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La strana commedia dei partiti sovranisti italiani

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Il destino dell’Italia sembra diventato una commedia. E affinché una commedia sia riuscita, è necessario che tutti gli attori recitino il proprio copione esattamente al tempo stabilito.

 

Come si fa a sapere che siamo di fronte a una commedia? È sufficiente verificare se gli attori stanno recitando la propria parte con una certa coordinazione. Pensate ai tic del dottor Tomas, il direttore della fabbrica cibernetica di Vieni avanti Cretino (1982), esempio di commedia all’italiana noto più che altro per il suo titolo molto eloquente e persuasivo, adattabile a molte situazioni.

 

Quella che si chiama «dialettica politica» (cioè il rapporto tra i diversi attori politici) può assumere la struttura di una commedia, laddove gli attori paiono impegnati in copioni preordinati.

 

Dobbiamo dire di come la strategia della destra «sovranista» dal 2020 ad oggi abbia tutta l’aria di essere una parte in commedia. Osserviamo attentamente i suoi movimenti dal 2020 a oggi. Vi sveliamo già il finale del filmetto: l’ultimo atto è apparso pochi giorni fa, quando al Senato 17 senatori della sinistra hanno salvato il nascente governo Meloni votando Ignazio La Russa. Sì, avete letto bene: la sinistra vota il capo dei sanbabilini.

 

Pochi giorni fa un clamoroso colpo di scena ha portato all’elezione di Ignazio La Russa alla Presidenza del Senato  con 116 preferenze, ma senza i voti di Forza Italia. Ci sarebbero quindi ben 17 senatori dell’opposizione che lo hanno votato. Sembra strano.

 

Ma torniamo al 2020. All’inizio del 2020 in Italia c’era il governo Conte II, nato dalle ceneri del governo Conte I, quello giallo-verde. Un governo questo che cadde perché Salvini – così dicono – voleva ingenuamente andare alle elezioni anticipate per incassare il suo 34% di consensi raggiunto tra elezioni Europee  in quei mesi del 2019. Piano questo, passato alle cronache col nome di «Papeete». Secondo una leggenda metropolitana ancora udibile fra i militanti, Salvini sarebbe stato ingannato dal PD, il quale gli aveva promesso di andare a elezioni anticipate se fosse caduto il governo Conte I. Invece il PD formò il governo Conte II col Movimento 5 Stelle. E Salvini sarebbe rimasto con in mano la dinamite a miccia accesa come il Willy il Coyote dei cartoni animati.

 

Stranamente, quindi, non fecero andare alle elezioni Salvini per incassare il 34% dei voti del momento. Salvini fu sedotto e abbandonato, altra commedia, più antica.

 

Non insinueremo qui niente di relativo alla circostanza per cui il Movimento di Beppe Grillo accettò per la prima volta di formare un governo col Pd proprio nei giorni in cui era emersa – ancora non del tutto uscita sulla stampa – la oscura vicenda del figlio, coinvolto nel presunto stupro di una ragazza in Sardegna, un processo che peraltro si protrae da 3 anni. Non faremo mai insinuazioni sull’argomento. Cose che fecero invece alcuni malfidenti italiani e Vittorio Sgarbi.

 

Dopo solo 3 mesi di vita il governo Conte II si trovò a gestire a sorpresa (?) l’arrivo della pandemia COVID.

 

Iniziarono col Governo Conte II le prime restrizioni alla libertà nella storia della Repubblica Italiana: lockdown, confinamenti e lasciapassare. Pazienti lasciati in isolamento senza poter vedere i parenti; decessi senza funerali, autopsie proibite, un virus mortale da contrastare con Tachipirina e vigile attesa. Aziende e scuole chiuse, smart working e sostegni (“ristori”) dello Stato pari al valore di un giropizza.

 

In questo contesto la Lega iniziò a sguazzare subito dopo la prima ondata; eravamo verso giugno 2020.

 

Lo slogan della Lega era «riaperture» e «basta mascherine». Tutti ci ricordiamo quel Salvini che andava in pubblico ostentando la mancanza di mascherina. Era il Capitano anti-mascherina che si atteggiava a Zorro pandemico.

 

Effettivamente sarebbe stato uno scenario da cavalcare notevole per prendere consensi: ti ritrovi all’opposizione durante un’emergenza sanitaria nazionale in cui i tuoi avversari inseguono i runner sulle spiagge e mentre mandano in fallimento le partite IVA. Politicamente, una manna dal cielo.

 

Sempre per stare nell’analogia mosaica, diciamo che la Lega e Fratelli d’Italia si trovarono nel contesto più propizio dai tempi delle acque aperte nel Mar Rosso per travolgere gli avversari. Ora, per dimostrare l’esistenza della commedia della destra italiana, andiamo a vedere come – non solo non hanno approfittato del passaggio nel Mar Rosso –, ma come abbiano invece fornito agli avversari delle scialuppe di salvataggio. Fino ad arrivare alla scialuppa più grande: il Governo Meloni.

 

Proprio quando la pressione della destra sul governo Conte II portò alle dimissioni dell’esecutivo, la Lega scelse di entrare nel governo Draghi a inizio 2021.

 

Una volta indebolito e affossato il governo pandemista Conte bis, infatti la Lega cambiò posizione ed entrò nel governo iper-pandemista Draghi. L’unico Ministro chiave rimasto invariato dal governo precedente fu, non a caso, Speranza. E la Lega ha regolarmente votato tutte le misure relative a green pass, lockdown e obblighi vaccinali.

 

Durante il Governo Draghi è rimasta all’opposizione  soltanto Fratelli d’Italia. Certo, per quanto si possa definire opposizione quella di FdI sull’agenda Draghi. Di fatto FdI ha sempre mantenuto una posizione di tacito consenso sulle misure vaccinali e sul green pass.

 

Tanto che – come altre volte ricordato su Renovatio 21 – la Meloni non ha mai nemmeno lontanamente pensato di relazionarsi alle proteste no-pass. Milioni di voti potenziali, lasciati inspiegabilmente alla deriva dall’unico partito di opposizione. Il caso più emblematico fu la separazione coatta tra il comizio di FdI in Duomo a Milano e i manifestanti no green pass che venivano dall’attigua Piazza Fontana, luogo di concentramento della protesta che montava ogni sabato nel capoluogo lombardo.

 

 

 

Nel frattempo i sondaggi continuavano a dare la Lega in calo, proprio a causa del supporto al Governo Draghi. Mentre gli stessi davano i consensi di FdI in salita. Fino ad arrivare all’esito delle ultime elezioni.

 

Dove la Lega è finita ad avere il 9% dei voti e il travaso si è compiuto. In fin dei conti, sommati, si tratta sempre di quel 34 % che nell’Agosto 2019 Salvini vantava a torso nudo al Papeete.

 

Noi – davanti a un piano apparentemente tanto demenziale – ipotizzammo che i ragazzi della Lega fossero in realtà degli strateghi geniali: magari volevano soltanto eleggere un Presidente della Repubblica nel 2022. Il piano sarebbe stato potente e lo scrivemmo su queste colonne. Purtroppo non accadde nulla di tutto questo. E fecero rieleggere Sergio Mattarella.

 

Ora, se vedessimo un imprenditore che deliberatamente causa perdite nei propri bilanci aziendali senza nessuna logica dimostrabile di investimento per il futuro, scatterebbe il sospetto di frode fiscale o bancarotta fraudolenta

 

Nel caso dei partiti politici non esiste alcuna ipotesi di reato nel perdere deliberatamente i propri consensi; esistono però le ipotesi di commedia. Nel caso presente l’ipotesi di commedia ci porta proprio a oggi.

 

Ebbene, arrivati a febbraio 2022 con milioni di italiani che non potevano prendere i mezzi pubblici o lavorare senza una vaccinazione sperimentale,  subentra nello scenario internazionale il conflitto in Ucraina.



Anche in questo caso, la posizione assunta dal governo Draghi con le sanzioni provoca danni immediati al principale elettorato storico della Lega: le partite IVA. Inoltre, è impossibile non prevedere i danni certi ed immani nel medio termine a causa dell’interruzione delle forniture di gas russo.

 

Eppure la Lega – anche in questa circostanza – non batte ciglio. Continua a guidare la propria macchina verso il precipizio dei consensi.

 

Per quanto riguarda Fratelli d’Italia, la rispettiva posizione risulta nel contesto meno paradossale: sebbene sostenesse le stesse posizioni atlantiste che danneggiano il proprio elettorato; era infatti consapevole di essere in continua crescita dei consensi: i consensi stavano venendo travasati dalla Lega a FdI. Questo era risaputo dal 2021 al punto che ne scriveva pure la stampa nazionale.

 

E arriviamo all’ultimo e più grande favore, che la Lega e Fratelli d’Italia con Forza Italia potessero fare al governo Draghi: farlo cadere durante l’estate 2022 anziché attendere le elezioni prevista nel marzo 2023. O, meglio, prestarsi al racconto secondo cui Draghi sarebbe stato sfiduciato. Quando invece, come osservarono alcuni, era palesemente Draghi che stava tagliando la corda prima dell’autunno.

 

Che le scelte della Lega e di FdI siano state operate contro il loro stesso interesse, assume qui un livello che si può spiegare solo con l’esistenza di una recita in atto, di cui è eseguito consapevolmente un copione.

 

La Lega e FdI hanno scelto di togliere le castagne dal fuoco lasciate dal governo Draghi (caldarroste che la Lega ha direttamente contribuito a scaldare). Che strani questi sovranisti.

 

Non è invece strana la posizione di Forza Italia, dato che già in piena pandemia Berlusconi venne riesumato e definito «statista» da figure come Romano Prodi su Il Messaggero proprio perché, oltre a poter fornire voti presidenziali, si prestava a fare da ago della bilancia in uno scenario dove il dissenso della popolazione tendeva ad andare fuori controllo e dove potevano servire almeno i voti di Forza Italia per formare un governo Draghi con PD e i pezzi del M5S.

 

La posizione di Lega ed FdI è, in apparenza, invece indecifrabile. Dopotutto si sarebbe trattato di attendere fino a marzo 2023 per incassare il malcontento dovuto ai razionamenti di gas in arrivo, alla contrazione dell’economia e  –chissà – magari un altro inverno con green pass. Questo avrebbe polverizzato interamente per un intero ciclo politico le forze politiche della cosiddetta «maggioranza Ursula», cioè l’apparato europeista che ha come suo garante  il Partito Democratico e i vertici dello Stato.

 

Ma non basta. Non solo la coalizione della Meloni ha fatto questo favore al partito Ursula-Draghi dandogli una via di fuga prima che pagasse le conseguenze delle proprie scelte – unico caso nella storia di elezioni a settembre e campagna elettorale estiva . No, la coalizione della Meloni ha anche accettato di prendere il timone della nave lanciata contro l’iceberg; e proprio i sovranisti al governo resteranno segnati come responsabili dell’impatto. L’iceberg è in vista. L’impatto è inevitabile.

 

Lo possiamo vedere da alcuni giorni: la stampa nazionale –più si avvicina il passaggio delle consegne – più inizia a parlare apertamente di recessione e crisi energetica totale. Argomenti  che erano tabù durante il regime dei «migliori» guidato da Draghi.

 

In conclusione, possiamo anche osservare che il piano di Reset che coinvolge l’Italia dal 2020, non sarebbe stato possibile senza poter contare sull’esistenza di un’opposizione fittizia che si presta a fare la sua parte nel grande copione.

 

Nessuno accetterebbe di guidare una nave contro un iceberg pensando poi di farla franca, a meno che non vi sia qualche mozzo che prenda il timone negli ultimi istanti, un capro espiatorio sintetico a cui affibbiare tutta la responsabilità. E nel contesto italiano i mozzi, le utili comparse del filmetto, sono proprio i sedicenti sovranisti.

 

L’unica strategia che presunte forze sovraniste avrebbero potuto e dovuto seguire per proteggere l’Italia sarebbe stata quella di dire «non prenderemo mai il timone, finché non vi schianterete. Quindi, fate ben attenzione a non schiantarvi».

 

Solo questa strategia avrebbe avuto margine strategico nell’attenuare le pressioni straniere alle quali è sottoposta l’Italia.

 

Il solo modo per proteggere l’Italia sarebbe insomma stato quello di rimanere fuori dal governo Draghi (questo vale per la Lega) ed evitare di formare alcuna coalizione alle elezioni, anticipate o meno che fossero.

 

Il Partito Democratico questo forse lo ha capito molto bene e infatti ha seguito proprio questa strategia per lasciare alla Meloni il maggior numero possibile di seggi: il PD potrebbe aver fatto finta di non avere trovato un accordo con Azione; e su città come Roma avremmo trovato duelli come quello tra Bonino e Calenda. La strategia della sinistra nello scenario presente potrebbe aver emanato l’ordine defilarsi e lasciare seggi alla coalizione della Meloni. Che lo schianto se lo gestisca lei.

 

Dopotutto, senza la disponibilità di utili timonieri dell’ultimo minuto, come avrebbero fatto gli amici di Ursula a far schiantare l’Italia senza con ciò prendersene tutte le responsabilità?

 

Il partito Ursula ha potuto pianificare l’impatto solo perché contava su qualche gonzo che prendesse il timone, dandogli la possibilità di defilarsi.

 

Tornando al governo Draghi, vediamo come senza la Lega esso non avrebbe potuto fare ciò che ha fatto: se la Lega fosse rimasta fuori dal Governo e avesse anche solo fatto l’occhiolino ai dissidenti no-pass, molto di quanto accaduto sarebbe accaduto diversamente, o forse nemmeno sarebbe accaduto.

 

A maggior ragione se la Lega si fosse associata a FdI all’opposizione.

 

La cosa più curiosa rimarrebbe spiegare come facciano i sovranisti di casa nostra (sovranisti atlantisti, ça va sans dire) a non sospettare di essere il prossimo capro espiatorio; voglio dire, quando leggi le previsioni di recessione e ti votano al Senato i colleghi del Pd, non ti viene il dubbio?

 

Pensano forse di avere qualche margine di manovra? Davvero? Tipo siglare una pace indipendente dalla NATO con la Russia e farsi mandare il gas attraverso il continente tramite palloncini da compleanno?

 

Oppure, chissà, magari hanno già accettato di svolgere un preciso mandato. Quello che Renovatio 21 ha ipotizzato come quello di un governo della Repressione.  

 

A quel punto, la commedia finisce. Iniziano le botte. Il dolore. La povertà. Il freddo. Ancora botte.

 

Tutto un altro film. Anche quello, però, ha un copione. E degli attori che volentieri lo realizzano.

 

 

Gian Battista Airaghi

 

 

 

Immagine di Photo2021 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0); immagine modificata

 

 

 

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Ci risiamo: il papa loda Don Milani. Torna l’ombra della pedofilia sulla Chiesa e sul futuro del mondo

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Ci risiamo, ed è l’ennesimo spettacolo doloroso e mostruoso cui tocca assistere: il nuovo papa loda Don Milani. Le implicazioni di questa scelta sono spaventose.

 

L’11 ottobre, parlando ai pellegrini delle diocesi toscane, Prevost ha citato in modo molto benevolo il controverso prete-maestro della Barbiana: «Don Lorenzo Milani, profeta della Chiesa toscana, che Papa Francesco ha definito “testimone e interprete della trasformazione sociale ed economica”, aveva come motto “I care“, cioè “mi importa”, mi interessa, mi sta a cuore».

 

Questa cosa del Don Milani «profeta» (colui che anticipa i tempi: a suo modo, non errato) non è nuova:  Leone il 12 giugno all’incontro con il clero della diocesi di Roma aveva definito di Don Lorenzo Milani come di «un profeta di pace e giustizia».

 

La chiesa conciliare, quindi, non lascia Don Milani. No: raddoppia.

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Per noi non è solo il segno chiaro della contiguità assoluta, e infame, con il papato di Bergoglio. Ci prende l’idea di forze oscure – davvero oscure – che bramano per espugnare definitivamente il Soglio e devastare l’umanità tutta.

 

Perché, per chi si è perso le puntante precedenti – o chi, da buon boomer, si informa su TV e giornali senza chiedersi nessuno sforzo personale per la comprensione della realtà – Don Milani, la grande icona della sinistra (non solo quella, vero Salvini?) e dei cattolici benpensanti, negli ultimi anni è stato accusato di essere una figura molto ambigua, che in una sua lettera, pubblicata dagli stessi seguaci, parlava della sodomizzazione dei suoi allievi ragazzi.

 

Citiamo dalla lettera di Don Milani a Giorgio Pecorini, contenuta nel libro di quest’ultimo Don Milani! Chi era Costui?, edito Baldini&Castoldi nel 1996, alle  pagine3 86-391.

 

«… Come facevo a spiegare che amo i miei parrocchiani più che la Chiesa e il Papa? E che se un rischio corro per l’anima mia non è certo quello di aver poco amato, ma piuttosto di amare troppo (cioè di portarmeli anche a letto!). E chi non farà scuola così non farà mai vera scuola e è inutile che disquisisca tra scuola confessionale e non confessionale e inutile che si preoccupi di riempire la sua scuola di immaginette sacre e di discorsi edificanti perché la gente non crede a chi non ama e è inutile che tenti di allontanare dalla scuola i professori atei … E chi potrà mai amare i ragazzi fino all’osso senza finire col metterglielo anche in culo se non un maestro che insieme a loro ami anche Dio e tema l’Inferno e desideri il Paradiso?». Il corsivo è nostro.

 

Ora, questo brano è impossibile che in Vaticano non lo hanno letto. Non dopo che, all’altezza del fallito push per la beatificazione del 2019, era rispuntato fuori in tutta il suo orrore. E non solo nei circoletti tradizionalisti, o in intelligentissimi pubblicazioni come Il Covile. La faccenda era rispuntata nel mainstream, quello dei giornaloni e dei grandi editori.

 

Mi hanno scritto in diversi che dell’episodio non ricordano più niente. Quindi, sintetizzo.

 

Il 5 giugno il ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli organizza al MIUR «un evento dedicato a Don Milani, a cinquant’anni dalla sua scomparsa (…) “Avere una scuola aperta ed inclusiva era l’obiettivo di Don Milani ed è l’impegno del mio ministero».

 

C’è, notevole, una vera convergenza con il Sacro Palazzo: «a scuola, come ci ha ricordato il papa nel messaggio inviato per l’evento dedicato oggi a Don Milani, nell’ambito della Fiera dell’editoria, deve essere capace di dare una risposta alle esigenze delle ragazze e dei ragazzi più giovani» scrive la nota del MIUR.

 

Non ci sono solo le parole. Il 20 giugno 2017 Bergoglio effettua un «pellegrinaggio» (sic – proprio come per i viaggi presso santuari e luoghi sacri) a Barbiana, per onorare don Milani.

 

In quei giorni, strana coincidenza davvero,  esce per Rizzoli un libro di un celebrato scrittore nazionale, tale Walter Siti. Sedicente omosessuale, nei circoli giusti il Siti conta: normalista, professore universitario,  studioso di Montale, curatore delle opere di Pasolini (lui), collaboratori dei giornali di De Benedetti Repubblica e Domani, pochi anni prima aveva vinto il premio Strega. Una voce difficile da ignorare nel contesto dei grandi media di regime.

 

Il romanzo, che oggi per qualche ragione si vende su Amazon in cartaceo a 100 euro, si intitola Bruciare tuttoRacconta la storia di Don Leo, un immaginario prete pedofilo, e dei suoi struggimenti. È un’opera di fiction, ma si apre con una dedica che apre un bello squarcio sulla realtà: «All’ombra ferita e forte di don Lorenzo Milani».

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Boom. I giornali cominciano ad occuparsene: «Ho creduto che don Milani somigliasse al mio prete pedofilo» titola un articolo sul sito apparso su La Repubblica. Qualche giorno prima, un commento («La pedofilia come salvezza. L’inaccettabile romanzo di Siti») era partito dalla filosofa del PD Michela Marzano, nota per la sua attenzione al tema dell’anoressia e il suo abortismo militante.

 

Il 21 aprile la bizantinista TV Silvia Ronchey, figlia del ministro PRI Alberto Ronchey e cognata della collaboratrice dell’Osservatore Romano Lucetta Scaraffia in Galli della Loggia, aveva scritto un’ulteriore difesa («Le vere parole di Don Milani») su La Repubblica, che forse è una toppa peggio del buco: prima definisce il Milani come «è un ebreo non praticante che fa “indigestione di Cristo” (…) la sua conversione non è certo dall’ebraismo al cristianesimo, bensì da un battesimo di convenienza, ricevuto per sfuggire alle leggi razziali, a un abito scomodo, indossato per vocazione di riscatto»; poi lo scrive egli era «calamitato dalla letteratura, dalla poesia, dalla pittura fin da adolescente, artista bohémien dalla non celata omosessualità nella Firenze di fine anni Trenta».

 

«Non celata omosessualità»: quindi, almeno dell’omofilia del prete-icona tutti sapevano, allora come oggi? Almeno fra le élite, era cosa nota? È un argomento che non va trattato con il popolo? Chiediamo.

 

Non che l’interessato non sapesse di cosa si parlasse. in una lettera sul suo direttore spirituale don Raffaele Bensi, nume tutelare della chiesa «resistenziale» della Firenze del dopoguerra, scrisse:  «può darsi che lei abbia in vista una felice sintesi delle due cose, di cui io invece non intravedo la compatibilità p. es. passare a un tempo da finocchio e da maestro, da eretico e da padre della Chiesa, da murato vivo nel chiostro e da pubblicatore del più polemico dei libri».

 

A Firenze, va detto, chiacchierano di Bensi. Si dice avesse bruciato tutta la corrispondenza privata, dove, sostiene Neera Fallaci, forse si parlava anche di Paolo VI.

 

Le pulsioni sono disseminati in altre regioni dell’epistolario milaniano. In un’altra lettera ad un amico vi sarebbe scritto «Vita spirituale? Ma sai in che consiste oggi per me? Nel tenere le mani a posto».

 

Forse, abbiamo pensato, davvero tutti sapevano. Tuttavia qui c’è un primo grande mistero: come è possibile che prima del Concilio Vaticano II, quando la selezione dei sacerdoti scartava immediatamente quanti erano anche solo lontanamente sospettati di avere pulsioni omofile, il Milani sia riuscito a farsi consacrare?

 

Andiamo poco oltre, e troviamo un’ulteriore storia terrificante, quella del Forteto. Va chiarito che non vi sono prove del coinvolgimento dei guru fortetani con il Milani. La comunità nacque dopo la morte di Don Lorenzo, tuttavia il fatto che il donmilanismo potesse essere stato un’ispirazione è un’idea piuttosto accettata.

 

Il Forteto è, secondo il vaticanista Sandro Magister, «quella catastrofe che si è consumata in quel di Firenze, tra i circoli cattolici che fanno riferimento a don Lorenzo Milani e alla sua scuola di Barbiana. Una catastrofe che opinionisti e media hanno a lungo negato o passato sotto silenzio, per ragioni che si intuiscono dalla semplice ricostruzione dei fatti».

 

Al Forteto, scrive la Relazione della Commissione regionale d’inchiesta «l’omosessualità era non solo permessa ma addirittura incentivata, un percorso obbligato verso quella che Fiesoli [il leader della comunità, ndr] definiva “liberazione dalla materialità” (…) l’amore riconosciuto e accettato, l’amore vero, alto e nobile era solo quello con lo stesso sesso (…) Il bene e l’amore vero erano quelli di tipo omosessuale, perché lì non c’è materia».

 

Faccenda è complicata e spaventosa. Ci hanno messo dentro di tutto. Renovatio 21 ha pubblicato un’intervista al magistrato Giuliano Mignini, che si occupò oltre che del caso Kercher anche di quello del Mostro di Firenze, in cui accenna a questioni di cui  ha parlato di recente anche alla «Commissione Parlamentare d’inchiesta sui fatti accaduti presso la comunità Il Forteto»,

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In realtà, non vorremmo tornare a riparlare di tutto questo – ne abbiamo trattato più di dieci anni fa, arrivando a partecipare una conferenza in Regione Toscana con vari soggetti, tra cui Giovanni Donzelli, allora consigliere regionale e oggi parlamentare membro del cerchio magico della Meloni, mentre ad organizzare c’era l’indomito Pucci Cipriani, che per decenni ha combattuto il Don Milani e il donmilanismo.

 

Qui ci importa di notare altro. Dinanzi a questa mole assoluta di melma, Leone, come con il blocco di ghiaccio benedetto e la sua benedizione cringe, tira dritto, come se niente fosse: viva Don Milani, dice il papa americano, chiaramente imbeccato da qualche puparo della gerarchia. L’agenda della neochiesa va avanti. Ma verso dove?

 

Già. Noi avevamo una nostra allucinante ipotesi. In quell’articolo di oramai otto anni fa scrivevamo: «La finestra di Overton, già spalancata per l’omoeresia, ora pare aprirsi, per mano del Papa, per la pederastia ecclesiastica (…) Il cosiddetto “ritardo cattolico” martiniano è finito. La società secolare può metterci anni a normalizzare la pedofilia; la Chiesa ci può invece impiegare pochissimo. Con il golpe modernista è tutto chiaro: la dissoluzione aumenta esponenzialmente, e la foga satanica contro l’Ecclesia è ben maggiore di quella usata contro la società civile».

 

Cosa stai dicendo? Il Vaticano, che tanto sta pagando per la questione delle vittime degli orrendi abusi commessi da sacerdoti e vescovi… starebbe lavorando per normalizzare la pedofilia?

 

Le forze che controllano l’agenda del papato possono volere un tale abisso? Eccerto.

 

E cosa pensate, che il Male non si concentri sul katechon? Che l’avversario non voglia distruggere la diga costruita da Cristo? Credete che Satana non voglia che il pontefice smetta di creare ponti con il Paradiso?

 

Pensate davvero che chi vuole il dominio del maligno sulla Terra non cerchi di corrompere la Chiesa dall’interno?

 

Capiteci: la finestra di Overton spalancata sulla pedofilia è solo uno dei tasselli del disegno, che in realtà è già bello che scritto: una società mostruosa, dove i tabù – compreso soprattutto l’incesto – sono rimossi definitivamente dai suoi schiavi perverso-polimorfi, dove la morte (per eutanasia, per aborto, per omicidio tout court pienamente legalizzato) è un valore auspicabile, e con essa, vero obiettivo, il sacrificio umano.

 

Ecco che approntano il Regno Sociale di Satana, e lavorano incessantemente non solo per plasmarne la «morale» demoniaca, ma per progettarlo biologicamente: Renovatio 21 ha cercato di ripeterlo negli anni, i bambini della provetta potrebbero essere proprio coloro «il cui nome non è scritto nel libro della vita fin dalla fondazione del mondo» (Ap 13, 8)  di cui parla San Giovanni nell’Apocalisse. Cioè, il futuro popolo, il futuro esercito, dell’anticristo.

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Roma si sta muovendo anche lì, verso lo sdoganamento papista degli umanoidi: e non solo con conferenze ammicanti, ma con la proposta (incredibile davvero) di beatificare il politico democristiano che tanto lavorò per normare, cioè permettere, la fecondazione in vitro in Italia. Dell’agghiacciante processo di beatificazione di Carlo Casini – che gli ebeti pro-vita italici celebrano ancora oggi – avremo modo di scrivere più avanti.

 

Non siamo davanti ad una questione politica. Si tratta di una battaglia metafisica, la guerra spirituale per la salute del mondo, per salvare il pianeta dall’inferno.

 

Volenti o nolenti, lo sappiate o no, a questo siete chiamati dall’ora presente.

 

E, io dico, non c’è onore più grande.

 

Roberto Dal Bosco

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Immagine rielaborata da pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

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Se la realtà esiste, fino ad un certo punto

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I genitori si accorgono improvvisamente che la biblioteca scolastica mette a disposizione degli alunni strani libri «a fumetti» dove si illustra amabilmente il bello della liaison omoerotica.   L’intento degli autori è inequivocabile, quello di presentare un modello antropologico indispensabile per una adeguata formazione dell’individuo in crescita… Meno chiaro appare nell’immediato se la scuola, nel senso dei suoi responsabili vicini o remoti, di questa trovata educativa abbiano coscienza e conoscenza.   Di istinto, i genitori dell’incolpevole alunno si chiedono se tutto ciò sia proprio indispensabile per uno sviluppo armonico della psicologia infantile, magari in sintonia con i suggerimenti più elementari della natura e della fisiologia.   Tuttavia, poiché anche lo zeitgeist ha una sua potenza suggestiva, a frenare un po’ il comprensibile sconcerto, in essi affiora anche qualche dubbio sulla adeguatezza culturale dei propri scrupoli educativi, tanto che sono indotti a porsi il dubbio circa una loro eventuale inadeguatezza culturale rispetto ai tempi, votati come è noto, a sicure sorti progressive.   Ma il caso riassume bene tutto il paradosso di un fenomeno che ha segnato questo quarto di secolo e soltanto incombenti tragedie planetarie, mettono un po’ in sordina, finché dagli inciampi della vita quotidiana esso non riemerge con tutta la sua inaspettata consistenza.   Infatti la domanda sensata che si dovrebbero porre questi genitori, è come e perché una anomalia privata abbia potuto meritare prima una tutela speciale nel recinto sacro dei valori repubblicani, per poi ottenere il crisma della normalità e quindi quello di un modello virtuoso di vita; il tutto dopo essersi insinuata tanto in profondità da avere disattivato anche quella reazione di rigetto con cui tutti gli organismi viventi si difendono una volta attaccati nei propri gangli vitali da corpi estranei capaci di distruggerli.   Eppure, per quanto giovani possano essere questi genitori allarmati, non possono non avere avvertito l’insistenza con cui questa merce sia stata immessa di prepotenza sul mercato delle idee, quale valore riconosciuto, dopo l’adeguata santificazione dei cultori della materia ottenuta col falso martirio per una supposta discriminazione. Quella che già il dettato costituzionale impediva ex lege.

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Ma tutta l’impalcatura messa in piedi intorno a questo teatro dell’assurdo in cui i maschi prendono marito, le femmine si ammogliano nelle sontuose regge sabaude come nelle case comunali di remote province sicule, non avrebbe retto comunque all’urto della ragione naturale e dell’evidenza senza la gioiosa macchina da guerra attivata nel retrobottega politico con il supporto della comunicazione pubblica e lasciata scorrazzare senza freni in un mortificato panorama culturale e partitico.   Nella sconfessione della politica come servizio prestato alla comunità, secondo il criterio antico del bene comune, mentre proprio lo spazio politico è in concreto affollato da grandi burattinai e innumerevoli piccoli burattini, particelle di un caos capace di tenere in scacco «il popolo sovrano». Una parte cospicua del quale si sente tuttavia compensato dalla abolizione dei pronomi indefiniti, per cui tutte e tutti possono toccare con mano tutta la persistenza dei valori democratici.   Non per nulla proprio in omaggio a questi valori è installato nella anticamera della presidenza del Consiglio, da anni funziona a pieno regime un governo ombra, quello terzogenderista dell’UNAR. Un ufficio che ha lavorato con impegno instancabile, e indubbia coerenza personale, alla attuazione del «Piano» (sic) elaborato già sotto i fasti renziani e boschiani, per la imposizione capillare nella società in generale e nella scuola in particolare, di tutto l’armamentario omosessista.   Il cavallo di battaglia di questa benemerita entità governativa è la difesa dei «diritti delle coppie dello stesso sesso», dove sia il «diritto», che la «coppia» hanno lo stesso senso dei famosi cavoli a merenda.   Ecco dunque un esempio significativo ed eccellente di quella desertificazione della politica per cui il governo ombra guidato da interessi particolari in collaborazione e in sintonia con centri di potere radicati in istituzioni sovranazionali, possa resistere ad ogni cambio di governo istituzionale senza che ne vengano disinnescati potere e funzioni.   I partiti, dismessi gli apparati ideologici, e omogeneizzati nella sostanza, sono ridotti a «parti», alla moda di quelle fiorentine che pure un qualche ideale di fondo ce l’avevano, anche se tutte si assestavano su un gioco di potere.   Qui prevale il gioco dei quattro cantoni, dove tutti sono guidati dall’utile di parte che coincide a seconda dei casi con l’utile politico personale o ritenuto tale. Un utile calcolato tra l’altro senza vera intelligenza politica ovvero senza intelligenza tout court. Anche chi si è abbigliato di principi non negoziabili, alla bisogna può negoziare tutto, perché secondo il noto Principio della Dinamica Politica, «Tutto vale fino ad un certo punto».   Tajani, insieme a Rossella O’Hara ci ha offerto il compendio di tutta la filosofia occidentale contemporanea. Quindi dobbiamo stare sereni. Ma i genitori attoniti devono comprendere che quei libretti e questa scuola non sono caduti dal cielo. Sono il frutto di una politica diventata capace di tutto perché incapace a tutto sotto ogni bandiera.   Patrizia Fermani

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Putin: il futuro risiede nella «visione sovrana del mondo»

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Le nazioni devono basarsi sulle proprie tradizioni storiche e spirituali, oltre che su una «visione sovrana del mondo», mentre plasmano il loro avvenire, ha dichiarato il presidente russo Vladimir Putin in un messaggio scritto ai partecipanti del II Simposio Internazionale «Inventare il Futuro» a Mosca. L’evento, in programma il 7 e 8 ottobre, accoglierà oltre 7.000 partecipanti provenienti da quasi 80 Paesi.

 

Discussioni aperte e innovative sul futuro dell’umanità supportano i governi nel rispondere adeguatamente alle nuove sfide, ha osservato il presidente russo. «Le conclusioni e i risultati di un dialogo così profondo e sostanziale sono di grande valore», ha aggiunto Putin. «Sono fiducioso che dobbiamo creare il nostro futuro sulla base di una visione del mondo sovrana».

 

Promosso su iniziativa del presidente russo, il simposio comprende circa 50 eventi, organizzati in tre aree tematiche: società, tecnologia e cooperazione globale. Il forum ospiterà oltre 200 relatori provenienti da Russia, Cina, Stati Uniti, Italia e da Paesi di Africa, America Latina, Medio Oriente e Sud-est asiatico, che discuteranno di temi che spaziano dalle sfide demografiche all’intelligenza artificiale (IA) e all’esplorazione spaziale.

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Nel primo giorno del simposio si è svolta una tavola rotonda incentrata sul futuro delle tecnologie di intelligenza artificiale e sul loro potenziale di diventare non solo uno strumento professionale di nicchia, ma una base per un’infrastruttura globale e un nuovo «linguaggio della realtà» per governi e imprese private.

 

Un altro dibattito tenutosi martedì si è concentrato sulle prospettive di collaborazione tra Russia e Africa nei prossimi decenni, fino al 2063. Mosca mira a rafforzare i legami con il continente, promuovendo attivamente la condivisione di tecnologie con le nazioni africane, contribuendo a garantire la sicurezza regionale e sostenendo la sovranità degli attori locali, oltre a favorire un approccio più equo nelle relazioni internazionali.

 

Al forum del Club Valdai, a Sochi, giorni prima Putin aveva parlato dei «valori tradizionali» anche in merito alla «disgustosa atrocità» dell’assassinio di Charlie Kirk.

 

«Sapete, questa disgustosa atrocità, e ancora di più, dal vivo», ha detto Putin a un forum organizzato dal Valdai Discussion Club a Sochi, in Russia. «In effetti, l’abbiamo vista tutti, ma non so, è davvero disgustoso. Era orribile». «Prima di tutto, naturalmente, porgo le mie condoglianze alla famiglia del signor Kirk e a tutti i suoi cari», ha continuato il leader russo. «Siamo solidali e solidali, soprattutto perché ha difeso quei valori tradizionali».

 

Putin aveva aggiunto che la sparatoria mortale è il segno di una «profonda frattura nella società», secondo Reuters. «Negli Stati Uniti, non credo ci sia bisogno di aggravare la situazione all’esterno, perché la leadership politica del Paese sta cercando di ristabilire l’ordine a livello nazionale», ha affermato Putin.

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