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Spirito

Ratzinger e il «mostro» del papato scomposto. Riflessione di mons. Viganò

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Renovatio 21 pubblica questa riflessione dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò

 

IL PAPATO «SCOMPOSTO»

Emeritus, Munus, Ministerium

 

La saga infinita sulla Rinunzia di Benedetto XVI continua ad alimentare una narrazione delle vicende cui abbiamo assistito nell’ultimo decennio sempre più ardita e surreale.

 

Teorie inconsistenti e non suffragate da alcuna prova hanno fatto presa su tantissimi fedeli ed anche su sacerdoti, aumentando la confusione e il disorientamento. Ma se ciò è stato possibile, è in buona parte anche dovuto a chi, conoscendo la verità, nondimeno la teme per le conseguenze che essa, una volta svelata, potrebbe avere.

 

Vi è infatti chi ritiene preferibile tenere insieme un castello di menzogne e inganni, piuttosto di dover mettere in discussione un passato di connivenze, silenzi e complicità. 

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Lo scambio epistolare 

Nel corso di un incontro all’Hotel Renaissance Mediterraneo di Napoli con i Cattolici del locale Cœtus fidelium tenutosi lo scorso 22 Novembre, mons. Nicola Bux ha accennato ad uno scambio epistolare con il «Papa emerito Benedetto XVI», risalente all’estate del 2014, che costituirebbe la smentita delle teorie sulla invalidità della Rinunzia.

 

Il contenuto di queste lettere – la prima, di mons. Bux, del 19 Luglio 2014 (tre pagine) e la seconda, di Benedetto XVI, del 21 Agosto successivo (due pagine) – non è stato diffuso dieci anni fa, come sarebbe stato più che auspicabile, ma solo oggi se ne è appena accennata l’esistenza. Si dà il caso che io sia al corrente tanto di questo scambio epistolare quanto del suo contenuto.

 

Per quale motivo mons. Bux decise di non divulgare tempestivamente la risposta di Benedetto XVI quand’era ancora vivo e in grado di confermarla e circostanziarla, e invece di rivelarne soltanto l’esistenza, senza svelarne il contenuto, a quasi due anni dalla sua morte? Perché nascondere alla Chiesa e al mondo questa autorevole e importantissima dichiarazione? 

 

La rivoluzione permanente

Per rispondere a questi legittimi interrogativi occorre mettere da parte la finzione mediatica. Occorre anzitutto comprendere che la visione antitetica di un Ratzinger «santo subito» e di un Bergoglio «brutto e cattivo» fa comodo a tanti. Questa impostazione semplicistica, artefatta e falsa, evita di affrontare il cuore del problema, ossia la perfetta coerenza di azione dei «papi conciliari» da Giovanni XXIII e Paolo VI al sedicente Francesco, ivi compresi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

 

I fini sono gli stessi, anche se perseguiti con modalità e linguaggio differenti. L’immagine di un anziano, elegante e fine teologo, in pianeta romana e calzari rossi, che riconosce cittadinanza al Rito tridentino e di un intemperante eresiarca globalista che non celebra la Messa e vanifica Summorum Pontificum, mentre promulga la liturgia maya con femmine turificanti, rientra in quell’operazione di polarizzazione forzata che abbiamo visto adottata anche nella sfera civile, dove un analogo progetto eversivo è stato condotto a termine favorendo da una parte le forze ultra-progressiste e dall’altro tenendo buone le voci del dissenso.

 

In realtà, Ratzinger e Bergoglio – ed è proprio questo che i conservatori non vogliono riconoscere – costituiscono due momenti di un processo rivoluzionario che contempla fasi alterne e solo apparentemente contrapposte, seguendo la dialettica hegeliana di tesi, antitesi e sintesi. Un processo che non inizia con Ratzinger e non finirà con Bergoglio, ma che rimonta a Roncalli e sembra destinato a protrarsi finché la deep church continuerà a sostituirsi alla gerarchia Cattolica usurpandone l’autorità.

 

Nella visione ratzingeriana, la tesi del Vetus Ordo e l’antitesi del Novus Ordo si compongono nella sintesi di Summorum Pontificum, grazie all’escamotage di un unico rito in due forme. Ma questa «coesistenza pacifica» è il prodotto dell’idealismo tedesco; ed è falsa perché si fonda sulla negazione dell’incompatibilità tra due modi di concepire la Chiesa, uno sancito da duemila anni di Cattolicità, l’altro impostosi con il Concilio Vaticano II grazie all’operato di eretici fino ad allora condannati dai Romani Pontefici. 

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La «ridefinizione» del Papato

Ritroviamo lo stesso modus operandi nella volontà espressa prima da Paolo VI, poi da Giovanni Paolo II e infine da Benedetto XVI di «ridefinire» il Papato in chiave collegiale ed ecumenica, ad mentem Concilii, laddove la divina istituzione della Chiesa e del Papato (tesi) e le istanze ereticali dei neomodernisti e delle sette acattoliche (antitesi) si compongono nella sintesi di una ridefinizione del Papato in chiave ecumenica, prospettata dall’enciclica Ut unum sint promulgata da Giovanni Paolo II nel 1995 e più recentemente formulata nel Documento di Studio del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani dello scorso 13 Giugno: Il Vescovo di Roma. Primato e sinodalità nei dialoghi ecumenici e nelle risposte all’enciclica ‘Ut unum sint’.

 

Non stupirà apprendere – come mi confidò il card. Walter Brandmüller nel gennaio del 2020 rispondendo ad una mia precisa domanda – che il prof. Joseph Ratzinger elaborava la teoria del papato emerito e collegiale con il collega Karl Rahner, negli anni Settanta quando entrambi erano «giovani teologi». 

 

Nel corso di una conversazione telefonica che ebbi nel 2020, una fidatissima assistente di Benedetto XVI mi confermò l’intenzione del Papa – più volte reiterata alla stessa – di ritirarsi a vita privata nella sua dimora bavarese, senza mantenere né il nome apostolico né le vesti papali. Ma questa eventualità era considerata come inopportuna per coloro che avrebbero perso il proprio potere in Vaticano, specialmente nei confronti di quei conservatori che avevano in Benedetto XVI il proprio riferimento e ne avevano mitizzata la figura. 

 

Non sappiamo con certezza se la soluzione teorizzata con Rahner dal giovane Ratzinger fosse ancora contemplata dall’anziano Pontefice, né se il papato emerito sia stato «riesumato» da chi voleva tenere Benedetto in Vaticano, anche avvalendosi delle pressioni esterne sulla Santa Sede che si erano concretizzate con la sospensione del Vaticano dal sistema SWIFT, ripristinato significativamente subito dopo l’annuncio della Rinunzia. Di fatto la Rinunzia ha creato un’immensa confusione nel corpo ecclesiale e ha consegnato la Sede di Pietro al suo demolitore, il che vede comunque coinvolto Joseph Ratzinger.

 

Benedetto ricorse quindi all’invenzione del «Papato emerito», cercando, in violazione della prassi canonica, di tenere in vita l’immagine del «fine teologo» e del defensor Traditionis che il suo entourage aveva costruito. Peraltro, un’analisi delle vicende che riguardano l’epilogo del suo Pontificato è estremamente complessa sia in ragione delle peculiarità intellettuali e caratteriali di Ratzinger, sia per l’opacità dell’azione dei suoi collaboratori e della Curia, sia infine per l’assoluto ἅπαξ della Rinunzia, così come effettuata da Benedetto XVI, una modalità del tutto inedita mai prima verificatasi nella storia del Papato.

 

D’altra parte, questa parentesi di mozzette e camauri doveva eclissarsi con il passaggio delle consegne al già designato arcivescovo di Buenos Aires, candidato dalla Mafia di San Gallo a prendere il suo posto sin dal Conclave del 2005. Il ruolo di Benedetto XVI come Emerito ha avuto la funzione di affiancare una sorta di papato conservatore (munus) che vigilasse sul papato progressista di Bergoglio (ministerium), in modo da tenere insieme la componente moderatamente conservatrice ratzingeriana e quella violentemente progressista bergogliana, favorendo la percezione di una continuità tra il «papa emerito» e il «papa regnante».

 

In sostanza, si è trovato il modo di mantenere Benedetto in Vaticano, per far sì che la sua presenza entro le Mura Leonine apparisse come una forma di approvazione di Bergoglio e delle aberrazioni del suo «pontificato». Dal canto suo, l’argentino ha visto in questo monstrum canonico – perché tale è il «papato emerito» – uno strumento di destrutturazione del Papato in chiave conciliare, sinodale ed ecumenica; la qual cosa, come sappiamo, era condivisa dallo stesso Benedetto XVI. 

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Il «monstrum» canonico del Papato emerito 

Va detto che anche l’istituto dell’Episcopato emerito è un monstrum canonico, perché con esso il Vescovo diocesano si vede «congelare» la giurisdizione su base anagrafica (al raggiungimento del 75° anno di età), contro la prassi plurisecolare della Chiesa. L’emeritato, facendo venir meno nei Vescovi la coscienza di essere Successori degli Apostoli, ha avuto come immediata conseguenza anche una totale deresponsabilizzazione, relegandoli al ruolo di meri funzionari e burocrati.

 

Anche l’istituzionalizzazione delle Conferenze Episcopali come organismi di governo che interferiscono ed ostacolano l’esercizio della potestas dei singoli Vescovi, ha certamente costituito un attentato alla divina costituzione della Chiesa Cattolica e alla sua Apostolicità.

 

L’Episcopato emerito, introdotto subito dopo il Concilio nel 1966 con il Motu Proprio Ecclesiæ Sanctæ e poi acquisito dal Codice di Diritto Canonico del 1983 (can. 402, § 1), rivela una significativa coerenza con Ingravescentem ætatem del 1970, che priva i Cardinali settantacinquenni delle loro funzioni di Curia e quelli ottantenni del diritto di eleggere il Papa in Conclave.

 

Al di là della formulazione giuridica di queste leggi ecclesiastiche, se ne comprende la mens solo in un’ottica di deliberata esclusione dei Vescovi e dei Cardinali anziani dalla vita della Chiesa, volta a favorire il «ricambio generazionale» – un vero e proprio reset della gerarchia Cattolica – con Prelati ideologicamente più vicini alle nuove istanze promosse dal Vaticano II.

 

Questa epurazione artificiale della compagine più anziana dell’Episcopato e del Collegio Cardinalizio – e dunque presumibilmente meno incline alle innovazioni – ha finito per falsare gli equilibri interni alla gerarchia, secondo un’impostazione mondana e secolare già ampiamente adottata in ambito civile.

 

E quando, sotto il Pontificato di Giovanni Paolo II, le cosiddette «vedove Montini» – ossia i cardinali che negli anni Ottanta avevano raggiunto i limiti di età – chiesero la revoca di Ingravescentem ætatem per non essere escluse dal Conclave, divenne evidente che anche i progressisti degli anni Settanta erano ormai destinati a loro volta a finire vittime della norma che avevano invocato per altri: Et incidit in foveam quam fecit (Ps 7, 16). 

 

Non sfuggirà che, in un’ottica di «ridefinizione» del papato in chiave sinodale, laddove il Vescovo di Roma sia considerato primus inter pares, l’istituzione dell’Episcopato emerito e le norme che limitano l’esercizio dell’Episcopato e del Cardinalato al raggiungimento di una certa età, costituiscono la premessa all’istituzionalizzazione del Papato emerito e alla giubilazione del Papa anziano. 

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Il falso problema di munus e ministerium

Dalla tesi del Papato (sono papa) in conflitto con l’antitesi della Rinunzia (non sono più papa) risulta un concetto in continuo divenire – come il divenire è l’assoluto per Hegel – ovverosia la sintesi del papato emerito (sono ancora Papa ma non faccio più il Papa).

 

Non si trascuri questo aspetto filosofico del pensiero di Joseph Ratzinger, che gli è precipuo e ricorrente: la sintesi è di per sé provvisoria, in vista di una sua mutazione in tesi a cui si contrapporrà una nuova antitesi che darà luogo ad un’ulteriore sintesi, a sua volta provvisoria. Questo incessante divenire è la base ideologica, filosofica e dottrinale della rivoluzione permanente inaugurata dal Concilio Vaticano II sul fronte ecclesiale e dalla Sinistra globale sul fronte politico. 

 

Abbiamo dunque assistito a una sorta di separazione artificiale del Papato: da una parte il Papa rinunciava al Papato e dall’altra la persona papæ, Joseph Ratzinger, cercava di mantenerne alcuni aspetti che gli garantissero protezione e prestigio.

 

Siccome l’allontanamento fisico dalla Sede Apostolica poteva apparire come una forma di disapprovazione della linea di governo della Chiesa imposta dalla deep church bergogliana, tanto il Segretario personale quanto il Segretario di Stato fecero forti pressioni perché Ratzinger rimanesse «a mezzo servizio», per così dire, giocando sulla fittizia separazione tra munus e ministerium – peraltro vigorosamente smentita nella risposta dell’Emerito a mons. Bux. 

 

Il prof. Enrico Maria Radaelli ha evidenziato nei suoi approfonditi studi che questa arbitraria bipartizione del mandato petrino tra munus e ministerium rende invalida la Rinunzia. Dal momento che il Primato petrino non può essere scomposto in munus e ministerium, essendo esso una potestas che Cristo Re e Pontefice conferisce a colui che è stato eletto per essere Vescovo di Roma e Successore di Pietro, la negazione di Ratzinger (nella citata lettera) di non aver voluto scindere munus e ministerium è in contraddizione con l’ammissione dello stesso Benedetto di aver impostato il Papato emerito sul modello dell’Episcopato emerito, che appunto si basa su questa artificiosa e impossibile scissione tra essere e fare il Papa, tra essere e fare il Vescovo.

 

L’absurdum di questa divisione è evidente: se fosse possibile possedere il munus senza esercitare il ministerium, dovrebbe essere parimenti possibile esercitare il ministerium senza possedere il munus, ossia svolgere le funzioni di papa senza esserlo: la qual cosa è un’aberrazione tale da inficiare radicalmente il consenso all’assunzione del Papato stesso.

 

E in un certo senso questa dicotomia surreale tra munus e ministerium l’abbiamo vista concretizzata, quando l’Emerito era papa ma non esercitava il papato, mentre Bergoglio faceva il Papa senza esserlo.

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La desacralizzazione del Papato

D’altronde, il processo di desacralizzazione del Papato iniziato con Paolo VI (pensiamo alla scenografica deposizione del triregno) è proseguito senza soluzione di continuità anche sotto il Pontificato di Benedetto XVI (che ha rimosso la tiara anche dallo stemma papale).

 

Ciò è da attribuirsi precipuamente alla nuova ecclesiologia ereticale del Vaticano II, che ha fatto proprie le istanze della società secolarizzata e «democratica» accogliendo in seno alla Chiesa concetti quali la collegialità e la sinodalità che le sono ontologicamente estranei, stravolgendo così la natura monarchica della Chiesa voluta dal suo divino Fondatore. Lascia certamente interdetti e immensamente addolorati vedere con quanto zelo la gerarchia conciliare e sinodale si sia fatta promotrice della sovversione in seno alla Chiesa Cattolica. Una sequenza di riforme, norme e pratiche pastorali da oltre sessant’anni demoliscono sistematicamente ciò che sino a prima del Vaticano II era considerato intangibile e irriformabile. 

 

Va anche ricordato che la Rinunzia di Benedetto XVI non è stata seguita da un normale Conclave, nel quale gli Elettori hanno scelto serenamente il candidato alla successione sul Soglio di Pietro; ma da un vero e proprio colpo di Stato compiuto ex professo dalla Mafia di San Gallo – ossia dalla componente eversiva infiltratasi nella Chiesa nel corso dei decenni precedenti – mediante la manomissione e violazione del regolare processo elettivo e il ricorso a ricatti e pressioni sul Collegio Cardinalizio.

 

Non dimentichiamo che un eminente prelato ha confidato a conoscenti che ciò a cui aveva personalmente assistito in Conclave poteva pregiudicare la validità dell’elezione di Jorge Mario Bergoglio. Anche in questo caso, incomprensibilmente, il bene della Chiesa e la salvezza delle anime sono stati messi da parte, in nome di una farisaica osservanza del segreto pontificio, forse non del tutto scevra da ricatti e minacce.

 

Vi è un’evidente contraddizione tra lo scopo che Benedetto si prefiggeva (cioè: rinunciare al papato) e il mezzo che egli ha scelto per farlo (basato sull’invenzione del Papato emerito). Questa contraddizione, in cui soggettivamente Benedetto si è dimesso ma oggettivamente ha prodotto un monstrum canonico, costituisce un atto così sovversivo da rendere nulla e invalida la Rinunzia.

 

A suo tempo questa contraddizione dovrà essere sanata da un pronunciamento autoritativo, ma rimane il fatto ineludibile che la forma in cui è stata posta la Rinunzia non toglie le successive irregolarità che hanno portato Bergoglio ad usurpare il Soglio di Pietro con la complicità della deep church e del deep state. Né è possibile pensare che la Rinunzia non debba essere letta alla luce del piano eversivo che mirava ad estromettere Benedetto XVI per sostituirlo con un emissario dell’élite globalista. 

 

Il castello di menzogne cui cooperano laici, sacerdoti e prelati, anche in buona fede, rimane una gabbia nella quale essi si sono imprigionati.

 

Nella drammatizzazione mediatica, gli attori Ratzinger e Bergoglio ci sono stati presentati come portatori di teologie antitetiche, quando in realtà essi rappresentano due stadi successivi del medesimo processo rivoluzionario. Ma l’apparenza, il simulacro su cui si basa la comunicazione di massa non può sostituire la sostanza di Verità cui è indefettibilmente tenuta la Chiesa Cattolica per mandato divino. 

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Conclusione

Ai tantissimi fedeli scandalizzati, ai molti sacerdoti e religiosi confusi e indignati, ai pochi – almeno per ora – che levano la voce per denunciare il golpe perpetrato ai danni della Santa Chiesa dai suoi stessi Ministri, rivolgo il mio incoraggiamento a perseverare nella fedeltà a Nostro Signore, Sommo ed Eterno Sacerdote, Capo del Corpo Mistico.

 

Resistete forti nella fede, ci ammonisce il Principe degli Apostoli (1 Pt 5, 9), sapendo che i vostri fratelli sparsi per il mondo subiscono le vostre stesse sofferenze. Il sonno nel quale il Salvatore sembra ignorarci mentre la Barca di Pietro è sconquassata dalla tempesta, deve essere per noi uno sprone ad invocare il Suo aiuto, perché solo nel momento in cui ci rivolgeremo a Lui, lasciando da parte rispetti umani, teorie inconsistenti e calcoli politici, Lo vedremo destarSi e comandare ai venti e al mare di placarsi.

 

Resistere nella fede richiama il combattimento per rimanere fedeli a ciò che il Signore ha insegnato e comandato, proprio nel momento in cui molti, soprattutto ai vertici della gerarchia, Lo abbandonano, Lo rinnegano e Lo tradiscono.

 

Resistere nella fede implica il non venir meno nel momento della prova, sapendo attingere in Lui la forza per superarla vittoriosi.

 

Resistere nella fede significa infine saper guardare in faccia la realtà della passio Ecclesiæ e del mysterium iniquitatis, senza cercare di dissimulare l’inganno dietro il quale si nascondono i nemici di Cristo

 

Questo è il senso delle parole del Salvatore: Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi (Gv 8, 32).

 

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

30 Novembre 2024, Andreæ Apostoli

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Renovatio 21 offre questa omelia di Monsignor Viganò per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

Spirito

Mons. Viganò: il piano anticristico di Bergoglio, Soros e Hillary Clinton

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L’arcivescovo Carlo Maria Viganò ha scritto su X un breve commento alla premiazione di Bergoglio da parte di Biden con l’alto encomio civile della Presidential Medal of Freedom, notando che il medesimo premio è stato dato a figure come Hillary Clinton e Giorgio Soros.   «Hillary Clinton, Bono, George Soros e altri “benemeriti” sono stati premiati da Joe Biden con la Medaglia presidenziale della libertà».   «Con questi esponenti della Sinistra Radicale, Joe Biden condivide il piano anticristico e criminale dell’Agenda 2030, l’adesione all’ideologia woke e LGBTQ+, la teoria gender, aborto e infanticidio, vaccinazioni di massa, l’isteria del cambiamento climatico, la sostituzione etnica mediante l’immigrazione incontrollata» scrive Viganò.   «Come stupirsi se in questo selezionatissimo palmarès viene insignito della Medaglia anche Jorge Mario Bergoglio, che il deep state ha fatto eleggere a capo della deep church proprio per promuovere il medesimo criminale golpe globalista?»  

Acquistate le Maglie Crociate

Come riportato da Renovatio 21, il presidente uscente degli Stati Uniti Biden ha conferito a al gesuita argentino la più alta onorificenza civile degli USA, affermando che il Papa è «una luce di fede, speranza e amore che risplende in tutto il mondo».   «Oggi, il Presidente Biden ha parlato con Sua Santità Papa Francesco e lo ha nominato destinatario della Presidential Medal of Freedom with Distinction» recita la dichiarazione. «La Presidential Medal of Freedom è la più alta onorificenza civile della nazione, conferita a individui che hanno dato un contributo esemplare alla prosperità, ai valori o alla sicurezza degli Stati Uniti, alla pace nel mondo o ad altri importanti sforzi sociali, pubblici o privati. Questa è la prima volta che il Presidente Biden ha conferito la Presidential Medal of Freedom with Distinction».   Il messaggio elogiativo di Biden, che riassumeva gli aspetti della vita di Francesco presi in considerazione per il premio, citava l’attivismo del Papa «al servizio dei poveri» e i suoi appelli alla pace e all’azione contro i cambiamenti climatici.   L’anziano presidente ha anche menzionato i rapporti di Francesco con le «diverse fedi» e lo ha definito «il Papa del popolo».   «Da giovane, Jorge Bergoglio ha cercato una carriera nella scienza prima che la fede lo conducesse a una vita con i gesuiti. Per decenni, ha servito i senza voce e i vulnerabili in tutta l’Argentina. Come Papa Francesco, la sua missione di servizio ai poveri non è mai cessata. Pastore amorevole, risponde con gioia alle domande dei bambini su Dio. Insegnante stimolante, ci comanda di lottare per la pace e proteggere il pianeta».   «Un leader accogliente, si rivolge a fedi diverse. Primo papa dell’emisfero australe, papa Francesco è diverso da chiunque sia venuto prima. Soprattutto, è il papa del popolo, una luce di fede, speranza e amore che splende intensamente in tutto il mondo».  

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Immigrazione

Vaticano: sanzioni più severe per i clandestini

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La Santa Sede ha emanato il 19 dicembre 2024 un decreto che aumenta notevolmente le sanzioni finanziarie e persino le pene detentive per chi entra illegalmente nel territorio dello Stato della Città del Vaticano.

 

Come nota ironicamente InfoCatolica, «la politica di apertura all’immigrazione, legale e clandestina, che Papa Francesco auspica fin dall’inizio del suo pontificato, non trova applicazione in Vaticano, dove è Capo dello Stato». Come ha riferito Specola, dal mese scorso le sanzioni per l’ingresso illegale in Vaticano sono state notevolmente inasprite.

 

Il testo, firmato dal cardinale Fernando Vérgez Alzaga, presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, è entrato in vigore subito dopo la sua pubblicazione.

 

Il decreto prevede pene detentive da uno a quattro anni e multe fino a 25mila euro per chi entra nel territorio vaticano con violenza, minaccia o inganno. Quest’ultimo caso comprende azioni quali l’elusione fraudolenta dei sistemi di sicurezza o l’elusione dei controlli alle frontiere.

 

Le sanzioni saranno più severe se l’ingresso illegale avviene utilizzando armi, sostanze pericolose o in gruppo. Inoltre, vengono aumentati di due terzi se si forza un controllo di frontiera mentre si guida un veicolo.

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Il decreto introduce nuove disposizioni in materia di sorvolo non autorizzato dello spazio aereo vaticano, compreso l’uso di droni, con pene fino a tre anni di reclusione.

 

Tra le nuove disposizioni c’è la possibilità di imporre il divieto di accesso al territorio vaticano per un periodo fino a 15 anni per i recidivi, nonché sanzioni amministrative per chi non rispetta le regole di residenza o di uso dei beni concesse nel territorio dello Stato vaticano.

 

Preservare la sicurezza del Vaticano

Il decreto risponde all’urgenza di garantire la sicurezza in un territorio di grande importanza religiosa e diplomatica. In questo senso, le nuove disposizioni rafforzano gli strumenti giuridici a disposizione per prevenire e sanzionare atti idonei a mettere in pericolo l’ordine pubblico o l’integrità dei locali vaticani.

 

Lo svolgimento dell’Anno Santo, con un’affluenza prevista di 40 milioni di pellegrini, è senza dubbio un motivo in più per spiegare l’attuazione di questa nuova legge, e il fatto che sia stata immediatamente applicabile.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Spirito

«Squilibrati mentali», «mondani settari» col «fascino per l’occulto»: nuova caterva di accuse ed insulti di Bergoglio contro i fedeli della Messa antica

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Nuova carica di insulti di Bergoglio contro i cattolici rimasti fedeli alla Santa Messa in tridentina, cioè la cosiddetta «Messa in latino», cioè la Messa di sempre – cioè l’unico vero rito della Chiesa cattolica nei secoli. Il Bergoglio si è scagliato contro i devoti della Santa Messa essa tradizionale, accusandoli di praticare «indietrismo», «mondanità settaria» e perfino «fascino per l’occulto», nel suo recente, ennesimo libro di memorie, Spera, pubblicato ieri, con in copertina un primo piano orridamente photoshoppato del personaggio. Scritto in collaborazione con il giornalista italiano Carlo Musso nell’arco di diversi anni, il libro era originariamente previsto che venisse pubblicato solo post-mortem, ma il Francesco ha deciso di pubblicarlo durante questo Anno Giubilare della Speranza.   Le accuse e le offese ai fedeli e sacerdoti tradizionalisti appaiono, per una volta, pure molto argomentate, con allusioni ad esempi specifici e illazioni davvero inquietanti.   «È sociologicamente interessante il fenomeno del tradizionalismo, questo “indietrismo” che in ogni secolo regolarmente ritorna, questo riferimento a una presunta età perfetta che è però ogni volta un’altra», scrive Bergoglio, facendo capire, dai termini usati, di ritenere la fedeltà alla Santa Messa vetus ordo come un’aberrazione, un «fenomeno sociologico», una deviazione da guardare con curiosità, più che con rispetto – come si trattasse, sembra dire, di qualcosa di transeunte.   Per Bergoglio, comprendiamo, la Messa di sempre è un fenomeno transitorio, che prima o poi sarà chiuso per sempre, una difformità che sarà cancellata.   «Ora è stato sancito che la possibilità di celebrare secondo il messale preconciliare, in latino, debba essere espressamente autorizzata dal Dicastero per il culto, che la concederà solo in casi particolari», ha affermato Francesco, facendo pensare ad un riferimento Traditionis Custodes del 2021, il documento con cui di fatto seppelliva una volta per tutte le aperture alla Messa tradizionale operate da Benedetto XVI con il motu proprio Summorum Pontificum.

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«Perché non è sano che la liturgia si faccia ideologia» scrive ancora l’occupante del Soglio, che così tenta di spiegare il motivo per cui sono state introdotte restrizioni così radicali alla liturgia antica. Come un rito millenario sia per il gesuita «un’ideologia» non è subito chiaro a chi non conosce (o non riconosce) il processo in atto di demolizione della Chiesa dal suo interno, come prefigurato e programmato già a inizio Ottocento da grandi capi massonici come Nubius (cfr. il libro Il problema dell’ora presente di monsignor Delassus).   L’argentino ne ha ancora: «è curioso questo fascino per ciò che non si comprende, che appare un po’ occulto, e che a volte sembra interessare anche le generazioni più giovani».   La parola usata nel testo italiano è proprio questa: «occulto». Capiamo bene come può suonare: l’accusa di occultismo, per chiunque ami la Messa antica, è dietro l’angolo. Tale condanna viene, ricordiamo, dal papa che ha presenziato a rituali occultistico-pagani, come quelli che lo hanno visto coinvolto in mondovisione in Canada, che ha dato il via alla messa maya (che discende da un mondo fatto di dei crudeli e di sacrifici umani), che ha intronato la Pachamama in Vaticano.   Il vegliardo di Buenos Aires ha quindi usato un vecchio argomento contro i devoti della «Messa in Latino», dicendo che essi sarebbero interessati esclusivamente all’aspetto esteriore piuttosto che al contenuto della liturgia o alla pratica della devozione: «spesso questa rigidità si accompagna alle sartorie ricercate e costose, ai pizzi, ai merletti, ai rocchetti. Non gusto della tradizione, ma ostentazione di clericalismo, che poi altro non è che la versione ecclesiale dell’individualismo. Non ritorno al sacro, tutt’altro, ma mondanità settaria». È un peccato che il papa che pronunzia la parola «frociaggine» non riesca a mettere in relazione la passione che per pizzi e merletti che alligna tra i catto-sodomisti, che, come abbiamo scritto, si sospetta abbondino assai tra gli altissimi collaboratori del Sacro Palazzo.   «Mondano settario» è allora un nuovo insulto che si aggiunge alla lista, già lunghissima, prodotta da Bergoglio contro i fedeli cattolici, magari solo per la loro attenzione per i paramenti, o per l’amore per il canto gregoriano.   Apparentemente non pago dell’attacco brutale a molti membri della Chiesa, tra cui vari giovani laici e consacrati, il Francesco ha rincarato la dose, suggerendo che la devozione alla Messa tridentina rivelerebbe la possibilità di uno «squilibrio mentale», nientemeno. «A volte questi travestimenti celano squilibri, deviazioni affettive, difficoltà comportamentali, un disagio personale che può venire strumentalizzato» scrive l’uomo le cui sfuriate sono talvolta finite sui giornali.   Poi il Bergoglio procede a specificare vicende particolari.   «Su questo problema nei miei anni di pontificato sono dovuto intervenire in quattro casi, tre in Italia e uno in Paraguay: diocesi che accettavano seminaristi spesso già allontanati da altri seminari, e quando questo succede di solito c’è qualcosa che non va, qualcosa che porta a celare la propria personalità in contesti chiusi o settari».   «Quando questo accade, di solito c’è qualcosa che non va, qualcosa che porta le persone a nascondere la propria personalità in ambienti chiusi o settari».   Il gesuita quindi avanza con la descrizione di un caso di ostruzione, se non di «punizione» di giovani sacerdoti che volevano celebrare vetus ordo.   «Un cardinale statunitense mi ha raccontato che un giorno si sono presentati da lui due sacerdoti appena ordinati, per chiedere l’autorizzazione a celebrare la Messa in latino. “Voi conoscete il latino?” ha chiesto quel cardinale. “No, ma lo studieremo” han risposto i due giovani preti. «Allora fate così» ha detto il cardinale. «Prima di imparare il latino, osservate la vostra diocesi e guardate quanti migranti vietnamiti ci sono: studiate il vietnamita, allora, in primo luogo. Ma quando avrete imparato il vietnamita, considerate anche la moltitudine di parrocchiani di lingua ispanica e capirete che imparare lo spagnolo vi sarà molto utile per il vostro servizio. Dopo il vietnamita e lo spagnolo tornate pure da me, e parleremo del latino…”».   L’insolenza intollerabile di Bergoglio (e del suo cardinale americano, che potrebbe essere stato nella pattuglia dei suoi elettori al conclave 2013, e che ora potrebbe essere stato vagliato dal papa a seconda della sua fedeltà al diktat LGBT) nasconde non solo rabbia e ignoranza – è davvero necessario sapere a perfezione il latino per celebrare la Santa Messa? – ma un pensiero molto preciso in termini politici e geopolitici: l’immigrazionismo oltranzista e non assimilante.

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Cioè: Bergoglio preme perché gli immigrati tengano la loro lingua, non che imparino quella del Paese ospite. Si tratta di una particolare attitudine che, lungi dall’essere casuale, è codificata in alcune situazione dell’accoglienza cattolica, dove si predica, distorcendo certo pensiero missiologico come quello di monsignor Giovanni Battista Scalabrini (1839-1905), che conservando la lingua di origine l’immigrato conserva la sua religione – solo che nelle recenti ondate migratorie la religione da preservare non è quasi mai quella cattolica, ma musulmana, animista, etc.   Riassumiamo la nuova perla pontificia: ci sono gli immigrati, quindi Messa in latino. Al massimo, pare voler dire, messa in vietnamita, arabo, swahili, bengalese, cingalese, pidgin nigeriano. Venga Babele, ma crepi il latino della Santa Messa.   L’avversione di Bergoglio verso la Messa tradizionale è, come può vedere il lettore, invincibile, ammantate con le solite parole vuote che conosciamo della chiesa conciliare, con i suoi idoli sociologici da quattro soldi.   «La liturgia non può essere rito fine a se stesso, avulso dalla pastorale» conclude il Giorgio Mario. «Né esercizio di uno spiritualismo astratto, avvolto in un fumoso senso del mistero. La liturgia è incontro, ed è ripartenza verso gli altri».   Quindi arriva un atto di fede pontificale nel Progressismo.   «I cristiani non sono quelli che tornano indietro. Il flusso della storia e della grazia va dal basso verso l’alto come la linfa di un albero che dà frutto. Senza questo flusso ci si mummifica e andando indietro non si conserva la vita, mai. Se non procede, se non si muove, la vita, quella vegetale, quella animale, quella umana, muore. Camminare vuol dire cambiare, affrontare scenari nuovi, accettare sfide nuove».   Si tratta di una chiarissima professione di fede non nell’Essere, ma nel divenire, di sapore perfino panpsichista – la vita, prima che umana, è vegetale e animale, e si evolve. Di qui a Carlo Darwin, capite che si mette un secondo, e il tizio non avrebbe problemi a ripeterlo.   Quindi, un bizzarro riferimento all’arte, con piena giustificazione delle distorsioni dell’arte moderna: «la comprensione dell’uomo muta col tempo, e anche il modo di percepire ed esprimere se stesso muta: una cosa è l’umanità che si esprime scolpendo la Nike di Samotracia, un’altra quella del Caravaggio, un’altra ancora quella di Chagall e poi di Dalí. E così anche la coscienza degli uomini si approfondisce».   Per Bergoglio l’arte è essenzialmente quello che dicono gli odierni libri di storia e i galleristi con le case d’aste. Non gli viene in mente neanche per un secondo che Caravaggio, per motivi artistici ed extra-artistici, mai potrà stare sullo stesso piano del disegnatore di gatti e violini Chagall. Seduto sopra il più immenso deposito di beni artistici generati nei secoli, non gli viene in mente che l’arte ora è degenerata – perché incapace, forse, di discernere la cifra spirituale dell’opera artistica.   Quindi, la stoccata ulteriore alla tradizione, a cui va sostituito puntualmente il progresso.   «La tradizione è andare avanti. La Chiesa non può essere la congrega “dei bei tempi andati”, che, come ci rammenta un pensatore francese, Michel Serres, sono certamente andati e non erano necessariamente così belli in ogni loro aspetto. La nostra responsabilità è camminare il nostro tempo, continuare a crescere nell’arte di coglierne le esigenze e di provvedervi con la creatività dello Spirito, che sempre è discernimento in azione».   Impossibile, quindi, che l’argentino non suggellasse l’uccisione del cattolicesimo tradizionale con la citazione del Concilio Vaticano II, verità rivelata ma, attenzione, non ancora del tutto: altro probabilmente deve ancora saltare fuori, molto deve essere ricavato, in attesa del prossimo Concilio, che arriva a nominare.

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«Per molti versi, si può affermare che l’ultimo Concilio ecumenico non è stato ancora interamente compreso, vissuto e applicato. Siamo in cammino, e dobbiamo recuperare strada. Quando qualcuno mi chiede se i tempi sono maturi per un nuovo Concilio, un Vaticano III, rispondo che non solo non lo sono, ma ancora dobbiamo compiutamente attuare il Vaticano II. E pure spazzare via ancora più a fondo la cultura di corte, in Curia e ovunque. La Chiesa non è una corte, non è luogo per cordate, favoritismi, manovre, non è l’ultima corte europea di una monarchia assoluta. Con il Vaticano II, la Chiesa è segno e strumento dell’unità di tutto il genere umano».   Il Concilio è divinizzato e umanizzato al contempo: atto metafisico che mette insieme l’intera umanità – in sostituzione, forse, del sacrificio di Cristo?   Tuttavia, è improbabile che i suoi commenti suscitino particolare gioia o speranza tra il numero in costante crescita – e in gran parte giovane – di cattolici devoti alla messa latina per la sua sostanza.   C’è, chiaramente, da vergognarsi di aver letto cose del genere dalla penna di un papa, o dei suoi ghost writer. In verità, dovrebbe vergognarsi proprio lui, e i fedeli dovrebbero chiedergli di farlo, assieme alla richiesta di pentimento e di conversione.   Con ogni evidenza, il Bergoglio odia la tradizione, quindi odia la Chiesa stessa, fondata da Cristo e tramandata – Tradidi quod et accepi – al costo del sangue dei martiri nel corso di millenni.   Nonostante tutto, non usciamo scorati dalla lettura di queste parole. Perché, anzi, la chiarezza dell’avversione papale per la vera Chiesa, la vera Messa, il vero Dio, la Verità è sempre più slatentizzata, messa nera su bianco. Di questo, siate grati a Bergoglio.   Non sappiamo spiegare perché, ma in noi alberga negli ultimi tempi una certa speranza: questo papato malvagio sta per finire. E non credendo nella tradizione – cioè, nella continuazione in custodia del Vero – nemmeno i cardinali perversi che occuperanno il prossimo Conclave potranno fermare il processo di rigenerazione della Chiesa che si prepara, quello sì, dalle radici celesti sino alle foglie terrestri.   Stai a vedere, Bergoglio. Gli «squilibrati» hanno appena iniziato a riportare l’equilibrio.   Roberto Dal Bosco  

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