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Geopolitica

India, Commissione per i diritti dell’infanzia terrorizza le ragazze dell’ostello delle suore

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews

 

 

Ispezione guidata dal presidente nazionale nelle stanze del Bishop Clemens Memorial Boarding alla ricerca di prove delle «conversioni» operate dalle religiose. P. Joseph: «Ci auguriamo che la stessa solerzia la impieghino per garantire la protezione delle migliaia di bambini che vivono sulle strade delle città indiane».

 

 

 

Un ostello per ragazze in un villaggio del Madhya Pradesh è stato oggetto di una ispezione della Commissione nazionale indiana per la protezione dei diritti dell’infanzia (NCPCR).

 

Per cercare le prove di presunte «conversioni» operate dalle religiose, la Commissione non ha esitato a traumatizzare le ragazze con perquisizioni nelle loro stanze e interrogatori. È successo al Bishop Clemens Memorial Boarding, una struttura promossa dall’ordine della Suore di Gesù nella cittadina di Intkheri, nella diocesi di Sagar.

 

Per cercare le prove di presunte «conversioni» operate dalle religiose, la Commissione non ha esitato a traumatizzare le ragazze con perquisizioni nelle loro stanze e interrogatori

A presentarsi nella struttura l’8 novembre è stato personalmente il presidente della Ncpcr, Priyank Kanoongo, che è originario del Madhya Pradesh. Insieme con un gruppo di altre persone ha passato al setaccio la struttura aperta nel 2014, che ospita attualmente 19 studentesse tra i 14 e i 17 anni iscritte alle scuole pubbliche del distretto di Raisen.

 

Suor Jancy, consigliera delle Suore di Gesù, racconta ad AsiaNews:

 

«Hanno aperto gli armadi, ispezionato le singole stanze e le borse in cerca di prove. Le ragazze sono traumatizzate. Nel nostro ostello non è stata svolta alcuna attività di conversione. A cinque ragazze hanno trovato libri di spiritualità cristiana, ma sono ragazze cattoliche venute qui dal loro villaggio per studiare. Il nostro ordine – continua suor Jancy – opera per la promozione delle ragazze attraverso l’istruzione con un’attenzione particolare a chi proviene dalle famiglie più povere. Per questo offriamo loro ospitalità nell’ostello».

 

Il giorno successivo la Commissione è tornata per interrogare separatamente le ragazze e anche due suore. Sono state sollevate questioni persino sui permessi per la struttura, nonostante il Bishop Clemens Memorial Boarding sia stato regolarmente registrato con la procedura on line, come tutti gli ostelli della diocesi di Sagar.

 

Il verbita padre Babu Joseph, già portavoce della Conferenza episcopale indiana (CBCI) commenta ad AsiaNews:

 

«La Commissione nazionale per la protezione dei diritti dell’infanzia dovrebbe tutelare il benessere e la sicurezza dei più piccoli, che in questo in caso non sembrano affatto a rischio. Per di più la presenza di libri di spiritualità cristiana in un ostello gestito da suore non si vede quale tipo di offesa possa costituire. Mi auguro che la stessa solerzia la Commissione la impieghi per garantire la protezione delle migliaia di bambini che vivono sulle strade delle città indiane».

 

 

 

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Renovatio 21 ripubblica questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Geopolitica

Il primo ministro del Senegal chiede la fine dell’«occupazione» francese

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Il primo ministro senegalese Ousmane Sonko ha suggerito di chiudere le basi militari francesi nel Paese, sostenendo che la loro presenza a lungo termine è incompatibile con il desiderio della nazione dell’Africa occidentale di avere il controllo completo sui suoi affari.

 

Il ministro ha espresso queste osservazioni giovedì in una conferenza congiunta con il politico di sinistra francese Jean-Luc Melenchon nella capitale del Senegal, Dakar.

 

«Più di 60 anni dopo la nostra indipendenza… dobbiamo interrogarci sulle ragioni per cui l’esercito francese, ad esempio, beneficia ancora di diverse basi militari nel nostro Paese e sull’impatto di questa presenza sulla nostra sovranità nazionale e sulla nostra autonomia strategica», ha detto Sonko.

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La Francia ha attualmente circa 350 soldati in Senegal dopo aver iniziato a ridimensionare il contingente di 1.200 presenti nel 2010. I critici hanno condannato la presenza delle truppe come una continuazione del dominio francese sull’ex colonia, nonostante l’indipendenza nel 1960.

 

Giovedì, Sonko, un popolare ex leader dell’opposizione divenuto primo ministro dopo che il suo candidato presidenziale scelto, Bassirou Diomaye Faye, ha vinto con una valanga di voti le elezioni di marzo, ha affermato che diversi paesi hanno promesso accordi di difesa al Senegal.

 

«Ma questo non giustifica il fatto che un terzo della regione di Dakar sia ora occupata da guarnigioni straniere», ha detto.

 

I Paesi limitrofi del Senegal – Burkina Faso, Mali e Niger governati dai militari – si sono tutti rivolti alla Russia per assistenza in materia di sicurezza dopo aver espulso le truppe francesi. Le tre nazioni dell’Africa occidentale hanno accusato l’ex potenza coloniale di ingerenza interna e di non essere riuscita ad affrontare le insurrezioni jihadiste nella regione del Sahel dopo oltre un decennio di operazioni.

 

Anche Ouagadougou, Bamako e Niamey hanno formato un’alleanza degli stati del Sahel e hanno annunciato congiuntamente a gennaio la loro uscita dalla Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (ECOWAS). Le autorità militari hanno accusato il blocco regionale formato da 15 paesi, che da tempo spinge a ripristinare il governo democratico, di servire interessi stranieri e di rappresentare una minaccia per i loro Paesi.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’Africa coloniale francese pare oramai passata in larga parte sotto la diretta influenza di Mosca – a causa anche dell’antipatia ingeneratasi contro Parigi e le sue missioni militari, accusate di addestrare e manovrare i terroristi islamici che sostenevano di voler combattere.

 

Nel suo discorso, il Sonko ha dichiarato che il Senegal approfondirà le relazioni con i governi golpisti in Mali, Burkina Faso e Niger.

 

«Non lasceremo andare i nostri fratelli del Sahel e faremo tutto il necessario per rafforzare i legami», ha affermato il primo ministro.

 

 

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Il premier africano anche affermato che il Senegallo, che condivide la valuta del franco CFA ancorata all’euro con altri sette paesi, Preferirebbe una valuta flessibile per aiutare ad assorbire gli shock e aumentare la competitività delle esportazioni. Il presidente Faye si era inizialmente impegnato ad abbandonare il franco CFA durante la campagna elettorale, ma in seguito ha fatto marcia indietro.

 

Niger, Burkina Faso e Mali hanno accennato all’abbandono del franco CFA in favore di una valuta comune, una mossa che Niamey ha definito un «passo fuori dalla colonizzazione».

 

Continua il periodo sfortunato di Parigi con le sue ex colonie, che in Africa si rivoltano l’una dopo l’altra con l’influenza francese – preferendogli apertis verbis quella russa. Il risentimento per la Francia e la sua storia coloniale era leggibile nella rabbia della rivolta etnica delle banlieue dello scorso anno e pure nei discorsi dell’allucinato accoltellatore della Gare de Lyon, il quale – passato come profugo per l’Italia – aveva pubblicato video in cui malediceva la Francia per aver oppresso lui ed i suoi antenati.

 

Come riportato da Renovatio 21, la Francia pare avere problemi con in un territorio d’oltremare nell’Oceano Pacifico come la Nuova Caledonia dove è scoppiata negli scorsi giorni la rivolta degli indigini kanak contro una legge che permetterebbe di diluire nel tempo il loro peso politico assicurando la cittadinanza a persone che vivono sull’isola da pochi anni.

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Geopolitica

Putin respinge la formula di pace di Kiev e solleva dubbi sulla legittimità di Zelens’kyj

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La Russia non cederà agli ultimatum dell’Ucraina e dei suoi sostenitori occidentali mentre cercano di ottenere diplomaticamente ciò che non sono riusciti a ottenere militarmente, ha detto il presidente russo Vladimir Putin in un incontro con i giornalisti ieri.   A metà giugno la Svizzera ospiterà una conferenza internazionale per discutere della cosiddetta «formula di pace» del presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj. La Russia, grottescamente, è stata esclusa dall’evento.   Venerdì, parlando ai giornalisti, Putin ha ribadito la percezione di Mosca del prossimo evento come un semplice stratagemma di Kiev e dell’Occidente.

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«Vogliono riunire quante più nazioni possibile, convincere tutti che la migliore proposta sono i termini della parte ucraina, e poi inviarcela sotto forma di un ultimatum», ha detto. «È così che si negozia sul serio? Certamente no».   Russia e Ucraina hanno raggiunto un accordo preliminare su un accordo di pace nel 2022 che sarebbe stato vantaggioso per entrambe le parti, è tornato ad osservare Putin. Ma dopo che i termini generali furono negoziati, Kiev fece marcia indietro e dichiarò che avrebbe cercato invece una vittoria militare. Il tentativo di imporre le sue richieste a Mosca fallirà così come è fallito il tentativo di infliggere una «sconfitta strategica» alla Russia, ha promesso Putin.   Gli accordi presi a Istanbul potrebbero servire come base per un futuro trattato di pace, ha detto il leader russo. I benefici per l’Ucraina contenuti nel documento sono stati proposti da parte di Kiev, presumibilmente con il consenso occidentale, se non con la paternità, ha suggerito Putin. Tuttavia, qualsiasi accordo futuro «dovrà tenere conto delle realtà sul campo», ha aggiunto.   Dopo il fallimento dei colloqui di pace nel 2022, quattro regioni dell’Ucraina hanno tenuto referendum in cui hanno votato a stragrande maggioranza a favore del distacco da Kiev e dell’adesione alla Russia. Il governo ucraino ha respinto il voto definendolo una «farsa».   La «formula di pace» ucraina richiede il ritorno delle quattro regioni e della Crimea, che hanno votato per diventare parte della Russia nel 2014, riparazioni di guerra, un tribunale per la leadership russa e un sostegno globale a lungo termine per la restaurazione del paese. Putin l’ha definita una «lista dei desideri» piuttosto che una base seria per i colloqui.   Il presidente russo ha altresì dichiarato che la legittimità dello Zelens’kyj come presidente dell’Ucraina è una questione importante non solo per il suo Paese, ma anche per Mosca, spiegando che lo status di Zelenskyj influirà su qualsiasi potenziale accordo tra i due paesi belligeranti.   Il mandato quinquennale di Zelenskyj scade il 20 maggio. Gli ucraini avrebbero dovuto recarsi alle urne per eleggere un nuovo leader il 31 marzo; tuttavia, nel dicembre 2023 ha annunciato che non si sarebbero svolte elezioni presidenziali o parlamentari finché fosse rimasta in vigore la legge marziale. È stata imposta dopo l’inizio del conflitto con la Russia nel febbraio 2022 e da allora è stata più volte prorogata dal parlamento ucraino. Mercoledì scorso i legislatori ucraini hanno prolungato la legge marziale di altri tre mesi.

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Putin ha quindi affermato che la questione della legittimità di Zelens’kyj è qualcosa che «il sistema politico e giuridico dell’Ucraina» deve affrontare, «prima di tutto la Corte costituzionale». Ha osservato che la costituzione del Paese prevede «diverse varianti».   «Ma per noi questo è importante perché se si tratta di firmare qualsiasi documento, sicuramente, dovremmo firmare i documenti in un’area così importante con le autorità legittime», ha spiegato Putin. Ha aggiunto che il Cremlino era rimasto regolarmente in contatto con il presidente Zelens’kyj prima dello scoppio delle ostilità.   La costituzione ucraina vieta esplicitamente lo svolgimento di elezioni presidenziali o parlamentari in tempo di guerra. A marzo, un alto funzionario della commissione elettorale centrale ucraina ha chiarito ai media che il mandato di Zelens’kyj sarebbe stato automaticamente prolungato fino a quando le condizioni non fossero state favorevoli allo svolgimento delle elezioni. Questo mese, il ministro della Giustizia Denis Maliuska lo ha confermato alla BBC.   Alla fine di aprile, il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov ha affermato che «verrà presto il momento in cui molte persone, comprese quelle in Ucraina, metteranno in dubbio la legittimità» del presidente Zelenskyj.   Un sondaggio condotto dal sondaggista ucraino SOCIS all’inizio di marzo ha mostrato che il presidente in carica avrebbe perso contro l’ex comandante in capo ucraino, il generale Valery Zaluzhny, se entrambi si fossero candidati. Il mese successivo, il quotidiano tedesco Tagesspiegel riferì che il sostegno pubblico a uno Zelenskyj «autoritario» era «sceso al 61%».   A marzo, l’Ukrainskaya Pravda ha affermato, citando alcuni parlamentari, che Zelens’kyj aveva praticamente privato il parlamento dei suoi poteri e stabilito di fatto un governo personale. Nello stesso periodo, un deputato del partito presidenziale ha apertamente affermato che l’Ucraina ha bisogno di una dittatura per sopravvivere al conflitto con la Russia.

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Nello stesso incontro con la stampa, tenutosi all’Istituto Tecnologico della città di Harbin, in Manciuria, durante il suo viaggio diplomatico in Cina, Putin ha detto che Russia non ha intenzione di catturare la città ucraina di Kharkov, che è vicina al confine russo, affermando che Mosca sta ottenendo successo sul campo di battaglia agendo «rigorosamente secondo i piani».   Interrogato sugli obiettivi della Russia nella zona, Putin ha osservato che l’Ucraina è responsabile dei recenti combattimenti nell’area, poiché «purtroppo continua a bombardare blocchi residenziali nelle aree di confine, inclusa Belgorod».   «I civili stanno morendo là fuori. Tutto è cristallino. Stanno sparando direttamente al centro della città», ha detto il presidente, ricordando di aver pubblicamente avvertito Kiev che la Russia sarebbe stata costretta a stabilire un «cordone sanitario» nelle zone sotto il controllo di Kiev se gli attacchi continuassero.   «Questo è ciò che stiamo facendo. Per quanto riguarda» la cattura di] Kharkov, «per oggi non ci sono piani del genere», ha dichiarato il presidente russo.   La scorsa settimana le forze russe hanno lanciato l’offensiva nella regione di Kharkov, respingendo le truppe ucraine e catturando diversi insediamenti di confine. Alla luce di ciò, Zelens’kyj ha annullato tutti i prossimi viaggi all’estero e si è recato a Kharkov, la seconda città più grande dell’Ucraina.   In un’intervista con ABC News giovedì, ha descritto la situazione come «molto grave», sottolineando che l’Ucraina «non può permettersi di perdere» la città. Kiev aveva già annunciato in precedenza la ridistribuzione delle riserve in questo settore del fronte.   In osservazioni simili, il portavoce del Dipartimento di Stato americano Vedant Patel ha definito la situazione nella zona «incredibilmente terribile». Diversi resoconti dei media hanno suggerito che la facilità dell’avanzata della Russia nella regione di Kharkov era dovuta all’incapacità di Kiev di istituire difese adeguate.   Putin ha parlato per la prima volta di un «cordone sanitario» già a marzo, in seguito a diversi attacchi particolarmente mortali contro Belgorod che hanno provocato la morte di dozzine di civili.   Le regioni di confine russe sono state anche bersaglio di incursioni da parte del cosiddetto Corpo dei Volontari Russi e della Legione Russa della Libertà, composti da disertori russi e neonazisti fuggitivi. Entrambi i gruppi sono stati designati organizzazioni terroristiche da Mosca.

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
   
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Geopolitica

La Francia accusa l’Azerbaigian dei disordini in Nuova Caledonia

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L’Azerbaigian ha avuto un ruolo nelle proteste contro la riforma costituzionale nel territorio francese d’oltremare della Nuova Caledonia, ha affermato il ministro degli Interni Gerald Darmanin.

 

La violenza è scoppiata all’inizio di questa settimana nel territorio francese del Pacifico, una delle poche aree ancora sotto il controllo di Parigi nell’era postcoloniale, provocando la morte di almeno cinque persone, tra cui due agenti di polizia.

 

A scatenare le proteste è stata la proposta dei parlamentari parigini di concedere il diritto di voto nella provincia ai residenti francesi che vivono in Nuova Caledonia da dieci anni.

 

L’iniziativa ha fatto temere che i voti degli indigeni Kanak, che costituiscono il 40% della popolazione dell’arcipelago, possano essere diluiti.

 

Giovedì, alla domanda se crede che l’Azerbaigian, la Cina o la Russia si stiano intromettendo negli affari della Nuova Caledonia, Darmanin ha puntato il dito contro la repubblica post-sovietica si trova a circa 14.000 km dalla Nuova Caledonia.

 

«Non è una fantasia, è una realtà», ha detto il ministro, aggiungendo che «alcuni separatisti caledoniani hanno stretto un accordo con l’Azerbaigian».

 

Il mese scorso, tuttavia, il Parlamento dell’Azerbaigian e il congresso della Nuova Caledonia hanno firmato un memorandum di cooperazione in cui Baku riconosceva il diritto all’autodeterminazione della popolazione locale.

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In seguito agli eventi, il Darmanin ha accusato l’Azerbaigian di sostenere il separatismo sul suo territorio e ha suggerito che Baku stesse sfruttando le tensioni nella regione per rispondere alla “difesa francese degli armeni” che, secondo lui, sono stati «massacrati» dagli azeri.

 

Baku ha negato con veemenza le accuse di incoraggiamento al separatismo in Nuova Caledonia, sostenendo che tutte le insinuazioni sull’interferenza dell’Azerbaigian sono infondate.

 

Ad aprile, il portavoce del ministero degli Esteri azerbaigiano Aykhan Hajizada ha respinto le accuse di pulizia etnica tra gli armeni, dicendo a Darmanin che «non dovrebbe dimenticare che come parte della politica coloniale… [la Francia] ha commesso crimini contro l’umanità nei confronti delle popolazioni locali e ha brutalmente ha ucciso milioni di persone innocenti».

 

Le relazioni tra Francia e Azerbaigian sono in crisi del Nagorno-Karabakh dello scorso 2023, quando l’occupazione azera fu condannata da Parigi. Baku occupò la regione a maggioranza armena, staccatasi dall’Azerbaigian durante il tramonto dell’Unione Sovietica, innescando un esodo di massa di rifugiati dalla zona: nella totale indifferenza del mondo, i cristiani armeni sfollati sarebbero almeno 120 mila, con testimonianze di indicibili atrocità.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’Azerbaigian negli scorsi mesi è arrivato a dichiarare che la Francia è responsabile di ogni nuovo conflitto con l’Armenia.

 

Tra scontri con morti, le tensioni tra Erevan e Baku stanno continuando anche ora, tracimando anche nella politica interna armena. L’Armenia, sostanzialmente, avrebbe pagato il fatto di aver lasciato il blocco guidato da Mosca – della cui alleanza militare è parte – per avvicinarsi agli USA, che tuttavia non hanno fatto nulla per contenere Baku, appoggiata apertamente da un alleato importante di Washington, la Turchia.

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