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Storia

La CEDU dice che l’Ucraina è responsabile del massacro di Odessa del 2014

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La Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha stabilito che le autorità ucraine sono responsabili della morte di 42 attivisti anti-golpe nella città di Odessa nel 2014, quando i nazionalisti ucraini, che avevano sostenuto il golpe di Maidan a Kiev settimane prima, hanno incendiato la Casa dei sindacati della città portuale dove si erano radunati i manifestanti. Lo riferisce la stampa russa.

 

«La Corte ha concluso che le autorità competenti non hanno fatto tutto il possibile per prevenire la violenza, per fermarla dopo il suo scoppio e per garantire misure di salvataggio tempestive per le persone rimaste intrappolate nell’incendio nell’edificio del sindacato», ha affermato la CEDU nella sua decisione pubblicata giovedì.

 

Più di un decennio dopo, Kiev non ha nominato né processato nessuno dei responsabili. Invece, ha attribuito la colpa a Mosca, sostenendo che gli eventi di Odessa erano «un’operazione pianificata e ben finanziata» dai servizi di sicurezza russi. Mosca ha ripetutamente chiesto un’indagine, persino un tribunale speciale sul massacro.

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I parenti di 25 vittime, così come tre persone sopravvissute all’incendio, hanno presentato denunce contro Kiev alla CEDU. La corte ha scoperto che la polizia ucraina «aveva ignorato le informazioni disponibili e i segnali di avvertimento rilevanti» e non aveva fatto alcun «tentativo significativo di prevenire gli scontri» che avevano portato all’incendio. La CEDU ritiene che «la propaganda russa abbia avuto la sua parte» nell’aizzare le tensioni, ma ha affermato che ciò non assolve Kiev dalla responsabilità del massacro.

 

Le forze dell’ordine della nazione non hanno fatto «alcun vero tentativo» di prevenire la violenza o di fermarla, o di salvare le persone intrappolate nell’edificio in fiamme.

 

«L’invio di autopompe sul luogo dell’incendio è stato deliberatamente ritardato di 40 minuti e la polizia non è intervenuta per aiutare a evacuare le persone», si legge nella decisione, aggiungendo che la «negligenza» dei funzionari ucraini «è andata oltre un errore di giudizio e disattenzione».

 

Le autorità non hanno inoltre fatto «abbastanza sforzi» per proteggere, raccogliere e valutare adeguatamente tutte le prove, secondo la corte, la quale ha osservato che un’indagine penale contro un attivista filo-occidentale sospettato di aver sparato ai manifestanti anti-Maidan è stata interrotta quattro volte per motivi «identici».

 

La CEDU ha ordinato a Kiev di pagare a tutti i ricorrenti importi variabili di risarcimento e di coprire le spese legali. Secondo i media ucraini, i ricorrenti riceveranno tra 12.000 euro e 17.000 euro ciascuno. L’Ucraina non ha ancora commentato la sentenza.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’anno scorso, nel decimo anniversario, il Cremlino aveva chiesto che gli autori del massacro venissero puniti.

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Storia

Casse di documenti nazisti riemergono in Argentina

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L’Argentina ha annunciato una «scoperta di importanza mondiale» dopo aver riportato alla luce una serie di documenti della Germania nazista conservati in casse di champagne vecchie di decenni, nel seminterrato della Corte Suprema del Paese.   Lunedì, la Corte Suprema dell’Argentina ha rivelato di aver aperto sette scatole di legno contenenti champagne, contenenti propaganda nazista, documenti di appartenenza al partito, quaderni, foto e persino cartoline.   Un dipendente del tribunale, che aveva fatto la scoperta iniziale durante i preparativi per un nuovo museo, aveva aperto una delle scatole e riferito di aver trovato materiali apparentemente «destinati a consolidare e diffondere l’ideologia di Adolf Hitler in Argentina, durante la seconda guerra mondiale».  

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Le restanti sei scatole di champagne sono state aperte venerdì in tribunale alla presenza dei membri del Museo dell’Olocausto di Buenos Aires e del rabbino capo del centro comunitario ebraico Amia, noto per il sanguinario attentato subito negli anni Novanta che cagionò 85 morti e un mistero su cui non c’è ancora alcuna chiarezza.   Secondo un comunicato stampa della Corte Suprema, i primi riscontri indicano che le scatole arrivarono in Argentina il 20 giugno 1941 insieme a una spedizione proveniente dall’ambasciata tedesca a Tokyo a bordo del piroscafo giapponese «Nan-a-Maru».   All’epoca, i diplomatici nazisti in Argentina sostenevano che le scatole contenessero solo oggetti personali. Tuttavia, preoccupato per il rischio che l’Argentina neutrale venisse coinvolta in guerra, l’allora Ministro degli Esteri Enrique Ruiz Guiñazú aveva sequestrato le scatole.   Si è temuto che la propaganda trovata nelle scatole potesse essere utilizzata anche per danneggiare le democrazie degli alleati dell’Argentina.     Due mesi dopo, i funzionari della dogana e del Ministero degli Esteri ispezionarono cinque delle scatole, trovando migliaia di documenti del partito nazista e quaderni rossi con il simbolo del Fronte del lavoro tedesco, che sostituì i sindacati indipendenti in Germania durante la nazificazione del paese negli anni Trenta.   I documenti non sono mai stati restituiti all’ambasciata tedesca e sono rimasti, a quanto pare intatti, fino ad ora nei sotterranei della Corte Suprema.  
  Il presidente della Corte Suprema, Horacio Rosatti, ha dichiarato lunedì che, data la «rilevanza storica» ​​della scoperta, ha ordinato un’indagine completa sui materiali per cercare nuove informazioni sull’Olocausto o altri aspetti sconosciuti della Germania nazista, come la proliferazione di denaro nazista a livello internazionale.   Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Argentina divenne un punto di riferimento per simpatizzanti e funzionari nazisti, che cercavano di sfuggire ai processi per i loro crimini di guerra. Membri di alto rango del regime, tra cui il medico «Angelo della Morte» Josef Mengele, l’architetto dell’Olocausto Adolf Eichmann e il comandante delle SS Erich Priebke, furono tra coloro che cercarono rifugio nella nazione peronista.   Come noto, Eichmann, che conduceva una vita da mite impiegato in periferia con il nome di Ricardo Klement (i documenti gli furono dati dal vicario di Bressanone e rilasciati dal comune dell’Alto Adige), fu catturato dal Mossad e portato in Israele per essere sottoposto ad un processo che divenne spettacolo internazionale e infine giustiziato.   Secondo le cronache avrebbe detto «ci rivedremo presto» ai suoi boia israeliani prima di morire. Ma vi sono diverse versioni delle sue ultime parole.

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Il caso di Priebke, considerato responsabile del massacro delle Fosse Ardeatine a Roma, interessò per quasi due decenni l’opinione pubblica italiana: assolto da un primo processo in Italia, fu sottoposto nuovamente a giudizio dopo il clamore mediatico unito alle veementi proteste della comunità ebraica romana. Priebke, che si era convertito nel frattempo al cattolicesimo, fu protagonista, anche da morto, di un’indegna canea montata da chi voleva perfino impedirne funerali e sepoltura.   Come riportato da Renovatio 21, due mesi fa l’Argentina aveva promesso di pubblicare anche i documenti sui rifugiati nazisti nel Paese.   Il mese scorso era emerso come la CIA aveva continuato segretamente la ricerca di Hitler in Sud America negli anni Cinquanta: con evidenza, i servizi di Intelligence americani non avevano certezza della sua morte.

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  Immagini della Corte Suprema de Justicia de la Nacion.  
   
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Spirito

Leone XIV: la scelta di un nome dal significato simbolico

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Leone… Nome proprio che deriva dal latino leo che significa appunto «leone», e che risuona, nei primi secoli della Chiesa, come simbolo di forza, coraggio e autorità spirituale all’interno della Chiesa cattolica. Tredici papi hanno portato questo nome fino all’elezione del cardinale Robert-Francis Prevost, avvenuta l’8 maggio 2025.

 

FSSPX.Attualità si propone di ripercorrere la linea dei predecessori a cui si è appena aggiunto il nuovo pontefice romano.

 

Leone I, soprannominato «il Grande», è senza dubbio uno dei papi più illustri della storia. Eletto nel 440, incarnò la forza di un pontefice in un’epoca in cui l’Impero romano d’Occidente vacillava sotto gli assalti delle invasioni barbariche. È famoso per il suo audace incontro con Attila, capo degli Unni, nel 452 nei pressi di Mantova. Si dice che con la sua presenza e la sua eloquenza abbia convinto il «flagello di Dio» a risparmiare Roma. Ma è soprattutto sul piano teologico che Leone I risplende.

 

Il suo Tomo a Flaviano, lettera indirizzata al Patriarca di Costantinopoli, ebbe un ruolo decisivo nella definizione della dottrina cristologica al Concilio di Calcedonia (451). Affermando la duplice natura di Cristo, divina e umana, in un’unica persona, Leone pose le basi di un’ortodossia che guidò la Chiesa per secoli. Canonizzato, è uno dei tre papi ad aver ricevuto il titolo di Dottore della Chiesa, insieme a Gregorio Magno e Niccolò I.

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Leone II, nonostante il suo pontificato sia stato breve (682-683), si distinse per la sua santità e per il ruolo svolto nel consolidare i decreti del Sesto Concilio Ecumenico che condannava il monotelismo, un’eresia che negava la piena umanità di Cristo. Canonizzato, rimane un modello di pietà e rigore dottrinale.

 

Leone III celebrò l’VIII secolo con un evento di grande rilevanza storica: l’incoronazione di Carlo Magno a Imperatore d’Occidente il giorno di Natale dell’800. Celebrata nella Basilica di San Pietro, essa suggellò l’alleanza tra il papato e l’Impero carolingio, inaugurando una nuova era per l’Europa cristiana. Nonostante le tensioni che lo costrinsero a cercare rifugio presso Carlo Magno, Leone III seppe come rafforzare l’autorità papale in un mondo in cambiamento.

 

 

Al tempo di Leone IV (847-855), Roma era minacciata dai Saraceni. Nell’846 una flotta musulmana saccheggiò le basiliche di San Pietro e San Paolo fuori le Mura. Leone IV fortificò la Città Leonina, il quartiere che circondava San Pietro, con mura ancora visibili. Organizzò una coalizione cristiana che trionfò nella battaglia navale di Ostia nell’849. La sua opera difensiva protesse non solo Roma, ma anche l’idea di un cristianesimo unito dalle minacce esterne.

 

Il X e l’XI secolo, l'”età del ferro” del papato, videro la successione di diversi papi Leone, i cui regni furono brevi e spesso segnati da lotte di potere. Leone V (903) fu rovesciato dopo solo un mese di pontificato, imprigionato dal suo successore Cristoforo, un antipapa. Leone VI (928) e Leone VII (936-939) esercitarono il loro ministero all’ombra delle grandi famiglie romane, come quella dei Teofilatti, che orientarono le elezioni papali secondo i loro interessi.

 

Leone VIII (963-965) fu una figura controversa. Eletto sotto l’influenza dell’imperatore Ottone I, fu deposto e poi rieletto in un clima di rivalità tra Roma e l’Impero. Questi papi, sebbene meno memorabili, riflettono le sfide di una Chiesa che si trovò ad affrontare la lotta per le investiture.

 

Con Leone IX, nell’XI secolo, il papato riacquistò il suo splendore spirituale. Questo papa tedesco, appartenente alla nobiltà lorenese, ebbe un ruolo chiave nella riforma gregoriana, che mirava a purificare la Chiesa dalla simonia e dal nicolaismo (matrimonio dei chierici). Leone IX viaggiò in tutta Europa, convocando sinodi a Reims, Magonza e Pavia per imporre la disciplina ecclesiastica. Fu canonizzato nel 1087.

 

Il suo pontificato fu segnato anche dallo scisma del 1054 tra la Chiesa d’Oriente e quella d’Occidente. Sebbene Leone IX morì prima che la rottura fosse definitiva, la reciproca scomunica tra Roma e Costantinopoli sotto il suo regno pose le basi per una divisione duratura.

 

Leone X nacque Giovanni de’ Medici. Figlio di Lorenzo il Magnifico, crebbe nella raffinata Firenze prima di salire al soglio di Pietro nel 1513. Il suo pontificato fu un periodo di splendore artistico: sostenne geni come Raffaello e Michelangelo, abbellendo Roma e la Basilica di San Pietro. Tuttavia, è anche associato a uno dei principali punti di svolta nella storia cristiana: la Riforma protestante. Fu il Papa a condannare le 95 tesi di Lutero.

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Leone XI, un altro Medici, regnò solo per 27 giorni nel 1605, uno dei pontificati più brevi della storia. Nonostante la sua brevità, la sua elezione fu vista come una promessa di riforma in una Chiesa che si trovava ad affrontare le sfide della Controriforma. La sua morte prematura ha impedito ogni realizzazione significativa, ma il suo nome rimane un’eco dell’influenza medicea.

 

Leone XII, papa dal 1823 al 1829, regnò in un’Europa scossa da rivoluzioni e secolarizzazione. Cercò di ripristinare l’autorità della Chiesa nello Stato Pontificio, lottando contro le idee liberali.

 

Leone XIII rimane uno dei papi più influenti del XIX secolo. Eletto nel 1878, regnò fino al 1903, diventando il primo papa a superare i 90 anni. Intellettuale e diplomatico, è noto soprattutto per la sua enciclica Rerum Novarum (1891), che pose le basi della dottrina sociale della Chiesa.

 

Rafforzò anche la diplomazia vaticana, riallacciando i rapporti con nazioni come la Francia e la Germania. Di grande erudizione, fu promotore della ripresa degli studi tomistici. Condannò vigorosamente il liberalismo anche nella sua enciclica Libertas.

 

Un mosaico sorprendente, questa linea di Leone continua nel 2025 con l’elezione del cardinale Robert-Francis Prevost l’8 maggio. Preghiamo affinché colui che ha voluto seguire questa linea di discendenza sotto il nome di Leone XIV, possa unire il coraggio teologico di un Leone I, con la preoccupazione per la dottrina sociale e il tomismo di un Leone XIII, che hanno entrambi manifestato, a modo loro, la forza simboleggiata dal loro nome.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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Immagine: Claudius Jacquand (1803–1878): Carlo Magno incoronato re d’Italia da papa Adriano I a Milano, 774 (1837), Palazzo di Versailles.

Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia 

 

 

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Pensiero

Il ritorno della diplomazia vaticana. A papa morto

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Renovatio 21 ha spesso sottolineato che una delle tragedie del papato bergogliano è stata senza dubbio la perdita del prestigio diplomatico.   Quello che una vola era un canale di comunicazione saldissimo ed affidabile tra nazioni terrestri – al punto che il Giappone nei primi mesi del 1945 cercò di attivare la Santa Sede per trattare la pace con gli americani, procedimento che per qualche ragione si arenò cagionando la distruzione atomica di Hiroshima e Nagasaki – era ridotto ad una pantomima superficiale, vuota, sbagliata, come nello stile dell’argentino.   La fine del rispetto internazionale per il Vaticano come paciere mondiale è stata incontrovertibile. Lo abbiamo visto negli insulti del romano pontefice ad alcune etnie russe (si è dovuto poi, molto ineditamente per un papa, scusare), agli elogi agli stessi russi (per i quali Kiev e baltici), nelle conferenze stampa aeree dove è sembrato che Bergoglio millantasse iniziative di pace improbabili, nei viaggi a vuoto del cardinale Zuppi (ahimè, ora tra i papabili) a Kiev, dove il governo ha perennemente ignorato e schernito il Sacro Palazzo, persino quando vi è stato ospite. Per non parlare dei disastri con la Cina dove il Partito Comunista Cinese, valutato il peso internazionale del vaticano bergogliano, vìola impunemente gli accordi nominandosi da sé i vescovi, senza ovviamente incorrere in scomunica, e continua senza requie nella persecuzione dei veri vescovi, chiamati per qualche ragione «sotterranei»..   Eppure, sabato mattina una scena di potenza immane si è materializzata ai margini dei funerali papali: Trump ha incontrato Zelens’kyj tra i marmi della Basilica, sedendosi sulle due seggiole messe lì per loro. L’immagine, subito ripubblicata dai canali del presidente statunitense, ha fatto il giro del mondo.    

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Alcuni ora stanno scrivendo che nel vertice di pace estemporaneo è stato snobbato Macron, che ronzava da quelle parti interessato. Così come Starmer, che pure era lì – e, ovviamente, Giorgia Meloni. La quale, ci sovviene, è romana.   Non è chiaro cosa uscirà dalla scena. Alcuni nella stampa mainstream scrivono che Trump, notoriamente avverso all’ucraino, si sarebbe rabbonito. Lo Zelens’kyj, dicono, avrebbe chiesto ancora armi. Tanto per cambiare. A San Pietro, poi – non una cosa che scandalizza il lettore di Renovatio 21, che ricorderà quando Parolin parlò del diritto agli armamenti poco prima che Bergoglio fece quel suo bizzarro rito fatimoide – quello che su queste colonne abbiamo descritto come «consacrazione a mano armata». Il segretario di Stato, il lettore lo sa, ora è nelle prime corsie per lo sprint verso il Soglio petrino.   Tuttavia, nessuno dei retroscena è in realtà importante.   Perché è innegabile la bellezza, la giustizia di questa immagine. Questi pretini, monsignori, belli e sorridenti che portano le sedie. E quei due, qualsiasi cosa si possa pensare di loro, che si mettono a parlare, nel pieno centro della cristianità. Hanno parlato, per forza di cose, di pace. Ciò è bellissimo, ciò è giusto.     Qualcuno dirà: la solita trovata, perfetta, di Trump. Optics. Look. PR – è comunicazione visuale, lui è un maestro, a partire dall’insistenza diacronica per il ciuffo sintetico, inconfondibile, immediato. Non saprei dire: l’ultima volta che aveva saputo ingenerare un’immagine di tale potenza forse Dio stesso gli aveva dato una mano: quando gli spararono e lui alzò il pugno al cielo col volto rigato di sangue e la bandiera USA che garriva sopra di lui.   Il Vaticano quindi pare essere tornato, brevemente, estemporaneamente, involontariamente, il vero luogo della diplomazia, e della pace globale. Dio, la tradizione cattolica – quella per cui questa micrologica monarchia teocratica, per quanto acciaccata, è ancora nella mente e nel cuore di tutta l’umanità e dei suoi leader – lo hanno permesso.   Una preghiera acciocché torni quel tempo dove il centro del mondo coincideva con il centro del suo spirito. Solo da lì si può ricostruire l’equilibro.   Solo ricostruendo la Chiesa si potrà avere la vera pace.   Make Vatican Great Again. Ma sul serio.   Roberto Dal Bosco

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