Pensiero
Renovatio 21 saluta Olavo de Carvalho

È mancato una settimana fa nella sua casa in Virginia il filosofo brasiliano Olavo de Carvalho.
I giornali, completamente alieni alla regola del parce sepultum, hanno subito scavato nel torbido andando a rimestare la sua vita famigliare, virgolettando già nel titolo – come fa Repubblica – una figlia che ha detto a un settimanale che il padre aveva «le mani sporche di sangue per il negazionismo sul COVID».
De Carvalho aveva tra i brasiliani un seguito enorme, tanto che era noto solo con il nome di Olavo. In Italia invece era del tutto sconosciuto.
Sapevo di lui perché un articolo sugli orrori della fecondazione in vitro che scrissi anni fa con Elisabetta Frezza, finì, tramite un’amica che lo conosceva e che glielo spedì, all’attenzione dell’Olavo. Il quale, perfettamente in grado di leggere l’italiano, lo ripostò nel suo blog con l’esortazione «excelente artigo». Di lì il sito ebbe un profluvio di visite dal Brasile. Capimmo che Olavo aveva molti, moltissimi lettori fedeli.
Più tardi, all’elezione a sorpresa di Bolsonaro, vidi articoli di lui sul Corriere della Sera. Lo indicavano come il guru di Bolsonaro. Il nuovo governo brasiliano, dicevano, è fatto di ministri scelti da Olavo, per esempio il ministro degli Esteri Ernesto Araujo. Improvvisamente, il mondo intero si rendeva conto dell’influenza del filosofo, per incasellarlo immediatamente come l’ideologo del neopresidente di Brasilia. In realtà, Olavo non aveva mai incontrato Bolsonaro prima delle elezioni, e ha dichiarato più volte che forse Javier Messias non è in grado di capire alcune cose, tuttavia è un uomo onesto, che non avrebbe rubato (a differenza di certi predecessori brasiliani, ora di ritorno).
Con il COVID sono seguite quindi le accuse. negazionista, no vax, antiscientifico.
Altre etichette per non discutere le sue idee: sulla Scienza, per esempio, Olavo aveva una concezione storico-filosifica precisa, che partiva dal rifiuto della Rivoluzione francese e dell’illuminismo.
«L’illuminismo significa (…) l’amore dell’elettricità, una nuova energia che il poeta-filosofo Percy B. Shelley (teorico e pratico dell’incesto nel suo tempo libero) avrebbe celebrato come una grande speranza per il controllo comportamentale; se (…) un uomo fosse solo una macchina elettrica [come nel Frankenstein di Mary Shelley], sarebbe possibile raddrizzare i suoi cavi così da eliminare comportamenti “non desiderabili”, come la Cristianità».
Il vero mostro frankensteiniano era l’Illuminismo stesso, che ha generato «il positivismo [che in Brasile ha avuto un grande peso politico, ndr], l’anarchismo, il fascismo, il comunismo, la New Age, l’aborto indiscriminato e l’impero mondiale della droga».
Il mito dell’età dei lumi propagato ovunque, assieme a quasi tutta la «narrativa delle origini della scienza moderna» altro non sarebbe che «una colossale truffa pubblicitaria» mirata alla diffamazione del Cattolicesimo. Olavo ricordava che la cosiddetta «persecuzione» di Galileo (mito fondativo della Scienza moderna), vide l’Inquisizione trattare lo scienziato (che era ristoratore e astrologo tra le altre cose) con estremo rispetto, a differenza di Stalin e Mao che hanno ucciso ben più «eretici» dei papi.
La questione dell’intolleranza dell’Illuminismo verso gli «eretici» (cioè, chi non si sottomette alle sue pratiche e al suo pensiero) è tremendamente visibile oggi, in era pandemica. Non sorprende, dunque, che le gazzette del regime molestino Olavo anche da morto. Del resto, non pochi si possono sentire chiamati in causa, sin dal titolo, dal suo libro più famoso, O imbecil colectivo («l’imbecille collettivo) dato alle stampe nel 1990.
Olavo sapeva che quello che stiamo vivendo è un Kali Yuga, un’era della disintegrazione, dove la detronizzazione di Dio da centro del cosmo ha portato necessariamente ad un materialismo depressivo che prepara un suicidio della specie, sempre più evidente e forzato dall’alto. Per questo condannava l’estetica invertita del nostro tempo che celebra «i vampiri, la morte dell’anima, la crudeltà, l’uomo che infila il suo braccio sino al gomito dentro l’ano di un altro uomo» e la perdita del ruolo della donna ridotta a menade assassina, come nel famoso caso Bobbit: «tagliando il pene di suo marito (…) Lorena è divenuta simbolo dell’ideale di donna del nostro tempo».
Le idee della sinistra, diceva Olavo, «non sono immagini della realtà, sono pozioni magiche, che sono usate per stregare il pubblico (…) e un incantesimo non si discute ad un livello teoretico: un incantesimo è sfatato mostrando alla vittima ciocche di capelli e brani di vestiti che lo stregone, con iniziativa furtiva, ha nascosto tra resti di cadavere». Sull’ora presente come incantamento, con tanto di filtro magico materiale, anche Renovatio 21 ha scritto qualcosa… anche in portoghese.
De Carvalho ne ebbe anche riguardo alla pedofilia e alla chiesa cattolica, Nel 2002 scrisse un editoriale per il quotidiano nazionale O Globo, intitolato «Cento anni di pedofilia». Nell’articolo scrisse che solo la Cristianità aveva salvato i ragazzini dall’essere abusati dall’Impero romano. Oggi, invece, una sinistra cabala avrebbe infiltrato la chiesa cattolica in mondo gramsciano (in gioventù Olavo, che era di sinistra, aveva studiato le idee di Gramsci), inondando seminari e gerarchie di pervertiti. Noto era anche il suo rifiuto dell’ONU, anch’essa accusata di abusi di bambini.
Non era esattamente definibile come un intellettuale di frangia, anzi. Fu lui a portare in Brasile il pensiero del filosofo della politica tedesco-americano Eric Vogelin. Fu lui a portare fuori il pensiero conservatore dalla favela intellettuale.
Ad un certo punto, negli anni 2010, divenne un vero meme: adesivi, striscioni alle manifestazioni con la scritta «Olavo tem razão», Olavo ha ragione.
Ora anche Renovatio 21, grazie ad un grande collaboratore che lavora dal Brasile, ha una sua versione in portoghese. Avevo provato a mandargli poche settimane fa qualche articolo tramite la nostra amica comune. Ora so che era tardi.
Salutiamo quindi Olavo, che ha compiuto il percorso terreno. E, molto spesso, con razão.
Requiescat in Pace.
Roberto Dal Bosco
Immagine di Alan Santos via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0); immagine modificata
Pensiero
Se la realtà esiste, fino ad un certo punto

I genitori si accorgono improvvisamente che la biblioteca scolastica mette a disposizione degli alunni strani libri «a fumetti» dove si illustra amabilmente il bello della liaison omoerotica.
L’intento degli autori è inequivocabile, quello di presentare un modello antropologico indispensabile per una adeguata formazione dell’individuo in crescita… Meno chiaro appare nell’immediato se la scuola, nel senso dei suoi responsabili vicini o remoti, di questa trovata educativa abbiano coscienza e conoscenza.
Di istinto, i genitori dell’incolpevole alunno si chiedono se tutto ciò sia proprio indispensabile per uno sviluppo armonico della psicologia infantile, magari in sintonia con i suggerimenti più elementari della natura e della fisiologia.
Tuttavia, poiché anche lo zeitgeist ha una sua potenza suggestiva, a frenare un po’ il comprensibile sconcerto, in essi affiora anche qualche dubbio sulla adeguatezza culturale dei propri scrupoli educativi, tanto che sono indotti a porsi il dubbio circa una loro eventuale inadeguatezza culturale rispetto ai tempi, votati come è noto, a sicure sorti progressive.
Ma il caso riassume bene tutto il paradosso di un fenomeno che ha segnato questo quarto di secolo e soltanto incombenti tragedie planetarie, mettono un po’ in sordina, finché dagli inciampi della vita quotidiana esso non riemerge con tutta la sua inaspettata consistenza.
Infatti la domanda sensata che si dovrebbero porre questi genitori, è come e perché una anomalia privata abbia potuto meritare prima una tutela speciale nel recinto sacro dei valori repubblicani, per poi ottenere il crisma della normalità e quindi quello di un modello virtuoso di vita; il tutto dopo essersi insinuata tanto in profondità da avere disattivato anche quella reazione di rigetto con cui tutti gli organismi viventi si difendono una volta attaccati nei propri gangli vitali da corpi estranei capaci di distruggerli.
Eppure, per quanto giovani possano essere questi genitori allarmati, non possono non avere avvertito l’insistenza con cui questa merce sia stata immessa di prepotenza sul mercato delle idee, quale valore riconosciuto, dopo l’adeguata santificazione dei cultori della materia ottenuta col falso martirio per una supposta discriminazione. Quella che già il dettato costituzionale impediva ex lege.
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Ma tutta l’impalcatura messa in piedi intorno a questo teatro dell’assurdo in cui i maschi prendono marito, le femmine si ammogliano nelle sontuose regge sabaude come nelle case comunali di remote province sicule, non avrebbe retto comunque all’urto della ragione naturale e dell’evidenza senza la gioiosa macchina da guerra attivata nel retrobottega politico con il supporto della comunicazione pubblica e lasciata scorrazzare senza freni in un mortificato panorama culturale e partitico.
Nella sconfessione della politica come servizio prestato alla comunità, secondo il criterio antico del bene comune, mentre proprio lo spazio politico è in concreto affollato da grandi burattinai e innumerevoli piccoli burattini, particelle di un caos capace di tenere in scacco «il popolo sovrano». Una parte cospicua del quale si sente tuttavia compensato dalla abolizione dei pronomi indefiniti, per cui tutte e tutti possono toccare con mano tutta la persistenza dei valori democratici.
Non per nulla proprio in omaggio a questi valori è installato nella anticamera della presidenza del Consiglio, da anni funziona a pieno regime un governo ombra, quello terzogenderista dell’UNAR. Un ufficio che ha lavorato con impegno instancabile, e indubbia coerenza personale, alla attuazione del «Piano» (sic) elaborato già sotto i fasti renziani e boschiani, per la imposizione capillare nella società in generale e nella scuola in particolare, di tutto l’armamentario omosessista.
Il cavallo di battaglia di questa benemerita entità governativa è la difesa dei «diritti delle coppie dello stesso sesso», dove sia il «diritto», che la «coppia» hanno lo stesso senso dei famosi cavoli a merenda.
Ecco dunque un esempio significativo ed eccellente di quella desertificazione della politica per cui il governo ombra guidato da interessi particolari in collaborazione e in sintonia con centri di potere radicati in istituzioni sovranazionali, possa resistere ad ogni cambio di governo istituzionale senza che ne vengano disinnescati potere e funzioni.
I partiti, dismessi gli apparati ideologici, e omogeneizzati nella sostanza, sono ridotti a «parti», alla moda di quelle fiorentine che pure un qualche ideale di fondo ce l’avevano, anche se tutte si assestavano su un gioco di potere.
Qui prevale il gioco dei quattro cantoni, dove tutti sono guidati dall’utile di parte che coincide a seconda dei casi con l’utile politico personale o ritenuto tale. Un utile calcolato tra l’altro senza vera intelligenza politica ovvero senza intelligenza tout court. Anche chi si è abbigliato di principi non negoziabili, alla bisogna può negoziare tutto, perché secondo il noto Principio della Dinamica Politica, «Tutto vale fino ad un certo punto».
Tajani, insieme a Rossella O’Hara ci ha offerto il compendio di tutta la filosofia occidentale contemporanea. Quindi dobbiamo stare sereni. Ma i genitori attoniti devono comprendere che quei libretti e questa scuola non sono caduti dal cielo. Sono il frutto di una politica diventata capace di tutto perché incapace a tutto sotto ogni bandiera.
Patrizia Fermani
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Pensiero
Putin: il futuro risiede nella «visione sovrana del mondo»

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Pensiero
La questione di Heidegger

Negli scorsi mesi è scoppiata sul quotidiano La Verità una bizzarra diatriba riguardo ad un pensatore finito purtroppo per essere centrale nel nostro panorama filosofico accademico, Martin Heidegger (1889-1976), già noto per la collaborazione con il nazismo e per l’adulterio consumato con la celebre ebrea Hannah Arendt, all’epoca sua studentessa, e da alcuni, per qualche ragione, considerato come un filosofo «cattolico».
Un articolista con fotina antica a nome Boni Castellane (supponiamo si chiami Bonifazio, ma lo si trova scritto così, con il diminutivo, immaginiamo) ha cominciato, con un pezzo importante, a magnificare le qualità dell’Heidegger lo scorso 17 agosto:«Omologati e schiavi della Tecnologia – Heidegger ci aveva visti in anticipo».
Giorni dopo, aveva risposto un duo di autori, tra cui Massimo Gandolfini, noto, oltre che la fotina con il sigaro, per aver guidato (per ragioni a noi sconosciute) eventi cattolici di odore vescovile, che come da programma non sono andati da nessuna parte, se non verso la narcosi della dissidenza rimasta e il compromesso cattolico. Sono seguite altri botta e risposta sul ruolo del «sacro» secondo l’Heideggerro e la sua incompatibilità con il cristianesimo.
Il Gandolfini e il suo sodale scrivono, non senza ragione, che «il dio a cui si riferisce Heidegger non è il nostro». Una verità non nota agli intellettuali cattolici che, in costante complesso di inferiorità nei confronti del mondo, hanno iniziato ad importare il pensatore tedesco dalle Università italiane – dove ha tracimato, dopo un progetto di inoculo sintetico non differente da quello avutosi con Nietzsche – per finire addirittura nei seminari.
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Il progetto, spiegava anni fa Gianni Collu al direttore di Renovatio 21, era del tutto identico a quello visto con Nietzsche, recuperato dall’ambito della cultura nazista, purgato nell’edizione Adelphi di Giorgio Colli e Mazzino Montinari – la cura dell’opera omnia nicciana arriva prima in italiano che in tedesco! – e servito alla massa del ceto medio riflessivo italiota, e mondiale, per distoglierlo dal marxismo e introdurre elementi di irrazionalismo e individualismo nichilista nella vita del popolo – di lì all’esoterismo di massa, il passo diventa brevissimo.
Con Heidegger si è tentato un lavoro simile, ma Collu aveva profetizzato allo scrivente che stavolta non avrebbe avuto successo, perché era troppo il peso del suo legame con l’hitlerismo, e troppa pure la cifra improponibile del suo pensiero. Di lì a poco, vi fu lo scandalo dei cosiddetti «Quaderni neri», scritti ritenuti inaccettabili che improvvisamente sarebbero riemersi – in verità, molti sapevano, ma il programma di heidegerizzare la cultura (compresa quella cattolica) imponeva di chiudere un occhio, si vede. Fu ad ogni modo divertente vedere lo stupore di autori e autrici che avevano dedicato una buona porzione della carriera allo Heidegger – specie se di origini ebraiche.
L’incompatibilità di Heidegger – portatore di una filosofia oscura e disperata – con il cattolicesimo è, comunque, totale. Di Heidegger non vanno solo segnalati i pericoli, va combattuto interamente il suo pensiero, che altro non è se non un ulteriore sforzo per eliminare la metafisica, e quindi ogni prospettiva non materiale – cioè spirituale – per l’uomo.
Molto vi sarebbe da dire sul personaggio, anche a partire dal suo dramma biografico. Lasciamo qui la parola al professor Matteo D’Amico, che ha trattato il tema dell’influenza di Heidegger nel mondo cattolico, e la difformità di questo personaggio e del suo pensiero, in un intervento al Convegno di studi di Rimini della Fraternità San Pio X nel 2017.
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Immagine di Landesarchiv Baden-Württemberg, Staatsarchiv Freiburg W 134 Nr. 060680b / Fotograf: Willy Pragher via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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