Economia
L’amico di Soros Jeffrey Sachs spinge i cinesi verso Biden
Il quotidiano cinese China Daily ha dato una copertura favorevole ai commenti di Jeffrey Sachs in un recente webinar in cui ha promosso l’approccio di Joe Biden alla Cina rispetto a quello del presidente Donald Trump, descrivendo Sachs come un «noto esperto .. un professore di economia alla Columbia University e un consigliere senior delle Nazioni Unite».
Il China Daily e altri in Cina farebbero bene a ricordare il ruolo principale di Sachs nel promuovere la terapia d’urto devastante – shock therapy – in Russia e in Polonia negli anni ’90 (1); a seguito delle politiche proposte da Sachs, negli anni ’80 la Bolivia si trasformò in un’economia basata sulla cocaina negli anni ’80. (2)
La Cina farebbe bene a ricordare il ruolo principale di Sachs nel promuovere la terapia d’urto devastante – shock therapy – in Russia e in Polonia negli anni ’90; a seguito delle politiche proposte da Sachs, negli anni ’80 la Bolivia si trasformò in un’economia basata sulla cocaina negli anni ’80
«Vedo l’attuale percorso [riguardo alla Cina] come molto pericoloso, perché la geopolitica non è un gioco… credo che il successo della Cina sia un successo globale –una grande civiltà che è sfuggita alla povertà e ha sviluppato tecnologie avanzate è un grande vantaggio per il mondo, non una maledizione per il mondo».
Sachs ha avvertito che l’attuale retorica anti-Cina è «straordinariamente pericolosa», aggiungendo che la Cina «non dovrebbe essere trattata in questo modo vergognoso… Non hanno rubato tutto. Non tradivano tutto. Non hanno creato tutti questi conflitti. Questo è solo il nostro social media, la follia del mondo di Trump».
Poi è arrivata la battuta finale di Sachs:
«L’attuale retorica anti-Cina è «straordinariamente pericolosa», la Cina «non dovrebbe essere trattata in questo modo vergognoso…»
«Se Trump vincerà (alle elezioni di novembre), penso che il mondo sarà profondamente pericoloso e instabile. Penso che l’attuale approccio in effetti si intensificherebbe probabilmente dopo la rielezione di Trump. E conosco abbastanza la storia per dire che mi preoccupa profondamente. Ma se Biden vince, avremo un periodo di maggiore protezionismo negli Stati Uniti, questo è certo. Ma penso che avremo anche un ritorno alle idee razionali e non a questo tipo di attacchi e insulti piuttosto flagranti, odiosi e provocatori».
Professore di macroeconomia, difensore dell’ultraliberismo, terzomondista convinto, propinatore – ovviamente – dell’emergenza del cambiamento climatico, negli ultimi anni, Sachs è penetrato nel Sacro Palazzo, divenendo una sorta di ghost writer del nuovo corso antropologico-scientifico del Vaticano.
Professore di macroeconomia, difensore dell’ultraliberismo, terzomondista convinto, propinatore – ovviamente – dell’emergenza del cambiamento climatico, negli ultimi anni, Sachs è penetrato nel Sacro Palazzo, divenendo una sorta di ghost writer del nuovo corso antropologico-scientifico del Vaticano.
In economia, egli è per lo più noto come il progenitore di una forma brutale di ingegneria del libero mercato chiamata «terapia d’urto» (shock therapy), ma al contempo vuole posizionarsi come una voce di progressismo, condannando – secondo il famoso slogan americano di protesta emerso una diecina di anni fa – l’1% dei privilegiati e promuovendo una sua soluzione alla povertà estrema del terzo mondo attraverso il suo «Millennium Villages Project» (finanziato, ça va sans dire, da George Soros), nonché l’uso massivo dell’aborto, posizione che non nasconde nemmeno ora che partecipa in continuazione a eventi della Santa Sede, letteralmente applaudito dal cancelliere della Pontificia accademia delle scienze, il vescovo argentino Marcelo Sanchez Sorondo.
L’ultra-abortismo a fini di riduzione della popolazione è scritto nei suoi libri a chiare lettere, persino prendendo ad esempio proprio la nazione italiana. Egli scrive infatti nel suo libro Il bene comune. Economia per un pianeta affollato che «se l’Italia mantenesse fino al 2300 l’attuale tasso totale di fertilità la sua popolazione diminuirebbe dagli attuali 58 milioni a 600.000 individui. Non sarebbe poi un gran male: proprietà immobiliari e agricole per tutti!»
C’è da sottolineare come il Sachs comparve nelle cronache italiane anche negli anni Novanta. Il giornalista del Corriere Flavio Haver scrisse delle indagini del giudice Martellino sulla mega speculazione che distrusse la lira nel 1992. «Le indagini sono appena iniziate, ma i risultati possono essere esplosivi, perché il nome dell’individuo coinvolto nelle indagini può dare l’idea di quanto siano delicate queste indagini: il nome è ancora una volta quello di George Soros.
L’ultra-abortismo a fini di riduzione della popolazione è scritto nei suoi libri a chiare lettere, persino prendendo ad esempio proprio la nazione italiana
In un pezzo intitolato «Il primo ministro e lo speculatore» il Corriere torna sull’argomento nel 1996, e chiede direttamente allo stesso Soros quali fossero le sue relazioni con Romano Prodi – lo stesso, rammentiamo, che quell’anno gli assegnò una laurea honoris causa presso l’Alma Mater di Bologna. Soros, per una volta prodigo di risposte, replica al giornale di via Solferino: a presentarmi Prodi è stato Jeffrey Sachs.
Sovrappopolazione, neoliberismo, ONU, cambiamento climatico, Soros: il giro è sempre quello. La Necrocultura globale e i suoi signori hanno un’agenda ma non hanno fantasia, né il buongusto di non ripetersi.
Roberto Dal Bosco
Soros, per una volta prodigo di risposte, disse al Corriere della Sera: a presentarmi Prodi è stato Jeffrey Sachs
NOTE
(1) Qualcuno ha l’ardire di vedere la tragedia della Yugoslavia negli anni Novanta come un effetto dell’operato di Sachs: «In un senso più fondamentale – scriveva nel 1999 Konstantin George nell’Executive Intelligence Review – il destino è stato segnato due anni fa quando il governo di Belgrado assunse un cosiddetto consigliere economico della mafia di Harvard, Jeffrey Sachs. Sachs e il Fondo Monetario Internazionale che lo raccomandò, imposero sulla Yugoslavia le stesse condizioni che furono comminate alla nazione polacca, con lo stesso risultato: disoccupazione di massa di livello-Depressione combinata con una iperinflazione, rovescio degli standard di vita con ritorno ad anni precedenti prima, a decadi precedenti poi; stop a tutti i progetti di sviluppo nazionale. C’è poi una differenza chiave: la Polonia è etnicamente omogenea. Applicare la Sachsomania in uno stato multinazionale assicura, oltre al lutto economico e agli orrori sociali, una divisione garantita, e in pochi anni, dello stato in linee etniche».
Sovrappopolazione, neoliberismo, ONU, cambiamento climatico, Soros: il giro è sempre quello. La Necrocultura globale e i suoi signori hanno un’agenda ma non hanno fantasia, né il buongusto di non ripetersi.
(2) La Bolivia è stata la prima success story del professor Sachs: il paese dell’America Latina era mortalmente indebitato con il Fondo Monetario Internazionale (ma guarda) quando arrivò Sachs a testare la sua prima sessione di shock therapy: dollarizzazione, liberalizzazioni selvagge , svendita degli apparati produttivi a privati o a realtà internazionali, riduzione della forza lavoro dello Stato (la COMIBOL, l’ente minerario, passa in due anni da 30.000 lavoratori a 7.000), infine quello che Sachs chiama «consensual default», che altro non è se non il solito metodo di sottomissione al potere del dollaro – il debito estero in cambio delle tremende riforme. L’inflazione, dice la versione ufficiale, passò dall’11.000% al 15% appena. Il dato che pochi hanno avuto il coraggio di tirare fuori, invece, è come dal 1985 al 1990 la quantità di coca prodotta in Bolivia più che raddoppiò, facendola diventare il fornitore del 37% della polvere bianca sniffata negli USA. Nel 1990, il 32% della forza lavoro boliviano era impiegato nella produzione e il traffico di droga: non differentemente da quanto può succedere a Melfi o Termini Imerese, l’operaio che perde il lavoro prima o poi finisce nelle maglie della mafia locale, che almeno garantisce il pane.
In definitiva, a comprarsi la Bolivia, grazie alla terapia di Sachs, furono i Narcos.
Immagine di APEC 2013 via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
Economia
Il capo di Saudi ARAMCO dichiara che la transizione energetica sta fallendo
Il CEO di Saudi Aramco, Amin Nasser, ha dichiarato il 18 marzo durante una conferenza petrolifera a Houston, in Texas, che la «transizione energetica» globale è fallita.
Il Nasser ha affermato che la produzione e la domanda di combustibili fossili continueranno a crescere, senza raggiungere il picco nel 2030 o in qualsiasi altro anno: «nel mondo reale, l’attuale strategia di transizione sta visibilmente fallendo su molti fronti poiché si scontra con dure realtà».
Le nazioni «dovrebbero abbandonare la fantasia di eliminare gradualmente petrolio e gas, e invece investire in essi in modo adeguato, riflettendo ipotesi realistiche sulla domanda» ha continuato il capo del colosso petrolifero dei Saud.
Nasser ha basato la visione saudita sulla quota molto piccola della produzione e del consumo di energia mondiale che le «rinnovabili» ancora rappresentano, nonostante un decennio di massicci investimenti in esse, in alcuni anni fino all’esclusione del 90% degli investimenti in qualsiasi altra cosa.
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Il capo di Saudi ARAMCO affermato che nonostante 9,5 trilioni di dollari investiti in «fonti rinnovabili» dal 2005, l’eolico e il solare forniscono ancora meno del 4% della produzione di energia in tutto il mondo; i veicoli elettrici del presidente Biden, rappresentano meno del 3% delle vendite di autoveicoli.
Come riportato da Renovatio 21, lo stesso Nasserro nel febbraio 2023 aveva attaccato gli investimenti ambientali, sociali e di governance (ESG), dicendo che rappresentano una minaccia per l’accessibilità e la sicurezza energetica.
«Se le politiche guidate dai fattori ESG vengono attuate con un pregiudizio automatico nei confronti di tutti i progetti energetici convenzionali, il sottoinvestimento risultante avrà serie implicazioni» aveva detto il funzionario petrolifero saudita. «Per l’economia globale. Per la convenienza energetica. E per la sicurezza energetica».
La ARAMCO, che nel 2022 aveva segnalato la volontà di andare in borsa per più di 50 miliardi di dollari, produce più di 10 milioni di barili al giorno, divenendo quindi tra le più grandi compagnie petrolifere al mondo nonché il più importante finanziatore del governo saudita, che la possiede quasi al 100%.
La società nasce nel 1933, quando il governo saudita firma un accordo di concessione con la Standard Oil of California (SOCAL) che gli permette di fare delle prospezioni petrolifere in Arabia Saudita. Nel 1944 diviene Arabian American Company, cioè ARAMCO, nome che conserva tutt’ora, così come si conserva il patto di protezione americana della famiglia Saud stipulato in quegli anni dal presidente americano Franklin Delano Roosevelt e dal re saudita Abdulaziz Ibn Saud – il cosiddetto patto del Grande Lago Amaro, di cui Renovatio 21 vi ricorda spesso, ossia la creazione del petrodollaro, fonte della grande ricchezza e durevole influenza di Washington nel mondo.
Come riportato da Renovatio 21, segnali chiarissimi mandati dai sauditi – la vendita di petrolio in yuan cinesi, il desiderio espresso da Ryadh di entrare nei BRICS – mostra che il patto del Grande Lago Amaro è probabilmente agli sgoccioli.
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Immagine di Pearl Initiative via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial 2.0 Generic
Cina
Le aziende europee: imprevedibile e più difficile fare affari in Cina
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Alimentazione
Gli stabilimenti africani di cacao chiudono a causa del costo elevato delle fave
I maggiori produttori mondiali di cacao, Costa d’Avorio e Ghana, hanno interrotto o ridotto la lavorazione nei principali impianti a causa dell’impennata dei costi dei semi, ha riferito Reuters giovedì, affermando che la situazione ha portato a un aumento globale dei prezzi del cioccolato. Lo riporta RT.
Le due nazioni dell’Africa occidentale producono quasi il 60% del cacao mondiale. Tuttavia, secondo un rapporto pubblicato martedì dalla Banca africana di esportazione-importazione (Afreximbank), entrambi sono alle prese da mesi con cambiamenti climatici estremi e malattie dei baccelli del cacao.
Secondo Afreximbank, le forniture di cacao dall’ex colonia francese nel periodo da ottobre 2023 a febbraio 2024 sono diminuite di circa il 39% rispetto all’anno precedente, attestandosi a 1,04 milioni di tonnellate. Le esportazioni del Ghana sono diminuite di circa il 35% a 341.000 tonnellate tra settembre 2023 e gennaio 2024.
I futures del cacao di riferimento con consegna a marzo sull’Intercontinental Exchange (ICE) di New York sono saliti sopra i 6.000 dollari per tonnellata venerdì scorso prima di scendere a circa 5.880 dollari per tonnellata, superando ancora il precedente record di 5.379 dollari stabilito nel 1977.
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Si prevede che i prezzi dei fagioli aumenteranno ulteriormente a causa della minaccia all’offerta globale rappresentata dal fenomeno meteorologico El Nino, che ha causato siccità nell’Africa occidentale nel terzo trimestre del 2023 e dovrebbe durare fino ad aprile, hanno avvertito gli analisti del settore.
«Abbiamo bisogno di una massiccia distruzione della domanda per recuperare il ritardo con la distruzione dell’offerta», ha detto alla Reuters citando Steve Wateridge, direttore di Tropical Research Services.
Transcao, azienda statale di trasformazione del cacao, uno dei nove stabilimenti della Costa d’Avorio, ha dichiarato di non essere in grado di acquistare le fave ai prezzi attuali e di fare affidamento sulle scorte esistenti. Anche il commerciante globale Cargill ha faticato a reperire fagioli per il suo principale impianto di lavorazione in Costa d’Avorio, chiudendo le operazioni per circa una settimana il mese scorso, hanno riferito a Reuters fonti anonime.
Il Ghana, il secondo coltivatore di cacao al mondo, ha visto la maggior parte dei suoi otto stabilimenti, inclusa la Cocoa Processing Company (CPC) di proprietà statale, sospendere ripetutamente le operazioni per settimane dallo scorso ottobre, ha riferito l’agenzia di stampa. CPC ha affermato di funzionare solo a circa il 20% della capacità a causa della carenza.
La settimana scorsa, Michele Buck, CEO del colosso americano dei dolciumi Hershey e uno dei maggiori produttori di cioccolato al mondo, ha previsto che i «prezzi storici del cacao» limiteranno la crescita degli utili nel 2024, con conseguente aumento dei prezzi dei prodotti.
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Immagine di Michael via Wikimedia pubblicata su licenza
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