Pensiero
San Pio X, un piccolo pellegrinaggio. E una grande storia
Ho partecipato con mio figlio al pellegrinaggio organizzato dalla Fraternità San Pio X per venerare il corpo di San Pio X presso il Santuario della Beata Vergine delle Cendrole, a Riese San Pio X.
Le spoglie del santo papa veneto sono state eccezionalmente riportate in Veneto, sua terra natale, per il 120° anniversario della sua elezione al Soglio pontificio.
È stata una giornata speciale. Perché, come dicevo a mio figlio, quando mai ricapiterà: forse tra un secolo, se l’umanità non cesserà di esistere, forse tra due. Io non riuscirò a rivedere una cosa del genere, lui forse nemmeno, ma il senso della Tradizione sta proprio qui – tramandare, di padre in figlio. Potrà esserci un momento, in un futuro che non riesco a vedere, in cui mio figlio lo racconterà a suo figlio, e questi a suo figlio… e alla fine, qualche discendente forse tornerà a vedere il corpo del Santo che aveva capito tutto degli ultimi secoli, che aveva lucidamente visualizzato l’ora presente.
Per questa chiarezza, noi gli siamo grati, e abbiamo offerto la nostra venerazione di pellegrini.
Vi sono tuttavia delle note frivoli, cioè, essenziali, da fare. Partecipare al pellegrinaggio, con il suo serpentone infinito di fedeli della Tradizione cattolica, è stato un toccasana per l’umore.
Si incontrano tante persone, da tutta Italia, da tutta Europa, da tutto il mondo, che non si vedevano da tempo, ma che si sa esistono, persistono, in una dimensione lontana tuttavia in piena consonanza di spirito.
Ci sono tanti, tantissimi giovani. Bambini. Neonati. Famiglie, magari tre generazioni tutte presenti al contempo.
Si vedono i preti: tanti, da ogni angolo del pianeta (dall’Italia all’Alaska). Alcuni sono cresciuti dentro la Fraternità, provengono da famiglie che li hanno portati sin da bambini alla vera Messa. Sono preti veri, e a chi non li conosce basta la talare per capirlo. Nei giorni in cui esce la notizia delle messe senza prete a Genova e in altre parti del Paese, vedere questa quantità di consacrati, presenti e determinati, è un segno di forza spirituale potentissimo.
Ci sono i seminaristi, questi ragazzotti giovanissimi, elegantissimi nella loro lunga veste nere – un’eleganza che promana dalla forza della loro scelta – che ho beccato dietro la chiesa, dopo la Messa, a mangiare delle merendine, perché la colazione, per fare la comunione, la avevano certamente saltata.
E poi, soprattutto, ecco le suore: tante, tantissime, venute con un pullman dal monastero nel Lazio, giovanissime, quasi tutte italiane, la madre superiora che irradia rispetto a centinaia di metri di distanza. Quando mai capita di vederla, questa distesa di suorine? Non spesso, a me può capitare qualche volta l’anno, ed è sempre una visione edificante, che rigenera una qualche parte di me che mi ero scordato di avere.
(La figura della suora è oramai completamente disintegrata dalla società: un discorso che prima o poi faremo è sulla sparizione delle suore negli ospedali, dove un tempo imperavano, e senza di loro si è visto come è andata)
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Durante la marcia, oltre al Santo Rosario, è risuonato il canto Noi vogliam Dio. «Noi vogliam Dio, Vergin Maria / (…) Noi vogliam Dio nelle famiglie / (…) Noi vogliam Dio in ogni scuola / (…) Noi vogliam Dio nell’officina / (…) Noi vogliam Dio nella coscienza».
Quanto è bello cantare a squarciagola questo fiero anacronismo, questo pugno nello stomaco a chi ha distrutto la società: perché qui è detto tutto, togli Dio dalle aule, dalle case, dal lavoro, dalla tua vita e quello che ottiene è l’avanzata dell’Inferno che è sotto i nostri occhi.
Il canto venne rifatto, per osceno dileggio, dai partigiani delle Brigate Garibaldi organizzate dal Partito Comunista Italiano. Ma a noi cosa interessa? Potete sentire le voci angeliche delle suorine in sottofondo? Potete comprendere che nulla e nessuno può fermare un popolo armato della Fede?
Santuario della Beata Vergine delle Cendrole era uno dei luoghi dove, quasi due secoli fa, era possibile incontrare Giuseppe Melchiorre Sarto, il futuro San Pio X. Il percorso della processione d’un tratto è uscito dalla strada principale per andare su un sentiero nella boscaglia che sbucava proprio davanti alla chiesa: «era la scorciatoia che prendeva per tagliare» mi hanno detto.
Si faceva un po’ di fila per entrare, ma niente di che. Quando sono entrato in chiesa – che è antica, e molto bella – ammetto di essermi fatto distrarre stupidamente. Un tizio con una camicia hawaiana era salito sull’altare, e con un microfono proferiva invocazioni, organizzate probabilmente dalla parrocchia locale o dalla diocesi – l’evento era organizzato dal Comune e da altri enti del territorio.
Ho fatto in tempo a sentire le parole «custodia del creato», «casa comune», e forse pure «conversione ecologica». Il dogma ambientalista bergogliano microfonato sul corpo di San Pio X.
Poi mi sono reso conto che stavo sbagliando: non dovevo sintonizzare il mio essere sul presente, sul presente papato, sul cattolicesimo moderno. Dovevo prendere la mia anima e mio figlio e cercare di disporla nell’altra dimensione, quella dell’eterno. Il rifiuto del modernismo articolato in maniera infallibile da San Pio in fondo dice questo.
Mi sono così inginocchiato davanti alla teca con il corpo del Santo. Anche il mio piccolo lo ha fatto. Abbiamo pregato. Poi quando era venuto il momento di alzarsi, era come se non ne avessi voglia. Sentivo, nei pellegrini della Fraternità che entravano e circondavano le spoglie del papa, come un senso di stupore, e di gratitudine, che si diffondeva nell’aria. Era, credo, devozione. Qualcosa di rarissimo, oggi. Qualcosa che però se cerchi, puoi ancora trovare.
Sono rimasto in ginocchio fino a perdere consapevolezza di esserlo. Il bambino non ha battuto ciglio, ed è rimasto come me per tutto il tempo. È stato Don Massimo a svegliarmi toccandomi una spalla, come per dire pragmaticamente: «in piedi, dai».
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San Pio X è il papa dell’enciclica Pascendi Dominici gregis (1907), quella con cui condannava il modernismo «sintesi di tutte le eresie». Il mondo agnostico e materialista di oggi era già stato compreso perfettamente da papa Sarto. Gli era chiaro che stavano preparando una società del rifiuto del divino, un’umanità che considera la verità come mutante, progressivamente cangiante – cioè, nessuna verità possibile. Gli era chiaro che era in caricamento una religione fatta a misura di ciascuno, una religione interiore, soggettivistica, che quindi non aveva più bisogno né di Rivelazione (cioè di Gesù, cioè di Dio), né, in ultima analisi, di riti – se pensate alle «messe senza prete» apparse ora potete capire tutto.
Recidere il legame tra l’essere umano e il reale: il mondo dell’individualismo più autistico, delle religioni fai-da-te, delle perversioni liberali, della realtà virtuale più catatonica, dove l’uomo è titolato a credere e operare secondo qualsiasi sciocchezza interiore, era pienamente prevista da Pio X. I semi nella filosofia e nella teologia del tempo erano incontrovertibili.
Non è chiaro come sia possibile che una società che oggi ricorda Pio X non si renda conto dell’abisso che divide il Santo dall’ora presente – l’abisso che lui aveva indicato, e operato per scongiurare.
C’è, visibile, anche in cartelloni ora issati per l’occasione sulle strade del suo Paese natale, una – per così dire – «banalizzazione» di Giuseppe Sarto. Si ricordano varie sue battute in Veneto, come quando sua madre vedendolo per la prima volta vestito da cardinale gli disse «Ti xé tuto roso» («Sei tutto rosso») e lui rispose «e ti te sì tuta bianca» («e tu sei tutta bianca»).
Gli annali ricordano poi la battuta con cui salvò il tango, quando la liceità del sensuale ballo argentino fu portata al suo giudizio, dopo che la chiesa parigina aveva chiesto l’interdizione: «Mi me pàr che sia più bèo el bało a ‘ea furlana; ma no vedo che gran pecài ghe sia in stò novo bało!» (A me pare che si più bello il ballo alla friulana, ma non vedo esservi grandi peccati in questo nuovo ballo») disse dopo aver assistito ad una esibizione del ballo fatta per lui.
Per capire la profondità della figura, tuttavia, noi vogliamo ricordare un’altra udienza privata, che serve a capire la portata della mente del Santo.
Theodor Herzl (1860-1940) è stato l’intellettuale (non un rabbino…) che fondò il movimento politico del sionismo: fu lui a programmare, quindi, il ritorno degli ebrei in quello che all’epoca era il mandato britannico della Palestina, al fine di creare uno Stato Ebraico. Per gli appassionati: è lo stesso personaggio citato da Walter, il singolare cattolico polacco convertito all’ebraismo, ne Il Grande Lebowski. (– «Se lo vuoi con forza non è un sogno» – «… che cosa hai detto?» – «Theodor Herzl. Lo Stato di Israele. Se lo vuoi con forza non è un sogno»)
Il 26 gennaio 1904 papa Pio X concesse udienza a Herzl. L’incontro era stato organizzato da un ritrattista papale austriaco, Berthold Dominik Lippay (1864-1919), che il sionista aveva incontrato a Venezia. Lo scopo dell’incontro, per Herzl, era chiedere il sostegno papale per la creazione di uno Stato Ebraico in Palestina.
«Fui condotto dal Papa attraverso numerose piccole sale. Mi ricevette in piedi e mi porse la mano, che io non baciai» scrive Herzl nei suoi diari. «Lippay mi aveva detto di farlo, ma io non lo feci. Credo che questo gli dispiacque perché chiunque va in visita da lui si inginocchia o per lo meno gli bacia la mano. Questo baciamano mi causò molti dispiaceri. Sono stato molto contento quando finalmente cadde in disuso» assicura fiero il fondatore del sionismo.
«Egli sedette su una poltrona, un trono per occasioni minori. Poi mi invitò a sedermi accanto a lui e sorrise in amichevole attesa. (….) Gli presentai brevemente la mia richiesta. Tuttavia egli, forse infastidito dal mio rifiuto di baciargli la mano, rispose in modo duro e risoluto».
«”Noi non possiamo favorire questo movimento. Non potremo impedire agli Ebrei di andare a Gerusalemme — ma favorire non possiamo mai. La terra di Gerusalemme se non era sempre santa, è santificata per la vita di Jesu Christo” (egli non pronunciò Gesù, ma Yesu, secondo la pronuncia veneta)». Incredibile come le doti superomistiche del sionista gli dessero piena conoscenza della lingua veneta. Tuttavia, specifichiamo, in Veneto si dice «Gesù» e non «Yesu», ma questo forse è un errore di traduzione.
Quindi il papa santo arrivò al dunque.
«”Io come capo della Chiesa non posso dirle altra cosa. Gli Ebrei non hanno riconosciuto nostro Signore, perciò non possiamo riconoscere il popolo ebreo”» disse Pio X.
«Il conflitto tra Roma, rappresentata da lui, e Gerusalemme, rappresentata da me, si aprì ancora una volta» annota Herzl sul suo diario – e non si sa se con amarezza o con minacciosa superbia.
Ci sono secoli di questioni che Herzl, che si sente di rappresentare Gerusalemme, non conosce. Sorvoliamo, cercando solo di indicare al lettore la realtà odierna, di cui può farsi un’idea da solo. È oggettivo, ad ogni modo, che il ritorno degli ebrei in Palestina non è stato un processo indolore – per nessuno – e continua a non esserlo. E, come sappiamo, non solo alcuni israeliani «non hanno riconosciuto nostro Signore», ma oggi sputano materialmente sopra ai suoi fedeli.
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Scendiamo ancora più a fondo, per dire qualcosa di incredibile – una mia opinione, una mia piccola, tragica visione metastorica.
La storia – negata da alcuni sacerdoti che stimo molto, tuttavia persistente – vuole che quando dopo la morte di Leone XIII si aprì il conclave (primo di agosto 1903) il candidato più papabile fosse l’allora segretario di Stato Mariano Rampolla del Tindaro (1843-1913), cardinale arcivescovo siciliano considerato vicino alla Terza Repubblica francese, che usava politiche antireligiose e massoniche, e ad idee, diciamo così, «liberali».
Nel solenne momento della scelta del futuro papa, vi fu però una grande sorpresa: il vescovo di Cracovia, cardinale Puzyna, annunciò che l’imperatore austro-ungarico Francesco Giuseppe usava un suo antico diritto come sovrano di del Sacro Romano Impero per porre il veto sull’elezione del cardinale Rampolla. Paradossalmente, una delle prime azioni di Pio X fu l’abolizione del cosiddetto jus exclusivae (o veto laicale) attraverso la costituzione apostolica Commissum Nobis. Tale forma di veto, che era in mano a certi sovrani cattolici e che aveva contribuito alla sua elezione come pontefice, è stata eliminata.
Eletto con 50 voti su 62, Giuseppe Sarto cominciò la sua opera di lotta all’infiltrazione modernista e alla laicizzazione della società.
Ma perché Francesco Giuseppe si era opposto all’elezione del cardinale Rampolla? Perché era filo-francese, cioè filo-Terza Repubblica «laica», dicono gli storici mainstream. All’epoca invece ambienti come quelli dell’Action Française, e non solo, dichiararono che invece l’opposizione dell’imperatore cattolico era dovuta ad una presunta appartenenza di Rampolla alla massoneria, o forse perfino ad un ordine neotemplare. Un vescovo straniero, tanti anni fa, mi disse che prove dell’affiliazione del cardinale sarebbero emerse anche quando questi morì, tuttavia nessuno storico ha mai portato prova certa.
Quindi, ipotizziamo, la massoneria era già infiltrata nella Chiesa nel XIX secolo? Già allora stava per fare il colpaccio e prendersi il Soglio di Pietro? Secondo queste voci, parrebbe.
Il progetto, per chi conosce le istruzioni dell’Alta Vendita – le lettere dei vertici ultramassonici Nubius, Piccolo Tigre, Volpe, Vindice – sa che era già segnato da decenni: «Or dunque, per assicurarci un Papa secondo il nostro cuore, si tratta prima di tutto, di formare, a questo Papa, una generazione degna del regno che noi desideriamo. Lasciate in disparte i vecchi e gli uomini maturi; andate, invece, diritto alla gioventù, e, se è possibile, anche all’infanzia».
Sappiamo come tali lettere poi raccontassero del programma di rovina morale, attaccando soprattutto la donna: «Per abbattere il cattolicismo, bisogna prima sopprimere la donna. La frase è vera in un senso, ma poiché non possiamo sopprimere la donna, corrompiamola».
Pio X, con la sua azione, ribaltò di fatto il programma massonico, lo individuò, ne scovò i dettagli più intimi tramite il Sodalitium Pianum, la rete segreta di informazione affidata a monsignor Umberto Benigni (1862-1934). Nessuno ostacolo fu più grande, per l’adempiersi del progetto della Loggia, del Santo di Riese.
Qui diviene interessante notare la coincidenza: l’anno della morte di papa Sarto e lo stesso anno dello scoppio della Prima Guerra Mondiale – il fatale 1914.
Molti ritengono che la Grande Guerra altro non sia che una parte di un piano per togliere di mezzo il cristianesimo dal Vecchio Continente: di fatto, il risultato fu la distruzione, dopo secoli e secoli, del Sacro Romano Impero, e aggiungiamo pure della Russia Zarista, ancorata sul cristianesimo ortodosso.
Lo schema di disintegrazione del cattolicesimo prevedeva la sparizione dell’Impero d’Austria, suo garante e protettore – come dimostrato dal veto su Rampolla papa.
Qui faccio la mia considerazione: la Grande Guerra è un effetto indiretto del conclave del 1903? Non potendo sconfiggere San Pio X, e vedendo la portata della sua opera, i massoni hanno scatenato una guerra mondiale, con strage infinita di poveri ragazzi?
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Nessuno può togliermi per la testa questa idea. Così come si può finire a pensare che il primo dopoguerra, con le sue richieste impossibili alla Germania sconfitta, di fatto preparasse una nuova guerra, il cui risultato sarebbe stato l’esclusione definitiva dell’Europa – il continente radice del cristianesimo – dalla scena mondiale. Sono stati creati, dopo il 1945, due blocchi, più o meno extraeuropei, la cui sfida combacia perfettamente con il principio dialettico massonico-hegeliano per cui gli opposti che creano una sintesi – una sintesi desiderata. Il pavimento a scacchi delle logge massoniche può significare proprio questo.
L’Europa è morta due volte: con una guerra per distruggere gli imperi e il cattolicesimo, e con una per togliere di mezzo qualsiasi sua pretesa sulla storia mondiale. Non ci stupiamo, quindi, se ora è invasa da africani e islamici ed incapace di reggere a qualsiasi conflitto le si pone dinanzi.
Questo massacro è finito? No.
Il 15 agosto 1871 Albert Pike (1809-1891), il cosiddetto «papa della massoneria», generale sudista americano e forse fondatore del Ku Klux Klan, scrive al supermassone e agente britannico Giuseppe Mazzini (1805-1872), ancor ‘oggi considerato eroe nazionale in Italia (pur essendo morto, come Bin Laden, da latitante): «Noi scateneremo i nichilisti e gli atei e provocheremo un cataclisma sociale formidabile che mostrerà chiaramente, in tutto il suo orrore, alle Nazioni, l’effetto dell’ateismo assoluto, origine della barbarie e della sovversione sanguinaria».
Alcuni dicono che il carteggio tra l’antipapista statunitense e l’antipapista italiano non esistono. Tuttavia, un commodoro della marina canadese, William Carr, dice di avere vedute le lettere a Londra, e in seguito vi scrisse un libro che le riassumeva. Altri ritengono che tali documenti siano secretati alla Temple House, sede della massoneria di Rito Scozzese di Washington.
Vale la pena di leggere le supposte parole del Pike. Tanti campanelli, a un secolo e mezzo di distanza, potrebbero risuonare nella mente del lettore.
«Allora ovunque i cittadini, obbligati a difendersi contro una minoranza mondiale di rivoluzionari, questi distruttori della civiltà, e la moltitudine disingannata dal cristianesimo, i cui adoratori saranno da quel momento privi di orientamento alla ricerca di un ideale, senza più sapere ove dirigere l’adorazione, riceveranno la vera luce attraverso la manifestazione universale della pura dottrina di Lucifero rivelata finalmente alla vista del pubblico, manifestazione alla quale seguirà la distruzione della Cristianità e dell’ateismo conquistati e schiacciati allo stesso tempo!»
Si prepara, insomma, la guerra ulteriore, la guerra satanica. Il processo, definitivo, per la sottomissione dell’umanità al demonio – la concrezione del Regno sociale di Satana. Se ciò stia per accadere, o se stia già accadendo, decidetelo da voi.
San Pio X aveva, tuttavia, già l’antidoto pronto: «Instaurare omnia in Christo». Restaurare ogni cosa in Cristo. Riformare, riformulare, ridisegnare, riedificare la società secondo Dio – e non secondo l’uomo, né secondo altro; non secondo «Gaia», non secondo la Pachamama, la «madre Terra» o qualsiasi altra follia idolatrica portata avanti dalla mostruosa neochiesa, per la quale, abbiamo visto, potrebbe valere il detto «Instaurare omnia in Chtulhu».
La soluzione ai problemi del mondo – in Palestina, in Ucraina, in Italia, nel vostro quartiere, nella vostra famiglia, nel vostro cuore – è tutta qua.
Tutta quella gente con cui sabato scorso io e il mio bimbo abbiamo camminato cantando «Noi vogliam Dio» lo sa. È già tanto, è tantissimo.
È la speranza con cui costruiamo, ora, il futuro dei nostri figli, e dei loro figli, e dei figli di questi, nella catena sacra della vita umana che da Adamo arriverà sino all’Apocalisse.
Sancte Pie Decime, ora pro nobis.
Roberto Dal Bosco
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Sterminio e «matrice satanica del piano globalista»: Mons. Viganò invita a «guardare oltre» la farsa psicopandemica
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Pensiero
Verso il liberalismo omotransumanista. Tucker Carlson intervista Dugin
Il giornalista americano Tucker Carlson ha pubblicato una potente intervista con il filosofo russo Aleksandr Dugin. La conversazione è stata pubblicata lunedì sul sito Tucker Carlson Network e sul suo canale YouTube.
L’incontro è avvenuto durante in viaggio di Carlson a Mosca – città nella quale Dugin gli dà il benvenuto – per la notoria intervista che il californiano ha ottenuto con il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin.
Come riportato da Renovatio 21, Dugin in un editoriale aveva sottolineato l’intervista di Carlson a Putin come un evento epocale in grado di riunire due anime della società russa, sia quella tradizionalista che quella filo-occidentale. Durante il suo soggiorno a Mosca – dove secondo alcuni sarebbe pure scampato ad un attentato, cosa di cui non vuole parlare – Tucker ha voluto incontrare Dugin, perché, racconta, curioso delle sue idee.
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Nella sua introduzione, il giornalista statunitense – dopo aver detto di credere ai servizi segreti americani quando dicono che la figlia di Dugin, Darja Dugina, è stata uccisa dagli ucraini – racconta di essere interessato a sentire qualcuno i cui libri sono stati proibiti dall’amministrazione Biden: quando lavorava ancora a Fox, Carlson fece un servizio sull’improvvisa sparizione dei libri di Dugin da Amazon, fenomeno notato da Renovatio 21 due mesi prima.
Parlando con il filosofo, ha quindi deciso di filmare i discorsi. Secondo Alex Jones, Carlson avrebbe filmato molto materiale, di cui è uscito questo segmento editato.
La conversazione pubblicata, della durata di 20 minuti, è stata particolarmente ricca di spunti di pensiero.
Ep. 99 Aleksandr Dugin is the most famous political philosopher in Russia. His ideas are considered so dangerous, the Ukrainian government murdered his daughter and Amazon won’t sell his books. We talked to him in Moscow. pic.twitter.com/4LrO0Ufg9P
— Tucker Carlson (@TuckerCarlson) April 29, 2024
Carlson chiede a Dugin cosa sta succedendo nei paesi di lingua inglese: «gli Stati Uniti, il Canada, la Gran Bretagna, la Nuova Zelanda, l’Australia hanno deciso all’improvviso di rivoltarsi contro se stessi con questo grande tumulto. E alcuni comportamenti sembrano molto autodistruttivi. Da dove pensa, come osservatore, che provenga questo?»
«Credo che tutto sia iniziato con l’individualismo» risponde Dugin. «L’individualismo era una comprensione sbagliata della natura umana, della natura dell’uomo. Quando si identifica l’individualismo con l’uomo, con la natura umana, si tagliano tutti i suoi rapporti con tutto il resto. Quindi si ha un’idea molto particolare del soggetto, del soggetto filosofico come individuo».
Qui Dugin offre una visione in linea con quella del tradizionalismo cattolico: «tutto è iniziato nel mondo anglosassone con la riforma protestante e prima ancora con il nominalismo: l’atteggiamento nominalista secondo cui non esistono idee, ma solo cose, solo cose individuali» spiega il filosofo.
«Quindi l’individuo, era la chiave ed è tuttora il concetto chiave che è stato posto al centro di un’ideologia liberale e del liberalismo poiché, nella mia lettura, è una sorta di processo storico e culturale, politico e filosofico di liberazione, dell’individuo, di qualsiasi tipo di identità collettiva, collettiva o che trascenda quella individuale».
«Tutto è iniziato con il rifiuto della Chiesa cattolica come identità collettiva, dell’impero, dell’impero occidentale come identità collettiva. Successivamente si è trattato di una rivolta contro uno Stato nazionalista come identità collettiva a favore di una società puramente civile. Dopo quella guerra, nel XX secolo ci fu la grande battaglia tra liberalismo, comunismo e fascismo. E il liberalismo ha vinto ancora una volta. E dopo la caduta dell’Unione Sovietica è rimasto solo il liberalismo».
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«Francis Fukuyama ha giustamente sottolineato che non esistono più ideologie all’infuori del liberalismo… il liberalismo, cioè la liberazione degli individui da ogni tipo di identità collettiva» spiega Dugin, citando il politologo noto negli anni Novanta per la nozione di «fine della Storia» a seguito del crollo del blocco sovietico.
«Erano rimaste solo due identità collettive da cui liberarsi: l’identità di genere perché è identità collettiva. Sei un uomo o una donna collettivamente (…) Quindi una liberazione dal genere. E questo ha portato ai transgender, alla comunità LGBT e a una nuova forma di individualismo sessuale. Quindi il sesso è qualcosa di facoltativo».
«Questa non era solo una deviazione del liberalismo. Erano elementi necessari per l’attuazione e il vincitore di questa ideologia liberale. E l’ultimo passo non ancora compiuto è la liberazione dall’identità umana. L’umanità è facoltativa. E ora stiamo scegliendo te in Occidente. Stai scegliendo il sesso che vuoi, come vuoi».
«L’ultimo passo in questo processo di liberalismo, nell’attuazione del liberalismo, significherà proprio l’umano come opzionale. Quindi puoi scegliere la tua identità individuale per essere umano, e per essere non umano. Questo ha un nome. Transumanesimo. Postumanesimo. Singolarità. Intelligenza artificiale».
«Klaus Schwab, Harari, dichiarano apertamente che il futuro dell’umanità è inevitabile. Arriviamo così alla storica stazione terminale: cinque secoli fa, siamo saliti su questo treno ed ora stiamo finalmente arrivando all’ultima stazione. Quindi questa è la mia lettura».
«Tutti gli elementi, tutte le fasi di questo, tagliano la tradizione con il passato. Quindi non sei più protestante. Sei un materialista ateo laico. Non hai più lo Stato nazionale che servì ai liberali per liberarsi dall’impero. Ora lo Stato nazionale diventa a sua volta un ostacolo. Ti stai liberando dallo Stato nazionale. Infine, la famiglia viene distrutta a favore di questo individualismo».
«E poi l’ultima cosa, il sesso, che è già quasi superato. Sesso facoltativo. E nella politica di genere c’è solo un passo per arrivare agli estremi di questo processo di liberazione, di liberalismo, cioè l’abbandono dell’identità umana come qualcosa di prescritto. Quindi essere liberi dall’essere umani, avere la possibilità di scegliere tra essere e non essere umani».
«Questa è l’agenda politica, l’agenda ideologica di domani. Ecco perché, come vedo il mondo anglosassone che mi ha chiesto» dice Dugin a Carlson. «Penso che sia solo avanguardia, perché è iniziato con gli anglosassoni, l’empirismo, il nominalismo, il protestantesimo. E ora siete in vantaggio con gli anglosassoni che sono più prosciugati dal liberalismo rispetto agli altri europei».
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Carlson procede con una domanda di approfondimento: «quindi le opzioni – per come le concepivo crescendo – erano l’individuo che può seguire la propria coscienza, dire quello che pensa, difendersi dallo Stato contro lo statalismo, il totalitarismo incarnato nel governo contro cui si lottava: il governo sovietico. E penso che la maggior parte degli americani la pensi in questo modo. Qual è la differenza?»
«Penso che il problema risieda in due definizioni di liberalismo» puntualizza Dugin. «C’è il vecchio liberalismo, il liberalismo classico. E nuovo liberalismo. Quindi il liberalismo classico era a favore della democrazia. Democrazia intesa come potere della maggioranza, del consenso, della libertà individuale. Ciò dovrebbe essere combinato in qualche modo con la libertà dell’altro».
«Ora siamo già completamente nella prossima stazione, nella fase successiva: il nuovo liberalismo. Ora non si tratta del governo della maggioranza, ma del governo delle minoranze. Non si tratta di libertà individuale, ma di wokismo. Quindi puoi essere così individualista da criticare non solo lo Stato, ma anche l’individuo, la vecchia concezione dell’individuo. Quindi ora hai bisogno di essere invitato a liberarti dall’individualità per andare oltre in quella direzione».
Dugin ricorda di averne parlato con Fukuyama in TV, «Come ha già detto in precedenza, la democrazia significa il governo della maggioranza. E ora si tratta del dominio delle minoranze contro la maggioranza, perché la maggioranza potrebbe scegliere Hitler o Putin. Quindi dobbiamo stare molto attenti con la maggioranza, e la maggioranza dovrebbe essere tenuta sotto controllo e le minoranze dovrebbero governare sulla maggioranza. Non è democrazia, è già totalitarismo».
«Ora non si tratta della difesa della libertà individuale, ma della prescrizione di essere woke, di essere moderni, di essere progressisti. Non è un tuo diritto essere o non essere progressista. È tuo dovere essere progressisti e seguire questo programma. Quindi sei libero di essere un liberale di sinistra. Non sei più abbastanza libero per essere un liberale di destra. Devi essere un liberale di sinistra. E questo è una sorta di dovere. È una prescrizione. Il liberalismo ha lottato nel corso della sua storia contro ogni tipo di prescrizione. E ora è diventato a sua volta totalitario, prescrittivo e non più libero com’era».
«E le crede che questo processo sia stato inevitabile? Sarebbe comunque successo?» domanda il Tucker.
«Percepisco qui una sorta di logica. Quindi un tipo di logica che non è solo un ritorno o una deviazione. Inizi con uno scopo: vuoi liberare l’individuo. Quando arrivi al punto in cui è possibile, viene realizzato. Quindi è necessario andare oltre. Da questo momento inizia la liberazione dalla vecchia comprensione dell’individuo in favore di concetti più progressisti. Non ci si poteva fermare qui. Questa è la mia visione».
«Quindi se dici “Oh, preferisco il vecchio liberalismo”, direbbero, i progressisti, direbbero, non si tratta del vecchio liberalismo, ma di fascismo: divieni il difensore del tradizionalismo, del conservatorismo, del fascismo. Quindi fermati qui. O divieni progressista liberale o sei finito, o ti cancelleremo. Questo è ciò che osserviamo».
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«E vedere i sedicenti liberali bandire il suo libro, che non è un manuale per fabbricare bombe o invadere l’Ucraina» dice Carlson. «Sai, queste sono opere filosofiche. Ti dice che non è, ovviamente, non è liberale in alcun senso. Mi chiedo però, quando si arriva al punto in cui l’individuo non riesce più a liberarsi da nulla, quando non è nemmeno più umano. Qual è il prossimo passo?»
«Ciò è descritto nei film, nei film americani, nei film, in molti modi. Quindi penso che, sai, tutta la fantascienza, quasi tutta quella del XIX secolo, è stata realizzata nella realtà negli anni Venti. Quindi non c’è niente di più realistico della fantascienza. E se consideriamo Matrix o Terminator, abbiamo tantissime versioni del futuro più o meno coincidenti, il futuro con la situazione post-umana o umana opzionale o con l’Intelligenza Artificiale», replica Dugin.
«Hollywood ha realizzato molti, molti, molti film. Penso che rappresentino correttamente la realtà del prossimo futuro. Ad esempio, se consideriamo l’uomo, la natura umana, come una specie di animale razionale, allora con la nostra tecnologia si può produrli, così da poter creare animali razionali o combinarli o costruirli con l’Intelligenza Artificiale».
«È una specie di re del mondo. Direi che non solo può manipolare, ma creare realtà perché le realtà sono solo immagini, solo sensazioni, solo sentimenti. Quindi penso che il futurismo post-umanista sia non solo una sorta di descrizione realistica di un futuro molto possibile e probabile, ma anche una sorta di manifesto politico. Questo è un pio desiderio».
«Il fatto che i film non descrivono un brillante futuro tradizionale. Non conosco nessun film sul futuro e sull’Occidente che dipinga un ritorno alla vita tradizionale, alla prosperità, alle famiglie con molti figli… e tutto è abbastanza nell’ombra, abbastanza oscuro. Quindi, se sei abituato a dipingere tutto di nero soprattutto nel futuro, quindi questo futuro nero una volta arriva e penso che sia il fatto che non abbiamo altra scelta. O Matrix o Intelligenza Artificiale o qualcosa del genere o Terminator. Quindi la scelta è già fuori dai limiti dell’umanità. E questa non è solo fantasia, credo. Questo è una sorta di progetto politico. Ed è facile immaginarlo, poiché abbiamo visto i film, seguono più o meno da vicino questa agenda progressista, direi».
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Carlson procede con un’ultima domanda, chiedendo del fenomeno per cui «per oltre 70 anni un gruppo di persone in Occidente e negli Stati Uniti, liberali, hanno difeso efficacemente il sistema sovietico e lo stalinismo, e molti vi hanno partecipato personalmente spiando per Stalin, lo ha sostenuto nei nostri media» dice il giornalista. «Amavano Boris Eltsin perché era ubriaco. Ma nel 2000, la leadership di questo Paese è cambiata e la Russia è diventata il loro principale nemico. Quindi, dopo 80 anni e passa di difesa della Russia, si sono messi ad odiare la Russia. Che cosa è tutto questo? Perché il cambiamento?»
«Penso che, prima di tutto, Putin sia un leader tradizionale. Quando Putin salì al potere, fin dall’inizio, ha cominciato a sottrarre il nostro Paese, la Russia, all’influenza globale. Così ha iniziato a contraddire l’agenda progressista globale. E queste persone che sostenevano l’Unione Sovietica erano progressisti, che hanno avuto la sensazione di avere a che fare con qualcuno che non condivide l’agenda progressista e che ha tentato con successo di restaurare i valori tradizionali, la sovranità dello Stato, il cristianesimo, la famiglia tradizionale».
«Questo non era evidente fin dall’inizio, da fuori. Ma quando Putin ha insistito sempre di più su questa agenda tradizionale, direi, sulla particolarità e spiritualità della civiltà russa come un tipo speciale di regione del mondo che aveva e ha ora, pochissime somiglianze con i progressisti, gli ideali progressisti. Quindi penso che abbiano scoperto, abbiano identificato cosa esattamente è Putin. È una sorta di leader, un leader politico che difende i valori tradizionali».
Solo di recente, un anno fa, Putin ha emanato un decreto di difesa politica dei valori tradizionali. É stato un punto di svolta, direi. Ma gli osservatori del campo progressista in Occidente, penso che lo abbiano capito correttamente fin dall’inizio del suo governo. Quindi, questo odio non è solo casuale, qualcosa di casuale o uno stato d’animo. Non lo è… È metafisico».
«Quindi, se il tuo compito principale e il tuo obiettivo principale è distruggere i valori tradizionali, la famiglia tradizionale, gli stati tradizionali, le relazioni tradizionali, le credenze tradizionali e qualcuno con l’arma nucleare – questo non è l’argomento più piccolo, ma nemmeno il meno importante – può resistere e difendere i valori tradizionali che stai per abolire… Ecco, penso che ci sia qualche fondamento per questa russofobia e per l’odio per Putin. Quindi non è solo un caso. Non si tratta di un cambiamento irrazionale dal filosovietismo alla russofobia. È qualcosa di più profondo direi. Questa è la mia ipotesi».
Tanto, tanto materiale su cui riflettere.
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Immagine screenshot da Tucker Carlson Network
Pensiero
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