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Gli ucraini sostengono di aver intercettato un missile ipersonico per la prima volta. Sarà vero?

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L’aviazione ucraina ha annunciato ieri di aver intercettato per la prima volta un missile ipersonico russo, l’arma più innovativa e sofisticata utilizzata fino ad oggi da Mosca nel conflitto. L’abbattimento sarebbe stato confermato da tre ufficiali statunitensi, riporta il New York Times.

 

«”Mi congratulo con il popolo ucraino per un evento storico», ha dichiarato il tenente generale Mykola Oleshchuk, comandante dell’aeronautica ucraina, in una dichiarazione pubblicata su Telegram. «Sì, abbiamo abbattuto l'”impareggiabile” “Kinzhal”».

 

Il generale Oleshchuk ha detto che i militari hanno aspettato di segnalare la distruzione del missile ipersonico per proteggere la sicurezza operativa. Ha esortato il pubblico a non condividere informazioni sulle difese aeree mentre lavorano per contrastare missili e droni russi.

 

L’abbattimento di un missile ipersonico russo Kinzhal sarebbe avvenuto con un missile Patriot fornito dagli USA. Secondo il giornale americano,  si tratterebbe della prima prova che i missili ipersonici russi possono essere essere sconfitti dagli attuali sistemi di difesa missilistica occidentali.

 

Il NYT riporta che i funzionari statunitensi hanno affermato di aver ricevuto informazioni sull’attacco dall’esercito ucraino attraverso canali riservati. Un funzionario ha aggiunto che gli analisti militari statunitensi sono stati in grado di verificare l’affermazione utilizzando mezzi tecnici. Tuttavia, analisti indipendenti erano riluttanti a confermare l’intercettazione fino a quando non fossero disponibili maggiori informazioni sul tipo di missile lanciato dalla Russia e se fosse stato colpito da un Patriot.

 

Il Patriot è di gran lunga il sistema d’arma singolo più costoso che gli Stati Uniti hanno fornito all’Ucraina, per un costo totale di circa 1,1 miliardi di dollari: 400 milioni di dollari per il sistema e 690 milioni di dollari per i missili. Il sistema di difesa aerea Patriot può sparare tre diversi tipi di missili chiamati intercettori, ciascuno progettato per distruggere diversi tipi di minacce come aerei da guerra, elicotteri, missili da crociera, droni e persino missili balistici. Uno, chiamato PAC-3, può abbattere aerei nemici a una distanza di circa 40 miglia e missili balistici a circa 20 miglia.

 

I missili ipersonici, fino a ieri, erano considerati non intercettabili – un fatto che generava uno squilibrio immenso nelle tensioni tra le superpotenze atomiche, al punto che, come ammesso dagli alti gradi militari americani, il concetto di deterrenza era da considerarsi non più funzionale.

 

I missili ipersonici sono armi a lungo raggio in grado di raggiungere velocità di almeno Mach 5, cinque volte la velocità del suono, o più di un miglio al secondo. Molti esperti pensavano che quella velocità rendesse sostanzialmente inutili i tradizionali sistemi di difesa aerea, perché quando possono essere rilevati sui radar, sono già quasi al loro obiettivo.

 

Il Kinzhal, o «Pugnale», è una versione modificata del missile balistico a corto raggio Iskander dell’esercito russo, progettato per essere lanciato da lanciatori montati su camion a terra. Lanciare il missile da un aereo da guerra ad alta quota, invece che da terra, gli lascia più carburante da utilizzare per raggiungere velocità più elevate.

 

L’aeronautica ucraina ha affermato che la Russia avrebbe utilizzato circa 50 Kinzhal nel corso della guerra, anche durante l’assalto prolungato alla rete energetica ucraina in autunno e in inverno.

 

Resta da vedere se si tratta della verità o di una ulteriore menzogna della propaganda volta ad ottenere più armi e più finanziamenti presentando l’Ucraina come «laboratorio» per studiare le armi russe: se un Patriot può abbattere un missile ipersonica, allora mandateci più missili, così da farvi vedere se funzionano o meno contro le tecnologie militari di Mosca.

 

Finora era noto che il razzo ipersonico Kinzhal era stato impiegato almeno un numero volte molto inferiore a quanto riportato dall’aviazione ucraina. Era stato anche detto dal tenente generale russo in pensione Yuri Netkachev che la Russia non aveva ulteriori piani di impiego degli ipersonici in Ucraina.

 

Va ricordato che non si tratta dell’unica arma ipersonica di Mosca. Oltre al Kinzhal, la Russia dispone di un altro missile ipersonico, lo Tsirkon.

 

Come riportato da Renovatio 21, vi sono Tsirkon ora schierati a bordo della fregata russa Gorshkov, che ha fatto rotta per il Sud Africa attraverso l’Atlantico pochi giorni fa. Lo stesso presidente Putin aveva parlato di impiego di armi ipersoniche nelle navi russe durante l’esposizione della nuova dottrina navale a San Pietroburgo lo scorso luglio.

 

È stato riportato che anche velivoli delle forze aerospaziali russe di stanza nell’énclave baltica di Kaliningrad sarebbero dotati di missili ipersonici.

 

Come riportato da Renovatio 21lo Tsirkon era stato approntato a fine 2021, poche settimane prima dell’inizio del conflitto in Ucraina. Il 2022 ha visto il via alla produzione di questo tipo di missile ipersonico.

 

Dopo anni di ritardoparrebbe che ora anche gli USA possano vantare esperimenti riusciti in fatto di tecnologia ipersonica. Tuttavia in America vi è stato scandalo quando si è appreso l’anno scorso che i sistemi ipersonici della Cina Popolare, che sarebbero praticamente pronti, sono stati sviluppati con tecnologia tranquillamente venduta e trasferita da società americane.

 

Nel club delle potenze ipersoniche vi sarebbero anche, a quanto comunicano, la Corea del Nord e l’Iran.

 

Anche il teatro pacifico pare muoversi nella corsa alle armi ipersoniche. Come riportato da Renovatio 21, in settimana era emerso che il Giappone starebbe preparando un sistema per intercettarli, mentre gli USA stanno continuando con gli esperimenti.

 

L’impossibilità di intercettare il Kinzhal era stata dichiarata pubblicamente da Putin nel 2018, ma confermata anche da Biden nel 2022, quando ebbe a dire, cercando di tranquilizzare il mondo ma con evidenza in un momento di senilità, che l’ipersonico Kinzhal «è come qualsiasi altro missile, solo che è impossibile fermarlo».

 

 

 

 

 

Immagine di mil.ru via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0); immagine modificata

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L’esercito russo è più potente di prima dell’invasione: avvertimento del generale USA capo del comando europeo

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Un alto generale americano ha dichiarato al Congresso USA che l’esercito russo è oggi più grande del 15% rispetto a prima dell’invasione dell’Ucraina del febbraio 2022, riconoscendo che l’obiettivo di «indebolire» la Russia è fallito.

 

«L’esercito è in realtà ora più grande – del 15% – rispetto a quando invase l’Ucraina», ha detto il generale Christopher Cavoli, capo del comando europeo degli Stati Uniti, in un’audizione della commissione per le forze armate del Senato americano.

 

Il generale Cavoli ha dichiarato che nell’ultimo anno, la Russia ha aumentato le sue «forze di truppe in prima linea da 360.000 a 470.000», cosa che, secondo lui, è dovuta all’aumento dell’età massima della coscrizione da 27 a 30 anni.

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L’alto ufficiale delle forze armate statunitensi ha quindi spiegato che ciò significa che la Russia avrà la capacità di ampliare «di 2 milioni il pool di coscritti militari disponibili per gli anni a venire».

 

«In sintesi, la Russia è sulla buona strada per comandare il più grande esercito del continente», ha ammesso il generale. «Indipendentemente dall’esito della guerra in Ucraina, la Russia sarà più grande, più letale e più arrabbiata con l’Occidente rispetto a quando l’ha invasa».

 

Come scrive il sito Antiwar, il vice segretario di Stato Kurt Campbell ha recentemente fatto commenti simili, affermando che gli Stati Uniti hanno «valutato nel corso degli ultimi due mesi che la Russia si è quasi completamente ricostituita militarmente».

 

Nell’aprile 2022, il Segretario alla Difesa Lloyd Austin aveva dichiarato che uno degli obiettivi della guerra per procura era quello di «indebolire» la Russia. Più recentemente, i falchi del Congresso hanno affermato che il danno arrecato all’esercito russo è una ragione sufficiente per continuare ad alimentare il conflitto.

 

Come riportato da Renovatio 21, la Russia ha anche aumentato le sue capacità industriali e sta producendo quasi tre volte più proiettili di artiglieria rispetto a Stati Uniti ed Europa (cioè, la NATO) messi insieme. Già un anno fa era chiaro che, a differenza dell’Occidente, la Russia non stava esaurendo le munizioni di artiglieria, grazie ad una filiera industriale-militare portata a lavorare a pieno regime.

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«Abbiamo determinato il livello di priorità delle forniture e fissato obiettivi importanti. Abbiamo anche assistito i fornitori nello stabilire una cooperazione tra gli stabilimenti di produzione», aveva osservato il primo ministro della Federazione Russa Mikhail Mishustin. «Abbiamo notevolmente accelerato la produzione di quelle armi e articoli di materiale militare che sono più richiesti».

 

I Paesi occidentali hanno dovuto affrontare la questione del deficit di munizioni dopo massicce spedizioni in Ucraina, dove le munizioni vengono spese rapidamente a causa dell’elevata intensità dell’azione militare. Il 19 giugno scorso, il ministero della Difesa tedesco ha dichiarato che nelle sue scorte sono rimasti solo 20.000 proiettili di artiglieria ad alto esplosivo. Calcoli precedenti avevano fatto notare che il Paese avrebbe avuto, in caso di guerra, munizione per due giorni di combattimenti.

 

Nell’estate 2023 è emerso che la Germania prevede di spendere oltre 20 miliardi di euro in munizioni entro il 2031 per evitare il suo deficit.

 

Come riportato da Renovatio 21, un incendio è scoppiato nelle scorse ore in una fabbrica di munizioni dell’esercito USA a Scranton, in Pennsylvania, città natale di Joe Biden.

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Israele mostra le conseguenze dell’attacco iraniano alla base aerea

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Gli attacchi aerei iraniani su Israele nel fine settimana hanno causato solo lievi danni a una base militare, hanno affermato le Forze di Difesa Israeliane (IDF), rilasciando filmati che pretendono di mostrare i lavori di riparazione presso la struttura.   Teheran ha lanciato una serie di attacchi aerei contro Israele durante il fine settimana, in rappresaglia per il bombardamento di un complesso consolare iraniano in Siria all’inizio di questo mese. Gerusalemme Ovest non ha commentato l’attacco al consolato, anche se Teheran l’ha accusata di aver assassinato diversi membri del suo personale militare di alto rango.   Dei circa 170 droni, 30 missili da crociera e 120 missili balistici lanciati dall’Iran nel fine settimana, solo pochi sono riusciti a superare le difese aeree combinate di Israele e dei suoi alleati, ha detto domenica il portavoce dell’IDF, il contrammiraglio Daniel Hagari, in un comunicato stampa citato da RT.   I missili balistici che hanno violato le difese israeliane hanno causato «solo lievi danni alle infrastrutture della base di Nevatim», ha scritto l’IDF sul suo sito web, pubblicando filmati che pretendono di mostrare il danno e il successivo lavoro di riparazione.  

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  «La funzione della base Nevatim non è stata influenzata, gli aerei hanno continuato a decollare e atterrare e ad adempiere alle missioni di difesa e attacco», ha aggiunto.   Ben nove missili sono penetrati nelle difese israeliane, ha scritto ABC News, citando un alto funzionario americano. Cinque missili balistici hanno colpito la base aerea di Nevatim e danneggiato un aereo da trasporto C-130, una pista e strutture di stoccaggio vuote, ha detto il canale. Altri quattro missili hanno colpito la base aerea del Negev, anche se non è stato causato alcun danno significativo, ha detto il funzionario alla ABC.   I media iraniani, tuttavia, hanno affermato che gli attacchi hanno distrutto «importanti obiettivi militari» e hanno pubblicato numerosi video che pretendono di mostrare missili che penetrano le difese aeree israeliane.   Teheran è soddisfatta del risultato e non ha intenzione di continuare l’operazione, ha detto il capo di Stato maggiore delle forze armate, generale Mohammad Bagheri, che ha avvertito che qualora Israele reagirà, «la prossima operazione sarà molto più estesa».   Come riportato da Renovatio 21, il costo dell’intercettazione dell’attacco israeliano è stato per lo Stato Ebraico pari a circa un miliardo di dollari.   Secondo rivelazioni delle ultime ore, l’Arabia Saudita avrebbe abbattuto alcuni droni iraniani diretto contro Israele.

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Geopolitica

Le potenze del Golfo Persico rifiutano di concedere agli USA l’accesso alle basi per gli attacchi contro l’Iran

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I paesi del Golfo Persico avrebbero detto agli Stati Uniti di non lanciare alcun attacco contro l’Iran dal loro territorio o dallo spazio aereo in mezzo alle ribollenti tensioni regionali. Lo riporta la testata araba Middle East Eye.

 

Fonti, tra cui un alto funzionario statunitense, hanno detto al Middle East Eye che le monarchie del Golfo hanno «fatto gli straordinari» sulla pista diplomatica «per chiudere strade che potrebbero collegarle a una rappresaglia statunitense contro Teheran o i suoi delegati da basi all’interno dei loro regni».

 

I Paesi coinvolti includono Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Oman e Kuwait, con i loro leader che, secondo quanto riferito, «sollevano domande» sui dettagli degli accordi di base statunitensi e adottano misure per impedire l’uso delle loro basi adiacenti alla Repubblica Islamica dell’Iran, scrive il sito russo Sputnik.

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Secondo quanto riferito, la Turchia, membro della NATO avrebbe vietato agli Stati Uniti di utilizzare il proprio spazio aereo per attacchi contro l’Iran, tuttavia la notizia non è ancora data per verificata.

 

«È un disastro», ha detto un alto funzionario americano, riferendosi ai grattacapi che l’amministrazione Biden deve affrontare mentre si prepara a un potenziale attacco di ritorsione iraniano contro il suo principale alleato regionale, Israele, in seguito all’attacco di Tel Aviv del 1° aprile al complesso dell’ambasciata iraniana a Damasco, in Siria.

 

L’articolo di Middle East Eye fa seguito a un pezzo della testata statunitense Axios di venerdì che citava funzionari statunitensi che affermavano che l’Iran ha avvertito privatamente gli Stati Uniti che prenderà di mira le forze americane in Medio Oriente se Washington sarà coinvolta in uno scontro militare tra Iran e Israele.

 

Si stima che gli Stati Uniti abbiano più di 40.000 militari nelle basi sparse in Medio Oriente, inclusa la base aerea di Al Udeid in Qatar, che ospita almeno 10.000 soldati e funge da quartier generale avanzato del Comando Centrale degli Stati Uniti, il comando combattente responsabile delle forze armate. operazioni in tutto il Medio Oriente.

 

Il vicino Bahrein ospita fino a 7.000 soldati e la Quinta Flotta degli Stati Uniti, che opera nel Golfo Persico, nel Mar Rosso e nel Mar Arabico e in parte dell’Oceano Indiano. Gli Stati Uniti hanno anche una guarnigione di 15.000 soldati in Kuwait, almeno 5.000 soldati negli Emirati Arabi Uniti e circa 2.700 soldati e aerei da combattimento nella base aerea Prince Sultan in Arabia Saudita.

 

L’Oman ospita alcune centinaia di soldati statunitensi e consente all’aeronautica americana di effettuare sorvoli e sbarchi, e alle navi da guerra di effettuare 80 scali all’anno.

 

La politica estera sempre più indipendente delle potenze del Golfo rappresenta potenzialmente un grave ostacolo per Washington, che per molti decenni dopo la Seconda Guerra Mondiale (e soprattutto dopo la guerra fredda) ha potuto fare affidamento sulle monarchie del Golfo Persico per le sue operazioni militari nei Paesi ricchi di petrolio.

 

L’accordo principale fu stipulato nel 1945 tra il presidente americano Franklin Delano Roosevelt e il re saudita Abdulaziz Ibn Saud – il cosiddetto patto del Grande Lago Amaro, di cui Renovatio 21 vi ricorda spesso, ossia la creazione del petrodollaro, fonte della grande ricchezza e durevole influenza di Washington nel mondo. Il patto prevedeva che, in cambio dell’uso del dollaro nel commercio del petrolio, gli USA avrebbero fornito alla famiglia reale saudita protezione anche militare. Qualcuno fa notare che si parlava della famiglia reale, non della difesa del Paese in sé.

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I Paesi del Golfo guidati dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti hanno recentemente adottato una serie di sorprendenti misure che sembrano volte a rompere con la dipendenza economica, politica e militare dagli Stati Uniti, con Riyadh che si muove per rompere il monopolio del petrodollaro nel commercio di petrolio con la Cina, mettendo in pausa la sua campagna militare contro la milizia Houthi nello Yemen, ripristinando i rapporti diplomatici con l’Iran e, insieme ad Abu Dhabi, unendosi al blocco BRICS Plus.

 

La crisi israelo-palestinese ha allontanato i leader degli Stati del Golfo e le loro popolazioni dall’idea di ulteriori «Accordi di Abramo» come nell’era Trump – ossia la normalizzazione dei rapporti dei Paesi del Golfo con Israele –e ha raffreddato i legami con gli Stati Uniti grazie al pieno sostegno dell’amministrazione Biden a Tel Aviv nel corso della guerra di Gaza.

 

Come riportato da Renovatio 21, tre anni fa si parlava di colloqui segreti tra il principe saudita Mohammed bin Salman e Netanyahu. A fine 2023, dopo l’inizio della guerra di Gaza, l’Arabia Saudita ha dichiarato che ogni piano di accordo con Israele è sospeso.

 

Secondo sondaggi di pochi mesi fa il 96% dei sauditi si oppone ai legami con Israele, mentre Hamas tra i sudditi dei Saud cresce in popolarità.

 

La situazione nell’area è precipitata al punto che tre mesi fa Mohammed bin Salman ha dichiarato che il Regno dei Saud è pronto a dotarsi dell’atomica se lo farà l’Iran. Tra Riyadh e Teheran era pochi mesi prima arrivato un accordo stipulato sotto l’auspicio cinese.

 

Come riportato da Renovatio 21, quattro anni fa quando furono firmati gli Accordi di Abramo i palestinesi lasciarono la presidenza della Lega Araba.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

 

 

 

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