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La famiglia del razzista Malcolm X cita in giudizio CIA e FBI

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Tre delle figlie dell’attivista razzista Malcolm X hanno intentato una causa contro la CIA, l’FBI e il Dipartimento di Polizia di New York, accusando le agenzie di complicità nell’assassinio del militante attivista nero.

 

Depositata venerdì in un tribunale di Manhattan, la causa sostiene che la CIA, l’FBI e la polizia di Nuova York erano a conoscenza di un complotto per uccidere Malcolm X, ma non hanno agito per fermarlo. Afferma che la polizia di New York ha arrestato la sua scorta di sicurezza giorni prima dell’assassinio, mentre gli agenti sotto copertura della CIA e dell’FBI, presenti la notte della sparatoria mortale, sono rimasti a guardare mentre il leader militante veniva ucciso a colpi di arma da fuoco.

 

La causa sostiene che esisteva una relazione «corrotta, illegale e incostituzionale» tra le agenzie e «assassini spietati che non è stata fermata per molti anni ed è stata attivamente nascosta, tollerata, protetta e facilitata da agenti governativi».

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«Crediamo che abbiano tutti cospirato per assassinare Malcolm X, uno dei più grandi leader del pensiero del XX secolo», ha affermato venerdì in una conferenza stampa l’avvocato per i diritti civili Ben Crump, che rappresenta la famiglia.

 

Le agenzie hanno nascosto il loro coinvolgimento nell’omicidio per decenni, «impedendo alla famiglia Shabazz di accedere alla verità e di ottenere giustizia», ​​ha affermato Crump.

 

Malcolm X salì alla ribalta come portavoce nazionale della Nation of Islam (NOI), una setta musulmana nera che considera i bianchi «diavoli» e sostiene la segregazione razziale. Adottò il nome el-Hajj Malik el-Shabazz durante il suo periodo con la NOI, sebbene ruppe i legami con il gruppo nei primi anni ’60.

 

Malcolm X fu ucciso a colpi di arma da fuoco mentre si preparava a tenere un discorso in una sala da ballo di Nuova York nel 1965. Il suo omicidio fu inizialmente attribuito a tre membri della NOI, Muhammad Abdul Aziz, Khalil Islam e Thomas Hagan, che furono tutti accusati, processati e condannati per l’omicidio.

 

Dopo aver trascorso oltre 20 anni in prigione, nel novembre 2021, Aziz e Islam sono stati scagionati e hanno ricevuto 36 milioni di dollari per condanne ingiuste. Ciò è avvenuto dopo che gli uffici del procuratore distrettuale di Manhattan hanno scoperto che i pubblici ministeri e l’FBI avevano nascosto prove chiave che avrebbero assolto i due uomini.

 

A differenza di Martin Luther King, che fece una campagna per l’integrazione razziale negli Stati Uniti, Malcolm X sostenne la completa separazione tra bianchi e neri. Sostenne che gli afroamericani meritavano riparazioni e un loro stato indipendente nel sud degli Stati Uniti, e invitò i suoi seguaci a usare la violenza per raggiungere questo obiettivo, se necessario, anche se in seguito attenuò la sua retorica e collaborò con altre organizzazioni per i diritti civili.

 

Le sue convinzioni segregazioniste lo portarono a stringere una debole alleanza con il Ku Klux Klan, che chiedeva la segregazione dall’altra parte della divisione razziale degli Stati Uniti. Malcolm X incontrò anche il leader del partito nazista americano George Lincoln Rockwell, che disse di essere «pienamente d’accordo con il programma» della Nation Of Islam di separazione razziale.

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Malcolm X nacque a Omaha, nel Nebraska, figlio di Earl Little e Louise Norton Little. Suo padre, un predicatore battista e sostenitore di Marcus Garvey, perse la vita nel 1931, ufficialmente a causa di un incidente con un tram. Tuttavia, Malcolm scrisse nella sua autobiografia che il padre era stato ucciso da un gruppo suprematista bianco chiamato Black Legion, lo stesso che, diceva, aveva perseguitato la sua famiglia, costringendola a frequenti trasferimenti e incendiando la loro casa due anni prima. Louise, la madre di Malcolm, era originaria di Grenada e, dopo la morte del marito, subì gravi crolli emotivi, aggravati dalle tensioni legate alla controversa morte di Earl. Con il tempo, fu dichiarata insana di mente e ricoverata in un istituto psichiatrico. I figli furono affidati a famiglie diverse e orfanotrofi.

 

Nonostante un percorso scolastico brillante, Malcolm abbandonò gli studi quando il suo insegnante preferito gli disse che diventare un avvocato era un obiettivo irrealistico per una persona di colore. Dopo aver lasciato la scuola, Malcolm iniziò ad avere problemi con la legge, finendo in un centro di detenzione. Successivamente si trasferì a Boston per vivere con sua sorella maggiore, Ella Little Collins.

 

A Boston trovò lavoro come lustrascarpe in un night club, ricordando poi nella sua autobiografia di aver servito artisti famosi come Duke Ellington. Lavorò anche come cameriere su un treno. In seguito, si trasferì a Harlem, a Nuova York, dove intraprese attività illegali come spaccio di droga, gioco d’azzardo, sfruttamento della prostituzione, estorsioni e furti.

 

Durante la seconda guerra mondiale, fu dichiarato inidoneo alla leva per ragioni mentali, anche se in seguito confessò di aver simulato la malattia per evitare l’arruolamento. Il 12 gennaio 1946, a vent’anni, fu arrestato e condannato a dieci anni di prigione per violazione di domicilio, possesso di armi e furto. Durante la detenzione, si guadagnò il soprannome di «Satana» per le sue invettive contro Dio e la Bibbia in particolare.

 

Nel 1948, mentre era ancora in carcere, suo fratello Reginald lo incoraggiò a unirsi alla Nation of Islam (NOI), un movimento islamico militante che promuoveva l’idea che molti schiavi africani fossero musulmani prima della loro cattura e che i neri dovessero tornare alla fede islamica.

 

La NOI sosteneva anche la creazione di una nazione nera separata negli Stati Uniti. Malcolm fu attratto dagli insegnamenti del leader del movimento, Elijah Muhammad. Grazie all’aiuto della sorella, ottenne il trasferimento in una colonia penale a Norfolk, dove aveva accesso a più risorse e si dedicò intensamente alla lettura, cercando conferme alle teorie della NOI nella storia e nella filosofia. Per migliorare se stesso, trascrisse a mano un intero dizionario e iniziò una corrispondenza regolare con Elijah Muhammad.

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Il Malcolm fu scarcerato il 7 agosto 1952, in anticipo rispetto alla fine della sua pena, grazie alla buona condotta.

 

Nel 1950, l’FBI aprì un’indagine su Malcolm X dopo che questi scrisse una lettera al presidente Harry S. Truman, esprimendo il proprio dissenso contro la guerra di Corea e dichiarandosi comunista. Fu in questo periodo che cominciò a firmarsi «Malcolm X». Questo nome rappresentava il rifiuto del cognome «Little», assegnato ai suoi antenati schiavi dai padroni bianchi. Anche se non era direttamente discendente da schiavi, quel cognome era un simbolo di subordinazione. La «X», oltre a segnare il rifiuto di tale eredità, rappresentava l’incognita della sua vera identità e delle radici perdute degli afroamericani.

 

Dopo la sua scarcerazione, Malcolm incontrò Elijah Muhammad a Chicago e si unì alla Nation of Islam (NOI). Nel marzo del 1953, la CIA cominciò a sorvegliare Malcolm X, poiché veniva indicato come comunista da alcuni informatori. Nei loro archivi apparivano lettere firmate con lo pseudonimo «Malachi Shabazz», un cognome che, secondo Elijah Muhammad, indicava la discendenza da un’antica «nazione asiatica nera». Nello stesso anno, l’agenzia concluse che Malcolm X mostrava una «personalità asociale con tendenze paranoiche».

 

Nel 1953, Malcolm si trasferì temporaneamente a Chicago per lavorare accanto a Elijah Muhammad, tornando poi a Boston come Ministro del Tempio Numero 2 della NOI. Con il tempo, fondò numerosi templi in altre città, aumentando significativamente gli aderenti alla NOI, passando da 500 a 30.000 membri tra il 1952 e il 1963, in gran parte grazie al suo carisma. Una delle conversioni più celebri fu quella del pugile Cassius Clay, che cambiò il suo nome in Muhammad Ali.

 

Nel 1958, Malcolm sposò Betty Dean Sanders, conosciuta come Betty X o Betty Shabazz, a Lansing, Michigan. La coppia ebbe sei figlie: Atallah (1958), Qubilah (1960), Ilyasah (1962), Gamilah Lumumba (1964) e le gemelle Malaak e Malikah, nate nel 1965, dopo la morte di Malcolm.

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Durante la sua attività con la NOI, Malcolm venne a conoscenza delle relazioni extraconiugali di Elijah Muhammad, il quale si giustificava sostenendo che, essendo un «inviato di Dio», aveva il diritto di avere più mogli, anche se non era ufficialmente sposato con le donne coinvolte, dalle quali ebbe figli. Malcolm criticò apertamente questa condotta, ma continuò a collaborare con la NOI.

 

Nel 1963, Malcolm si rese conto che Elijah Muhammad e altri membri di spicco della NOI erano invidiosi della sua popolarità. Iniziò ad avere contrasti interni, criticando la «marcia su Washington», definendola una «buffonata» orchestrata dai bianchi e priva di significato reale per i neri. Questo atteggiamento lo portò a ulteriori conflitti con altri leader del movimento per i diritti civili, tra cui Martin Luther King, sostenitore della nonviolenza e in buoni rapporti con Kennedy.

 

Dopo l’assassinio di John F. Kennedy nel novembre 1963, Malcolm X rilasciò dichiarazioni controverse, sostenendo che la violenza che i Kennedy non erano riusciti a fermare si era rivoltata contro di loro. Tali parole provocarono uno scandalo, e la NOI gli impose di non parlare in pubblico per 90 giorni. Questo episodio segnò un ulteriore distacco tra Malcolm X e l’organizzazione.

 

In seguito alla morte divenne un’icona, anche grazie al film di Spike Lee (1992) interpretato da Denzel Washington. Il suo volto, senza destare alcuno scandalo, finì persino nelle magliette di una celeberrima marca di articoli sportivi.

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Trump umilia il presidente sudafricano mostrandogli filmati del genocidio dei bianchi

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Il presidente statunitense Donald J. Trump ha mostrato dei filmati comprovanti il genocidio dei boeri al presidente sudafricano Cyril Ramaphosa durante una visita di quest’ultimo allo Studio Ovale della Casa Bianca, in presenza della stampa internazionale.   Quando nella conversazione tra i due politici è emerso il tema del genocidio dei bianchi sudafricani, il Ramaphosa si è affrettato a smentire quella che è sminuita come una «teoria del complotto», tuttavia Trump ha prontamente detto ai suoi collaboratori di «far partire il nastro» e di mostrare video di leader neri in Sudafrica che inneggiano all’assassinio degli afrikaner, insieme a video di luoghi di sepoltura di bianchi uccisi in Sudafrica.   Mentre lo slogan «Kill the Boer» («Uccidete i Boeri») risuonava clamorosamente nello Studio Ovale, il disagio del Ramaphosa diveniva sempre più evidente. Il vertice dello Stato sudafricano ha tentato di rispondere con calma e ponderazione, affermando che «questa non è la politica del governo», aggiungendo che «la nostra democrazia consente la libertà di espressione» e ribadendo che «il nostro governo è completamente contrario» a quanto descritto dal presidente Trump.    

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A questo punto il biondo presidente americano ha risposto: «ci sono centinaia, migliaia di persone che cercano di entrare nel nostro Paese perché temono che verranno uccise e che la loro terra verrà confiscata, e ci sono leggi approvate che danno il diritto di confiscare la terra».   Non pago, Trump ne ha avuto anche per i media americani che hanno insabbiato il genocidio razzista in corso in Sudafrica. Quando il filmato (dei luoghi di sepoltura e di 100.000 persone che gridavano la morte dei bianchi) è terminato e Trump si è rivolto al gruppo di giornalisti, il reporter della NBC News Peter Alexander ha urlato una domanda sull’aereo del Qatar offerto al Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. Trump è, a questo punto, esploso: «di cosa stai parlando? Sai, dovresti andartene… cosa c’entra l’areo del Qatar? Stiamo parlando di altre cose. È la NBC che cerca di distanziarsi dall’argomento che avete appena visto», cioè il genocidio dei bianchi sudafricani.   Il Ramaphosa ha diplomaticamente suggerito a Trump di tenere la discussione in privato, lontano dai media. Trump, tuttavia, aveva già ottenuto quel che voleva: mostrare a tutto il mondo il problema del massacro boero, e significare il suo coinvolgimento riguardo la sua soluzione.   All’incontro era presente anche il sudafricano di nascita Elone Musk, fermo critico del Ramaphosa. Aveva accusato settimane fa di non poter operare con la sua azienda internet satellitare Starlink in Sudafrica in quanto non-negro. Secondo Bloomberg, ora il governo sudafricano intende offrire a Musk una soluzione alternativa alle leggi locali sulla proprietà da parte dei neri per consentire al suo servizio internet Starlink di operare nel Paese, con l’obiettivo di allentare le tensioni sia con il miliardario che con Trump.  
 
  Come riportato da Renovatio 21, ancora due anni fa Elon Musk, originario di Pretoria che non ha problemi a parlare di un vero e proprio «genocidio bianco in Sudafrica, aveva accusato il New York Times di supportare gli appelli al massacro razziale in corso.   La tempistica della visita di Ramaphosa avviene pochi giorni dopo che Trump aveva accolto decine di rifugiati afrikaner   Come riportato da Renovatio 21, vari gruppi boeri da anni ritengono di essere oggetti di una vera persecuzione se non di una pulizia etnica, con abbondanza disperante episodi di crimine, torture e violenza efferata di ogni sorta. I boeri hanno cercato, e trovato, anche l’aiuto della Russia di Vladimiro Putin.   Trump aveva offerto un reinsediamento in America ai sudafricani bianchi ancora mesi fa.   Come riportato da Renovatio 21, la Corte Suprema del Sudafrica due mesi fa ha respinto la richiesta di considerare la canzone Kill the Boer («uccidi il boero») un incitamento all’odio.   Nel 2022 la divisione per l’uguaglianza della Corte Suprema del Sudafrica ha stabilito che la canzone «Kill the Boers» non costituisce un caso di «incitamento all’odio». Chiedere il massacro di un’intera classe sociale, se non di un’intera razza non è hate speech, se a farlo cantare alle masse è Julius Malema, leader marxista-leninista del partito Economic Freedom Fighers (EFF), panafricanista, anticapitalista, antimperialista, con una certa passione, si dice, per le BMW che guiderebbe anche con un po’ troppa velocità.

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La Corte Suprema sudafricana ha respinto l’accusa per cui quel canto è genocida poche settimane fa.   Come riportato da Renovatio 21, Ernst Roets, responsabile politico del Solidarity («Movimento di Solidarietà»), un network di organizzazioni comunitarie sudafricane che conta più di 500.000 membri, ha dichiarato che, nonostante le indicibili violenze e torture subite dalle comunità bianche in Sud Africa, nel prossimo futuro «l’Europa sarà peggio».
La scena di scontro nello Studio Ovale ha ricordato ad alcuni osservatori quella del presidente ucraino Volodymyro Zelens’kyj all’inizio di quest’anno, quando quest’ultimo fu cacciato dalla Casa Bianca. Lo Studio Ovale sta divenendo de facto un luogo della verità detta fuori dai denti, dove le maschere diplomatiche cadono, e i leader internazionali possono venire castigati per la loro inadeguatezza o i loro crimini veri e propri.

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Gli Stati Uniti accolgono i richiedenti asilo sudafricani bianchi

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Il primo gruppo di sudafricani bianchi è arrivato negli Stati Uniti lunedì, dopo che il presidente Donald Trump ha offerto loro un rifugio sicuro da quello che ha definito «genocidio».

 

Funzionari del Dipartimento di Stato hanno accolto 59 persone, compresi bambini piccoli, in un hangar dell’aeroporto fuori Washington, DC.

 

«Voglio che sappiate tutti che siete davvero i benvenuti qui e che rispettiamo ciò che avete dovuto affrontare in questi ultimi anni», ha dichiarato il Vice Segretario di Stato Christopher Landau. «Molte di queste persone hanno esperienza di minacce di intrusione nelle loro case, nelle loro fattorie e una reale mancanza di interesse o di successo da parte del governo nel fare qualcosa per risolvere questa situazione».

 

In precedenza gli Stati Uniti avevano concesso asilo a 54 afrikaner – detti anche boeri – discendenti dei coloni olandesi, che costituiscono circa il 7% della popolazione del Sudafrica.

 

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Come riportato da Renovatio 21, vari gruppi boeri da anni ritengono di essere oggetti di una vera persecuzione se non di una pulizia etnica, con abbondanza disperante episodi di crimine, torture e violenza efferata di ogni sorta.

 

Parlando ai giornalisti lunedì, Trump ha ribadito il suo impegno per accelerare la naturalizzazione dei sudafricani bianchi. «Perché vengono uccisi, e noi non vogliamo vedere persone uccise», ha detto Trump. «È un genocidio in atto, di cui voi non volete scrivere, ma è una cosa terribile che sta accadendo».

 

Il presidente ha accusato i media di essere rimasti in silenzio su quella che ha definito una campagna contro i contadini bianchi, affermando: «se fosse il contrario, quella sarebbe l’unica storia di cui parlerebbero».

 

Il governo di Pretoria ha fermamente negato le affermazioni di Trump secondo cui starebbe discriminando la minoranza bianca del Paese o tollerando gli attacchi contro i contadini bianchi.

 

Il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha respinto le accuse di Trump definendole «completamente false». Il ministro degli Esteri Ronald Lamola ha dichiarato: «non ci sono dati a sostegno di una persecuzione dei sudafricani bianchi, o in particolare degli afrikaner bianchi, che sono agricoltori».

 

 

Pretoria aveva attirato l’attenzione internazionale dopo l’approvazione, a gennaio, di una controversa legge che consente l’espropriazione di terreni – la maggior parte dei quali di proprietà di agricoltori bianchi – senza indennizzo. Il governo ha presentato la misura come un correttivo alle disparità nella proprietà terriera risalenti all’era dell’apartheid.

 

Trump, in reazione, aveva sospeso i finanziamenti al Sudafrica. A febbraio, la Casa Bianca ha affermato che il Sudafrica ha promulgato «politiche governative volte a smantellare le pari opportunità nell’occupazione, nell’istruzione e negli affari, e una retorica odiosa e azioni governative alimentano una violenza sproporzionata contro i proprietari terrieri razzialmente sfavoriti».

 

Il portavoce presidenziale Vincent Magwenya ha affermato che lo Stato «non può espropriare proprietà in modo arbitrario o per uno scopo diverso dall’interesse pubblico».

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Trump aveva offerto un reinsediamento in America ai sudafricani bianchi ancora mesi fa.

 

Come riportato da Renovatio 21, la Corte Suprema del Sudafrica due mesi fa ha respinto la richiesta di considerare la canzone Kill the Boer («uccidi il boero») un incitamento all’odio.

 

Nel 2022 la divisione per l’uguaglianza della Corte Suprema del Sudafrica ha stabilito che la canzone «Kill the Boers» non costituisce un caso di «incitamento all’odio». Chiedere il massacro di un’intera classe sociale, se non di un’intera razza non è hate speech, se a farlo cantare alle masse è Julius Malema, leader marxista-leninista del partito Economic Freedom Fighers (EFF), panafricanista, anticapitalista, antimperialista, con una certa passione, si dice, per le BMW che guiderebbe anche con un po’ troppa velocità.

 

La Corte Suprema sudafricana ha respinto l’accusa per cui quel canto è genocida poche settimane fa.

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Come riportato da Renovatio 21, ancora due anni fa Elon Musk, originario di Pretoria che non ha problemi a parlare di un vero e proprio «genocidio bianco in Sudafrica, aveva accusato il New York Times di supportare gli appelli al massacro razziale in corso.

 

Musk ha anche dichiarato di recente di non poter operare con la sua società Starlink nel suo Paese natìo in quanto non-nero.

 

Come riportato da Renovatio 21, Ernst Roets, responsabile politico del Solidarity («Movimento di Solidarietà»), un network di organizzazioni comunitarie sudafricane che conta più di 500.000 membri, ha dichiarato che, nonostante le indicibili violenze e torture subite dalle comunità bianche in Sud Africa, nel prossimo futuro «l’Europa sarà peggio».

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Trovate origini creole a Leone XIV. L’America woke esulta

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Papa Leone XIV avrebbe origini creole, o addirittura nere, comunque non bianchissime, per cui l’America woke si eccita ed esulta felice. Oramai, il nuovo razzismo ci ha ridotto a riconoscere il lato pavloviano di simili notizie.   Il New York Times ha indagato sulle origini del nuovo papa, indagando in ispecie sul lato materno. Fino ad allora ci era stato detto che la famiglia Prevost aveva origini francesi e italiane da parte di padre e spagnole – non latino-americane, ma anche qui europee – da parte di madre. Ora invece emergerebbe una derivazione «creola» del nuovo pontefice.   «I creoli, noti anche come “creoli di colore”, hanno una storia antica quasi quanto la Louisiana» spiega il giornale. «Sebbene il termine “creolo” possa riferirsi a persone di discendenza europea nate nelle Americhe, descrive comunemente persone di colore di razza mista Molti creoli della Louisiana erano conosciuti nel XVIII e XIX secolo come “gens de couleur libres”, ovvero persone libere di colore. Molti erano istruiti, francofoni e cattolici». Quindi, la portaereo del wokismo americano e mondiale annuncia con gaudio magno: habemus papam mixtum sanguinis. (il lettore conceda a Renovatio 21 di improvvisare col latinorum)

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Impossibilitati a prendere il DNA del papa – i test di genomica di consumo sono un must dei neorazzisti che si crogiuolano nel narcisismo delle proprie origini miste – osservatori e giornalisti sono corsi alla ricerca della genealogia del nostro, apprendendo che la famiglia della madre veniva da quel grande crocevia di razze e culture che è la città di New Orleans.   «I nonni materni del papa, entrambi descritti come neri o mulatti in vari documenti storici, vivevano nel settimo quartiere della città, un’area tradizionalmente cattolica e un crogiolo di persone con radici africane, caraibiche ed europee» scrive il giornale neoeboraceno. «I nonni, Joseph Martinez e Louise Baquié, si trasferirono a Chicago all’inizio del XX secolo ed ebbero una figlia: Mildred Martinez, la madre del papa».   «La serie di prove che collega Leo a New Orleans include il certificato di matrimonio dei nonni, risalente al loro matrimonio nel Settimo Distretto nel 1887, una foto della lapide della famiglia Martinez a Chicago e un certificato di nascita elettronico di Mildred Martinez che dimostra che è nata a Chicago nel 1912» prosegue il NYT.   «L’atto di nascita indica Joseph Martinez e “Louis Baquiex” come genitori di Mildred. Il luogo di nascita del padre è indicato come Repubblica Dominicana; quello della madre come New Orleans». Sarebbero inoltri stati trovati «documenti del censimento del 1900 che indicano il signor Martinez come “nero”, il suo luogo di nascita come “Hayti” [sic] e la sua professione come “produttore di sigari”».  
  «Sia Joseph Norval Martinez che Louise Baquié erano persone di colore, non c’è dubbio», ha affermato un’esperta di genealogia sentita dal maggior quotidiano mondiale.   «La scoperta significa che Leone XIV, come sarà chiamato il papa, non solo rappresenta una svolta come primo pontefice nato negli Stati Uniti, ma proviene anche da una famiglia che riflette i numerosi fili che compongono il complesso e ricco tessuto della storia americana» continua il NYT, che avrebbe potuto sintetizzare pubblicando a nove colonne il titolo «IL PAPA NON È BIANCO», ma non ce l’ha fatta, un po’ perché non è vero, un po’ perché non ci ha il coraggio.   «Non è chiaro se il nuovo papa abbia mai parlato pubblicamente dei suoi antenati creoli, e suo fratello ha affermato che la famiglia non si identifica come nera»: cioè, i giornalisti sono andati dal fratello del papa (toc toc), ancora sconvolto per l’esito del conclave, e gli hanno chiesto: «scusi, la sua famiglia si identifica come una famiglia nera?».   Lo hanno proprio fatto: «John Prevost, fratello del papa, ha affermato che i loro nonni paterni erano francesi e che suo padre era nato negli Stati Uniti. Ha aggiunto che lui e i suoi fratelli non parlavano delle loro radici creole. “Non è mai stato un problema”, ha detto John Prevost».   Infine, la conclusione piena di speranza amara: «ciò che tutto ciò significa, per quanto riguarda l’identità razziale del papa, tocca alcune delle questioni più spinose della società statunitense, ma riflette anche la ricca diversità dell’esperienza americana».

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Eccallà: la diversity sul Soglio di Pietro, alla fine ce l’hanno fatta. Il papa è bello perché di sangue misto – o almeno così dicono ricostruzioni genealogiche che mai la stessa famiglia papale aveva avuto interesse di fare   È semplicemente desolante: la sinistra mondiale è oramai totalmente ossessionata dalla razza, con venature di fondamentalismo genetico evidenti che la rendono uguale a quella dei tempi della Germania nazionalsocialista, solo invertita di segno.   Per questa gente non solo il colore della pelle, il proprio corredo genetico è più importante dell’anima: anzi, è giusto pensare che, esattamente come l’idea del proprio «genere» sessuale, il DNA vanno a ricoprire lo spazio lasciato vuoto dalla società secolarista che non vuole più credere all’anima.

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