Nucleare
Negoziati sul nucleare iraniano minacciati dalla guerra russa
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews.
Il capo delegazione tornato a Teheran per consultazioni. Cresce la pressione per una svolta, forse positiva, delle trattative. Per l’Ue la palla è nel campo della Repubblica islamica, che deve decidere se finalizzarlo. Sullo sfondo l’invasione dell’Ucraina e il tentativo di Mosca di inserire la questione sanzioni sulla bilancia degli accordi.
L’ombra della guerra lanciata dalla Russia all’Ucraina aleggia sulle trattative per il ripristino dell’accordo sul nucleare iraniano, come le ripercussioni del conflitto sullo scacchiere internazionale, sia a livello militare che economico.
L’invasione russa dell’Ucraina ha già avuto effetti sui prezzi del grano, del carburante e dei metalli, solo per citarne alcuni.
Il capo della delegazione iraniana ai colloqui sul nucleare con le potenze mondiali è rientrato nella tarda serata di ieri in patria. Da settimane sono in corso a Vienna negoziati per rilanciare l’intesa del 2015 (JCPOA), sconfessata da Trump tre anni più tardi.
Un viaggio improvviso e non programmato, segno che qualcosa sottobanco si muove e indice di una crescente pressione per una fine – forse positiva – delle trattative.
Secondo quanto riferisce l’agenzia ufficiale iraniana Irna, il rientro di Ali Bagheri Kani è da inserire «nel novero delle normali consultazioni» con i vertici della Repubblica islamica «durante i colloqui».
Tuttavia, l’omologo dell’Unione Europea sembra far capire che ora la palla è nel campo iraniano e sarà Teheran a decidere se le trattative saranno un fallimento o si potranno chiudere con successo.
In un messaggio su Twitter, Enrique Mora ha detto che non sono più in calendario incontri «a livello di esperti» o «formali», perché «è tempo, nei prossimi giorni, che le decisioni mettano fine ai colloqui di Vienna».
L’accordo nucleare del 2015 ha permesso di mettere sotto la sorveglianza dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) i depositi iraniani di centrifughe avanzate, mantenendo la soglia di arricchimento al 3,67% in purezza, e le scorte a soli 300 kg di uranio.
Cancellato l’accordo dall’amministrazione Trump, gli scienziati iraniani hanno ripreso la produzione superando le soglie fissate in precedenza: secondo l’AIEA al 19 febbraio le scorte di uranio arricchito ammontavano a 3.200 kg, il grado di purezza ha toccato il 60% e mancano solo alcuni piccoli passi per raggiungere la fatidica soglia del 90% per la produzione di armi atomiche.
L’obiettivo dell’Occidente è di riportare Teheran a una dimensione più ridotta e marginale del programma nucleare, in cambio di un allentamento delle sanzioni e di un sostegno economico.
Ciò malgrado alcune nazioni, in prima linea Israele, ritengono l’Iran una costante minaccia. Nelle ultime settimane i negoziatori della Repubblica islamica hanno imputato agli Stati Uniti lo stallo nei negoziati, sebbene gli USA non siedano al tavolo delle trattative dal ritiro di Trump dall’accordo.
Il segretario di Stato USA Antony Blinken ha affermato nel fine settimana che «siamo vicini» all’accordo, anche se restano «un paio di questioni» aperte e importanti da risolvere.
Una di queste è la richiesta di Mosca, parte dei negoziati ma allo scontro frontale con il blocco occidentale per l’invasione dell’Ucraina, avanzata per bocca del ministro degli Esteri Sergej Lavrov di apporre garanzie sulla possibilità per Mosca di continuare a commerciare con Teheran. E senza che prodotto e merci scambiati siano oggetto di ulteriori sanzioni economiche.
Dopo aver parlato al telefono con l’omologo russo, il ministro iraniano degli Esteri Hossein Amirabdollahian ha sottolineato che «siamo contrari alla guerra e all‘imposizione di sanzioni, ed è chiaro che la cooperazione tra Iran e qualsiasi Paese, compresa la Russia, non dovrebbe essere influenzata da un clima [ostile] di sanzioni».
In tema di sanzioni a Mosca, il segretario del potente Consiglio supremo per la sicurezza nazionale iraniano, Ali Shamkhani, ha annunciato «modi creativi» – pur senza entrare nel dettaglio – che permetteranno a Iran e Russia di trovare una «soluzione», così da permettere loro di commerciare.
Il valore dell’accordo viene sottolineato anche dallo stesso Blinken, secondo cui il ritiro statunitense «è stato uno dei peggiori errori commessi negli ultimi anni».
E, prosegue, «se si può ripristinarlo» in modo «efficace» è «nei nostro interesse farlo».
Convinto di un accordo a breve è anche il ministro israeliano della Difesa Benny Gantz, secondo cui la firma è attesa «a giorni», ma questo non influirà sulla politica dello Stato ebraico che continuerà ad agire per i propri interessi «a prescindere dal fatto che [un accordo] vi sia o no».
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Immagine di Khamenei.ir via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
Nucleare
Reattore a fusione stabilisce il record di temperatura: 100 milioni di gradi centigradi
Gli scienziati sudcoreani hanno stabilito un nuovo record mondiale utilizzando il dispositivo Korea Superconducting Tokamak Advanced Research (KSTAR), un reattore a fusione nucleare con «sole artificiale».
Il team è stato in grado di generare temperature del plasma di 100 milioni di gradi Celsius – sette volte più calde del nucleo del Sole – per 48 secondi. Questa nuova frontiera indica nuovi modi per confinare il materiale e potenzialmente trasformarlo in una valida fonte di energia per un periodo più lungo. Il record precedente della struttura, stabilito nel 2021, era di 30 secondi.
In teoria, l’energia da fusione è semplice. Fondendo insieme gli atomi all’interno di un reattore, gli scienziati sperano di generare una quantità netta positiva di energia sicura e priva di inquinamento, nello stesso modo in cui funzionano le stelle e il Sole. Tuttavia, nonostante gli ultimi progressi e molti decenni di ricerca, siamo ancora lontani dal punto in cui i reattori a fusione potrebbero sostituire su larga scala i reattori nucleari convenzionali.
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Gli scienziati dell’Istituto coreano per l’energia da fusione (KFE) sono comunque ottimisti. Quest’ultimo record «sarà di grande aiuto per garantire in tempo le prestazioni previste per il funzionamento di ITER e per far avanzare la commercializzazione dell’energia da fusione», ha detto alla CNN il direttore della KFE Si-Woo Yoon, riferendosi al più grande reattore nucleare del mondo attualmente in costruzione nel Francia meridionale.
Proprio a questo reattore francese, la Russia ha inviato uno dei sei magneti giganti necessari per il programma di fusione nucleare, uno degli ultimi progetti scientifici internazionali che si rifiuta di escludere la partecipazione russa.
Confinando il plasma bollente all’interno di un reattore a fusione a forma di ciambella chiamato «tokamak», i ricercatori sperano di ottenere una quantità netta positiva di energia dalla reazione riscaldando l’acqua e trasformando il vapore risultante in elettricità utilizzando turbine e generatori.
Secondo lo Yoon, l’obiettivo è quello di sostenere temperature superiori a 100 milioni di gradi Celsius per 300 secondi entro il 2026, momento in cui i ricercatori potrebbero trovare nuovi modi per aumentare le operazioni.
Come riportato da Renovatio 21, anche la Cina sta portando avanti queste ricerche in una enorme struttura composta da 14 edifici che copre 400.000 metri quadri. Il team di scienza della fusione termonucleare presso l’Istituto del Plasma di Hefei ha condotto ricerche sulle prestazioni globali dei materiali, sulle prestazioni dei superconduttori, dei magneti superconduttori, delle camere a vuoto del reattore di fusione, dei componenti del divertore e dell’interazione tra plasma e materiali.
In Giappone si è recentemente inaugurato il più grande reattore sperimentale a fusione nucleare del mondo, nominato JT-60SA, il quale rappresenta l’ultimo banco di prova per una fonte di energia rinnovabile raccolta da atomi che si fondono insieme sotto una pressione immensa a temperature incredibilmente elevate, senza rischiare una fusione nucleare.
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In questa corsa verso sistemi avanzati di produzione energetica, non potevano mancare gli Stati Uniti.
Come riportato da Renovatio 21, il Lawrence Livermore National Laboratory National Ignition Facility (NIF) ha condotto un esperimento di fusione di grande successo: «Abbiamo continuato a eseguire esperimenti per studiare questo nuovo entusiasmante regime scientifico. In un esperimento condotto il 30 luglio, abbiamo ripetuto l’accensione» ha dichiarato il portavoce del NIF Paul Rhien.
Nel frattempo, alcuni ricercatori del Princeton Plasma Physics Laboratory hanno fatto una importante scoperta: rivestendo la superficie interna del recipiente contenente un plasma di fusione con litio liquido, porta verso una migliore alimentazione del plasma, passo necessario all’ottenimento dell’energia per fusione nucleare.
Tale tecnica promette di cambiare il mondo facendo arrivare all’umanità quantità di energia a buon mercato in condizione di relativa sicurezza.
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Immagine di Michel Maccagnan via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported, 2.5 Generic, 2.0 Generic e 1.0 Generic
Nucleare
La Svezia è disposta ad ospitare testate nucleari USA
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Nucleare
Londra vuole spezzare il monopolio russo sull’uranio
La scorsa settimana il Regno Unito ha annunciato che investirà 196 milioni di sterline (246 milioni di dollari) per costruire il primo impianto in Europa occidentale per la produzione di uranio ad alto dosaggio e basso arricchimento (HALEU), nel tentativo di rompere il monopolio della Russia sul mercato.
Il finanziamento sarà fornito a Urenco, un consorzio britannico-olandese-tedesco per la produzione di HALEU, che è il combustibile richiesto dai piccoli reattori modulari (SMR) più avanzati.
Reattori modulari avanzati, più piccoli e fabbricabili in fabbrica, potrebbero trasformare il modo in cui vengono costruite le centrali elettriche, rendendo la costruzione più rapida e meno costosa.
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Le aziende di tutto il mondo che sviluppano SMR si affidano a HALEU per alimentarli, ma attualmente questo tipo di uranio arricchito è prodotto commercialmente solo dalla russa Tenex, una filiale dell’industria nucleare statale Rosatom.
«Il potenziale è più ampio del solo mercato interno britannico», ha detto ai giornalisti Andrew Bowie, ministro del nucleare. «Abbiamo alleati che sono più esposti alla Russia e cercheranno di massimizzare la struttura di Urenco nel Regno Unito».
Secondo il Dipartimento britannico per la sicurezza energetica e l’impatto zero, il primo impianto di produzione dovrebbe essere operativo entro il 2031 nel nord-ovest dell’Inghilterra.
La Gran Bretagna punta ad aumentare la propria capacità nucleare a 24 gigawatt entro il 2050, pari a circa un quarto della domanda elettrica prevista.
Secondo i dati recenti del governo britannico e dell’unità britannica di Electricite de France SA, la produzione di energia nucleare nel Regno Unito è crollata al livello più basso in oltre 40 anni lo scorso anno, dopo che sei reattori sono stati chiusi dal 2021.
Il Regno Unito ha attualmente nove reattori nucleari operativi in cinque siti, ma alcuni di questi si stanno avvicinando alla fine della loro vita operativa.
La spinta per la produzione HALEU arriva mentre l’Occidente cerca di ridurre le proprie importazioni di energia dalla Russia alla luce del conflitto in Ucraina.
L’anno scorso, la società americana Centrus Energy annunciò di aver prodotto un primo piccolo lotto di combustibile come parte della strategia di Washington per ridurre la dipendenza dal combustibile nucleare importato dalla Russia.
Gli Stati Uniti hanno limitato le importazioni di uranio russo al 20% della domanda interna. Tuttavia, l’anno scorso ha importato quasi 1,2 miliardi di dollari di uranio russo, la quantità più grande dal 2009.
Come riportato da Renovatio 21, gli USA dipendono dal combustibile nucleare russo, continuando a spendere miliardi per l’uranio di Mosca, avendo perso la capacità di trattare la sostanza in patria.
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Rosatom rappresentava 20 dei 53 reattori nucleari in costruzione a metà del 2022, di cui 17 all’estero. L’azienda statale di energia nucleare ha recentemente terminato la costruzione della prima centrale atomica turca ad Akkuyu.
La Russia sta anche fornendo combustibile a diversi reattori in India e Cina, ampliando una centrale nucleare in Ungheria e costruendo la prima centrale nucleare in Bangladesh. È in preparazione anche un centro di scienze nucleari in Vietnam.
Mosca è il principale esportatore di tecnologia atomica al mondo. Due anni fa, il capo della diplomazia UE Josep Borrell ha dichiarato che Bruxelles stava preparando sanzioni contro Rosatom.
Tre mesi fa il capo dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), Rafael Grossi ha dichiarato che l’Unione Europea dipende dalle forniture di uranio russe e sanzionarle sarebbe irrealistico.
La Rosatom è altresì al centro di una controversia che coinvolge i Clinton, accusati di corruzione in un caso che coinvolge Uranium One, una società venduta a Rosatom. Secondo le accuse, ritenute dal mainstream come teorie del complotto, vi sarebbe una scandalosa bustarella da 145 milioni di dollari dietro alla cessione. La storia è raccontata dal libro di Peter Schweizer Clinton Cash.
Il Dipartimento dell’Energia USA ha mandato a marzo 2022, allo scoccare del conflitto tra Mosca e Kiev, una strana lettera a Rosatom concernente Zaporiggia, la centrale nucleare contesa in Ucraina.
Nella missiva il direttore dell’Ufficio per la politica di non proliferazione del Dipartimento dell’Energia USA Andrea Ferkile dice al direttore generale dell’agenzia atomica russa Rosatom che la centrale nucleare di Zaporiggia «contiene dati tecnici nucleari di origine statunitense la cui esportazione è controllata dal governo degli Stati Uniti».
Qualcuno ha pensato che tale «tecnologia nucleare sensibile» di cui parla il governo americano potesse indicare, in realtà, ordigni per la guerra atomica.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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