Geopolitica
Yemen, stop armi iraniane agli Houthi primo passo nell’accordo Riyadh-Teheran

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Funzionari sauditi e USA affermano che la Repubblica islamica ha accettato di interrompere le forniture al gruppo ribelle. Una decisione che potrebbe segnare la fine della lotta e il raggiungimento di una tregua stabile e duratura. Prime reazioni da Israele: l’ex capo del Mossad parla di passo «sorprendente» e invita anche il governo a «una politica diversa» con Teheran.
Il primo passo concreto nella ripresa delle relazioni fra Arabia Saudita e Iran si doveva fare, a detta degli esperti, sul terreno yemenita. E così è stato, almeno stando a quanto annunciato in queste ore da diplomatici sauditi e statunitensi secondo cui Teheran ha accettato di bloccare l’invio di armi ai ribelli Houthi, in lotta contro le forze governative sostenute da Riyadh a capo di una coalizione armata araba.
Le fonti, rilanciate dal Wall Street Journal, concordano nel ritenere che se la Repubblica Islamica «smette di armare» i ribelli, potrebbe «esercitare pressione sul gruppo militante» e favorire il «raggiungimento di un accordo» che metta fine al conflitto.
Per anni il regno wahhabita e la Repubblica islamica hanno sostenuto le parti in guerra fra loro nello Yemen, alimentando così un conflitto dalle conseguenze disastrose sul piano umanitario e andate oltre i confini del Paese, con lanci di missili Houthi in territorio saudita.
Il portavoce della delegazione iraniana all’ONU non ha voluto rispondere alla domanda relativa al blocco dell’invio di armi e, in questi anni, Teheran ha sempre smentito – almeno ufficialmente – di aiutare militarmente gli Houthi.
Tuttavia, al momento della firma dell’accordo fra le parti siglato nei giorni scorsi uno dei punti di maggiore interesse era proprio quello legato alla «questione yemenita» e un funzionario saudita, dietro anonimato, ha detto di aspettarsi da Teheran il rispetto dell’embargo. Una condizione, sottolineano gli esperti, che renderebbe più difficile la lotta armata per il gruppo e che favorirebbe il raggiungimento di una tregua in stallo da mesi.
L’attenzione dei funzionari USA e sauditi è ora concentrata sull’Iran, per capire se terrà fede all’impegno preso e procederà con la riapertura delle rispettive ambasciate entro i prossimi due mesi.
La ripresa delle relazioni tra Arabia Saudita e Iran «dà una spinta alla prospettiva di un accordo [nello Yemen] nel prossimo futuro» e l’approccio iraniano al conflitto sarà «una specie di cartina di tornasole» per valutare «il successo dell’accordo stesso» spiega una fonte di Washington.
Hans Grundberg, inviato speciale ONU per lo Yemen, è volato a Teheran a inizio settimana per discutere del ruolo di Teheran nel porre fine alla guerra, poi ha proseguito verso Riyadh. Tim Lenderking, l’inviato speciale degli Stati Uniti nel Paese arabo, ha incontrato i funzionari sauditi a Riyadh il 15 marzo per cercare di rinvigorire i colloqui di pace, da troppo in stallo, e una tregua spirata a ottobre e mai rinnovata sinora. L’obiettivo, sebbene difficile, è quello di finalizzare un cessate il fuoco prima dell’inizio del Ramadan la prossima settimana.
Infine, anche da Israele arrivano le prime reazioni all’accordo sponsorizzato dalla Cina fra Teheran e Riyadh della scorsa settimana. A parlare è l’ex direttore del Mossad, i servizi segreti israeliani, Efraim Halevy il quale invita le istituzioni del Paese a esplorare le possibilità di un riavvicinamento con la Repubblica Islamica in seguito a un passo definito «molto sorprendente».
Intervistato dalla CNN, egli ha detto di non avere «pregiudizi» sull’accordo stesso, e ha chiesto di trovare nuovi modi di operare in uno scenario in evoluzione, perché «sono possibili» cambiamenti negli equilibri di potere e nelle relazioni ritenuti a lungo «improbabili».
«[Israele dovrebbe] capire cosa ha portato gli iraniani al loro riavvicinamento con l’Arabia Saudita», ha detto Halevy, chiedendosi se «è giunto il momento anche per Israele di cercare una politica diversa nei confronti dell’Iran» esplorando «in modo nascosto» se vi sono anche possibilità di «riavvicinamento» fra i due nemici storici della regione.
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Immagine di Saudi88hawk via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)
Geopolitica
Netanyahu intensifica la guerra a Gaza mentre la Casa Bianca chiede il cessate il fuoco

Nelle scorse le forze israeliane hanno intensificato il loro attacco su Gaza, causando la morte di almeno 80 palestinesi. Almeno 50 sono morti in un attacco contro un ospedale nel nord di Gaza, tra cui 22 bambini.
Mentre il premier israeliano Benjamin Netanyahu lavora per intensificare la sua guerra, il Presidente Donald Trump e il suo staff cercano di porre fine al conflitto.
«Continuiamo a lavorare per porre fine a questa guerra il più rapidamente possibile. È una cosa orribile quella che sta accadendo», ha detto Trump martedì.
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Secondo il Times of Israel, Trump «sembra di nuovo rompere con Israele, che ha respinto le richieste di porre fine alla guerra, sostenendo che ciò lascerebbe Hamas al potere».
Trump ha recentemente raggiunto un accordo con Hamas per il rilascio degli ostaggi israeliani, sperando che ciò portasse a un cessate il fuoco. Tuttavia ciò sembra aver portato solo a ulteriori uccisioni.
Ll’attacco è avvenuto appena un giorno dopo che l’amministrazione Trump, aggirando Israele, aveva raggiunto un accordo con Hamas – da tempo definita un’organizzazione terroristica da Israele e dagli Stati Uniti – per garantire il rilascio dell’ultimo ostaggio americano ancora in vita, trattenuto a Gaza, Edan Alexander.
La liberazione dell’Alexander costituiva un gesto che alcuni pensavano potesse gettare le basi per un cessate il fuoco, ma Netanyahu ha chiarito che non fermerà la guerra di Israele a Gaza, anche se Hamas rilasciasse i suoi ostaggi, finché i suoi obiettivi dichiarati non saranno raggiunti, offuscando le speranze di una tregua.
«Nei prossimi giorni, entreremo con tutte le nostre forze per completare l’operazione. Completare l’operazione significa sconfiggere Hamas. Significa distruggere Hamas», ha detto Netanyahu. «Non ci sarà alcuna situazione in cui fermeremo la guerra. Un cessate il fuoco temporaneo potrebbe verificarsi, ma andremo fino in fondo».
Nel frattempo, Trump è volato in Arabia Saudita dove ha incontrato una quantità di leader dei Paesi arabi.
L’inviato speciale in Medio Oriente di Trump Steve Witkoff ha dichiarato alla stampa che i stanno facendo progressi «su tutti i fronti».
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Immagine di Jaber Jehad Badwan via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
Geopolitica
Continuano gli scontri a Tripoli

JUST IN: Deadly clashes in #Tripoli, capital city of #Libya is being continued. In fact, various militia groups fighting each other for power. These clashes are between Rada and militants of the Libyan Government of National Unity. The situation is very hostile and getting worse. pic.twitter.com/nh065bMF4L
— World Safety (@nickngei2) May 14, 2025
Libya is now in a state of civil war as violence breaks out between militant factions in Tripoli. There’s the UN-backed government, which is hated by the public, and it is fighting against armed groups that want to overthrow it.
— Ian Miles Cheong (@stillgray) May 14, 2025
Libya has been a mess since Hillary Clinton and… pic.twitter.com/wWAYBbfmxF
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Geopolitica
Trump sta facendo concessioni all’Iran

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha fatto marcia indietro sul presunto piano di rinominare il Golfo Persico. Lo riporta la CNN, citando una fonte vicina alla questione. La mossa è stata descritta come una concessione all’Iran nel contesto dei colloqui nucleari in corso tra i due Paesi.
All’inizio di questo mese, l’Associated Press ha riferito che Trump aveva intenzione di riferirsi alla via d’acqua al largo della costa meridionale dell’Iran come «Golfo Arabico» durante il suo viaggio in Medio Oriente dal 13 al 16 maggio. Tuttavia, Trump ha poi dichiarato ai giornalisti che avrebbe «dovuto prendere una decisione», aggiungendo di non voler «ferire i sentimenti di nessuno».
Secondo la fonte, il presidente degli Stati Uniti ha fatto marcia indietro nei giorni scorsi, poiché Teheran ha espresso una forte opposizione al cambio di nome nel corso dei colloqui.
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Washington e Teheran hanno tenuto diversi round di negoziati in Oman sul programma nucleare iraniano. I colloqui, descritti da entrambe le parti come costruttivi, sono stati offuscati dalle crescenti tensioni in Yemen, dove Stati Uniti e Regno Unito hanno intensificato gli attacchi contro i militanti Houthi presumibilmente sostenuti dall’Iran. L’annuncio di Trump di una pausa nei bombardamenti all’inizio di maggio mirava a dare slancio ai colloqui in corso, secondo quanto riferito da fonti alla CNN all’epoca.
Intervenendo mercoledì al vertice del Consiglio di cooperazione del Golfo a Riyadh, in Arabia Saudita, Trump ha affermato di voler «fare un accordo» con l’Iran.
Trump ha ritirato gli Stati Uniti dall’accordo nucleare del 2015, sostenuto dalle Nazioni Unite, durante il suo primo mandato, accusando l’Iran di violarlo – un’accusa che Teheran nega. La Repubblica Islamica ha iniziato a ridimensionare i suoi impegni dopo l’attacco con drone statunitense del 2020 che ha ucciso il generale iraniano Qasem Soleimani.
Regno Unito, Germania e Francia hanno esortato l’Iran ad abbandonare il suo programma nucleare nei prossimi mesi, altrimenti dovrà affrontare nuove sanzioni, ha dichiarato a febbraio l’ambasciatore del Regno Unito in Israele, Simon Walters.
L’Iran è stato anche accusato di aver aumentato la produzione di uranio di qualità quasi militare, cosa che l’Iran nega.
La denominazione del golfo è da tempo motivo di contesa tra l’Iran e gli stati arabi. Teheran insiste a chiamarlo Golfo Persico, citando prove storiche e antiche mappe che collegano l’area al suo territorio. Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iraq e altri, tuttavia, lo chiamano Golfo Persico o semplicemente «il Golfo».
Il ministro degli Esteri iraniano Seyed Abbas Araghchi ha definito le proposte di modifica del nome «indicative di intenti ostili nei confronti dell’Iran e del suo popolo».
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Trump ha già utilizzato il cambio di nome simbolico in politica estera. A gennaio, ha firmato un ordine esecutivo per rinominare il Golfo del Messico «Golfo d’America». La decisione ha comportato l’esclusione dalla Casa Bianca di testate che rifiutavano di adottare la nuova nomea.
Da una parte, Trump sembra voler cambiare il mondo con le parole; dall’altra mette sul piatto vere annessioni (la Groenlandia, financo l’intero Canada) nel discorso dello spazio geopolitico planetario.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
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