Cina
Trump: «il corrotto Joe Biden è compromesso, di proprietà della Cina»

Durante un discorso nel New Hampshire, l’ex presidente americano Donald J. Trump ha letto messaggi di testo che sarebbero stati inviati da Hunter Biden a un leader del Partito Comunista Cinese e ha affermato che Joe Biden è «compromesso» e completamente «di proprietà della Cina».
Le dichiarazioni di Trump si riferiscono allo scandalo scoppiato la scorsa settimana, definendolo «100 volte più grande del Watergate».
In un SMS, Hunter assicura alla controparte cinese che suo padre «è nella stanza». Alla domanda di un giornalista sulla questione durante una conferenza stampa alla Casa Bianca, il portavoce ammiraglio Kirby (quello dei diritti LGBT come «fondamento della politica estera USA») ha lasciato la sala senza rispondere, lasciando la portavoce Karine Jean-Pierre a balbettare che si tratta di una questione familiare dei Biden – cosa che lapalissianamente non è – e quindi non ne parleranno.
Etichettando Biden «il presidente più corrotto che abbiamo mai avuto», Trump ha inoltre osservato che «cinque giorni fa, gli informatori dell’IRS hanno rivelato che “Joe il corrotto” sedeva nella stanza mentre suo figlio Hunter inviava messaggi a un funzionario del Partito Comunista Cinese, un leader, una persona di spicco, e ha detto: “Sono seduto qui con mio padre e vorremmo capire perché l’impegno preso non è stato rispettato”».
«In altre parole, dove diavolo sono i soldi?» si è chiesto Trump, continuando a leggere altri presunti SMS, comprese minacce come «di’ al direttore che vorrei risolvere la cosa adesso, prima che sfugga di mano, e ora significa stasera».
«Non ho mai saputo che [Hunter Biden] fosse così duro», ha scherzato Trump. «”Se riceviamo una chiamata o un messaggio da chiunque sia coinvolto in questo diverso da te, Zhang o il presidente – è davvero su di tono – farò in modo che tra l’uomo seduto accanto a me…” Suo padre. “… e ogni persona che conosce, ti pentirai di non aver seguito la mia indicazione. Sono seduto qui ad aspettare la chiamata con mio padre“».
«Che diavolo sta succedendo?» Trump ha chiesto alla folla, aggiungendo che «Entro dieci giorni, i Biden hanno ricevuto 5,1 milioni di dollari dalla Cina per non aver fatto assolutamente nulla».
«Joe Biden è un presidente compromesso. Ed è per questo che non succede nulla con la Cina perché la Cina sa quanto sia compromesso. Hanno il pieno controllo sul nostro presidente», ha affermato Trump, aggiungendo «È di proprietà della Cina. Biden è di proprietà della Cina. Pensaci, abbiamo un presidente – e questo è solo uno di loro, sono 5,1 milioni di dollari, ma ce ne sono altri da altri paesi diversi».
«Non puoi prosciugare la palude se fai parte della palude, e Biden e altri avversari, molti di loro sono di proprietà. Vengono acquistati, controllati e pagati al 100%. Il nostro paese è controllato da altri Paesi», ha sottolineato ancora Trump.
«Il 5 novembre 2024 ci opporremo ai marxisti, ai comunisti, ai fascisti e ai globalisti. Sfratteremo il corrotto Joe Biden, è corrotto da morire», ha esortato Trump.
Come riportato da Renovatio 21, Biden ha incontrato almeno 14 soci in affari di suo figlio Hunter, il quale, ricordiamolo è implicato in quantità di affari particolari, compresi i biolaboratori finanziati dall’esercito USA in Ucraina.
Il clan Biden avrebbe guadagnato 31 milioni di dollari da individui con «legami diretti con gli apparati cinesi di spionaggio», ma si parla anche di affari diretti con il giro del presidente cinese Xi Jinping.
Curiosamente, da presidente Biden, nel pieno della cristi energetica, ha venduto 1 milione di barili della riserva strategica di petrolio USA all’azienda cinese nella quale il figlio Hunter aveva investito. Hunter avrebbe parimenti investito milioni di dollari in controverse centrali nucleari in Cina.
TV dei dissidenti cinesi già prima delle elezione 2020 accusavano Biden di essere una marionetta degli interessi del Partito Comunista Cinese.
Tuttavia, l’esempio più umiliante del potere cinese sui Biden, fu l’ammissione dell’economista pechinese Di Dongsheng che in un evento pubblico, trasmesso pure in rete, disse che la Cina aveva combinato per la rielezione di Biden tramite i suoi vecchi contatti a Wall Street (che a suo dire odiavano Trump) e tramite i miliardi assegnati al fondo internazionale di Hunter.
Come riportato da Renovatio 21, Joe Biden due settimana fa ha sghignazzato in faccia al giornalista che gli aveva chiesto delle accuse di corruzione.
He laughs in your face, America https://t.co/A6z09eIbpp
— Miranda Devine (@mirandadevine) June 14, 2023
Immagine di Gage Skidmore via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)
Cina
Xi Jinping in Vietnam: firmati quasi 40 accordi contro i dazi USA

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
È il secondo viaggio in Vietnam in meno di un anno e mezzo per il presidente cinese, che punta a rilanciare la cooperazione strategica con il Paese comunista per fronteggiare le tariffe statunitensi. La visita rientra in un più ampio tour regionale che comprenderà anche la Malaysia e la Cambogia. Intanto oggi Phnom Penh ha inviato in Cina cittadini di Taiwan accusati di lavorare nei centri per le truffe online.
La Cina e il Vietnam hanno firmato oggi quasi 40 accordi di cooperazione i cui dettagli non sono ancora stati resi noti, ma che probabilmente riguarderanno il commercio tra i due Paesi comunisti. Il presidente cinese Xi Jinping era atterrato oggi ad Hanoi per rilanciare la cooperazione economica e superare l’imposizione dei dazi da parte dell’amministrazione statunitense guidata da Donald Trump.
Si tratta del secondo viaggio in Vietnam in meno di 18 mesi e la prima missione diplomatica dell’anno per Xi, che visiterà poi anche la Malaysia e la Cambogia.
Phnom Penh si sta già preparando all’arrivo del presidente cinese: il ministero degli Esteri di Taiwan oggi ha annunciato che la Cambogia ha arrestato 180 cittadini sospettati di essere coinvolti nei centri per le truffe online del Sud-Est asiatico: «la Cambogia, sotto le pressioni della Cina, non ha fornito l’elenco dei cittadini del nostro Paese né il numero totale dei deportati; il ministero non solo continua a sollecitare la Cambogia a fornire l’elenco al più presto, ma esprime anche la sua seria preoccupazione e protesta», ha riferito Taiwan.
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Né Phnom Penh né Pechino hanno rilasciato dichiarazioni a riguardo.
«Le guerre commerciali e tariffarie non hanno vincitori e il protezionismo non ha via d’uscita», ha invece scritto il presidente cinese in un editoriale pubblicato su Nhan Dan, il quotidiano ufficiale del Partito comunista vietnamita. «Dobbiamo difendere con fermezza il sistema commerciale multilaterale, mantenere la stabilità della produzione globale e delle catene di approvvigionamento, e preservare un ambiente internazionale aperto e cooperativo».
Allo stesso modo, in un articolo pubblicato sul Quotidiano del Popolo, organo di informazione del Partito Comunista Cinese, il segretario generale del Partito Comunista del Vietnam, To Lam – la carica più importante all’interno dell’esecutivo vietnamita – ha attribuito alla fiducia, alla sincerità e alla comprensione reciproca il merito delle relazioni globali tra i due Paesi e le due parti.
All’aeroporto di Hanoi Xi Jinping è stato accolto dal presidente del Vietnam, Luong Cuong, un gesto solitamente riservato alle personalità di rilievo. Successivamente, durante un incontro con To Lam, Xi ha ricordato i legami storici tra le due nazioni.
La Cina è il principale partner commerciale del Vietnam, a sua volta la nazione che nel Sud-Est asiatico dipende più di tutte da Pechino a livello di importazioni. Per eludere i dazi imposti alla Cina durante il primo mandato Trump, diverse aziende cinesi (ma non solo) avevano spostato in Vietnam la produzione dei beni destinati all’esportazione. Pechino è rimasto quindi il principale fornitore di materie prime, mentre Hanoi era finora riuscita a sfruttare le tensioni con Washington per trasformarsi in un hub manifatturiero regionale.
Nel 2024, nonostante alcuni punti d’attrito – prevalentemente legati alle dispute nel Mar Cinese meridionale – il commercio bilaterale tra i due Paesi comunisti aveva raggiunto i 260 miliardi di dollari. Nel primo trimestre del 2025, la Cina è risultata il secondo maggiore investitore diretto in Vietnam con 1,2 miliardi di dollari.
Durante l’incontro con To Lam, Xi ha espresso la volontà di espandere la cooperazione in materia di 5G e intelligenza artificiale, e ha poi annunciato la possibilità di una collaborazione su tre progetti ferroviari nel nord del Paese, vicino al confine.
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In parallelo, il primo ministro vietnamita, Pham Minh Chinh, ha incontrato il presidente della azienda aerospaziale COMAC (Commercial Aircraft Corporation of China), He Dongfeng, a cui ha proposto un aumento degli investimenti nel Paese e una collaborazione sull’acquisto di nuovi aeromobili.
Dal canto suo, il Vietnam – il cui principale mercato di esportazione restano gli Stati Uniti – ha cercato di rafforzare le spedizioni agricole verso la Cina per diversificare i rischi economici derivanti dalle caotiche politiche statunitensi.
L’amministrazione Trump ha infatti imposto una tariffa del 46% sulle esportazioni vietnamite, che Hanoi sta cercando di negoziare al ribasso, facendo ulteriori concessioni a Washington, mentre la Cina deve affrontare dazi del 145%, verso cui ha risposto con tariffe reciproche.
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Cina
Cina, altra Pasqua agli arresti per mons. Shao

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Cina
Pechino: nuovi divieti sulle attività religiose degli stranieri

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Annunciate dalle autorità «regole dettagliate» che entreranno in vigore il 1 maggio. Anche a chi non è cinese chiesto il «rispetto dell’indipendenza e dell’auto-governo» delle comunità religiose locali obbedendo alle istruzioni del Partito. Non ammesse celebrazioni miste tra stranieri e cinesi, stabilito persino il numero di libri che si possono portare dall’estero «per uso personale». Il controllo rigidissimo è il vero volto della sinicizzazione.
Dal 1 maggio entrerà in vigore una nuova stretta sull’attività religiosa degli stranieri presenti nella Repubblica popolare cinese. Ad annunciarlo è una nuova serie di norme pubblicate ieri dalla NRAA (National Religious Affairs Administration), la longa manus del Fronte Unito del Partito comunista per le questioni religiose. «Regole dettagliate» le definisce lo stesso titolo del documento, rivolte specificamente agli stranieri di qualsiasi confessione e che attraverso un testo di ben 38 articoli mettono nero su bianco un’indicazione molto chiara: anche gli stranieri in Cina se vogliono vivere la propria religione devono chiedere il permesso alle autorità competenti e stare alle regole stabilite dal Partito, riconoscendo il principio dell’”indipendenza e dell’auto-governo” delle religioni in Cina.
Se ancora ce ne fosse stato bisogno, il nuovo regolamento emanato dalla NRAA è una traduzione molto chiara del senso della parola d’ordine «sinicizzazione» rivolta da tempo dal presidente Xi Jinping a tutte le religioni presenti in Cina. Al di là dell’auspicabile inculturazione nel contesto e nella cultura cinese, alle autorità di Pechino ciò che sta realmente a cuore è il controllo di ciò che accade all’interno dei gruppi religiosi.
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In templi, moschee e chiese nulla deve accadere fuori da ciò che stabilisce il Partito. E proprio nei giorni in cui Xi Jinping e il suo governo si prodiga ad accogliere a Pechino i vertici di grandi multinazionali, tornando a incoraggiare gli investimenti stranieri per rilanciare la crescita appannata dell’economia, il nuovo regolamento della NRAA arriva a precisare che la «sinicizzazione» di ogni forma di espressione religiosa vale anche per gli stranieri. Ed è emblematico che tra i primi a pubblicare le nuove regole ieri vi sia stato il sito internet della diocesi di Shanghai, il crocevia delle relazioni tra la Cina e il mondo.
Non che fino ad oggi nella Repubblica Popolare Cinese non esistessero controlli sulle attività religiose degli stranieri, ovviamente. E non serviva certo un regolamento ad hoc per stabilire che i religiosi stranieri non possono violare le leggi della Repubblica popolare cinese. Ma le nuove norme si spingono molto più in là. All’articolo 5 affermano programmaticamente che «gli stranieri che svolgono attività religiose in Cina devono attenersi alle leggi, ai regolamenti e alle norme cinesi, rispettare il principio dell’indipendenza e dell’autogestione religiosa della Cina e accettare la gestione legittima del governo cinese: la religione non deve essere usata per danneggiare gli interessi nazionali, gli interessi pubblici sociali o i diritti e gli interessi legittimi dei cittadini e non deve violare l’ordine pubblico e i buoni costumi della Cina».
Questo principio viene poi specificato decretando che qualsiasi attività religiosa anche tra stranieri che si trovano in Cina deve avvenire solo all’interno dei luoghi di culto «ufficiali» o – se questo non è fisicamente possibile perché non presenti nella zona – solo dopo aver ottenuto il permesso degli appositi organismi controllati dal Partito, seguendo apposite procedure. Concretamente per i cattolici questo vuol dire vietare espressamente ogni contatto con le comunità cattoliche «sotterranee» o con quei sacerdoti che in coscienza non ritengono di dover aderire all’Associazione patriottica.
L’articolo 10, inoltre, specifica che anche nelle chiese e nei templi «ufficiali» le attività religiose per gli stranieri «dovranno essere presiedute da religiosi cinesi». Solo nel caso «in cui sia veramente necessario che gli stranieri presiedano le attività religiose» andrà comunque presentata una richiesta all’ufficio locale del dipartimento per gli affari religiosi. L’articolo 16 postula, comunque, una rigida separazione: «Ad eccezione dei religiosi cinesi che le organizzano, le attività religiose di gruppo tenute da stranieri in Cina sono limitate alla partecipazione di stranieri in Cina».
Il regolamento norma espressamente anche le attività dei religiosi stranieri che entrano in Cina attraverso scambi accademici e culturali. Oltre, ovviamente, a disporre che questi scambi dovranno essere autorizzati uno per uno dal Partito, all’articolo 21 si premura di precisare che coloro che saranno ammessi non dovranno «parlare o compiere azioni ostili alla Cina, avere tendenze ideologiche estremiste o interferire con le questioni religiose cinesi». Con burocratica precisione, arriva a decretare anche quante copie di libri e materiale audiovisivo ad argomento religioso possono portare con sé per uso personale quando questi ospiti stranieri entrano nella Repubblica Popolare Cinese (mai più di 10). Per fare entrare altro materiale o eventualmente anche diffonderlo, occorrerà ottenere il permesso delle autorità.
L’articolo 26 specifica inoltre che «le organizzazioni o gli individui stranieri non devono reclutare studenti che studiano all’estero allo scopo di coltivare nuovi religiosi all’interno del territorio cinese senza autorizzazione».
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L’articolo 29, infine, elenca una serie di divieti in materia di religione che valgono per qualsiasi straniero che si trova in Cina. Tra gli altri figurano quelli di: interferire nelle attività dei gruppi religiosi, tenere conferenze o prediche non autorizzate, «reclutare seguaci tra i cittadini cinesi», produrre libri o altro materiale ad argomento religioso, accettare donazioni da singoli o organizzazioni cinesi, condurre attività religiose su internet.
La sintesi di tutto questo è evidente: in Cina anche per gli stranieri non è ammessa alcuna espressione religiosa fuori dal controllo del Partito, perché tutte le religioni in Cina – Chiesa cattolica compresa – devono accettare di essere autonome e auto-amministrate.
Appare evidente che, messa in questi termini, l’universalità della Chiesa cattolica può rimanere come un generico riferimento ideale; ma solo a condizione di una sottomissione totale alle direttive politiche nazionali, in un sempre più pericoloso schiacciamento sulla volontà del governo di Pechino.
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Immagine di InfernoXV via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
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