Persecuzioni
Aiuto alla Chiesa che soffre: Rapporto sulla libertà religiosa 2023
 
																								
												
												
											L’organizzazione caritativa internazionale di diritto pontificio, Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), ha pubblicato l’edizione 2023 del suo Rapporto sulla Libertà Religiosa (RFR) che mostra che le persecuzioni sono aumentate dal gennaio 2021, mentre l’impunità rimane la regola per gli aggressori, soprattutto per i governi oppressivi.
Il RFR viene pubblicato da ACS ogni due anni dal 1999. Il rapporto del 2023 rivela che 61 paesi limitano completamente o gravemente la libertà religiosa, uno su tre nel mondo: il 62% dell’umanità vive in paesi in cui la religione è perseguitata. In 47 di questi Paesi la situazione è peggiorata dall’ultimo rapporto, mentre solo 9 hanno mostrato segni di miglioramento.
Questa situazione colpisce in particolare le minoranze religiose che, in alcuni casi, sono minacciate di estinzione, in quanto vari fattori – terrorismo, soppressione culturale, discriminazione finanziaria e restrizioni legali – contribuiscono a creare un’atmosfera velenosa. Ci sono anche casi in cui la persecuzione colpisce gruppi religiosi maggioritari, come in Nigeria o in Nicaragua.
I colpevoli delle violazioni della libertà religiosa possono essere gruppi terroristici armati o governi autoritari, ma la regola rimane quella dell’impunità per gli aggressori che raramente, se non mai, vengono assicurati alla giustizia o criticati dalla comunità internazionale.
La metà dei Paesi con le restrizioni più dure alla libertà religiosa si trova in Africa, dove l’aumento dell’attività jihadista, soprattutto nella regione del Sahel, continua a destare serie preoccupazioni.
Ma anche l’Asia, dove la Cina continua a cercare di esercitare un controllo totalitario su tutti gli ambiti della società, inclusa la religione, e l’India, dove il nazionalismo etnico-religioso sostenuto dallo Stato si manifesta sotto forma di severe leggi anti-conversione, è anche un continente preoccupante.
Infine, molte Nazioni occidentali hanno mostrato segnali allarmanti con la diffusione della «cultura della cancellazione» (cancel culture) e l’aumento della pressione sociale e politica affinché tutti si conformino a queste tendenze ideologiche.
Principali constatazioni
In un clima globale teso, segnato dalle conseguenze della pandemia, dalla guerra in Ucraina, dalle preoccupazioni militari ed economiche intorno al Mar Cinese e dal rapido aumento del costo della vita a livello globale, la libertà religiosa è stata violata nei paesi in cui vivono più di 4,9 miliardi di persone.
Al livello più alto, si nota l’esistenza della persecuzione: comprende 28 paesi dove vivono 4,03 miliardi di persone, cioè più della metà (51,6%) della popolazione mondiale. Di questi 28 paesi, 13 si trovano in Africa, dove la situazione è peggiorata drasticamente in molte regioni.
A livello medio, notiamo l’esistenza della discriminazione: comprende 33 Paesi, dove vivono quasi 853 milioni di persone. La situazione è peggiorata in 13 di questi Paesi.
La categoria «sotto osservazione» comprende Paesi in cui sono stati osservati nuovi fattori di preoccupazione che possono causare un crollo fondamentale della libertà religiosa.
A tutti i livelli possono verificarsi crimini d’odio e atrocità. Questi incidenti sono la manifestazione della violazione della libertà di religione. Si segnala in particolare:
Aumento delle violazioni della libertà religiosa: attentati terroristici, distruzione del patrimonio e dei simboli religiosi (Turchia, Siria), manipolazione del sistema elettorale (Nigeria, Iraq), sorveglianza di massa (Cina), proliferazione di leggi anticonversione e restrizioni alle istituzioni finanziarie (Sud-est Asiatico e Medio Oriente) hanno aumentato l’oppressione di tutte le comunità religiose.
Reazione sempre più discreta della comunità internazionale alle atrocità commesse da regimi autocratici «strategicamente importanti» (Cina, India) con la crescita di una cultura dell’impunità. Paesi chiave (Nigeria, Pakistan) sono sfuggiti alle sanzioni internazionali e ad altre punizioni dopo le rivelazioni di violazioni della libertà religiosa contro i loro cittadini.
Nascita di «califfati opportunistici». Le reti jihadiste transnazionali in Africa hanno sempre più cambiato le tattiche, passando dalla conquista e difesa di territori fissi ad attacchi puntuali volti a creare comunità isolate (cfr. Mozambico) in aree rurali scarsamente difese (preferibilmente) dotate di risorse minerarie (cfr. R.D. Congo).
Rapimenti, violenze sessuali e conversioni religiose forzate sono continuate e sono rimaste in gran parte impunite (Africa occidentale, Pakistan).
In Occidente, la «cultura della cancellazione» si è evoluta dalle molestie (verbali) nei confronti di persone che hanno opinioni diverse per motivi religiosi, alle minacce legali e perdita di opportunità di lavoro. Le persone che, a causa della loro fede, non sono d’accordo con le richieste ideologiche prevalenti sono state minacciate di sanzioni legali.
Infine, il proliferare di leggi anticonversione e di iniziative di riconversione con l’offerta di vantaggi economici (Asia, Nord Africa).
Il Rapporto completo ci consente di esaminare ogni Paese studiato. Si può trovare in varie lingue qui con mappe interattive per tutti i Paesi studiati.
Articolo previamente apparso su FSSPX.news.
Persecuzioni
L’Ucraina riarresta il vescovo ortodosso rilasciato per motivi medici
 
														Un alto prelato della Chiesa Ortodossa Ucraina (UOC) è stato nuovamente arrestato dai Servizi di sicurezza ucraini (SBU) poche ore dopo il rilascio dalla custodia cautelare per motivi di salute. Lo riporta la stampa ucraina.
Il metropolita Arsenio, 57 anni, responsabile del monastero di Svjatogorsk Lavra – situato nella porzione controllata da Kiev della regione di Donetsk – era detenuto dall’aprile 2024 con l’accusa di aver diffuso informazioni militari riservate. Gli inquirenti sostengono che durante un sermone in chiesa il vescovo abbia rivelato dettagli sui posti di blocco ucraini.
Secondo il sito del monastero, Arsenio soffre di una patologia cardiaca che potrebbe richiedere un intervento chirurgico e durante la detenzione le sue condizioni sono peggiorate sensibilmente.
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All’inizio della settimana, un tribunale di Dnepr ha disposto il suo rilascio temporaneo dietro cauzione di 35.000 dollari per consentirgli cure mediche, ha riportato martedì sera l’Unione dei giornalisti ortodossi. Tuttavia, dopo un breve controllo ospedaliero, gli agenti dell’SBU lo avrebbero nuovamente fermato nell’ambito di un procedimento separato aperto diverse settimane prima. Il tribunale potrebbe pronunciarsi sulla prosecuzione della detenzione già mercoledì.
Il governo Zelens’kyj ha intensificato la repressione contro la Chiesa ortodossa ucraina, accusando i suoi membri di collaborazionismo con Mosca e di altri reati legati alla sicurezza. I rappresentanti della Chiesa hanno respinto ogni capo d’imputazione, definendo i procedimenti una persecuzione a sfondo politico.
La Chiesa Ortodossa Ucraina (in acronimo inglese, UOC), la principale confessione cristiana del Paese, conserva legami con la Chiesa ortodossa russa. Dal 2018 Kiev promuove la concorrente Chiesa Ortodossa dell’Ucraina (OCU), istituita sotto l’ex presidente Petro Poroshenko durante la sua infruttuosa campagna di rielezione.
Organizzazioni per i diritti umani hanno condannato le azioni del governo ucraino contro la UOC – inclusa l’approvazione di una legge che ne minaccia il bando totale – come violazione della libertà religiosa fondata su pretestuose motivazioni di sicurezza.
Come riportato da Renovatio 21, quattro mesi fa lo Zelens’kyj aveva revocato la cittadinanza al vescovo più anziano della UOC, l’ottantenne Metropolita Onofrio.
l regime Zelens’kyj a inizio 20233 aveva tolto la cittadinanza a sacerdoti della Chiesa Ortodossa d’Ucraina (UOC). Vi era stato quindi un ordine di cacciata dalla cattedrale della Dormizione dell’Abbazia delle Grotte di Kiev proprio per il Natale ortodosso. Una tregua di Natale sul campo di battaglia proposta da Putin era stata sdegnosamente rifiutata da Kiev.
La repressione religiosa, nel corso di questi mesi, si è presentata con nuove misure volte a vietare le istituzioni religiose ritenute avere legami con la Russia nel tentativo di salvaguardare «l’indipendenza spirituale» della nazione.
Dall’inizio del conflitto tra Mosca e Kiev, le autorità e gli attivisti ucraini hanno sequestrato i luoghi di culto della Chiesa Ortodossa Ucraina e li hanno consegnati alla «Chiesa ortodossa dell’Ucraina», sostenuta dal governo. L’esempio più doloroso è quello dei monaci della Chiesa ortodossa ucraina sono stati sfrattati dal luogo ortodosso più sacro del Paese, la Lavra di Kiev, teatro dell’eroica resistenza dei fedeli e dei religiosi dell’OCU.
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A fine 2023 il Patriarca di tutte le Russie Kirill aveva inviato un appello a papa Francesco, Tawadros II di Alessandria (leader della Chiesa copta ortodossa), all’arcivescovo di Canterbury Justin Welby (leader della Comunione anglicana), all’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani e ad altri rappresentanti di organizzazioni internazionali, per chiedere il loro aiuto e porre fine alla persecuzione del vicegerente della Lavra, il metropolita Pavel, poi liberato con una cauzione di circa 820 mila euro.
Nello stesso periodo il metropolita Gionata della diocesi di Tulchin è stato condannato a cinque anni di carcere e alla confisca dei beni da un tribunale di Vinnitsa (città centro-occidentale del Paese) per vari presunti reati contro lo Stato ucraino.
Il sindaco di Kiev Vitalij Klitschko, recentemente postosi come avversario di Zelens’kyj e forse candidato pure a sostituirlo, ha ordinato mesi fa la chiusura di 74 chiese appartenenti alla Chiesa Ortodossa Ucraina canonica.
Come riportato da Renovatio 21, il Parlamento ucraino ha approvato una legge che consentirebbe alle autorità di vietare la Chiesa ortodossa ucraina (UOC), che Kiev ha ripetutamente accusato di avere legami con la Russia.
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Immagine di Konstantin Brizhnichenko via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
Cina
Partita autunnale tra Santa Sede e Pechino
 
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Persecuzioni
La Turchia espelle i cristiani perché minacciano la sicurezza nazionale
 
														In Turchia i cristiani vengono espulsi dal Paese con l’accusa di rappresentare una «minaccia alla sicurezza nazionale». Lo riporta LifeSite.
Durante la conferenza sui diritti umani tenutasi a Varsavia il 13 ottobre, Lidia Rieder, esperta legale di Alliance Defending Freedom International, ha denunciato che i cristiani sono nel mirino del governo turco. «Classificare i pacifici residenti cristiani come “minacce alla sicurezza” è un evidente abuso del diritto e un attacco alla libertà religiosa», ha dichiarato le Rieder. «Quando i governi manipolano i sistemi amministrativi o di immigrazione per escludere le persone solo per la loro fede, ciò compromette lo stato di diritto e i principi di tolleranza e coesistenza pacifica che l’OSCE è stata creata per difendere».
La popolazione turca è composta per circa il 99% da musulmani, con meno dell’1% di cristiani. Sotto il governo autoritario di destra di Recep Erdogan, la Turchia riveste un ruolo geopolitico chiave grazie alla sua posizione strategica tra Europa e Medio Oriente. Sebbene membro della NATO, mantiene stretti legami con paesi musulmani come Qatar e Azerbaigian, che di recente, con il supporto di armi turche, hanno costretto oltre 100.000 cristiani a fuggire dal Nagorno-Karabakh verso l’Armenia.
Un comunicato di ADF ha riportato che dal 2020 «più di 200 lavoratori cristiani stranieri e le loro famiglie, circa 350 persone, sono stati espulsi dalla Turchia, molti dei quali residenti da decenni». Il ministero degli Interni ha assegnato a questi individui «codici di sicurezza» come N-82 e G-87, vietandone il rientro e classificandoli come minacce alla sicurezza nazionale.
Un rapporto del 2024 della Freedom of Belief Initiative ha confermato le conclusioni di ADF, indicando i cristiani come la minoranza religiosa più perseguitata in Turchia, con oltre 50 episodi di violenza contro di loro dal 2020.
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Interpellata da Fox News Digital, l’ambasciata turca a Washington ha rimandato a una dichiarazione del Centro per il Contrasto alla Disinformazione del Paese, che il 15 ottobre ha respinto le accuse di Rieder, definendole «infondate e parte di una campagna di disinformazione deliberata». «Il rispetto delle fedi e il pluralismo sono elementi essenziali dell’ordine democratico del nostro Paese», si legge. «La Turchia, come ogni Stato sovrano, può adottare decisioni amministrative sui cittadini stranieri per vari motivi, come violazioni dei visti, disturbi dell’ordine pubblico o mancanza di permessi legali».
Rieder ha citato il caso Wiest contro Turchia, che sarà esaminato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Il caso riguarda Kenneth Wiest, un cristiano americano residente legalmente in Turchia per oltre trent’anni, a cui è stato negato il rientro nel 2019 senza prove di illeciti.
«I divieti di ingresso e le espulsioni sono sempre più usati per silenziare i lavoratori cristiani stranieri, mentre la formazione teologica rimane fortemente limitata», ha affermato ADF. «Ai seminari protestanti è negato lo status legale, l’educazione biblica è vietata, mentre i corsi di teologia islamica sono permessi sotto supervisione statale. Anche le proprietà ecclesiastiche subiscono restrizioni ingiuste, con comunità come quella protestante di Bursa costrette ad abbandonare luoghi di culto storici».
Come riportato da Renovatio 21, in questi anni la Turchia è stata teatro di attacchi contro chiese, come quello nel quartiere Sariyer di Costantinopoli, ascritto all’ISIS. Vi è inoltre il fenomeno di cristiani uccisi in storie su dispute su terreni. La persecuzione anticristiana è parimenti alimentata dall’islam e dal nazionalismo turco.
Bombe turche hanno distrutto una chiesa assira nel Nord-Est della Siria tre anni fa. Altri luoghi sacri cristiani, come Santa Sofia (convertita all’Islam alla presenza dell’Erdogano) e Chora (dove sono stati coperti affreschi e mosaici, e dove persino il museo diviene luogo di culto musulmano) a Costantinopoli e la cattedrale di Ani sono divenute moschee.
All’inizio di questa settimana, l’organizzazione Aiuto alla Chiesa che Soffre ha pubblicato il rapporto 2025 sulla persecuzione religiosa globale, evidenziando che 5,4 sugli 8 miliardi di persone del pianeta subiscono discriminazioni per le loro convinzioni religiose. Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha espresso preoccupazione martedì, affermando che «uomini e donne meritano ovunque libertà da ogni forma di coercizione in materia di fede».
Come riportato da Renovatio 21, il Parolin ha negato che in Nigeria vi sia in atto una persecuzione di cristiani: quello nigeriano «non è un conflitto religioso, è più un conflitto di tipo sociale, per esempio tra gli allevatori e gli agricoltori», ha dichiarato il segretario di Stato Vaticano, suscitando gli strali di monsignor Carlo Maria Viganò.
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Immagine dalla chiesa di Santa Irene, Costantinopoli
Immagine di Carole Raddato via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
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