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L’Uganda LGBT-resistente vuole la tecnologia nucleare russa

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L’Uganda e la Russia verso accordi sulla cooperazione, anche per quanto riguarda la tecnologia nucleare.

 

Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha riferito dopo il suo incontro con il ministro degli Esteri ugandese Jeje Odongo il 18 maggio, che le loro due Nazioni hanno discusso di «rafforzare la nostra cooperazione reciprocamente vantaggiosa in quasi tutte le aree possibili».

 

Lavrov ha citato in particolare «diversi settori promettenti» in discussione: energia, esplorazione geologica, estrazione di minerali, ricerca, istruzione, telecomunicazioni, sicurezza informatica, agricoltura e farmaceutica.

 

Il ministro degli Esteri del Cremlino ha quindi indicato la visita in Uganda del febbraio 2023 di Anna Popova, capo del Servizio federale russo per la supervisione della protezione e del benessere dei consumatori (Rospotrebnadzor), una delle cui responsabilità è la supervisione sanitaria ed epidemiologica.

 

Il presidente Yoweri Museveni e Popova avevano discusso della possibilità che Rospotrebnadzor istituisse un laboratorio in Uganda, ha ricordato il capo della diplomazia moscovita.

 

 

L’agenzia di stampa russa AK&M aveva riferito alla fine della sua visita che un piano d’azione congiunto sarebbe stato preparato per l’approvazione durante il Forum Russia-Africa del luglio 2023 a San Pietroburgo, per l’esperienza della Russia «nel garantire la sicurezza biologica nazionale, sviluppare infrastrutture di laboratorio, e condurre ricerche scientifiche» da mettere a disposizione dell’Uganda.

 

Sul fronte energetico, Lavrov ha detto che lui e Odongo avevano discusso di rendere le imprese russe «più proattive» nel contribuire agli sforzi aggressivi dell’Uganda per sviluppare la sua industria petrolifera e del gas.

 

Tuttavia si è parlato anche degli sforzi della Russia per fare entrare l’Uganda nell’era nucleare. Lavrov ha fatto riferimento all’«Accordo sull’uso pacifico dell’energia nucleare» del 2019 tra Russia e Uganda e ha riferito che «da una prospettiva pratica, stiamo discutendo un progetto per creare un centro di tecnologia nucleare in Uganda, anche sulla medicina nucleare».

 

Solomon Muyita, portavoce del Ministero dell’energia e dello sviluppo minerario dell’Uganda, aveva detto all’agenzia turca Anadolu in una riunione del marzo 2023 sullo sviluppo dell’energia nucleare africana a Kampala, che l’Uganda è interessata a utilizzare la tecnologia nucleare per la radioterapia e altre applicazioni di medicina nucleare.

 

Ciò potrebbe rivelarsi importante per l’Africa orientale nel suo complesso. Procede il progetto pluriennale della Russia per la realizzazione di un centro di medicina nucleare in Bolivia, con le prime due unità operative (una per la produzione di isotopi e radiofarmaci, l’altra per l’irradiazione degli alimenti).

 

Quando sarà completamente completato e operativo nel 2025, la Bolivia assumerà il controllo del Centro di ricerca e sviluppo della tecnologia nucleare e metterà i suoi servizi a disposizione dei numerosi paesi del Sud America privi di tali capacità.

 

È noto che la Russia sia il principale esportatore di tecnologia nucleare al mondo.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’Uganda si è fatta notare di recente per i suoi sforzi politici, condivisi anche da altri Paesi africani, per resistere all’Imperialismo LGBT di Washington e dei Paesi Occidentali (e da varie ONG, tra cui, verrebbe da dire, la chiesa cattolica e anglicana), oramai dichiarato ufficialmente dalla Casa Bianca.

 

Intervenendo alla prima Conferenza interparlamentare africana  sui valori della famiglia e la sovranità, il presidente ugandese Musuveni due mesi fa aveva ribadito l’impegno del suo paese a rifiutare la promozione dell’omosessualità e ha incoraggiato altre nazioni africane a fare lo stesso.

 

«L’Africa dovrebbe fornire la guida per salvare il mondo da questa degenerazione e decadenza che è davvero molto pericolosa per l’umanità», aveva detto dinanzi ai rappresentanti di oltre 22 Paesi africani e del Regno Unito la massica carica della Repubblica dell’Uganda. «Se le persone del sesso opposto smettono di apprezzarsi a vicenda, allora come verrà propagata la razza umana?».

 

In questo, possiamo dire che Kampala sia allineata ulteriormente con Mosca. La propaganda LGBT è andata verso un divieto sempre più aspro in Russia.

 

Nel suo discorso al Club Valdai di due anni fa, aveva messo in guardia, e deriso, la deriva occidentale sul gender.

 

«In alcuni Paesi occidentali il dibattito sui diritti di uomini e donne si è trasformato in una perfetta fantasmagoria. Guardate, state attenti a non andare dove una volta i bolscevichi avevano pianificato di andare, non solo per mettere in comune i polli, ma anche per mettere in comune le donne. Un altro passo e ci sarete» aveva detto Putin.

 

«I fanatici di questi nuovi approcci arrivano persino al punto di voler abolire del tutto questi concetti» aveva continuato il presidente della Federazione Russa. «Chi osa dire che uomini e donne esistono davvero, il che è un fatto biologico, rischia di essere ostracizzato. “Genitore numero uno” e “genitore numero due”, “genitore alla nascita” invece di “madre” e “latte umano” che sostituisce “latte materno” perché potrebbe turbare le persone che non sono sicure del proprio genere».

 

Putin riconosceva che di una tale follia vi era traccia anche nella storia russa: «questa non è una novità; negli anni ’20, anche i cosiddetti Kulturtraeger sovietici hanno inventato un nuovo linguaggio credendo di creare una nuova coscienza e di cambiare i valori in quel modo. E, come ho già detto, hanno fatto un tale casino che a volte fa ancora rabbrividire».

 

Tre anni fa, notando la bandiera del Pride sventolare fuori da un consolato americano, aveva fatto una battuta divertente sul come quella bandiera lesbobitransgaia stava a simboleggiare qualcosa di preciso riguardo a chi lavorava in quel palazzo.

 

 

 

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La prima donna primo ministro del Giappone si oppone al «matrimonio» omosessuale

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La nuova prima ministra giapponese, Sanae Takaichi, prima donna a ricoprire questa carica, si oppone al «matrimonio» omosessuale.

 

Takaichi, insediatasi martedì, ha espresso durante un dibattito elettorale dello scorso mese la sua contrarietà al «matrimonio» omosessuale, pur definendo «giusta» una relazione omosessuale, secondo il sito di informazione LGBT Them.

 

Nel 2023, durante una riunione della commissione bilancio del governo, ha descritto la legalizzazione del «matrimonio» omosessuale come una «questione estremamente complessa», citando un articolo della costituzione giapponese che definisce il matrimonio come basato sul «consenso reciproco di entrambi i sessi».

 

Le posizioni di Takaichi sul «matrimonio» omosessuale, non legale in Giappone, sono in contrasto con l’opinione pubblica del Paese, prevalentemente laica. Un sondaggio Pew del 2023 ha rilevato che circa il 70% dei giapponesi sostiene il «matrimonio» omosessuale, il tasso di approvazione più alto tra i Paesi asiatici analizzati.

 

Diverse città e località giapponesi emettono «certificati di unione» per le coppie omosessuali. Ad esempio, nel 2015 il distretto di Shibuya a Tokyo ha approvato una normativa che riconosce le coppie omosessuali «come partner equivalenti a quelli sposati per legge».

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Inoltre, l’anno scorso un’Alta corte giapponese ha stabilito che il divieto del codice civile sul «matrimonio» omosessuale viola il principio costituzionale contro la discriminazione basata su «razza, credo, sesso, status sociale o origine familiare». Tuttavia, le Alte corti giapponesi non possono abrogare il divieto, rendendo la sentenza simbolica.

 

Paradossalmente, nonostante sia la prima donna a capo del governo giapponese, l’amministrazione di Takaichi è stata criticata dalla sinistra come un ostacolo per la «parità di genere» e i «diritti delle minoranze sessuali». L’emittente pubblica americana PBS News l’ha definita «non femminista».

 

Takaichi sostiene la successione esclusivamente maschile della famiglia imperiale, che ha un ruolo cerimoniale, e si oppone alla possibilità per le coppie sposate di mantenere cognomi separati, sostenendo che ciò potrebbe «minare la struttura sociale basata sulle unità familiari». Tuttavia, non insiste sul fatto che la donna debba adottare il cognome del marito. Curiosamente, il marito di Takaichi, il politico LDP Taku Yamamoto, ha preso il suo cognome quando si sono risposati, per cui ora legalmente si chiama Taky Takaichi

 

«La nascita della prima donna primo ministro giapponese è storica, ma (Takaichi) rappresenta un’ombra per la parità di genere e i diritti delle minoranze sessuali», ha dichiarato a PBS Soshi Matsuoka, attivista LGBT. «Le opinioni di Takaichi su genere e sessualità sono estremamente conservatrici e potrebbero costituire un grave ostacolo per i diritti, in particolare per le minoranze sessuali».

 

Il Giappone resta uno dei pochi Paesi sviluppati, insieme a Paesi come Corea del Sud e Repubblica Ceca, a non aver legalizzato il «matrimonio» omosessuale.

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Immagine di 内閣広報室|Cabinet Public Affairs Office via Wikimedia pubblicata su licenza Attribution 4.0 International

 

 

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Il Parlamento austriaco vieta il linguaggio «inclusivo di genere» nelle sue comunicazioni ufficiali

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Il presidente del Parlamento austriaco ha vietato l’uso del cosiddetto linguaggio «inclusivo di genere» nelle comunicazioni ufficiali dell’organo legislativo.   Walter Rosenkranz, presidente del Nationalrat (Consiglio nazionale, la Camera bassa del Parlamento austriaco), ha recentemente annunciato che il Parlamento tornerà a utilizzare la forma maschile generica delle parole o, in alternativa, la forma maschile e femminile insieme, come nell’espressione «Gentili signore e signori» («Sehr geehrte Damen und Herren»).   In precedenza, il Parlamento di Vienna aveva adottato una variante ideologica che prevedeva l’inserimento di lettere maiuscole interne, due punti, asterischi o barre all’interno di sostantivi per includere persone di generi diversi, compresi coloro che si identificano come «transgender».   Questo adattamento linguistico, promosso da attivisti di sinistra in molte istituzioni austriache e tedesche, è estraneo alla lingua tedesca scritta. L’Associazione per la Lingua Tedesca ha più volte criticato questo linguaggio «inclusivo di genere», definendolo una «lingua ideologica» che «viola le regole ortografiche vigenti» e cerca di «rieducare» i cittadini. I sondaggi indicano che l’80-90% dei tedeschi rifiuta questo linguaggio ideologico.

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«Come istituzione governativa, dobbiamo rispettare le regole stabilite dal Consiglio per l’ortografia tedesca, l’unica istituzione riconosciuta dal governo», ha dichiarato Rosenkranz al quotidiano austriaco Krone. «Nel 2021, il Parlamento ha anche stabilito una base giuridica nel Piano di promozione delle donne. Voglio che le persone si attengano a questo e non inventino una propria lingua. Perché la vera uguaglianza si ottiene attraverso l’istruzione, le pari opportunità e il rispetto, non con i segni di punteggiatura».   «Il Parlamento è un luogo di democrazia, non di esperimenti linguistici», ha aggiunto. «Torniamo a una lingua che rispecchia lo spirito della Costituzione austriaca: universalmente comprensibile, oggettiva e inclusiva nel senso più autentico».   «Non a caso, il Bundestag tedesco e il Consiglio nazionale svizzero, così come quasi tutti i media stampati, non utilizzano un linguaggio neutro rispetto al genere», ha sottolineato il Presidente del Parlamento.   Le linee guida non si applicano ai discorsi tenuti nel Consiglio nazionale né ai testi presentati dai parlamentari, che, in virtù del loro mandato, sono liberi di redigere i propri documenti come preferiscono.   Rosenkranz, primo Presidente del Consiglio Nazionale austriaco nominato dal Partito della Libertà (FPÖ) è stato eletto dopo che l’FPÖ è diventato il partito più votato alle elezioni nazionali del 2024. Tuttavia, pur avendo ottenuto il maggior numero di voti, l’FPÖ non fa parte della coalizione di governo, poiché non dispone della maggioranza assoluta necessaria e gli altri partiti hanno rifiutato di allearsi con esso.

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Il transgenderismo è in declino tra i giovani americani: «una moda in declino»

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Un recente rapporto indica un calo nell’identificazione transgender tra i giovani americani, dopo il picco registrato durante l’amministrazione Biden.

 

Il rapporto, intitolato «The Decline of Trans and Queer Identity among Young Americans», redatto dal professor Eric Kaufmann, analizza i dati di studenti universitari negli Stati Uniti attraverso sette fonti.

 

I risultati mostrano che l’identificazione transgender è scesa a circa la metà rispetto al massimo raggiunto nel 2023, passando dal 7% al 4%.

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Tra il 2024 e il 2025, meno studenti universitari del primo anno si sono identificati come «trans o queer» rispetto agli studenti dell’ultimo anno, invertendo la tendenza osservata nel 2022-2023.

 

Anche l’identificazione come «non binario» (né uomo né donna) è diminuita della metà in tre delle cinque fonti di dati dello studio. L’identificazione eterosessuale è in aumento, pur rimanendo inferiore rispetto al 2020, mentre quella gay e lesbica è rimasta stabile.

 

«Questo suggerisce che la non conformità di genere/sessuale continuerà a diminuire», ha scritto Kaufmann su X, commentando i risultati, definendo l’identità transgender e queer una «moda» ormai in declino.

 

«Il calo delle persone trans e queer sembra simile allo svanire di una tendenza», ha affermato, sottolineando che tale cambiamento è avvenuto indipendentemente dalle variazioni nelle convinzioni politiche o nell’uso dei social media, ma con un ruolo significativo del miglioramento della salute mentale.

 

«Gli studenti meno ansiosi e, soprattutto, meno depressi [sono] associati a una minore percentuale di identificazioni trans, queer o bisessuali», ha aggiunto.

 

Come riportato da Renovatio 21, gennaio, il presidente Trump – che prima di rientrare alla Casa Bianca aveva promesso di fermare la «follia transgender» dal primo giorno della sua presidenza –ha firmato un ordine esecutivo per vietare al governo federale di finanziare o promuovere la transizione di genere nei minori. «Questa pericolosa tendenza sarà una macchia nella storia della nostra nazione e deve finire», ha dichiarato.

 

Sono seguiti interventi dell’amministrazione Trump contro il reclutamento di trans nell’esercito (nonché la cacciata dei già recluati) e la partecipazione di transessuali maschi alle gare sportive delle donne. «la guerra allo sport femminile è finita» ha dichiarato il presidente americano.

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Secondo il Williams Institute, il 76% delle persone transgender (circa 2,8 milioni) ha meno di 35 anni, di cui il 25% (724.000) è tra i 13 e i 17 anni. Il rapporto evidenzia che la composizione razziale delle persone transgender riflette quella degli Stati Uniti. Circa un terzo si identifica come donna, un terzo come uomo e un terzo come non binario.

 

Dal 2022, il Williams Institute stima che il numero di persone transgender sia cresciuto da 1,6 milioni a 2,8 milioni, un aumento del 75% in tre anni.

 

Come riportato da Renovatio 21, due anni fa uno studio dell’ente americano Public Religion Research Institute (PRRI) aveva rivelato che più di un americano su quattro (28%) di età compresa tra 18 e 25 anni, nota come Generazione Z, si è identificato come LGBT.

 

La «moda» ora può essere finita. Tuttavia, ci chiediamo: quale ne è stato il prezzo?

 

Quanti ragazzi castrati per sempre? Quante ragazze mutilate dei seni? Quanti adolescenti intossicati di steroidi sintetici? Quante famiglie lacerate e distrutte?

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