ad una questione politica. Si tratta di una battaglia metafisica, la guerra spirituale per la salute del mondo, per salvare il pianeta dall’inferno.
Volenti o nolenti, lo sappiate o no, a questo siete chiamati dall’ora presente.
E, io dico, non c’è onore più grande.
Roberto Dal Bosco
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Immagine rielaborata da pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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