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Farmaci

«Omicron nata dalla pillola anti-COVID?»

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La nascita della variante Omicron è un mistero sul quale la comunità scientifica non ha ancora una narrativa compatta.

 

Come riportato da Renovatio 21, qualcuno ha avanzato l’ipotesi che si possa trattare di una mutazione del coronavirus avvenuta in persone immunodepresse – come i malati di AIDS, che in Sud Africa, come in larga parte del continente nero, abbondano assai. In un paziente sudafricano i ricercatori dell’Università di Durban hanno trovato un SARS-nCoV2 con varie mutazioni sulla proteina S, un po’ come avviene nella Omicrona. Stessa cosa in Gran Bretagna, dove un simile virus è stato isolato presso un paziente con tumore al sangue.

 

«In una persona con l’HIV non adeguatamente trattata, la risposta immunitaria sarebbe troppo debole per eliminare il virus, ma abbastanza forte per farlo mutare indisturbato visto che, dando sintomi lievi, non richiede l’esecuzione del tampone da cui si potrebbe isolare il genoma», scrive La Verità.

 

Un’altra teoria, che non ha troppo credito, è quella di un ulteriore spillover del virus attraverso una specie animale.

 

Vi è, infine, la teoria secondo cui la mutazione sarebbe stata causata dalla spinta evolutiva creata dai farmaci anti-COVID.

 

Il virologo di Harvard William A. Haseltine ha detto al Financial Times che la causa potrebbe essere il molnupiravir, il farmaco anti-COVID sviluppato da Merck, che ha risposto negando l’accusa come «infondata» e priva di «basi scientifiche».

 

«È un virus altamente mutato e questo è il tipo di schema che vedi con molnupiravir. E la tempistica è giusta. Non sto dicendo che sia successo, ma potrebbe essere successo» dice Haseltine, che ricorda che il Sud Africa sarebbe uno dei luoghi scelti per le sperimentazioni cliniche del molnupiravir, iniziate nell’ottobre 2020.

 

«È un virus altamente mutato e questo è il tipo di schema che vedi con molnupiravir. E la tempistica è giusta. Non sto dicendo che sia successo, ma potrebbe essere successo»

Haseltine aveva scritto un articolo sull’argomento anche per il blog della rivista Forbes.

 

«Stiamo mettendo in circolazione un farmaco che è un potente mutageno in un momento in cui siamo profondamente preoccupati per le nuove varianti», scrive Haseltine. «Se stessi cercando di creare un virus nuovo e più pericoloso negli esseri umani, darei una dose subclinica di molnupiravir alle persone infette».

 

Secondo il virologo il farmaco interviene nel processo di mutazione del virus, «introducendo più errori nel suo codice genetico. Quando vengono introdotti abbastanza errori, la replicazione del virus rallenta e il paziente lo elimina». Cioè, il farmaco sovraccarica il virus con mutazioni, fino a quando non diventa incapace di replicarsi.

 

Il problema, avverte Haseltine , è che queste proprietà «altamente mutagene» del farmaco potrebbero aver indotto la creazione di varianti.

 

Queste proprietà «altamente mutagene» del farmaco potrebbero aver indotto la creazione di varianti

Ad esempio, sostiene l’harvardiano, «in condizioni non ideali, quando la dose completa di molnupiravir non viene assunta nel periodo di cinque giorni (la linea guida è di 40 pillole in 5 giorni), il farmaco potrebbe portare alla creazione di ceppi altamente mutati ma vitali, SARS-CoV-2». Anche «in condizioni ideali, i pazienti trattati con molnupiravir hanno prodotto un virus vitale entro pochi giorni dall’inizio del trattamento».

 

Il virologo fa riferimento alla sperimentazione clinica sudafricana del molnupiravir. «In Sudafrica, molnupiravir è stato assunto in condizioni ideali e non ideali». E lì si è visto, spiega, che «induce una preponderanza di due tipi di mutazioni, che sono proprio quelle che fanno la differenza tra il genoma dell’Omicron e quello del virus originario, spiega l’articolo.

 

Secondo il sito Niusdiario, «queste preoccupazioni sono state sollevate anche dal comitato di esperti che consiglia la FDA, prima dell’approvazione. Infatti, nonostante sia stato alla fine approvato come cura per il COVID, l’antivirale è stato autorizzato con 13 voti favorevoli e 10 contrari».

 

L’immunologo James Hildreth, uno dei i consiglieri del panel, ha dato fiato ad un’ipotesi apocalittica: «Anche se la probabilità è molto bassa (una su 10.000 o una su 100.000) che questo farmaco porti a una mutazione per la quale i vaccini che abbiamo non sono sufficienti, questo sarebbe catastrofico per il mondo intero».

 

L’immunologo James Hildreth: «Anche se la probabilità è molto bassa (una su 10.000 o una su 100.000) che questo farmaco porti a una mutazione per la quale i vaccini che abbiamo non sono sufficienti, questo sarebbe catastrofico per il mondo intero»

La smentita della Merck arriva nello stesso articolo del Financial Times: «l’accusa infondata di Haseltine non ha basi scientifiche. Non ci sono prove che indichino che qualsiasi agente antivirale abbia contribuito alla comparsa di varianti circolanti».

 

Anche Aris Katzourakis, virologo presso l’Università di Oxford esperto di evoluzione genomica, non crede alla teoria di Haseltine, soprattutto seguendo un suo calcolo di rapporti costi/benefici: «non credo che siamo nella posizione di trattenere un farmaco salvavita per un rischio che può o non può accadere».

 

Per il virologo oxoniano è «incredibilmente improbabile che le mutazioni indotte dall’ipermutazione di un genoma virale contribuiscano in modo più positivo all’idoneità virale». Ciò vuol dire che «la maggior parte delle mutazioni sono cattive».

 

La smentita della Merck: «l’accusa infondata di Haseltine non ha basi scientifiche»

«L’aggiunta di molte altre mutazioni a un virus che è già soggetto a errori rischia di ridurne l’idoneità, anche a dosi “subletali”. Probabilmente rallenterà la loro crescita». Da lì a una nuova variante , dice Katzourakis, c’è strada da fare.

 

CNBC ha riportato che la teratogenicità del farmaco – cioè la possibilità che la sua assunzione da parte di donne gravide provochi difetti alla nascita – è ancora incognita.

 

«Data la vasta popolazione potenziale interessata, il rischio di effetti diffusi su potenziali difetti alla nascita, in particolare effetti ritardati sul maschio, non è stato adeguatamente studiato» ha dichiarato il dottor Sankar Swaminathan, specialista in malattie infettive presso la University of Utah School of Medicine, che nel panel FDA ha votato contro.

 

Sia la FDA che la Merck hanno raccomandato di non usare il farmaco nei bambini e nelle donne in gravidanza. Il molnupiravir è risultato letale per gli embrioni di ratti in gravidanza, causando anche difetti alla nascita e riducendo il peso corporeo del feto.

 

 

 

 

Farmaci

L’FDA, portata in tribunale, rimuove il post contro l’ivermectina

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Secondo un accordo datato 21 marzo, la Food and Drug Administration (FDA) statunitense ha accettato di rimuovere post e pagine web sui social media che invitavano le persone a interrompere l’assunzione di ivermectina per curare il COVID-19. Lo riporta Epoch Times.

 

La FDA ha già rimosso una pagina che diceva: «devo prendere l’ivermectina per prevenire o curare il COVID-19? NO».

 

Entro 21 giorni, la FDA rimuoverà un’altra pagina intitolata «perché non dovresti usare l’ivermectina per trattare o prevenire il COVID-19», secondo l’annuncio della transazione, che è stato depositato presso il tribunale federale nel sud del Texas.

 

«La FDA non ha autorizzato o approvato l’ivermectina per l’uso nella prevenzione o nel trattamento del COVID-19 negli esseri umani o negli animali», si legge attualmente nella pagina. Dice anche che i dati non mostrano che l’ivermectina sia efficace contro COVID-19, nonostante alcuni studi citati dimostrino che l’ivermectina è efficace contro la malattia.

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La FDA nell’accordo ha inoltre accettato di eliminare diversi post sui social media che si sono espressi fortemente contro l’ivermectina, incluso uno che affermava: «non sei un cavallo. Non sei una mucca. Sul serio, voi tutti. Smettila».

 

In cambio, i medici che hanno fatto causa all’agenzia respingono le loro richieste, si legge nel documento.

 

«La FDA perde la sua guerra contro l’ivermectina e accetta di rimuovere tutti i post sui social media e le direttive dei consumatori riguardanti ivermectina e COVID, incluso il suo tweet più popolare nella storia della FDA», ha detto in una nota la dottoressa Mary Talley Bowden, uno dei medici. «Questo caso fondamentale costituisce un importante precedente nel limitare l’intervento eccessivo della FDA nel rapporto medico-paziente».

 

«Siamo estremamente soddisfatti del risultato dell’accordo in quanto è una vittoria per ogni medico e paziente negli Stati Uniti», ha aggiunto il dottor Paul Marik, direttore scientifico della FLCCC Alliance e un altro querelante. «La FDA ha interferito nella pratica medica con il suo linguaggio irresponsabile e con i suoi post sull’ivermectina. Non sapremo mai quante vite sono state colpite dal fatto che ai pazienti è stato negato l’accesso a un trattamento salvavita perché il loro medico “stava semplicemente seguendo le indicazioni della FDA».

 

L’ivermectina è stata approvata dalla FDA nel 1996 per il trattamento di diverse condizioni, tra cui l’oncocercosi, una malattia tropicale causata da un verme parassita.

 

Negli Stati Uniti, è prassi comune che i medici prescrivano medicinali off-label, cioè per uno scopo diverso da quello per cui il medicinale è approvato.

 

Dopo che alcuni medici hanno iniziato a prescrivere l’ivermectina per il COVID-19, la FDA ha intensificato la sua campagna, incluso il post del 21 agosto 2021 su Twitter.

 

Il dottor Bowden e altri due medici hanno citato in giudizio la FDA, sostenendo che le azioni dell’agenzia andavano oltre la sua autorità, conferitale dal Congresso.

 

Il giudice distrettuale statunitense Jeffrey Brown ha archiviato il caso nel 2022, stabilendo che la FDA non ha agito al di fuori dell’autorità. Ma una corte d’appello nel 2023 si è pronunciata a favore dei medici, ritenendo che l’agenzia «non ha identificato alcuna autorità che le consenta di raccomandare ai consumatori di “smettere” di prendere medicine».

 

Tra il momento della sentenza e l’accordo, la FDA ha rifiutato di modificare qualsiasi delle sue dichiarazioni sull’ivermectina e ha chiesto un nuovo archiviazione della causa.

 

I dottori Robert Apter, Bowden e Marik hanno portato avanti il ​​caso nel 2022. Hanno affermato di aver subito ripercussioni dopo aver prescritto ivermectina a pazienti affetti da COVID-19 e che la colpa era della FDA.

 

«Questo rifiuto ritarda i suoi pazienti nell’ottenere il trattamento prescritto – quando l’intervento precoce è fondamentale – mentre cercano una farmacia per compilare la loro prescrizione, se riescono a trovarne una», si legge nella causa.

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Come riportato da Renovatio 21, vi sono stati vari casi in cui strutture sanitarie sono state denunciate per aver rifiutato di somministrare l’ivermectina.

 

L’efficacia dell’ivermectina nell’impedire la morte da COVID è stata dichiarata, secondo uno studio, del 92%.

 

In un bizzarro risvolto della storia del crack del banco di criptovalute FTX, è emerso che il mega-bancarottiere recentemente condannato Sam Bankman-Fried, secondo grande donatore del Partito Democratico USA dopo George Soros, potrebbe aver finanziato studi contro ivermectina e idrossiclorochina.

 

Per capire la magnitudine dell’insabbiamento riguardo l’ivermectinaRenovatio 21 ha condiviso un breve video inglese sottotitolato in italiano, di cui consigliamo la visione.

 

La censura sull’ivermectina ha colpito anche il popolarissimo podcaster Joe Rogan, accusato dalla CNN di aver utilizzato, una volta malato di COVID, uno «sverminatore per cavalli».

 

Tuttavia, giudici e senati di stati americani hanno portato per legge la sanità alla possibilità di somministrare il farmaco ai pazienti.

 

Tutto questo mentre si registravano casi come quello di città del Messico, dove le morti per COVID sono crollate dopo la somministrazione massiva di ivermectina alla popolazione.

 

Come ha avuto a dire il dottor McCullough su vaccinazioni obbligatorie e proibizione dell’ivermectina, potrebbe trattarsi di una «collusione globale» per «causare tutti i danni e le morti possibili».

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Bioetica

«Ritirato» studio che si opponeva alla pillola abortiva

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Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.   Il mondo accademico non è solo tè e focaccine nella sala comune degli anziani. A volte è uno sport cruento, con vincitori e vittime, vincitori e perdenti. Alzare la testa al di sopra dei parapetti attaccando l’aborto in una rivista scientifica è un modo sicuro per attirare un maggiore controllo – e possibilmente una ritrattazione.   Sage Publications ha appena ritirato tre articoli di ricercatori pro-vita pubblicati sulla rivista Health Services Research and Managerial Epidemiology. Sebbene vi siano state alcune preoccupazioni circa la modalità di presentazione dei dati, la questione principale sembra essere stata un potenziale conflitto di interessi.   L’avviso di ritiro diceva:   «Un lettore ha contattato la rivista con dubbi sull’articolo del 2021 sul fatto che la presentazione dei dati nelle Figure 2 e 3 sia fuorviante, se vi siano difetti nella selezione dei dati di coorte e se le affiliazioni degli autori con organizzazioni di difesa della vita, compreso il Charlotte Lozier Institute, presentano conflitti di interessi che gli autori avrebbero dovuto dichiarare come tali nell’articolo».   Ciò che ha reso questi articoli un bersaglio per le critiche è stato il fatto che erano stati citati dal giudice distrettuale statunitense Matthew Kacsmaryk in una sentenza sul farmaco abortivo mifepristone. Gli articoli pretendevano di dimostrare che il farmaco sarebbe probabilmente pericoloso. Kacsmaryk ha accettato questo, insieme ad altre prove, e la ha usato per sospendere l’approvazione del mifepristone da parte della FDA (che fu successivamente annullata).

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Gli autori erano indignati. Secondo il Daily Wire:   «Il dottor James Studnicki, autore elencato di tutti e tre gli studi in questione, ha dichiarato al Daily Wire che le ritrattazioni erano “completamente ingiustificate” e che le ritrattazioni avevano lo scopo di screditare la ricerca scientifica che sfidava il pregiudizio pro-aborto radicato nel mondo accademico».   «Penso che Dobbs abbia davvero accelerato questo processo, penso che ci sia un senso di disperazione tra coloro che operano nel settore dell’aborto», ha detto al Daily Wire prima della ritrattazione, che era prevista. «Hanno sempre avuto la letteratura per sé. Tutte le principali associazioni sanitarie sono a favore dell’aborto, la maggior parte dei giornali sono a favore dell’aborto, tutti i dipartimenti accademici delle università sono a favore dell’aborto».   Questa non è certo la prima volta che articoli sottoposti a revisione paritaria che mettono in discussione aspetti dell’aborto legalizzato vengono «cancellati» attraverso la pratica formale della ritrattazione.   L’articolo di Priscilla Coleman, «The Turnaway Study: A Case of Self-Correction in Science Upended by Political Motivation and Unvetted Findings», è stato pubblicato su Frontiers in Psychology nel 2022. Citando «interessi concorrenti non divulgati», il giornale ha pubblicato una ritrattazione più tardi nel anno. La Coleman protestò vigorosamente, inutilmente.   Non è tutto traffico a senso unico, però. Nel 2015, Elard Koch, dell’Istituto MELISA, a Concepción, in Cile, e colleghi hanno pubblicato uno studio su BMJ Open da cui è emerso che il tasso di mortalità materna a Città del Messico era aumentato quando è stato legalizzato l’aborto. Nel 2016, sulla rivista Contraception è stato pubblicato un articolo che criticava la ricerca di Koch con quello che ha definito «un tono accusatorio o ad hominem». Koch studiò l’articolo e scoprì che aveva completamente interpretato male i dati. Ha chiesto che l’articolo fosse ritirato e alla fine così è stato.   Michael Cook   Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Immagine di Robin Marty via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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Alimentazione

Pfizer sospende la nuova pillola dimagrante dopo che i pazienti hanno riscontrato gravi effetti collaterali

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La nuova pillola sperimentale per la perdita di peso della Pfizer ha funzionato nel raggiungere il suo obiettivo dichiarato, ma con alla perdita di peso si sono aggiunti effetti collaterali così gravi che la ricerca è stata interrotta.

 

In un comunicato stampa, il colosso farmaceutico ha affermato che avrebbe interrotto gli studi clinici sul danuglipron, la sua pillola dimagrante da prendere due volte al giorno. Questo farmaco utilizza un meccanismo simile a semaglutide, perché un’ampia percentuale delle persone che l’hanno assunto nelle prime due fasi sperimentali ha avuto disturbi gastrointestinali ed effetti indesiderati come nausea e diarrea.

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«Mentre gli eventi avversi più comuni erano lievi e di natura gastrointestinale coerenti con il meccanismo, sono stati osservati tassi elevati (fino al 73% di nausea; fino al 47% di vomito; fino al 25% di diarrea)», si legge nel comunicato stampa. «Tassi di interruzione elevati, superiori al 50%, sono stati osservati con tutte le dosi rispetto a circa il 40% con il placebo».

 

«Al momento, la formulazione di danuglipron due volte al giorno non avanzerà negli studi di Fase 3» scrive il comunicato.

 

Come il semaglutide, il principio attivo dei famosissimi iniettabili Ozempic e Wegovy, il danuglipron è un agonista del recettore del peptide-1 (GLP-1) simile al glucagone, il meccanismo esatto è oggetto di dibattito ma che a livello generale si ritiene imiti la sensazione di pienezza nell’intestino. Sebbene le iniezioni di semaglutide – che solo negli ultimi anni sono state approvate in USA per la perdita di peso – siano sempre più in voga, anch’esse possono avere alcuni importanti effetti collaterali gastrointestinali.

 

Con la popolarità degli iniettabili di semaglutide è arrivata una crescente spinta a trovare un modo per ottenere gli effetti del farmaco sotto forma di pillola. Fino a quando Pfizer non ha deciso di interrompere i suoi studi, il danuglipron sembrava destinato a diventare il prossimo grande passo nel trattamento della perdita di peso, soprattutto considerando che i risultati di studi precedenti suggerivano che fosse efficace quanto Ozempic.

 

L’azienda a fronte degli investimenti fatti e dei possibili grandi guadagni, ha sostenuto nella sua dichiarazione che, sebbene stia interrompendo i test sul danuglipron, sta ancora cercando di immettere sul mercato una pillola dimagrante.

 

«I risultati degli studi in corso e futuri sulla formulazione a rilascio modificato di danuglipron una volta al giorno forniranno informazioni su un potenziale percorso da seguire con l’obiettivo di migliorare il profilo di tollerabilità e ottimizzare sia la progettazione che l’esecuzione dello studio», ha affermato il dottor Mikael Dolsten, direttore scientifico e presidente di Pfizer.

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«Lo sviluppo futuro di danuglipron si concentrerà su una formulazione una volta al giorno, con dati farmacocinetici attesi nella prima metà del 2024» annuncia il comunicato Pfizer.

 

Come riportato da Renovatio 21, il semaglutide – commercializzato come Ozempic – sta rivoluzionando il settore farmaceutico e si annuncia, secondo alcuni analisti, come quello che potrebbe divenire il farmaco più venduto della storia. Il fenomeno potrebbe avere consegue trasformative per la società e l’economia: la banca d’affari Morgan Stanley ha pubblicato un rapporto sull’impatto dei farmaci contro l’obesità sui produttori di cibo spazzatura.

 

Il problema degli effetti collaterali tuttavia è già stato posto.

 

Come riportato da Renovatio 21, oltre al pericolo per le donne incinte, vi sarebbe un’inchiesta in corso per stabilire se esiste una possibile correlazione tra l’assunzione del semaglutide e l’ideazione di pensieri suicidi.

 

Una recente intervista di Tucker Carlson ad un ex dirigente di enti di regolazione del farmaco ha aperto numerosi dubbi riguardo gli effetti avversi del farmaco e riguardo alla bontà dell’intera filiera industrial-sanitario-statale che si prepara a sostenerne la massima diffusione.

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