Pensiero
L’equazione del collasso
Albert Hirschman era, a suo tempo, un economista famoso. La sua specialità era l’economia dello sviluppo. Tuttavia, Hirschman passerà alla storia per un lavoro del 1970 che parla di qualcosa che sviluppo non è: Exit, Voice and Loyalty: Response to Decline in Firm, Organizations, and States, tradotto in italiano da Il Mulino come Lealtà, defezione, protesta. Rimedi alla crisi delle imprese, dei partiti e dello Stato.
Il libro di Hirschmann fu il primo a descrivere in modo dettagliato come le organizzazioni rispondono al declino.
Nel modello proposto dallo studio, le persone reagiscono alla decadenza patente dell’istituzione in cui operano in tre modi diversi.
Il primo modo, è, semplicemente, andarsene – quella che lo studioso chiama opzione Exit, tradotta in italiano come «defezione».
Il secondo tipo di reazione è lamentarsi e cercare di ottenere un cambiamento nel contesto – Hirschman chiama questa possibilità Voice, o «protesta».
La terza modalità è la continuazione nella obbedienza all’istituzione, perché c’è ancora fede nella causa e si ha l’ambizione di migliorare quello che non va – nel gergo del saggio, Loyalty.
Da economista, Hirschman spiega che le tre componenti sono dosate a seconda del loro costo. In pratica, è possibile comprendere il collasso di un sistema sociale a partire da semplici equazioni.
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Facciamo degli esempi: se si è un investitore in un’azienda che si considera gestita male, si può tranquillamente vendere le proprie quote e investire in altro – ecco l’Exit, parola usata anche in termini finanziari per il disinvestimento. A meno che non vi sia un contesto particolare, l’azionista può scegliere di andarsene senza grandi costi, e non è quindi motivato a partecipare alla vita della società.
Diverso è il caso per un dipendente dell’azienda, che condivide l’opinione per cui l’azienda non è diretta in modo adeguato: per qualcuno che da quell’istituzione tira lo stipendio che consente la sopravvivenza sua e della famiglia (i bambini vanno nutriti, vestiti, mandati a scuola), il costo di uscita è straordinariamente alto. Ecco che il lavoratore quindi si trova ad optare per l’opzione Voice, il coinvolgimento critico: le proteste parasindacali, in teoria, almeno in origine, rappresentavano proprio questo caso.
Nel terzo caso, quello della Loyalty, della lealtà, semplicemente le cose vanno avanti come prima, perché il declino viene interpretato come un fenomeno superficiale, quindi transitorio, che non intacca la dimensione ideale della propria appartenenza all’organizzazione. La squadra può perdere dieci partite di fila, ma il tifoso continua ad andare allo stadio, perché la sua lealtà va al di là delle contingenze di una stagione. Qui paradossalmente, il costo per uscire è praticamente nullo, eppure, a livello psicologico, altissimo: perché la convinzione è qualcosa che definisce il carattere profondo della persona.
È chiaro da subito che quella della lealtà è una categoria complessa, e potente. Di fatto, la lealtà è richiesta, per legge, dallo Stato stesso (che comprende il reato di tradimento) e perfino all’interno di un matrimonio civile – con l’esclusione degli omosessuali che, nelle unioni civili introdotte con la Cirinnà, non hanno obbligo di fedeltà (quindi, sì, si potrebbe dire che tecnicamente godono di un diritto in più rispetto agli eterosessuali, ma non ditelo al generale Vannacci).
La Loyalty, l’obbedienza, interviene in realtà come ingrediente anche nelle altre opzioni.
L’opzione Voice, la protesta, è più efficace quando l’Exit è possibile, ma non tropo facile da conseguire. Tuttavia, per generare l’opposizione, giocoforza si ha bisogno di una qualche quantità di lealtà.
Se non c’è lealtà e l’uscita è impossibile, quello che avviene è che la gente soffre in silenzio – per decenni. È il caso dei Paesi comunisti e della repressione totale, dove più nessuno ha un briciolo di lealtà verso un governo disfunzionale e tirannico, ma al contempo teme la violenza dello Stato e non riesce ad immaginare come attraversare il filo spinato per fuggire. Al di fuori della storia dei totalitarismi, non è sbagliato pensare che tante esistenze siano incasellabili in questo modo, e la nostra personale e non scientifica idea è che, prima che il vaccino creasse il turbocancro, gran parte degli eventi oncologici potrebbero essere legati a tale disperazione soffocata per anni.
Vi è anche il caso in cui la lealtà è totale. In quel caso, nessuno, o quasi, dà voce all’opposizione. I primi anni dei totalitarismi europei, dove i dittatori avevano indici di gradimento spaventosi, cadono in questa fattispecie. Pur ricorrendo alla repressione violenta, i totalitarismi potevano soffocare le proteste semplicemente sommergendole con manifestazioni massive di fede nello Stato e nel partito.
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In pratica, è possibile misurare la prossimità al collasso di una società osservando queste variabili. Il collasso ha un’equazione, che è spesso pienamente visibile.
Quando, dopo il muro, l’URSS cominciò a crollare, la corruzione dilagò in tutto l’enorme Paese, e in modo sempre più evidente. È qui che nascono gli oligarchi, che si comprano – da funzionari corrotti che li svendono – immensi gruppi energetici o industriali, magari utilizzando i danari occidentali: si dice che Khodorkovskij, l’oligarca anti-Putin liberato da questi poco prima delle Olimpiadi di Sochi, fosse spalleggiato dai Rothschild, verso uno dei quali fece pure testamento prima di essere messo in galera nel 2004.
Non solo: i costi di Exit per l’élite sovietica erano bassissimi. Chi poteva, mandava i capitali accumulati all’estero. Davanti alla distruzione dell’URSS vari politici avevano vie di fuga evidenti: Eltsin da presidente del Soviet Supremo poté diventare Presidente della Federazione Russa; il ministro degli Esteri Eduard Shevarnadze avrebbe avuto la presidenza della Georgia divenuta indipendente.
L’opzione della protesta, Voice, fu quella a Mikhail Gorbachev, che, pur corteggiato in tutti i modi in Occidente dove era assurto a celebrità bonaria, scelse di rimanere nel Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Di fatto, nel collasso dell’URSS, la sua posizione fu quella perdente.
Restava dentro lo Stato russo, tuttavia, una base di funzionari che mantenevano un senso di lealtà, se non all’URSS, alla patria russa, cioè allo Stato senza il quale non era possibile per loro vivere. Vengono chiamati i siloviki, gli uomini della «forza» («sila»), cioè gli agenti degli apparati di sicurezza e di Intelligence come il KGB e il GRU. Chiaramente, l’esempio più noto di questo tipo, è Vladimir Putin.
Putin stette per qualche tempo al gioco degli oligarchi, e poi agì ripristinando il primato della politica sulla corruzione, che magari non è sparita, ma è sottomessa al potere (un esempio: un oligarca che, per un piccolo incidente stradale, insultò, senza saperlo, la figlia e il genero di Putin, ebbe a pentirsene).
Il risultato fu spettacolare: le pensioni aumentarono anche di sette volte, gli stipendi ancora oggi fanno impressione agli ucraini (quando la Crimea venne riannessa, gli insegnanti, si disse, videro triplicati i loro stipendi). La lealtà dei russi verso Putin e lo Stato russo stesso divenne un fatto statistico inoppugnabile.
Il collasso era stata fermato.
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Nella sua intervista con Oliver Stone, Putin descrive a sorpresa quello che dice essere un ingrediente base dello spirito russo, ossia l’incapacità di vivere al di fuori dell’istituzione che governa la Russia, sia esso l’impero dello Zar, l’Unione Sovietica o la Federazione dei nostri anni.
Di fatto, quello che suggerisce l’esempio russo è che la lealtà è l’unica possibilità di fermare il collasso di una società, di uno Stato, di una Civiltà.
La lealtà, il senso di appartenenza, l’obbedienza ad un principio che trascende la condizione visibile sono ciò che mantiene unito un gruppo umano – e lo fa prosperare.
Ora, bisogna guardare con franchezza a cosa sta accadendo qui, oggi, in Italia, in Europa, in Occidente.
Fateci caso: tutti i vostri politici hanno opzioni di Exit garantite: dai ministri e commissari e capi di partito che vengono assunti da Università straniere (perché?) al bestiario grillino che, vittima della regola autoinflitta del limite dei due mandati, si è ritrovato seduto comodamente in nuove ricche poltrone parastatali, abbiamo visto che di fatto a guidare la loro azione politica, più che la lealtà agli ideali (quali? Dove?) o agli elettori, è la preparazione, magari da parte di poteri noti, dell’uscita assicurata, stipendio d’oro e privilegi inclusi.
Considerate anche la seconda categoria: in realtà, più nessuno fa davvero opposizione. La riprova è l’attuale principale partito di governo italiano: in teoria, era all’opposizione ai tempi di vaccini, green pass etc., ma una volta salito al potere si è preso per ministro della Salute uno specialista del CTS che prima in teoria contestava, tanto per dire. Lo schiacciamento della Meloni su ogni tema sostenuto anche dal PD, dall’aborto all’Ucraina, parla del fatto che no, l’opposizione non esiste più.
O meglio, più nessuno dispone della voce per fare opposizione, anche da dentro al sistema. La censura totale a cui siamo stati sottoposti in questi anni su internet e su ogni altro mezzo d’informazione fa comprendere che il caso mediano, quello in cui si può uscire ma si rimane abbastanza leali da restare, non deve più esistere.
Hirschman chiamava la facoltà di protestare davanti al declino Voice, ma nel momento dove siete imbavagliati, perfino elettronicamente, parlare non è più possibile.
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Cosa resta quindi? Semplice: un mondo fatto di exit, cioè di una classe dirigente corrotta (oltre ai politici, pensate ai vari capitalisti nazionali che in Italia non hanno più alcuna sede, pur continuando a trarre profitto dal Paese) con sotto, senza filtro, una popolazione di beoti normaloidi che si bevono ancora, per lealtà, qualsiasi cosa: il successo del programma di vaccinazione in Italia sta tutto qui, nel fatto che la popolazione, senza voce né possibilità di vedere uscite possibile, è rimasta nella casella dell’obbedienza, sparandosi in tranquillità multiple dosi di sieri genici sperimentali.
Perché, di fatto, il costo per uscire dal sistema a quel punto lo avevano aumentato: se non volevi obbedire, ti mettevano alla fame, niente lavoro, niente vita sociale, stigma collettivo a go-go.
Renovatio 21 ha spesso chiamato l’insieme delle persone che bovinamente si sono fatte pascolare verso i campi dell’mRNA massa vaccina.
La realtà è che la massa vaccina è perfettamente funzionale, come torniamo a ripetere, alla ridefinizione del mondo in corso. Niente di intermedio deve esistere, tra l’élite e ciò che resta del popolo. Ecco perché è stata disintermediata la classe media, quella che è in grado di pensare e reagire, dando voce all’opposizione pur mantenendo la lealtà e l’incapacità davvero di uscire dal sistema (perché la casa paterna, perché la famiglia, la tradizione etc.)
La distruzione della classe media, economica e morale, è di fatto la censura di ogni voce in grado di reagire al sistema in via di caricamento.
Il collasso dell’Italia e dell’intero mondo occidentale parte da qui: dall’impoverimento di famiglie un tempo prospere, e dalla trasformazione, con l’immigrazione pro-anarco-tirannide, delle masse in accozzaglie tristi che, non avendo via di fuga, soffrono in silenzio.
Ognuna delle persone che ci stanno sopra può andarsene. Non vive nei quartieri sempre più infestati dalla mafia nigeriana, non tornerà mai a lavorare come voi se le cose dovessero andare male, e in caso arrivasse davvero il caos, hanno pronte magari case all’estero.
Messa così, potrebbe sembrare che la situazione sia disperata, non più recuperabile.
Forse a questa fenomenologia del declino di Hirschman manca una categoria: quella in cui la decadenza è arrestata, combattuta e vinta.
Lasciamo al lettore pensare come ciò possa avvenire. Noi abbiamo già detto troppo.
Roberto Dal Bosco
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Pensiero
Se la realtà esiste, fino ad un certo punto
I genitori si accorgono improvvisamente che la biblioteca scolastica mette a disposizione degli alunni strani libri «a fumetti» dove si illustra amabilmente il bello della liaison omoerotica.
L’intento degli autori è inequivocabile, quello di presentare un modello antropologico indispensabile per una adeguata formazione dell’individuo in crescita… Meno chiaro appare nell’immediato se la scuola, nel senso dei suoi responsabili vicini o remoti, di questa trovata educativa abbiano coscienza e conoscenza.
Di istinto, i genitori dell’incolpevole alunno si chiedono se tutto ciò sia proprio indispensabile per uno sviluppo armonico della psicologia infantile, magari in sintonia con i suggerimenti più elementari della natura e della fisiologia.
Tuttavia, poiché anche lo zeitgeist ha una sua potenza suggestiva, a frenare un po’ il comprensibile sconcerto, in essi affiora anche qualche dubbio sulla adeguatezza culturale dei propri scrupoli educativi, tanto che sono indotti a porsi il dubbio circa una loro eventuale inadeguatezza culturale rispetto ai tempi, votati come è noto, a sicure sorti progressive.
Ma il caso riassume bene tutto il paradosso di un fenomeno che ha segnato questo quarto di secolo e soltanto incombenti tragedie planetarie, mettono un po’ in sordina, finché dagli inciampi della vita quotidiana esso non riemerge con tutta la sua inaspettata consistenza.
Infatti la domanda sensata che si dovrebbero porre questi genitori, è come e perché una anomalia privata abbia potuto meritare prima una tutela speciale nel recinto sacro dei valori repubblicani, per poi ottenere il crisma della normalità e quindi quello di un modello virtuoso di vita; il tutto dopo essersi insinuata tanto in profondità da avere disattivato anche quella reazione di rigetto con cui tutti gli organismi viventi si difendono una volta attaccati nei propri gangli vitali da corpi estranei capaci di distruggerli.
Eppure, per quanto giovani possano essere questi genitori allarmati, non possono non avere avvertito l’insistenza con cui questa merce sia stata immessa di prepotenza sul mercato delle idee, quale valore riconosciuto, dopo l’adeguata santificazione dei cultori della materia ottenuta col falso martirio per una supposta discriminazione. Quella che già il dettato costituzionale impediva ex lege.
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Ma tutta l’impalcatura messa in piedi intorno a questo teatro dell’assurdo in cui i maschi prendono marito, le femmine si ammogliano nelle sontuose regge sabaude come nelle case comunali di remote province sicule, non avrebbe retto comunque all’urto della ragione naturale e dell’evidenza senza la gioiosa macchina da guerra attivata nel retrobottega politico con il supporto della comunicazione pubblica e lasciata scorrazzare senza freni in un mortificato panorama culturale e partitico.
Nella sconfessione della politica come servizio prestato alla comunità, secondo il criterio antico del bene comune, mentre proprio lo spazio politico è in concreto affollato da grandi burattinai e innumerevoli piccoli burattini, particelle di un caos capace di tenere in scacco «il popolo sovrano». Una parte cospicua del quale si sente tuttavia compensato dalla abolizione dei pronomi indefiniti, per cui tutte e tutti possono toccare con mano tutta la persistenza dei valori democratici.
Non per nulla proprio in omaggio a questi valori è installato nella anticamera della presidenza del Consiglio, da anni funziona a pieno regime un governo ombra, quello terzogenderista dell’UNAR. Un ufficio che ha lavorato con impegno instancabile, e indubbia coerenza personale, alla attuazione del «Piano» (sic) elaborato già sotto i fasti renziani e boschiani, per la imposizione capillare nella società in generale e nella scuola in particolare, di tutto l’armamentario omosessista.
Il cavallo di battaglia di questa benemerita entità governativa è la difesa dei «diritti delle coppie dello stesso sesso», dove sia il «diritto», che la «coppia» hanno lo stesso senso dei famosi cavoli a merenda.
Ecco dunque un esempio significativo ed eccellente di quella desertificazione della politica per cui il governo ombra guidato da interessi particolari in collaborazione e in sintonia con centri di potere radicati in istituzioni sovranazionali, possa resistere ad ogni cambio di governo istituzionale senza che ne vengano disinnescati potere e funzioni.
I partiti, dismessi gli apparati ideologici, e omogeneizzati nella sostanza, sono ridotti a «parti», alla moda di quelle fiorentine che pure un qualche ideale di fondo ce l’avevano, anche se tutte si assestavano su un gioco di potere.
Qui prevale il gioco dei quattro cantoni, dove tutti sono guidati dall’utile di parte che coincide a seconda dei casi con l’utile politico personale o ritenuto tale. Un utile calcolato tra l’altro senza vera intelligenza politica ovvero senza intelligenza tout court. Anche chi si è abbigliato di principi non negoziabili, alla bisogna può negoziare tutto, perché secondo il noto Principio della Dinamica Politica, «Tutto vale fino ad un certo punto».
Tajani, insieme a Rossella O’Hara ci ha offerto il compendio di tutta la filosofia occidentale contemporanea. Quindi dobbiamo stare sereni. Ma i genitori attoniti devono comprendere che quei libretti e questa scuola non sono caduti dal cielo. Sono il frutto di una politica diventata capace di tutto perché incapace a tutto sotto ogni bandiera.
Patrizia Fermani
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