Cina
Cina, il premier Li esce dall’ombra di Xi e lancia l’allarme sull’economia

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
La Cina rischia di fallire gli obiettivi di crescita fissati dal governo. Situazione economica attuale peggiore di quella del 2020, a inizio pandemia. Li chiamato a risolvere i problemi economici creati dalle politiche di Xi. Da qui al Congresso del Partito comunista in autunno sarà lotta politica tra le fazioni dei due leader.
Il premier Li Keqiang ha lanciato l’allarme sullo stato dell’economia in Cina, rivelando che quest’anno il Paese rischia di non raggiungere l’obiettivo di crescita economica fissato dal governo al 5,5%.
Parlando ieri a un incontro di emergenza con le autorità locali, le imprese di Stato e gli istituti finanziari, Li ha ammesso che a causa del COVID-19, con i lockdown imposti per contenerlo, la situazione economica attuale è peggiore di quella avuta nel 2020, quando la pandemia è scoppiata.
Li ha esortato i 100mila dirigenti locali presenti al meeting ad adottare qualsiasi misura per stabilizzare l’economia e favorire l’occupazione. Analisti osservano che i suoi margini di manovra per imprimere un cambio di direzione sono però ristretti.
Ogni azione del governo deve essere assunta nel rispetto della politica «zero-COVID» del presidente Xi Jinping, considerata da molti esperti troppo stringente e un freno eccessivo alla crescita economica.
Secondo le previsioni di Bloomberg, quest’anno il PIL cinese vedrà un aumento del 4,5%, lontano da quanto calcolato dalla leadership di Pechino.
Il mancato superamento della crisi pandemica e un andamento negativo dell’economia rappresenterebbero un problema politico per Xi, che al 20° Congresso del Partito comunista cinese – previsto in autunno – dovrebbe ottenere un terzo, storico mandato al potere.
Li è impegnato a evitare una caduta economica del Paese; paradossalmente, però, una cattiva performance dell’economia cinese potrebbe favorire politicamente il premier e la sua fazione all’interno del Partito (la Gioventù comunista).
Da quando è entrato in carica nel marzo 2013, Xi ha accentrato ogni potere decisionale, anche in ambito economico, che per tradizione è appannaggio del primo ministro.
Finora Li ha avuto in larga parte un ruolo secondario: scelte discutibili prese da Xi, come quelle sulla lotta alla pandemia, sul controllo delle imprese tecnologiche e sulle restrizioni ai giganti immobiliari lo hanno riportato però alla ribalta: come osservano diversi analisti, molti leader del Partito pensano che il premier debba avere più voce in capitolo per risolvere i problemi economici del Paese.
Il «ritorno» politico di Li ha una data precisa: il 25 aprile: il Quotidiano del popolo, voce ufficiale del Partito, ha pubblicato un lunghissimo intervento del premier a una conferenza: 10mila caratteri, uno spazio che di solito è riconosciuto solo a Xi.
Nel testo ci sono tutti gli elementi della «Likonomics», il termine usato per la politica economica di Li, accantonata da Xi all’inizio del suo mandato.
Il primo ministro vuole il ritorno a un approccio economico più in linea con il libero mercato. Nel discorso del 25 aprile egli invoca misure per ricostruire l’economia, il rispetto dei meccanismi di mercato, azioni a sostegno delle piccole e media imprese e dell’occupazione, e una riduzione del carico fiscale. Su quest’ultimo punto, Li ha già assunto l’iniziativa: il 23 maggio il governo ha approvato un pacchetto di 33 interventi economici, tra cui spiccano ulteriori tagli fiscali per 140 miliardi di yuan (21 miliardi di dollari).
Xi e si suoi uomini vorrebbero frenare l’attivismo di Li, soprattutto limitando l’influenza della Gioventù comunista. Il premier ha già annunciato che si ritirerà alla scadenza del suo mandato la prossima primavera.
Come sottolineato però da Nikkei Asia, in caso di eventuali passi falsi di Xi egli potrebbe assumere lo stesso un ruolo di rilievo all’interno del Partito, in una sorta di coabitazione con l’attuale leader supremo.
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Immagine di Ministerio de Relaciones Esteriores de Peru via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)
Cina
Mons. Viganò contro la soppressione di due diocesi in Cina

L’arcivescovo Carlo Maria Viganò ha scritto sulla piattaforma social X un breve ma incisivo comento relativo alla chiusura di due diocesi nel territorio della Repubblica Popolare Cinese.
Secondo quanto comunicato da L’Osservatore Romano il 10 settembre, «nel desiderio di promuovere la cura pastorale del gregge del Signore e per attendere più efficacemente al suo bene spirituale, in data 8 luglio 2025, il Sommo Pontefice Leone XIV ha deciso di sopprimere, nella Cina Continentale, le Diocesi di Xuanhua e di Xiwanzi, che furono erette l’11 aprile 1946 da Papa Pio XII, e in pari tempo di erigere la nuova Diocesi di Zhangjiakou, suffraganea di Pechino, con sede episcopale nella chiesa cattedrale di Zhangjiakou».
«In questo modo, il territorio della Diocesi di Zhangjiakou è conforme a quello della Città Capoluogo di Zhangjiakou, con una superficie totale di 36.357 km² e una popolazione totale di 4.032.600 abitanti, di cui circa 85 mila cattolici, serviti da 89 sacerdoti» scrive il giornale della Santa Sede.
La reazione del già nunzio apostolico a Washington è stata durissima.
«L’eredità di Pio XII e della Chiesa Cattolica è calpestata in nome dell’eredità di Bergoglio e della chiesa conciliare-sinodale» scrive monsignore. «Un’altra pagina vergognosa della sistematica distruzione della Chiesa Cattolica da parte dei vertici della Gerarchia vaticana, per sostituirla con una entità globalista paramassonica».
L’eredità di Pio XII e della Chiesa Cattolica è calpestata in nome dell’eredità di Bergoglio e della chiesa conciliare-sinodale.
Un’altra pagina vergognosa della sistematica distruzione della Chiesa Cattolica da parte dei vertici della Gerarchia vaticana, per sostituirla con una… https://t.co/tVIgqsxMBH
— Arcivescovo Carlo Maria Viganò (@CarloMVigano) September 10, 2025
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«Un’altra capitolazione che umilia la Chiesa di Roma legittimando la chiesa scismatica patriottica (e comunista) cinese, abbandonando a se stessi i Cattolici fedeli alla Sede Apostolica e i Martiri vittime della dittatura» continua Sua Eccellenza. «Un’altra rottura con la “vecchia Chiesa” da parte della “chiesa conciliare-sinodale”».
Lo scorso maggio il prelato lombardo si era scagliato contro l’Accordo segreto sino-vaticano, che continua nonostante le violazioni patenti da parte di Pechino, che ordina in tranquillità i suoi «vescovi» patriottici senza il permesso di Roma, facendo quindi pensare ad un «asservimento della chiesa bergogliana a Pechino» e ad una terrificante «cinesizzazione del Cattolicesimo».
«Se il Papa e la Chiesa Cattolica non sono più considerati come agenti di forze ostili» dalla Cina, aveva scritto monsignore, «è perché entrambi hanno ceduto sui principi e si sono allineati alla Cina». Viganò procedeva a spiegare che potrebbe esservi dietro all’intero accordo la ricattabilità del personale ecclesiastico, a partire dal primo negoziatore, Teodoro McCarrick, figura cui Bergoglio tolse il titolo cardinalizio dopo lo scandalo immane dei traffici omosessuali imbastiti dal potente vescovo statunitense.
L’arcivescovo non mancava di ricordare che «questa vicenda coinvolge milioni di Cattolici cinesi perseguitati. La Chiesa del silenzio si confronta con il silenzio della Chiesa, con la complicità e nel tradimento di ecclesiastici cinici e corrotti ai quali interessa assecondare i progetti dell’élite globalista e della dittatura comunista di Pechino».
Come riportato da Renovatio 21, ancora quattro anni fa monsignor Viganò dichiarò che «la dittatura cinese è il paradigma di ciò che attende il mondo intero. Se non sapremo opporci». Con questa dittatura, presente e futura, il Vaticano sta cooperando, e su tutta la terra.
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Immagine di Shujianyang via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International; immagine tagliata
Cina
«Inarrestabile»: Xi svela la triade nucleare in una parata militare che sfida l’Occidente. A suo fianco Putin e Kim

I must say, the Chinese parade really lacks diversity! pic.twitter.com/lO47to5i7L
— The_Real_Fly (@The_Real_Fly) September 3, 2025
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⚡️BREAKING
China unveils its full Nuclear Capability for the first time Some missiles have a range of 15000 km pic.twitter.com/izKfMTuOdP — Iran Observer (@IranObserver0) September 3, 2025
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Quite a hot mic moment on CCTV in Beijing today as Putin and Xi, both 72 years old, are caught casually talking about living to 150 and maybe forever thanks to organ transplants. (As picked up by Bloomberg.) pic.twitter.com/kC4VTRaobq
— Yaroslav Trofimov (@yarotrof) September 3, 2025
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China’s hypersonic anti-ship missiles, including YingJi-19, YingJi-17 and YingJi-20, passed through Tian’anmen Square in Wednesday’s V-Day parade. The formation also included YingJi-15 missile. pic.twitter.com/oyZKJQD47t
— China Xinhua News (@XHNews) September 3, 2025
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Trump ha anche sottolineato la sconfitta americana del Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale, che alla fine ha garantito una pace duratura alla Cina. No, Xi non ha elogiato gli Stati Uniti per questo, ma si è schierato orgogliosamente al fianco dei suoi alleati sanzionati dagli Stati Uniti…What a line up! Xi has made a come back that no one could have predicted 5 years ago.
pic.twitter.com/yJynTn5yYb — Smita Prakash (@smitaprakash) September 3, 2025
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Cina
La Cina presenta il primo chip 6G al mondo

I ricercatori cinesi hanno presentato il primo chip 6G al mondo, in grado di aumentare la velocità di connessione nelle aree remote fino a 5.000 volte rispetto al livello attuale. Lo riporta il giornale di Hong Kong South China Morning Post (SCMP).
La tecnologia 6G si prevede possa ridurre il divario digitale tra aree rurali e urbane. Sviluppato da ricercatori dell’Università di Pechino e della City University di Hong Kong, il chip 6G «all-frequency» potrebbe offrire velocità internet mobile oltre i 100 gigabit al secondo su tutto lo spettro wireless, incluse le frequenze usate nelle zone remote, rendendo l’accesso a internet ad alta velocità più disponibile nelle regioni meno connesse e permettendo, ad esempio, di scaricare un film 8K da 50 GB in pochi secondi.
Tuttavia, le tecnologie 5G e 6G suscitano preoccupazioni. Critiche riguardano i possibili rischi per la salute dovuti alle radiazioni elettromagnetiche, soprattutto con le alte frequenze del 6G, oltre a vulnerabilità agli attacchi informatici a causa dell’aumento dei dispositivi connessi. L’espansione delle infrastrutture potrebbe inoltre avere un impatto ambientale e accentuare le disuguaglianze, lasciando indietro le aree rurali. Si temono anche un incremento della sorveglianza e problemi legati alla privacy dei dati con l’aumento della connettività.
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Le tecnologie wireless come il 5G operano su gamme di frequenza limitate. Il nuovo chip 6G, invece, copre l’intero spettro (da 0,5 GHz a 115 GHz) in un design compatto di 11 mm x 1,7 mm, eliminando la necessità di più sistemi per gestire diverse frequenze. Questo permette al chip di funzionare in modo efficiente su bande sia basse che alte, supportando applicazioni ad alta intensità e migliorando la copertura in aree rurali o remote.
«Le bande ad alta frequenza come le onde millimetriche e i terahertz offrono una larghezza di banda estremamente ampia e una latenza estremamente bassa, rendendole adatte ad applicazioni come la realtà virtuale e le procedure chirurgiche», ha dichiarato al China Science Daily il professor Wang Xingjun dell’Università di Pechino.
I ricercatori stanno sviluppando moduli plug-and-play per diversi dispositivi, come smartphone e droni, che potrebbero facilitare l’integrazione del nuovo chip nelle tecnologie di uso quotidiano.
La Cina pare accelerare per una primazia tecnologica non solo nelle telecomunicazioni – con il caso di Huawei, e relativi incidenti diplomatici internazionali, e sospetti anche in Italia – ma in genere nel settore tecnologico, dove si assiste ai consistenti sforzi per l’IA, visibili nell’ascesa di DeepSeek, un’Intelligenza Artificiale realizzata nel Dragone che non abbisogna di chip particolarmente performanti.
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