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«Raggiungere il Signore in Cielo, perché è quella la nostra vera Patria»: omelia di mons. Viganò per l’Ascensione

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Renovatio 21 pubblica l’omelia dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò per domenica 1 giugno, festa dell’Ascensione di Nostro Signore Gesù Cristo.

 

 

Modicum

Omelia nell’Ascensione del Signore

 

Modicum et jam non videbitis me,
et iterum modicum et videbitis me,
quia vado ad Patrem.

Jo 16, 16

 

Durante il canto del Vangelo abbiamo visto spegnersi il Cero pasquale, a simboleggiare l’ascesa di Cristo al Padre, quaranta giorni dopo la Resurrezione.

 

Alcuni dipinti rappresentano la scena dell’Ascensione mostrandoci gli Apostoli che guardano verso l’alto, dove talvolta si vede la figura intera del Signore e talaltra si vedono solo i Suoi piedi; in altri, è come se vedessimo ciò che vedeva il Signore ascendendo, ossia i propri piedi e più sotto le facce assorte degli Apostoli. Sono due prospettive differenti della medesima scena, ed è proprio su questa diversa prospettiva che vorrei soffermarmi con voi a meditare il Mistero dell’Ascensione.

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Il motivo per cui credo che una meditazione su questo tema possa essere spiritualmente utile è che tutta la realtà, nell’eternità immutabile di Dio e nel frenetico divenire del tempo, mostra l’ordine divino che unisce il Padre Creatore alle creature, il Figlio Redentore ai redenti, lo Spirito Santificatore ai credenti santificati. E questo intreccio mirabile tra cose soprannaturali e cose terrene, tra spirito e corpo, è stato sancito definitivamente dall’Incarnazione della Seconda Persona della Santissima Trinità, che in Nostro Signore Gesù Cristo vede unita la natura umana e la natura divina nel compimento della Redenzione. Cristo Uomo intercede per gli uomini peccatori, Cristo Dio Si offre al Padre per infinitamente riparare le infinite offese all’infinita Maestà di Dio.

 

Non possiamo concepire Redenzione senza Incarnazione, né Incarnazione senza Carità verso Dio e verso il prossimo. Ed è questa perfezione della nostra Santa Religione che la mostra indubitabilmente come divina: solo un Dio che è Amore (1Gv 4, 16) può concepire la follia di incarnarSi per redimere la creatura che Gli si è ribellata.

 

Solo un Dio incarnato può degnarSi di rimanere tra i Suoi, quaranta giorni dopo essere risorto, rinviando il ritorno corporeo alla gloria del Cielo.

 

Noi guardiamo l’Ascensione dal basso come i discepoli, e vediamo il Signore che se ne va, dopo avere promesso agli Apostoli l’invio dello Spirito Santo, che irromperà nel Cenacolo di lì a dieci giorni. Vediamo i Suoi piedi, i panni della veste, le nubi che si aprono mostrando la Corte celeste.

 

Noi consideriamo l’Ascensione come un momento di separazione e privazione, perché vediamo ascendere il Signore e lasciare questo mondo in una sorta di lunga parentesi tra la partenza e il ritorno glorioso alla fine dei tempi. Noi ci vediamo come combattenti di una guerra lunga e logorante, nella quale siamo stati lasciati senza Re e con generali fiacchi o addirittura traditori. Siamo come gli Ebrei lasciati ai piedi del Sinai da Mosè, tentati di costruirci un vitello d’oro.

 

Dovremmo invece saper guardare l’Ascensione dall’alto, come la vedeva il Signore: gli Apostoli che si fanno sempre più piccoli, i loro tratti che diventano sempre più indistinti, mentre si avvicina sopra di noi la luce sfolgorante del Paradiso, e si fanno più chiare le lodi dei Cori angelici; mentre si aprono le porte della Gerusalemme celeste non solo per il Re dei re, ma anche per le anime sante dell’Antica Legge, liberate dal Limbo la vigilia di Pasqua.

 

Dovremmo considerare l’Ascensione come la necessaria premessa della Pentecoste, e la Pentecoste come l’indispensabile veicolo della Grazia che ci prepara a combattere, a vincere e a meritare la palma della vittoria. L’assenza del nostro Re e Signore ci dà modo di testimoniarGli la nostra fedeltà: non quando Egli vince e trionfa sui Suoi nemici; ma quando tutti, anche i Suoi generali Lo tradiscono e passano all’avversario.

 

E come tra gli Ebrei vi furono quanti seppero attendere il ritorno di Mosè con le tavole della Legge senza costruirsi idoli rassicuranti, così – e a maggior ragione – nella Chiesa vi sono stati, vi sono tuttora e sempre vi saranno quanti tengono a mente le parole del Salvatore: Ancora un po’ e non mi vedrete più; ancora un po’ e mi rivedrete, perché vado al Padre (Gv 16, 16). Ancora un po’ e mi rivedrete: non saprete né il giorno né l’ora, perché il padrone verrà come un ladro nella notte, come lo Sposo atteso dalle vergini.

 

 

 

Dovremmo, carissimi fedeli, capire che siamo noi a dover raggiungere il Signore in Cielo, perché è quella la nostra vera Patria: Quæ sursum sunt quærite, ci ha detto il divin Maestro: Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra (Col 3,1-2).

 

In questa luce, le contingenze umane acquisiscono il loro giusto peso, perché sono ricondotte in quel κόσμος di cui Nostro Signore è vero e assoluto Pantocratore, Signore di ogni cosa, Padrone del tempo e della storia. Instaurare omnia in Christo (Ef 1, 10) significa proprio questo: ricapitolare, riportare al proprio principio primo, riconoscere la Signoria di Cristo. E dunque, poter leggere la promessa divina del Non prævalebunt (Mt 16, 18) nella consapevolezza tanto della Croce quanto della Resurrezione, della necessaria battaglia come della indefettibile vittoria.

 

Se comprendiamo che le vicende terrene che coinvolgono l’umanità intera e ciascuno di noi singolarmente sono indefettibilmente intrecciate all’eternità di Dio; se capiamo che la nostra Fede non è la risposta umana e immanente al bisogno di credere, ma l’adesione fiduciosa e consapevole all’opera perfetta di un Dio che ci vuole salvi e santi; se contempliamo l’Ascensione come speculare al ritorno glorioso del Rex tremendæ majestatis del Giudizio Universale, allora ci rendiamo anche conto che si tratta davvero di un modicum, di poco tempo. E con la Speranza teologale dell’aiuto di Dio, possiamo affrontare questa parentesi, questo modicum, con rinnovato vigore.

 

Cari fedeli, sappiamo bene che questi sono giorni difficili: le recenti vicende, la morte di Jorge Bergoglio, la convocazione del Conclave, l’elezione di papa Leone giungono in un momento in cui siamo logorati da decenni di crisi, con gli ultimi terribili anni di usurpazione, eresie, scandali, e l’apostasia della quasi totalità della Gerarchia cattolica.

 

A questi eventi si aggiunge il colpo di stato globalista, la sempre più evidente ostilità dei governanti nei confronti dei governati, l’incombente instaurazione della tirannide del Nuovo Ordine Mondiale con la sua agenda diabolica. Siamo tutti stanchi e provati. Stanchi di combattere contro palesi menzogne spacciate per verità.

 

Stanchi di dover giustificare l’ovvio, quando l’intero sistema propaganda l’assurdo. Stanchi di doverci difendere da coloro che dovrebbero invece soccorrerci. Stanchi di doverci proteggere da medici che vogliono avvelenarci, da giudici che vogliono incarcerare gli onesti mentre liberano i delinquenti, da maestri che insegnano errori, da sacerdoti e vescovi che diffondono l’eresia e l’immoralità.

 

Non siamo fatti per questo: non sta al gregge comandare ai pastori, all’allievo insegnare al maestro, al malato dare lezioni al medico. Per questo esiste l’autorità: perché come espressione vicaria dell’unica Autorità di Gesù Cristo Re e Pontefice essa governi per il Bene, e non per distruggere l’istituzione entro cui essa è esercitata e per disperderne i membri.

 

La nostra stanchezza, l’amarezza nel vedere così spesso frustrate le occasioni che la Provvidenza ci offre, il logorio di un combattimento snervante con un nemico infido e senza validi alleati: tutto questo fa parte del tempo della prova.

 

È la nostra croce, una croce che il Signore ha sapientemente calibrato perché con la Sua Grazia siamo in grado di portarla fino in fondo, una croce individuale e collettiva che nessun potere terreno potrà mai mutare né cancellare. È la croce che la Chiesa deve abbracciare, perché essa è la sola speranza – spes unica – per uscire vittoriosi da questa battaglia epocale: senza la passio Ecclesiæ è impossibile che il Corpo Mistico possa trionfare con il suo Capo divino.

 

E né pace, né concordia, né prosperità saranno mai possibili, dove le speranze umane non riposano sull’osservanza della Santa Legge di Dio e non riconoscono l’universale Signoria di Gesù Cristo.

 

Non sta a noi – a nessuno di noi – dare soluzioni ordinarie in circostanze del tutto uniche e straordinarie. A noi è richiesto – e qui ci soccorre la saggezza della regula Fidei – di non mutare nulla di ciò che il Signore ha insegnato alla Chiesa e che la Chiesa ci ha fedelmente trasmesso. Continuare a credere ciò che credevano i nostri padri non ci priverà della gloria eterna, solo perché rifiutiamo le novità introdotte da falsi pastori e da mercenari.

 

Il giorno del Giudizio particolare al momento della nostra morte e il giorno del Giudizio Universale alla fine dei tempi non saremo giudicati sulla base di Amoris Lætitia o di Nostra Ætate, ma del Vangelo.

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Viviamo dunque ogni istante della nostra vita sapendo che questo è il tempo della prova; e che quanto più infurierà la battaglia, tanto più si moltiplicheranno le Grazie che Nostro Signore ci concederà per combattere e vincere. E se è vero che il Signore si trova ora fisicamente in Cielo, è altrettanto vero che Egli ha voluto concedere ai Suoi Ministri di renderLo ancora presente nel Santissimo Sacramento dell’Altare.

 

Ogni tabernacolo, per quanto abbandonato e negletto dall’insipienza degli uomini, riporta in questa valle di lacrime la gloria del Cielo, l’adorazione degli Angeli e dei Santi, la Presenza Reale del Dio incarnato.

 

È vero: si spegne la fiamma del Cero pasquale, ma rimane viva e ardente la fiammella della lampada rossa che onora il Re eucaristico. Risplenda anche la fiamma di Carità che arde in ognuno di noi, perché la nostra anima possa essere meno indegna di farsi dimora della Santissima Trinità.

 

E così sia.

 

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

29 Maggio MMXXV
in Ascensione Domini

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Immagine: Jan Matejko (1838–1893), Ascensione (1884), Museo Nazionale, Varsavia.

Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

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Leone XIV chiede la pace dopo i bombardamenti americani sull’Iran

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Dopo gli attacchi militari statunitensi contro l’Iran, papa Leone XIV ha ribadito i suoi regolari appelli alla pace, citando le «notizie allarmanti» dall’Iran.   Rivolgendosi ai pellegrini riuniti in Piazza San Pietro domenica pomeriggio, papa Leone ha esortato alla pace piuttosto che all’azione militare in Medio Oriente:   «Si susseguono notizie allarmanti dal Medio Oriente, soprattutto dall’Iran. In questo scenario drammatico, che include Israele e Palestina, rischia di cadere in oblio la sofferenza quotidiana della popolazione, specialmente a Gaza e negli altri territori, dove l’urgenza di un adeguato sostegno umanitario si fa sempre più pressante».

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«Oggi più che mai, l’umanità grida e invoca la pace. È un grido che chiede responsabilità e ragione, e non dev’essere soffocato dal fragore delle armi e da parole retoriche che incitano al conflitto. Ogni membro della comunità internazionale ha una responsabilità morale: fermare la tragedia della guerra, prima che essa diventi una voragine irreparabile. Non esistono conflitti “lontani” quando la dignità umana è in gioco».   «La guerra non risolve i problemi, anzi li amplifica e produce ferite profonde nella storia dei popoli, che impiegano generazioni per rimarginarsi. Nessuna vittoria armata potrà compensare il dolore delle madri, la paura dei bambini, il futuro rubato».   «Che la diplomazia faccia tacere le armi! Che le Nazioni traccino il loro futuro con opere di pace, non con la violenza e conflitti sanguinosi!»  

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Il messaggio del Papa è giunto poche ore dopo che gli Stati Uniti hanno effettuato bombardamenti sui siti nucleari iraniani nella tarda serata di sabato.   Il presidente Donaldo Trump ha definito l’attacco «un grande successo», aggiungendo in seguito che «ora è il momento della pace. Grazie per l’attenzione a questa questione».   Il vicepresidente J.D. Vance ha sostenuto che gli Stati Uniti «non hanno attaccato l’Iran. Non abbiamo attaccato alcun obiettivo civile. Non abbiamo nemmeno attaccato obiettivi militari al di fuori dei tre impianti nucleari».   La portavoce di Trump, Karoline Leavitt, ha commentato: «Il mondo dovrebbe essere soddisfatto dell’azione coraggiosa intrapresa dall’esercito degli Stati Uniti».   Nel suo primissimo discorso domenicale, a metà maggio, Leone ha dato avvio a quello che è stato un tema ricorrente del suo giovane pontificato: l’esortazione alla pace nel mondo. «Mai più la guerra», aveva esortato, citando per nome i conflitti in Ucraina, Gaza e Pakistan.

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Immagine di Edgar Beltrán, The Pillar via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International 
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Mons. Schneider: «la gioia dei pellegrini di Chartres mi ha commosso fino alle lacrime»

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Il vescovo Athanasius Schneider ha raccontato di essersi «commosso fino alle lacrime» dopo aver visto la gioia e la fede dei giovani pellegrini della Messa latina durante il pellegrinaggio Parigi-Chartres.

 

«Sono stato testimone della bellezza della fede cattolica, della gioia della fede cattolica», ha commentato il vescovo.

 

Schneider, ausiliare della diocesi di Astana, in Kazakistan, ha partecipato personalmente al pellegrinaggio che si è svolto nel fine settimana di Pentecoste. Circa 19.000 pellegrini hanno partecipato all’evento annuale, giunto ormai alla sua 43ª edizione, segnando un altro record di presenze.

 

«Tutti questi slogan che sentiamo da alcuni ecclesiastici – che coloro che sono legati alla Messa latina tradizionale siano rigidi o fuori moda – non sono veri», ha detto Schneider al conduttore di World Over, Raymond Arroyo. «La realtà è il contrario».

 

 

Il vescovo ausiliare, noto e prolifico promotore della Messa tradizionale, l’ha individuata come una delle questioni più urgenti che Papa Leone XIV dovrà affrontare nel suo pontificato nascente.

 

Schneider considera la liturgia tradizionale della Chiesa un potente mezzo di evangelizzazione, esortando i critici ad assistere personalmente alla liturgia:

 

«Inviterei molti vescovi o chierici ostili a quei cattolici che amano la tradizione della Chiesa di tutti i tempi, che amano la Messa dei santi, a partecipare. Ne sarebbero commossi. Non si può rimanere indifferenti quando si vedono dei bambini».

 

Nonostante la sua familiarità con l’antico rito, Schneider notò che i pellegrini erano per lui fonte di grande emozione:

 

«Mi sono commosso fino alle lacrime nel vedere quanto fossero gioiosi questi bambini, questi giovani (…)Non c’è nulla da criticare in merito, è solo edificante. Spero che questa esperienza attragga proprio questi numeri».

 

Celebrando la messa della domenica di Pentecoste a metà del pellegrinaggio, Schneider si rivolse a circa 20.000 persone, tra pellegrini e visitatori giornalieri giunti appositamente per la messa.

 

Durante l’omelia ha sottolineato la natura senza tempo della liturgia tradizionale e il suo fascino per tutte le età, commentando che «questo rito attrae le anime dei giovani, che sono il futuro della Chiesa».

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Interrogato da Arroyo sulla popolarità della Messa in latino tra i giovani e le giovani famiglie, Schneider ha elogiato il rito perché insegna alle persone il divino:

 

«Questa forma della Messa, a cui questi bambini assistevano ogni giorno durante il pellegrinaggio, li commuoveva, li attraeva. Perché è bellezza, è santità, il rito stesso diffonde un’atmosfera di mistero di santità che di per sé attrae perché trasmette in modo speciale la presenza di Dio».

 

«Le nostre anime hanno sete di Dio e di mistero. Dio è mistero… È un mistero vivente e per questo attrae queste persone, anche perché i bambini hanno un’anima pura e sono più sensibili a questo mistero».

 

 

Monsignor Schneider si è impegnato a fondo per difendere la causa del rito tradizionale dopo le drastiche restrizioni imposte da papa Francesco nel 2021. Sottolineando la potenza dei riti e dei gesti dell’antica liturgia, ha osservato che durante la Messa della domenica di Pentecoste, celebrata in un campo, «vedevo persone inginocchiate per terra, bambini, tutti raccolti, in preghiera. Questo è ciò che questo rito trasmette».

 

Come riportato da Renovatio 21, rivolgendosi alle migliaia di pellegrini nella cattedrale di Chartres, il vescovo ordinario locale Philippe Christory ha detto: «sappiamo che papa Leone prega affinché ogni pellegrino possa vivere un incontro personale con Cristo».

 

Alcuni hanno interpretato questo come un messaggio personale del Papa al pellegrinaggio, anche se non sembra che Christory avesse alcun messaggio del genere da trasmettere. Tuttavia per Schneider anche questa frase era «un segno buono e positivo» e un possibile indicatore di come Leone avrebbe potuto affrontare la Messa tradizionale.

 

«Pertanto possiamo essere fiduciosi e ringraziamo Papa Leone per questa attenzione al pellegrinaggio di Chartres, e spero che papa Leone spalanchi la porta a questo tesoro della Chiesa, dei santi», ha detto.

 

Ci sono stati tentativi dell’ultimo minuto di indebolire la tradizionale natura di Messa del pellegrinaggio. «Ci viene chiesto di trasformare radicalmente lo spirito del nostro pellegrinaggio tradizionale, rendendo il Novus Ordo la norma e il Vetus Ordo l’eccezione tollerata, soggetta all’autorizzazione del vescovo locale o del Dicastero per il Culto Divino», hanno lamentato gli organizzatori.

 

Nonostante ciò, il pellegrinaggio ha continuato a crescere e continua ad attrarre partecipanti con un’età media di 20 anni. Senza dubbio, ha dimostrato ancora una volta che i giovani cattolici sono affamati del nutrimento spirituale offerto dal pellegrinaggio.

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Gender

Gay Pride in un’università gesuita

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L’Università Alberto Hurtado (Università Alberto Hurtado, Cile) ha tenuto una cerimonia religiosa di «Preghiera dell’Orgoglio», durante la quale è stata benedetta la bandiera LGBTQ+ e incoraggiata la partecipazione alla parata del Gay Pride, nell’ambito di una settimana di attività dedicate alla «comunità della diversità sessuale».   L’Università Alberto Hurtado, centro universitario gesuita cileno, ha pubblicato un video che mostra una celebrazione «religiosa» legata al «Mese del Gay Pride». Questa celebrazione non è un evento isolato, ma fa parte della «Settimana del Pride” organizzata dall’università a giugno.   Mercoledì 18 giugno 2025, la prima «Preghiera dell’Orgoglio» è stata celebrata presso questa università cattolica in Cile, organizzata dalla «Direzione di Genere, Diversità ed Equità» dell’università. Per garantire una maggiore pubblicità, la cerimonia si è svolta nel cortile del campus. L’obiettivo era «pregare per la comunità LGBTQ+ dell’università».

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La preghiera è stata guidata dal sacerdote gesuita Rodrigo García, responsabile della Pastorale per la Diversità Sessuale dell’università, che indossava una stola multicolore davanti alla nuova bandiera LGBTQ+, che includeva il marrone e il nero per le etnie; il rosa, l’azzurro e il bianco per le persone transgender; e un triangolo giallo e un cerchio viola per l’intersessualità. La bandiera è stata benedetta durante la cerimonia.   Il sacerdote ha spiegato che si trattava di «un momento per ringraziare la comunità LGBTQ+ per ciò che apporta all’università». Ha anche affermato che ciò che stava facendo era semplicemente ciò che il defunto Papa Francesco desiderava: «è un atto religioso. Questo è ciò che ha detto Papa Francesco. Non ho fatto nulla che non fosse già stato detto o fatto. Non si tratta di un atto sovversivo né rivoluzionario».   A questo proposito, ha sottolineato che papa Francesco ha ripetutamente affermato che «la Chiesa è un luogo per tutti, tutti, tutti». Il gesuita, tuttavia, si è preso la libertà di modificare leggermente la frase: «Ora diciamo: tutti, tutte, tutt*».   Ha anche affermato che la «Preghiera dell’Orgoglio» faceva parte di«un momento globale di commemorazione della lotta delle persone per i diritti alla diversità sessuale. Ecco perché aderiamo al Mese del Pride, perché la nostra politica rispetta e promuove la diversità». Il gesuita ha sottolineato che Dio «in qualche modo approva l’orgoglio» e che «Gesù manifesterà sabato», riferendosi alla Marcia del Pride che si terrà sabato 21 giugno.  
  La direttrice del Dipartimento Genere, Diversità ed Equità ha dichiarato che «nell’ambito del Mese del Pride, abbiamo invitato studenti, dipendenti pubblici e accademici a riflettere su una preghiera che incoraggia il rispetto, l’inclusione e la dignità di tutti, e a comprendere che la diversità sessuale merita uno spazio di riconoscimento ed è parte integrante di una comunità che appartiene a tutti».   Ha anche spiegato che per loro sembrava importante che «fosse un’università cattolica a spiegare alla società che religione e diversità possono andare di pari passo». È stato recitato un Padre Nostro e sono state offerte preghiere a Dio per l’inclusione e l’importanza della diversità sessuale. Ci sono state molte benedizioni da parte delle coppie dello stesso sesso, in conformità con Fiducia Supplicans. Tuttavia, a giudicare dal video, la partecipazione è stata piuttosto bassa.   L’Università Alberto Hurtado è l’unica università gesuita in Cile, in un paese con una decina di università cattoliche. Fondata nel 1997, il suo obiettivo è «costruire un progetto accademico di eccellenza senza scopo di lucro, diversificato, pluralista e inclusivo». Nella sezione dedicata alla sua identità e missione, Dio non viene menzionato affatto. A marzo, l’università ha organizzato il primo congresso cileno di studi interdisciplinari sulla diversità sessuale e di genere.

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Che un’università gesuita dedichi il mese di giugno alla celebrazione del Gay Pride, in contrasto con la morale della Chiesa, quando questo mese è tradizionalmente il mese del Sacro Cuore, una devozione strettamente legata alla Compagnia di Gesù, è incomprensibile.   All’inizio del XX secolo, la ventitreesima Congregazione Generale dei Gesuiti dichiarò che «la Compagnia di Gesù accetta e riceve con animo traboccante di gioia e gratitudine il dolce compito che nostro Signore Gesù Cristo le ha affidato di praticare, promuovere e propagare la devozione al Suo Cuore divinissimo”.   Altri tempi, altre usanze, altri fardelli…   Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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