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Geopolitica

Orban sostiene le proposte di pace cinesi: «questa guerra è il male per il mondo intero»

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Il governo ungherese sostiene il piano di pace di Pechino per il conflitto in corso in Ucraina, ha dichiarato il primo ministro Viktor Orban al Parlamento magiaro il 27 febbraio.

 

«Pertanto consideriamo importante anche il piano di pace della Cina e lo sosteniamo. Nel primo anniversario dello scoppio della guerra, l’Ungheria dovrebbe chiarire che non cambierà la posizione che ha tenuto fino ad ora», ha detto ai parlamentari.

 

Nel suo discorso, che è pubblicato sul suo sito ufficiale, Orbán ha dichiarato che «questa guerra… è un male per gli ucraini, è un male per i russi, è un male per gli ungheresi, è un male per l’Europa, e sta diventando chiaro che fa male al mondo intero».

 

Il primo ministro ungherese ha proseguito sottolineando che «il governo ungherese osserva con grave preoccupazione mentre, passo dopo passo, l’intera Europa sta scivolando verso la guerra. I Paesi europei stanno già inviando carri armati, i caccia sono già all’ordine del giorno e, se continua così, ci sarà chi vorrà inviare truppe in Ucraina. Lo scorso aprile gli ungheresi hanno deciso che l’Ungheria dovesse rimanere fuori dalla guerra, e lo hanno confermato nella consultazione nazionale alla fine dello scorso anno».

 

Orban ha quindi sottolineato che il suo governo insiste per risolvere il conflitto ucraino con mezzi pacifici e ha invitato i legislatori ad approvare una risoluzione in tal senso.

 

«I combattimenti possono essere fermati solo da un cessate il fuoco. Pertanto è necessario un cessate il fuoco e devono iniziare i negoziati di pace. In ogni foro internazionale l’Ungheria chiede la pace, e vedo che anche la maggioranza, la grande maggioranza, del mondo è favorevole alla pace (…) È necessaria anche una chiara risoluzione del Parlamento, perché l’Ungheria è sottoposta ogni giorno a un’enorme pressione».

 

«Tutti possono vedere che vogliono spingerci nella guerra. Vogliono che ci uniamo ai paesi a favore della guerra» ha detto il premier di Budapest, ribadendo di essere ancora contrario alle sanzioni anti-russe dell’Unione Europea, soprattutto nel settore energetico.

 

Orban ha inoltre ricordato che le restrizioni sulle forniture di carburante avevano provocato un drammatico aumento dei prezzi e la spesa dell’Ungheria per le fonti energetiche era aumentata di 10 miliardi di euro nel 2022.  «Bruxelles ha prelevato questi soldi dalle tasche degli ungheresi con l’uso delle sanzioni», ha dichiarato, vantandosi che nella «consultazione nazionale» il 97% degli ungheresi ha espresso la propria opposizione alle sanzioni dell’UE contro la Russia.

 

Orbán ha anche preso di mira il sabotaggio dell’oleodotto Nord Stream: «l’esplosione del Nord Stream… è stato un semplice atto di terrorismo», ha detto e poi ha sollevato il pericolo che un simile atto di sabotaggio possa verificarsi contro l’oleodotto TurkStream, che porta il gas russo attraverso il Mar Nero e la Turchia e da lì in Europa.

 

In questa prospettiva di attacco ulteriore anche al gasdotto Turk Stream, che già – come discusso da Renovatio 21 – sarebbe nelle menti di americani e ucraini, Orban ha fatto capire di avere un piano assieme alla Serbia del presidente Aleksandr Vucic.

 

«Quello che dobbiamo capire è che se l’hanno fatto nel Nord, solo per impedire che il gas proveniente dalla Russia arrivasse in Europa, se hanno fatto saltare in aria il gasdotto del nord per farlo, allora possono farlo nel sud» ha dichiarato Orban.

 

Tuttavia, ha proseguito il popolare primo ministro, «insieme alla Serbia abbiamo chiarito che se ciò dovesse accadere (…) non sarebbe così facile fare un insabbiamento, come si sta facendo ora in relazione all’esplosione del Gasdotto Nord Stream».

 

Come nota EIRN, il riferimento è al silenzio assordante dalla Germania, dove terminavano i gasdotti sottomarini Nord Stream dalla Russia.

 

Come riportato da Renovatio 21, Orban in questo ultimo anno è stata praticamente l’unica voce in Europa a parlare chiaramente di una UE avviata verso un «economia di guerra», sottolineando che le sanzioni non faranno altro che uccidere l’economia del continente.

 

Per questo Orban ha silurato vari pacchetti di sanzioni UE contro Mosca, ricevendone in cambio reazioni che, come raccontato su Renovatio 21,  hanno lasciato le autostrade dell’Ungheria in scarsità di diesel. Pochi mesi fa l’Ungheria risultava come unico Paese UE a ricevere ancora il gas russo.

 

L’Europa ancora prima della guerra aveva nel mirino Budapest, inventandosi una questione di «Stato di diritto» con la quale ricattare il governo Orban, con ritorsioni per le politiche ungheresi a favore delle famiglie – ad esempio, i recenti 11,5 miliardi di euro congelati da Bruxelles.

 

L’Ungheria quattro settimane fa ha dichiarato, con l’Austria, che non invierà armi in Ucraina. Gli ungheresi sono parzialmente coinvolti nel conflitto visto che la popolazione della regione di confine ucraina della Transcarpazia è a maggioranza di etnia magiara.

 

 

 

 

 

Immagine dal sito ufficiale miniszterelnok.hu

 

 

 

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Geopolitica

Putin: la Russia raggiungerà tutti i suoi obiettivi nel conflitto ucraino

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La Russia porterà a compimento tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale in Ucraina, ha dichiarato il presidente Vladimir Putin.

 

Tra gli scopi principali enunciati da Putin nel 2022 vi sono la protezione degli abitanti delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk dall’aggressione delle forze di Kiev, nonché la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina.

 

«Naturalmente porteremo a termine questa operazione fino alla sua logica conclusione, fino al raggiungimento di tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale», ha affermato Putin in videocollegamento durante la riunione del Consiglio presidenziale per i diritti umani di martedì.

 

Il presidente russo quindi ricordato che il conflitto è scoppiato quando l’esercito ucraino è stato inviato nel Donbass, regione storicamente russa che nel 2014 aveva respinto il colpo di Stato di Maidan sostenuto dall’Occidente. Questo, secondo il presidente, ha reso inevitabile l’intervento delle forze armate russe per porre fine alle ostilità.

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«Si tratta delle persone. Persone che non hanno accettato il colpo di Stato in Ucraina nel 2014 e contro le quali è stata scatenata una guerra: con artiglieria, armi pesanti, carri armati e aviazione. È lì che è iniziata la guerra. Noi stiamo cercando di mettervi fine e siamo costretti a farlo con le armi in pugno».

 

Putin ha ribadito che per otto anni la Russia ha cercato di risolvere la crisi per via diplomatica e «ha firmato gli accordi di Minsk nella speranza di una soluzione pacifica». Tuttavia, ha aggiunto la settimana scorsa in un’intervista a India Today, «i leader occidentali hanno poi ammesso apertamente di non aver mai avuto intenzione di rispettarli», avendoli sottoscritti unicamente per guadagnare tempo e permettere all’Ucraina di riarmarsi.

 

Mosca ha accolto positivamente il nuovo slancio diplomatico impresso dal presidente statunitense Donald Trump, che ha proposto il suo piano di pace in 28 punti come base per un’intesa.

 

Lunedì Trump ha pubblicamente invitato Volodymyr Zelens’kyj ad accettare le proposte di pace, lasciando intendere che il leader ucraino non abbia nemmeno preso in esame l’ultima offerta americana.

 

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

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Geopolitica

Lavrov elogia la comprensione di Trump delle cause del conflitto in Ucraina

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Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha dichiarato che il presidente statunitense Donald Trump rappresenta l’unico leader occidentale in grado di cogliere le vere motivazioni alla base del conflitto ucraino.   Parlando mercoledì al Consiglio della Federazione, la camera alta del parlamento russo, Lavrov ha spiegato che, mentre gli Stati Uniti manifestano una «crescente impazienza» verso il percorso diplomatico mirato a cessare le ostilità, Trump è tra i pochissimi esponenti occidentali a comprendere le dinamiche che hanno originato la crisi.   «Il presidente Trump… è l’unico tra tutti i leader occidentali che, subito dopo il suo arrivo alla Casa Bianca nel gennaio di quest’anno, ha iniziato a dimostrare di aver compreso le ragioni per cui la guerra in Ucraina era stata inevitabile», ha dichiarato.   Lavrov ha proseguito sottolineando che Trump possiede una «chiara comprensione» delle dinamiche che hanno forgiato le politiche ostili nei confronti della Russia da parte dell’Occidente e dell’ex presidente statunitense Joe Biden, strategie che, a suo dire, «erano state coltivate per molti anni».

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Il ministro ha indicato che «si sta avvicinando il culmine dell’intera saga» ucraina, affermando che Trump ha sostanzialmente ammesso che «le cause profonde identificate dalla Russia devono essere eliminate».   Il vertice della diplomazia russa ha menzionato in modo specifico le storiche riserve di Mosca sull’aspirazione ucraina all’adesione alla NATO e la persistente violazione dei diritti della popolazione locale.   Lavrov ha poi precisato che Trump resta «l’unico leader occidentale a cui stanno a cuore i diritti umani in questa situazione», contrapposto ai governi dell’UE che, secondo Mosca, evadono il tema. Ha svelato che la roadmap statunitense per un’intesa includeva esplicitamente la tutela dei diritti delle minoranze etniche e delle libertà religiose in Ucraina, «in linea con gli obblighi internazionali».   Tuttavia, sempre secondo Lavrov, tali clausole sono state indebolite nel momento in cui il documento è stato sottoposto all’UE: il testo è stato modificato per indicare che l’Ucraina dovrebbe attenersi agli standard «adottati nell’Unione Europea».   Da tempo Mosca denuncia la soppressione della lingua e della cultura russa da parte di Kiev, oltre ai sforzi per limitare i diritti delle altre minoranze nazionali, e al contempo accusa i leader ucraini di fomentare apertamente il neonazismo nel paese.

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Immagine dell’Ufficio stampa della Duma di Stato della Federazione Russa via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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Geopolitica

Gli europei sotto shock per la strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti per il 2025

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I leader europei e i media dell’establishment sono in preda al panico dopo la diffusione, sul portale ufficiale della Casa Bianca, della «Strategia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America 2025» (NSS).

 

A terrorizzare Bruxelles e dintorni è l’impegno esplicito del governo USA a privilegiare «Coltivare la resistenza all’attuale traiettoria dell’Europa all’interno delle nazioni europee», descritta in termini aspri ma realistici. Il report si scaglia in particolare contro l’approccio dell’UE alla Russia.

 

L’NSS ammonisce che il Vecchio Continente rischia la «cancellazione della civiltà» se non invertirà la rotta imposta dall’Unione Europea e da altre entità sovranazionali. La «mancanza di fiducia in se stessa» del Continente emerge con evidenza nelle interazioni con Mosca. Gli alleati europei detengono un netto primato in termini di hard power rispetto alla Russia in quasi tutti i campi, salvo l’arsenale nucleare.

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Dopo l’invasione russa in Ucraina, i rapporti europei con Mosca sono drasticamente deteriorati e numerosi europei vedono nella Federazione Russa una minaccia esistenziale. Gestire le relazioni transatlantiche con la Russia esigerà un impegno diplomatico massiccio da Washington, sia per reinstaurare un equilibrio strategico in Eurasia sia per scongiurare frizioni tra Mosca e gli Stati europei.

 

«È un interesse fondamentale degli Stati Uniti negoziare una rapida cessazione delle ostilità in Ucraina, al fine di stabilizzare le economie europee, prevenire un’escalation o un’espansione indesiderata della guerra e ristabilire la stabilità strategica con la Russia, nonché per consentire la ricostruzione post-ostilità dell’Ucraina, consentendole di sopravvivere come Stato vitale».

 

Il conflitto ucraino ha paradossalmente accresciuto la vulnerabilità esterna dell’Europa, specie della Germania. Oggi, le multinazionali chimiche tedesche stanno erigendo in Cina alcuni dei più imponenti complessi di raffinazione globale, sfruttando gas russo che non possono più procurarsi sul suolo patrio.

 

L’esecutivo Trump si scontra con i burocrati europei che coltivano illusioni irrealistiche sul prosieguo della guerra, appollaiati su coalizioni parlamentari fragili, molte delle quali calpestano i pilastri della democrazia per imbavagliare i dissidenti. Una vasta maggioranza di europei anela alla pace, ma tale aspirazione non si riflette nelle scelte politiche, in gran parte ostacolate dal sabotaggio dei meccanismi democratici perpetrato da quegli stessi governi. Per quanto allarmati siano i continentali, l’establishment britannico lo è ancor di più.

 

Ruth Deyermond, docente al dipartimento di Studi della Guerra del King’s College London e specialista in dinamiche USA-Russia, ha commentato su X che il testo segna «l’enorme cambiamento nella politica statunitense nei confronti della Russia, visibile nella nuova Strategia per la Sicurezza Nazionale – il più grande cambiamento dal crollo dell’URSS». Mosca appare citata appena dieci volte nel corposo documento, nota Deyermond, e prevalentemente per evidenziare le fragilità europee.

 

In un passaggio esemplare, il report afferma che «questa mancanza di fiducia in se stessa è più evidente nelle relazioni dell’Europa con la Russia». «L’assenza della Russia dalla Strategia di Sicurezza Nazionale 2025 appare davvero strana, sia perché la Russia è ovviamente uno degli stati che hanno l’impatto più significativo sulla stabilità globale al momento, sia perché l’amministrazione è così chiaramente interessata alla Russia (…) Non è solo la mancanza di riferimenti alla Russia a essere sorprendente, è il fatto che la Russia non venga mai menzionata come avversario o minaccia» scrive l’accademica.«La mancanza di discussione sulla Russia, nonostante la sua importanza per la sicurezza e l’ordine internazionale e la sua… importanza per l’amministrazione Trump, fa sembrare che stiano semplicemente aspettando di poter parlare in modo più positivo delle relazioni in futuro».

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La parte dedicata al dossier ucraino – che allude al fatto che «l’amministrazione Trump si trova in contrasto con i politici europei che nutrono aspettative irrealistiche per la guerra» – pare quasi redatta dal Cremlino. L’incipit della Deyermond è lapidario: «Se qualcuno in Europa si aggrappa ancora all’idea che l’amministrazione Trump non sia inamovibile filo-russa e ostile alle istituzioni e ai valori occidentali, dovrebbe leggere la Strategia per la Sicurezza Nazionale del 2025 e ripensarci».

 

Il NSS dedica scarsa attenzione alla NATO, se non per insistere sulla cessazione della sua espansione indefinita, ma stando ad un articolo Reuters del 5 dicembre, Washington intende che l’Europa rilevi entro il 2027 la gran parte delle competenze di difesa convenzionale dell’Alleanza, dall’intelligence ai missili. Questa scadenza «irrealistica» è stata illustrata questa settimana a diplomatici europei a Washington dal team del Pentagono incaricato della politica atlantica, secondo cinque fonti «a conoscenza della discussione».

 

Nel corso dell’incontro, i vertici del Dipartimento della Difesa avrebbero espresso insoddisfazione per i passi avanti europei nel potenziare le proprie dotazioni difensive dopo l’«invasione estesa» russa in Ucraina del 2022. Gli esponenti USA hanno avvisato i loro omologhi che, in caso di mancato rispetto del termine del 2027, gli Stati Uniti potrebbero sospendere la propria adesione a certi meccanismi di coordinamento difensivo NATO, hanno riferito le fonti. Le capacità convenzionali comprendono asset non nucleari, da truppe ad armamenti, e i funzionari non hanno chiarito come misurare i progressi europei nell’assunzione della quota preponderante del carico, precisa Reuters.

 

Non è dato sapere se il limite temporale del 2027 rifletta la linea ufficiale dell’amministrazione Trump o meri orientamenti di singoli addetti del Pentagono. Diversi rappresentanti europei hanno replicato che un tale orizzonte non è fattibile, a prescindere dai criteri di valutazione di Washington, dal momento che il Vecchio Continente necessita di risorse finanziarie aggiuntive e di una volontà politica più marcata per rimpiazzare alcune dotazioni americane nel breve periodo.

 

Tra le difficoltà, i partner NATO affrontano slittamenti nella fabbricazione degli equipaggiamenti che intendono acquisire. Sebbene i funzionari USA abbiano sollecitato l’Europa a procacciarsi più hardware di produzione statunitense, taluni dei sistemi difensivi e armi made in USA più cruciali imporrebbero anni per la consegna, anche se commissionati oggi.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

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