Geopolitica
La Russia distrugge con missili ipersonici i lanciatori Patriot a Kiev
Un attacco missilistico di precisione tramite un Kinzhal ipersonico russo ha distrutto un sistema di difesa aerea Patriot a Kiev, ha riferito ieri il ministero della Difesa di Mosca.
La notizia arriva poche ore dopo che il governo ucraino aveva affermato che i missili Kinzhal erano stati intercettati dalla piattaforma di armi di fabbricazione statunitense. L’episodio era finito sui giornali americani, che avevano dato voce a funzionari USA, ovviamente anonimi, che confermavano.
Esperti russi avevano negato questa possibilità, tuttavia la smentita più diretta arriva con il missile ipersonico di ieri: non solo il Patriot non intercetta il Kinzhal, ma il Kinzhal distrugge il Patriot.
L’esercito russo non ha fornito ulteriori dettagli sull’attacco, che rappresenta la prima volta che Mosca afferma di aver colpito il sistema a lungo raggio fornito all’Ucraina dai suoi sostenitori occidentali.
Kiev da parte sua ha riferito di aver resistito a un massiccio attacco missilistico da parte delle forze russe lunedì notte. L’esercito ucraino ha affermato di aver intercettato sei missili Kinzhal, oltre a vari altri obiettivi aerei.
Martedì il ministero russo ha confermato l’attacco nella quotidiana conferenza stampa, affermando di aver utilizzato armi di precisione a lungo raggio per colpire obiettivi militari, tra cui «posizioni delle truppe ucraine e luoghi di deposito di munizioni, armi e materiale militare forniti dalle nazioni occidentali».
Un video che circola sui social media mostra una batteria Patriot dispiegata nella capitale ucraina che spara diverse raffiche di missili contro obiettivi russi in arrivo. Pochi secondi dopo, nell’area si può vedere una grande esplosione.
Secondo quanto riportato da canali russi, il lancio ipersonico avrebbe colpito l’installazione con gli armamenti antiaerei americani presso l’aeroporto Zhuliany di Kiev con tre lanci ipersonici. Un primo sistema Patriot sarebbe stato distrutto, un secondo molto danneggiato, un terzo sarebbe intonso. Il giornale tedesco Bild ha commentato che la Russia potrebbe provare a colpire nuovamente, quindi.
I conti ha provato a farli il noto imprenditore internet finnico-tedesco Kim Dotcom.
«30 US Patriot PAC-3 MSE lanciati al costo di 5 milioni di dollari per missile. Sono 150 milioni dollari andati in 2 minuti. Alla fine le piattaforme di lancio Patriot furono distrutte dai missili russi. Perché un militare dovrebbe ancora voler acquistare Patriot dopo questo fallimento?»
30 US Patriot PAC-3 MSE launch at a cost of $5 million per missile. That’s $150 million gone within 2 mins. At the end the Patriot launch platforms were destroyed by Russian missiles. Why would any military still want to buy Patriot after this failure? pic.twitter.com/JiNr06y0Rt
— Kim Dotcom (@KimDotcom) May 16, 2023
Da qui si capisce perché gli USA stiano minimizzando, dicendo che il sistema dei Patriot è solo danneggiato (un po’ come i bambini che dicono «non mi hai fatto niente»): il problema è perdere clienti su scala mondiale per quella che è la prima filiera industriale americana, quella dell’aerospazio e degli armamenti.
Il governatore ucraino di Nikolaev si è lamentato sui social: alla gente, dice, dovrebbe essere impedito di filmare gli arrivi dei missili. Con evidenza, la storia degli ipersonici intercettati dovrà durare un altro po’.
Sulla questione c’è il commento del ministro della Difesa russo Shoigu: l’Ucraina afferma di abbattere più missili di quanti la Russia ne lanci.
«L’ho già detto e lo ripeterò ancora. Non abbiamo lanciato tanti “Kinzhal” quanti presumibilmente abbattono ogni volta con le loro dichiarazioni. Inoltre, il numero di queste “intercettazioni ucraine” – e chi realmente equipaggia i complessi [antiaerei] americani lì, è ancora una grande domanda – è tre volte superiore a quello che effettivamente lanciamo», ha affermato Shoigu.
Su Kiev una pioggia di missili e menzogne, che speriamo finirà presto.
Immagine di Boevaya mashina via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0)
Geopolitica
Gli Stati Uniti sequestrano una petroliera al largo delle coste del Venezuela
Il procuratore generale statunitense Pam Bondi ha annunciato il sequestro di una petroliera sospettata di trasportare greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran.
L’operazione, condotta al largo delle coste venezuelane, si inserisce in un’escalation delle attività militari americane nella regione, unitamente a raid contro quelle che Washington qualifica come imbarcazioni legate ai cartelli della droga.
«Oggi, l’FBI, la Homeland Security Investigations e la Guardia costiera degli Stati Uniti, con il supporto del Dipartimento della Difesa, hanno eseguito un mandato di sequestro per una petroliera utilizzata per trasportare petrolio greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran», ha scritto Bondi su X mercoledì.
Ha precisato che la nave era stata sanzionata «a causa del suo coinvolgimento in una rete di trasporto illecito di petrolio a sostegno di organizzazioni terroristiche straniere».
Nel video diffuso da Bondi si vedono agenti delle forze dell’ordine, pesantemente armati, calarsi dall’elicottero sulla tolda della nave. Secondo il portale di tracciamento MarineTraffic e vari media, l’imbarcazione è stata identificata come «The Skipper», che batteva bandiera della Guyana. Fonti come ABC News riportano che la petroliera, con una capacità fino a 2 milioni di barili di greggio, era diretta a Cuba.
Today, the Federal Bureau of Investigation, Homeland Security Investigations, and the United States Coast Guard, with support from the Department of War, executed a seizure warrant for a crude oil tanker used to transport sanctioned oil from Venezuela and Iran. For multiple… pic.twitter.com/dNr0oAGl5x
— Attorney General Pamela Bondi (@AGPamBondi) December 10, 2025
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Gli Stati Uniti avevano sanzionato la The Skipper già nel 2022, accusandola di aver contrabbandato petrolio a beneficio del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica iraniana e del gruppo militante libanese Hezbollah.
Un gruppo di parlamentari statunitensi ha di recente sollecitato un’inchiesta sugli attacchi condotti su oltre 20 imbarcazioni da settembre, ipotizzando che possano configurare crimini di guerra.
Il senatore democratico Chris Coons, intervistato martedì su MSNBC, ha accusato Trump di «trascinarci come sonnambuli verso una guerra con il Venezuela». Ha argomentato che l’obiettivo reale del presidente sia l’accesso alle risorse petrolifere e minerarie del paese sudamericano.
Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha rigettato le affermazioni di Trump sul presunto ruolo del suo governo nel narcotraffico, ammonendo Washington contro l’avvio di «una guerra folle».
Il Venezuela ha denunciato gli Stati Uniti per pirateria di Stato dopo che la Guardia costiera americana, coadiuvata da altre forze federali, ha abbordato e sequestrato una petroliera sanzionata nel Mar dei Caraibi.
Caracas ha reagito con durezza, definendo l’intervento «un furto manifesto e un atto di pirateria internazionale» finalizzato a sottrarre le risorse energetiche del Paese.
«L’obiettivo di Washington è sempre stato quello di mettere le mani sul nostro petrolio, nell’ambito di un piano deliberato di saccheggio delle nostre ricchezze», ha dichiarato il ministro degli Esteri Yvan Gil.
Il governo venezuelano ha condannato gli «arroganti abusi imperiali» degli Stati Uniti e ha giurato di difendere «con assoluta determinazione la sovranità, le risorse naturali e la dignità nazionale».
Da anni Caracas considera le sanzioni americane illegittime e contrarie al diritto internazionale. Il presidente Nicolas Maduro le ha definite parte del tentativo di Donald Trump di rovesciarlo e ha respinto come infondate le accuse di legami con i narcos, avvertendo che qualsiasi escalation militare condurrebbe a «una guerra folle».
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Immagine screenshot da Twitter
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Geopolitica
Putin: la Russia raggiungerà tutti i suoi obiettivi nel conflitto ucraino
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Geopolitica
Lavrov elogia la comprensione di Trump delle cause del conflitto in Ucraina
Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha dichiarato che il presidente statunitense Donald Trump rappresenta l’unico leader occidentale in grado di cogliere le vere motivazioni alla base del conflitto ucraino.
Parlando mercoledì al Consiglio della Federazione, la camera alta del parlamento russo, Lavrov ha spiegato che, mentre gli Stati Uniti manifestano una «crescente impazienza» verso il percorso diplomatico mirato a cessare le ostilità, Trump è tra i pochissimi esponenti occidentali a comprendere le dinamiche che hanno originato la crisi.
«Il presidente Trump… è l’unico tra tutti i leader occidentali che, subito dopo il suo arrivo alla Casa Bianca nel gennaio di quest’anno, ha iniziato a dimostrare di aver compreso le ragioni per cui la guerra in Ucraina era stata inevitabile», ha dichiarato.
Lavrov ha proseguito sottolineando che Trump possiede una «chiara comprensione» delle dinamiche che hanno forgiato le politiche ostili nei confronti della Russia da parte dell’Occidente e dell’ex presidente statunitense Joe Biden, strategie che, a suo dire, «erano state coltivate per molti anni».
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Il ministro ha indicato che «si sta avvicinando il culmine dell’intera saga» ucraina, affermando che Trump ha sostanzialmente ammesso che «le cause profonde identificate dalla Russia devono essere eliminate».
Il vertice della diplomazia russa ha menzionato in modo specifico le storiche riserve di Mosca sull’aspirazione ucraina all’adesione alla NATO e la persistente violazione dei diritti della popolazione locale.
Lavrov ha poi precisato che Trump resta «l’unico leader occidentale a cui stanno a cuore i diritti umani in questa situazione», contrapposto ai governi dell’UE che, secondo Mosca, evadono il tema. Ha svelato che la roadmap statunitense per un’intesa includeva esplicitamente la tutela dei diritti delle minoranze etniche e delle libertà religiose in Ucraina, «in linea con gli obblighi internazionali».
Tuttavia, sempre secondo Lavrov, tali clausole sono state indebolite nel momento in cui il documento è stato sottoposto all’UE: il testo è stato modificato per indicare che l’Ucraina dovrebbe attenersi agli standard «adottati nell’Unione Europea».
Da tempo Mosca denuncia la soppressione della lingua e della cultura russa da parte di Kiev, oltre ai sforzi per limitare i diritti delle altre minoranze nazionali, e al contempo accusa i leader ucraini di fomentare apertamente il neonazismo nel paese.
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Immagine dell’Ufficio stampa della Duma di Stato della Federazione Russa via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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