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La verità sui mostri marini: sono i peni eretti delle balene, dice l’esperto

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Il professore di ecologia molecolare ha offerto una spiegazione affascinante per le storie mitiche degli avvistamenti di mostri marini nella tradizione dei marinai. Lo riporta il settimanale americano Newsweek.

 

Il professor Michael Sweet, che insegna all’Università di Derby a Derby, in Inghilterra, ha condiviso la sua teoria in un thread virale su Twitter l’8 aprile.

 

«In passato, i viaggiatori/esploratori disegnavano ciò che vedevano», ha spiegato in un post con oltre 100 mila like e oltre.

 

«È da qui che provengono molte storie di mostri marini».

 

 


Lo Sweet ha continuato spiegando che i marinai hanno intravisto «appendici tentacolari e aliene che emergono dall’acqua» che li hanno portati a immaginare una creatura sinistra in agguato sotto la superficie.

 

«Le balene spesso si accoppiano in gruppo, quindi mentre un maschio è impegnato con la femmina, l’altro maschio tira fuori il pene dall’acqua mentre nuota aspettando il suo turno… Tutti devono divertirsi un po’, giusto?» ha aggiunto sornione il professor Sweet.

 

Le balenottere azzurre hanno il pene più grande del regno animale, che va da 2,5 ai 4 metri  di lunghezza con un diametro di 30 centimetri, secondo lo Smithsonian Magazine. Ciascuno dei testicoli della balenottera azzurra da solo può pesare fino a 70 chilogrammi, scrive Newsweek, sottointendendo che di per sé stiamo parlando comunque di mostri marini.

 

Oltre al post, il professore ha condiviso foto di peni di balena blu eretti e una famosa presunta immagine del mostro di Loch Ness del 1934, nota come la «fotografia del chirurgo» perché il chirurgo britannico che l’ha scattata si è rifiutato di associare il suo nome alla foto.

 

L’idea rappresenta l’ultimo esempio del riduzionismo scientifico, la tendenza per la quale ogni cosa non facilmente spiegabile è in realtà un problema di percezione: gli UFO sono palloni sonda metereologici, le apparizioni mariane sono frodi o allucinazioni collettive, le percezioni extrasensoriali sono scempiaggini per creduloni.

 

Nel mondo diverse realtà si impegnano nella missione del riduzionismo scientifico, spesso animate da personaggi che conducono operazioni mediocri e grottesche, talvolta pure in odore di massoneria.

 

Tornando alla questione dei mostri marini genitali, c’è da rilevare che, se confermata, la teoria sconvolgerebbe anche i presupposti dell’ecologia.

 

Apprenderemmo, dunque, che le balene possono vivere in acqua dolce: a Lochness, per esempio, stazionerebbe dunque un persistente cetaceo esibizionista.

 

Pensiamo anche al «dio» del fiume Zambesi, Nyami-nyami, ancora temuto dai locali (e anche dai residenti di origine europea…): l’enorme creatura serpentiforme, con muso un po’ equino, è in realtà una verga di mammifero marino, esibizionista come il collega scozzese, peraltro incazzatissimo da quando gli italiani costruirono negli anni Cinquanta la Diga di Kariba, bloccandone le scorribande di ostentazione sessuale collettiva.

 

Il nostro pensiero, tuttavia, va alle nostre terre, e alla nostra storia. Che dire di Tarantasio? Era il drago che un tempo infestava il lago Gerundo, ora sparito perché prosciugato (insomma, un gerundo passato) nei dipressi di Lodi.

 

Il drago Tarantasio, si diceva, divorava gli infanti, affondava le barche, e diffondeva la febbre gialla con il suo putrido fiato. Se conoscete il logo di Mediaset o dell’Alfa Romeo o perfino dell’ENI avete in qualche modo visto Tarantasio: il drago che mangia l’uomo fu stemma della famiglia Visconti perché si narra che il «biscione» (termine, a questo punto, appropriatissimo) fu ucciso appunto dal capostipite del nobile casato meneghino.

 

Ecco, ora capiamo che non si trattava di un drago, ma di qualcos’altro. E la sua immagine è ora diffusa, involontariamente, ovunque, quasi che l’antica balena esibizionista del lodigiano fosse riuscita a farsi fotografare quando ancora non c’era la fotografia e a trasmettere l’immagine del membro suo nei secoli, facendola riprodurre in pubblico e in privato.

 

È, semplicemente, mostruoso.

 

 

 

 

 

 

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Adolescente schizofrenico sbranato da leonessa in gabbia: video

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Il diciannovenne Gerson de Melo Machado, che la stampa scrive era affetto da schizofrenia, è morto sbranato da una leonessa dopo essersi introdotto illegalmente nel suo recinto dei grandi felini dello zoo Parque Zoobotânico Arruda Câmara, a João Pessoa, nello stato di Paraíba, Brasile.

 

Secondo quanto riferito dalle testate locali il ragazzo ha scavalcato un muro alto circa sei metri per raggiungere l’area dei leoni. L’episodio si è consumato sotto gli occhi atterriti degli altri visitatori.

 

Machado coltivava da tempo il sogno di diventare domatore di leoni e in passato aveva addirittura tentato di imbarcarsi clandestinamente su un volo per l’Africa.

 


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«Una volta confermato l’incidente, il parco è stato immediatamente chiuso, seguendo tutti i protocolli di sicurezza. Le squadre hanno allertato le autorità competenti e fornito il supporto necessario ai soccorritori e agli investigatori. Il Parco Arruda Câmara è solidale con la famiglia del ragazzo deceduto, si rammarica profondamente per la perdita e augura forza in questo momento difficile», recita la nota ufficiale dello zoo.

 

Il personale di sicurezza ha provato a bloccare il giovane mentre scavalcava e si lanciava nel recinto, ma Machado è stato troppo rapido. La polizia scientifica non esclude l’ipotesi di un gesto suicidario.

 

«Mi sento totalmente impotente, ed è un sentimento che mi provoca un dolore enorme nell’anima», ha dichiarato l’assistente sociale Verônica Oliveira, che seguiva il ragazzo per la tutela dei minori. A Machado era stata diagnosticata la schizofrenia; aveva trascorso periodi in varie strutture ed era noto alle forze dell’ordine fin da bambino per piccoli reati. Solo la settimana precedente si era rivolto alla stessa Oliveira, appena uscito di prigione, chiedendo aiuto per trovare un lavoro.

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Maiale salva due soldati russi che stavano calpestando una mina: come i muli degli Alpini

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In un video diffuso di recente su Telegram, un maiale ha evitato che due soldati russi calpestassero una mina antiuomo.   Ripreso da un drone, il video mostra due militari russi che si avvicinano a un fabbricato in rovina, con un maiale domestico nelle prossimità. Il filmato è stato caricato sabato sul canale Telegram RVvoenkor.   Il soldato in avanguardia balza in avanti allorché il compagno è a pochi metri, innescando una mina antiuomo. I due soldati deviano quindi il cammino, procedendo lungo i ruderi di una staccionata adiacente.  

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«Il destino finale dell’animale resta ignoto. Le nostre unità hanno alterato il tragitto e proseguito l’operazione», ha commentato l’emittente. Non ha precisato la data né il luogo delle riprese. Stando al Ministero della Difesa di Mosca, le truppe russe stanno progredendo su più assi lungo il fronte, tra cui i presidi ucraini assediati di Kupyansk, nella regione di Kharkov, e Krasnoarmeysk (detta Pokrovsk in Ucraina) nella Repubblica Popolare di Donetsk.   Le forze del raggruppamento congiunto «Est» hanno completamente liberato il villaggio di Yablokovo dal dominio ucraino nella regione russa di Zaporiggia, ha annunciato sabato il dicastero. Si tratta del nono centro strappato dalle unità «Est» nel corso del mese, ha precisato.   Non è il filmato più bizzarro che abbiamo visto provenire dal teatro di guerra ucraino.   Come riportato da Renovatio 21, due anni fa un soldato russo ha sconfitto un drone ucraino con un sacco di patate, un altro ha catturato un drone a mani nude, un altro ancora lo ha preso a testate.   La vicenda del maiale minatore ricorda la pratica degli Alpini riguardo al mulo. Come noto, gli Alpini usavano spesso muli come animali da soma per trasportare equipaggiamenti, munizioni e razioni in terreni impervi dove i veicoli non potevano arrivare. Tuttavia, c’è una credenza diffusa – supportata da testimonianze di veterani e resoconti militari – secondo cui i soldati tenevano i muli molto vicini a sé (a volte legati o condotti a mano) non solo per praticità, ma anche per sicurezza personale. Tenendolo accanto o davanti, i soldati speravano che il mulo facesse da «scudo vivente» (assorbendo l’esplosione), che l‘esplosione avvenisse in prossimità, permettendo ai soldati di gettarsi a terra o reagire immediatamente, che si riducesse il rischio di mine attivate dietro il gruppo (dove magari c’erano altri soldati o animali).   In pratica, il mulo era programmaticamente, per gli alpini, un sistema anti-mina. Lasciarlo libero poteva servire da operazione di sminamento, oppure era visto come un rischio, perché il mulo deambula erraticamente, innescando potenzialmente le bombe che possono danneggiare i militari e la loro operazione.

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Dinosauro morto sotto un museo di dinosauri

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Un dinosauro sembra essere morto sul punto esatto in cui hanno poi costruito un museo dei dinosauri, seppellendo il suo fossile sotto la struttura musiva.

 

A Denver alcuni scienziati hanno scoperto un fossile di dinosauro di 67,5 milioni di anni fa nel sottosuolo del parcheggio del museo che ospita questi enormi animali oramai estinti milioni di anni fa. Come il Denver Museum of Nature and Science ha spiegato a Catalyst, la sua rivista online, l’antico frammento osseo è stato sepolto a circa 230 metri sotto il parkingo dell’istituzione.

 

Al di là della coincidenza di tale scoperta sotto un museo di storia naturale, tuttavia, il modo in cui gli amabili resti dinosaurici sono stati rivenuti sfida la credulità del lettore.

 

Diversi mesi fa, i ricercatori hanno iniziato a perforare sotto il parcheggio del museo per vedere se le temperature sotterranee della Terra potrebbero riscaldarle e raffreddarle in modo sostenibile. Questo «riscaldamento geotermico» utilizza lo stesso principio delle sorgenti termali, rendendo questa forma di energia rinnovabile una delle più antiche del mondo, scrive Futurism.

 

Una volta che le due piattaforme di perforazione sono iniziate, gli scienziati dietro il progetto hanno deciso di vedere cos’altro potevano trovare scavando in profondità nella crosta terrestre.

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Come spiega un articolo sull’incredibile scoperta, gli archeologi non solo hanno scoperto interessanti campioni geologici all’interno del nucleo campione di sei centimetri e mezzo, ma anche, per puro caso, l’osso parziale di un dinosauro scomparso circa 70 milioni di anni fa.

 

«È fondamentalmente come vincere alla lotteria e rimanere colpiti da un fulmine nello stesso giorno», ha spiegato il curatore di geologia del museo James Hagadorn in un’intervista a Catalyst. «Nessuno avrebbe potuto prevedere che questo piccolo piede quadrato di terra dove abbiamo iniziato a perforare avrebbe effettivamente contenuto un osso di dinosauro sotto di esso!».

 

Naturalmente ci sono volute alcune ricerche per determinare che l’osso era di un dinosauro di una non determinata specie fosse e comprendere come fosse deceduto. Successivamente, come spiegato nel documento di Rocky Mountain Geology, l’osso è stato catalogato come un frammento vertebrale da un ornitopode, un’ampia classificazione paleontologica per i dinosauri bipedi ed erbivori del periodo Cretaceo.

 

Come comunicato dalla direzione del museo, il ritrovamento ha dell’incredibile.

 

«Questo fossile proviene da un’epoca appena prima dell’estinzione di massa che ha spazzato via i dinosauri», ha spiegato lo Hagadorn, curatore di geologia del museo. «Questa è una scoperta scientificamente e storicamente emozionante».

 

Come sottolinea Rocky Mountain Geology, questi tipi di «scoperte paleontologiche urbane» sono davvero rari, ma quando accadono, «accendono l’interesse pubblico per la scienza e approfondiscono la nostra connessione con la natura».

 

Curioso ripensare a un noto cartone animato dinosauresco trasmesso sulla rete berlusconide qualche decennio fa che ha accompagnato i pomeriggi di tanti bambini parcheggiati dai bommer dinanzi alla TV: Ti voglio bene Denver, con l’inevitabile, come sempre inascolatabile ed inaffrontabile, sigla di Cristina D’Avena.

 

 

La storia parlava di un cucciolo di dinosauro verde, trovato da un gruppo di adolescenti californiani (sportivissimi, capelli lunghi e biondi) ancora all’interno del suo uovo, che ha il potere di teletrasportare qualsiasi essere vivente nella preistoria oppure di mostrare sulla sua superficie scene di quell’epoca, viene rinvenuto. I californici ragazzotti si affezionano al dinosauro, al quale danno il nome di Denver, ispirandosi all’omonima città capitale del Colorado, dopo aver letto questo nome su un autobus. Il Denverro si scopre un abile schettinatore e chitarrista ghiotto di patatine in bustina. Il rettile pasticcione inoltre riesce a parlare il linguaggio degli esseri umani, doppiato in italiano da Graziano Galoforo.

 

Se gli scienziati di Denver chiamassero la creatura preistorica del parcheggio Denver saremmo a cavallo. Di un dinosauro.

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Immagine generata artifizialmente.

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