Cina
Pechino istituisce una forza di polizia per il «controllo» della cultura
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Dopo i chengguan delle città e i nongguan delle campagne, la leadership cinese propone i wenguan, i cosiddetti «esecutori culturali». Dotati di uniforme blu, essi sono chiamati a reprimere comportamenti «non allineati». Si rafforza il culto della leadership di Xi Jinping: le sue citazioni usate nei gaokao, i test di ammissione all’università.
I primi sono stati i chengguan, le forze dell’ordine specializzate nel controllo delle attività nei centri urbani, seguiti di recente dai nongguan, gli omologhi delle campagne e delle aree agricole. L’ultimo tassello voluto da Pechino è il wenguan, la forza che presiede all’applicazione della legge sulla gestione culturale.
Squadre di cosiddetti «esecutori culturali» che, vestiti di una «uniforme blu» sono chiamati a reprimere «comportamenti» che non si allineano «alla morale» o programmi e spettacoli di cinema, televisione, arte che sono contrari alla morale.
Il loro scopo è quello di «allineare» le agenzie e i media cinesi alla politica governativa e al «pensiero di Xi Jinping», sempre più il leader supremo del Paese.
Nella provincia nord-orientale dell’Heilongjiang, le nuove squadre hanno la loro uniforme blu scuro decorata con caratteri cinesi che stanno a significare «applicazione delle norme sulla cultura».
Il 30 maggio scorso oltre 500 persone hanno partecipato alla «cerimonia di consegna dell’uniforme» nella città di Jiamusi. La nuova formazione è responsabile della repressione di comportamenti giudicati «incivili» nei più svariati campi: turismo, editoria, cultura, programmi televisivi e film.
Tra le loro molte responsabilità vi sarebbero quelle di rintracciare e punire scrittori su piattaforme online che diffondono pornografia, violenza, «superstizione feudale» o altri comportamenti ritenuti dannosi, sebbene il ruolo e i poteri restino ampi e ambigui.
Molti cittadini si sono rivolti ai social media per sfidare o deridere la comparsa di questi «esecutori culturali», paventando anche il pericolo di un deserto culturale. «Prima il controllo delle città, poi le campagne, ora la gestione della cultura. Ma cos’è – si chiede un utente – la gestione culturale?».
Cai Shengkun, esperto di questioni cinesi con base negli Stati Uniti, spiega a Radio Free Asia (Rfa), che l’istituzione di una squadra dedicata all’elemento culturale mostra in realtà la volontà assoluta di controllo e supervisione di Pechino. «Si tratta in massima parte di una questione politica» per la gestione “della sfera culturale, compresi i prodotti culturali… le arti, lo spettacolo e l’intrattenimento». Un piano che risale al 2018, quando il Comitato centrale del Partito comunista cinese ha inteso formare un team dedicato alle questioni culturali, compreso il settore del turismo.
L’ossessione per il controllo dell’elemento culturale diventa sempre più marcata per Pechino, come emerge dall’uso di citazioni di Xi Jinping negli esami di ammissione alle università (i gaokao). Per la prima volta, infatti, una prova dei giorni scorsi ha chiesto ai candidati di scrivere un testo di oltre 800 caratteri sulla «comprensione e pensiero» di due citazioni del presidente, in cui vengono delineati «i principi» che devono animare e guidare la vita degli atenei.
Il testo, elaborato dal ministero cinese dell’Istruzione, si applica agli studenti di 12 province e regioni tra cui Xinjiang, Henan e Jiangxi. Tra tutti i leader cinesi, in precedenza solo le poesie di Mao Zedong erano state usate nei gaokao a conferma di una crescente “mitizzazione” del presidente.
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Cina
Un treno di prodotti agricoli dallo Xinjiang a Salerno. Le ONG uigure: frutto di lavoro schiavo
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Un viaggio di 10mila chilometri esaltato da Pechino come occasione di sviluppo (e di rivincita sull’uscita dell’Italia dalla Belt and Road Initiative). Ma il cotone e i pomodori dello Xinjang sono al centro della «politica di alleviamento della povertà attraverso il trasferimento di manodopera», che secondo numerosi rapporti è una forma di lavoro forzato.
Un treno carico di prodotti agricoli partito da Urumqi, nella tormentata regione autonoma cinese dello Xinjiang, e destinato dopo 10mila chilometri di viaggio tra binari e trasbordi marittimi a raggiungere Salerno, in Italia.
Il nuovo viaggio bandiera della China-Europe Railway Express è partito il 29 aprile scorso dalla Cina, con ampia copertura mediatica da parte degli organi di stampa ufficiali di Pechino, che ne esaltano i benefici per l’economia dello Xinjiang.
Oltre a rilanciare le «potenzialità» di quella Belt and Road Initiative – la nuova «via della seta» di Xi Jinping – dai cui accordi pure il governo italiano dello scorso anno sarebbe uscito, annullando il memorandum sottoscritto da Roma e Pechino nel 2019 ma senza chiudere ad altre forme di cooperazione commerciale.
A restare sullo sfondo è però la questione del rispetto dei diritti umani nello Xinjiang, regione dove gli abusi nei confronti uiguri hanno spesso anche il volto del lavoro forzato utilizzato proprio nell’agricoltura. Ad evidenziarlo è una presa di posizione pubblica lanciata in queste ore da tre dei gruppi più attivi sulla salvaguardia dei diritti della popolazione musulmana dello Xinjiang: Uyghur Human Rights Project, Uyghur American Association e Safeguard Defenders. Insieme hanno scritto una lettera aperta all’ambasciatrice italiana a Washington, Mariangela Zappia, esprimendo preoccupazione per l’iniziativa e chiedendo un’indagine accurata sull’origine dei prodotti trasportati su quel treno.
«La moderna schiavitù del popolo uiguro e i continui crimini contro l’umanità – si legge nel documento – sono stati ampiamente documentati da organizzazioni internazionali, media indipendenti e organismi governativi. L’uso del lavoro forzato in qualsiasi forma viola i principi fondamentali dei diritti umani, tra cui il diritto alla libertà dalla schiavitù e dal lavoro forzato, come sancito da diverse convenzioni e trattati internazionali di cui l’Italia è parte».
L’iniziativa della China-Europe Railway Express è rilevante anche per il peso della Regione autonoma uigura dello Xinjiang nella produzione agricola cinese: coltiva l’85% del cotone del Paese, oltre il 70% dei pomodori (producendo fino al 90% del concentrato di pomodoro destinato all’esportazione), il 50% delle noci e il 28% dell’uva. Inoltre nella regione vi sono anche coltivazioni significative di grano, mais e altri cereali.
«Prove significative – scrivono Uyghur Human Rights Project, Uyghur American Association e Safeguard Defenders, citando rapporti specifici sull’agricoltura nello Xinjiang – rivelano che i trasferimenti di manodopera nella regione uigura avvengono in un contesto di coercizione senza precedenti, con la costante minaccia di rieducazione e internamento. Molti lavoratori indigeni non sono in grado di rifiutare o abbandonare volontariamente il lavoro nel settore agricolo, e quindi i programmi equivalgono al trasferimento forzato di popolazioni, al lavoro forzato, al traffico di esseri umani e alla riduzione in schiavitù».
Uno dei volti di questo sfruttamento oggi è anche quella che Pechino chiama la «politica di alleviamento della povertà attraverso il trasferimento di manodopera» (转移就业脱贫). Concretamente: migliaia di persone vengono formate e trasferite verso lavori agricoli stagionali, come appunto la raccolta di cotone o pomodori. Inserito nel quadro del più ampio programma di Xi Jinping per la riduzione mirata della povertà, è un sistema costruito su misura di contesti sociali pervasivamente coercitivi, caratterizzati dalla mancanza di libertà civiche, come è appunto quello dello Xinjiang.
«Come membro della comunità internazionale – concludono il loro appello Uyghur Human Rights Project, Uyghur American Association e Safeguard Defenders – l’Italia ha la responsabilità di garantire che le sue pratiche commerciali siano in linea con il suo impegno per i diritti umani e gli standard etici. Permettere che merci prodotte attraverso il lavoro forzato entrino nei suoi confini non solo condona queste gravi violazioni dei diritti umani, ma mina anche la credibilità della posizione dell’Italia sulla promozione e l’applicazione dei diritti umani. Esortiamo il governo italiano ad agire immediatamente per indagare sull’origine delle merci arrivate a Salerno e a mettere in atto misure per prevenire l’importazione di prodotti ottenuti con il lavoro forzato».
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Cina
Storie di utero in affitto in Cina
Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.
Questa storia nasce dall’intersezione tra la politica cinese del figlio unico, l’assenza volontaria di figli, la maternità surrogata e le norme tradizionali di pietà filiale.
Come riportato dal South China Morning News, un uomo di Yiyang, nella provincia di Hunan, nella Cina centrale, desiderava disperatamente un nipote. Ma sua figlia, 29 anni, ha rifiutato di avere figli o di sposarsi. Così, all’insaputa della moglie, ha organizzato tramite un’agenzia una studentessa universitaria come madre surrogata. Era impregnata del suo stesso sperma.
Sua moglie è tornato a casa un giorno nel 2022 e trovò una tata con un bambino. Lo sconosciuto disse alla moglie che la bambina apparteneva a lei e a suo marito. E infatti, poiché il marito aveva rubato la carta d’identità della moglie, lei e il marito erano stati registrati come genitori del bambino.
La moglie infuriata ha detto ai media: «Mio marito ha detto [a mia figlia]: “La tua scelta significa che non sarò mai nonno. Che senso ha crescerti? Non avere un bambino significa non essere filiale, secondo la cultura tradizionale cinese”». Ora minaccia di divorziare da lui.
Anche la figlia è sconvolta. Lei sostiene che suo padre è del tutto incapace di allevare un figlio da solo. Teme di essere legalmente obbligata ad allevare lei stessa il bambino se i suoi genitori procedessero con il divorzio.
L’orgoglioso padre è ignaro dell’opposizione della sua famiglia. Il suo commento è stato che, poiché la bambina era così carina e sana, la prossima volta avrebbe potuto chiedere all’agenzia di maternità surrogata un maschio.
Michael Cook
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