Geopolitica
Impazzano i video dei party estivi in Ucraina
In rete emergono, con tutta la paradossale forza del caso, video di feste estive in varie località dell’Ucraina, un Paese in guerra che viene descritto come bisognoso di continui aiuti a causa dell’attacco russo.
La quantità di filmati festaioli arrivati sui social è tale che anche il vertice visibile di Kiev si è mosso per arginare il fenomeno: il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj ha criticato le gozzoviglie estive dei cittadini, che di fatto minano terribilmente (un’immagine vale mille parole, si dice) la narrativa secondo cui l’Ucraina è nella battaglia per la sua sopravvivenza contro la Russia.
Lo Zelens’kyj a inizio settimana ha rilasciato una dichiarazione in cui condanna i cittadini ucraini che compromettono i suoi sforzi per ottenere un maggiore sostegno finanziario dal governo degli Stati Uniti e da altri alleati.
«Siamo in guerra», ha tuonato l’ex attore comico. «Quelli che non combattono al fronte, dovrebbero aiutare quelli che combattono! Non seduti nei bar o nei club, o delirando per le strade».
Visto il volume della musica techno a palla, non è detto che gli ucraini sentano la ramanzina del loro presidente.
Meanwhile in Ukraine ???? Party time during the war ???? They expect more money from America. Go work american peasant to make money for your ukraine. They really need your money ????️???????????? pic.twitter.com/a3kUYJ9OXP
— EdMar ☀️ (@d00m777) August 15, 2023
Life in Ukraine is great if you are rich and can buy your way out of the conscription. Some of these women I imagine have husband's or boyfriends who are on the front while the rich boys party with them. fortunate son is an understatement. #UkraineRussianWar #ukraine #russia… pic.twitter.com/SDpaDZV3co
— Noctis Draven (@DravenNoctis) August 16, 2023
SEND MORE MONEY to Ukraine, they’re really suffering! ⬇️???????? pic.twitter.com/7ZPu7NIZnk
— Jackson Hinkle ???????? (@jacksonhinklle) August 15, 2023
Ukraine 2023. Please donate more money. pic.twitter.com/EYHWapmXCH
— RadioGenoa (@RadioGenoa) August 8, 2023
????????DEVELOPING: Here is footage of Ukrainians running for their lives at the Dnipro River in Kyiv, Ukraine. This footage was posted 11 hours ago specifically. These Ukrainians don’t deserve this war. pic.twitter.com/Hq9etpgh3h
— Dom Lucre | Breaker of Narratives (@dom_lucre) August 7, 2023
????????DEVELOPING: I have some updated footage from war-torn Kyiv Ukraine, you can see how the Ukrainians were in distress from the heat of climate change and have begun a massive party to ease their minds. Please keep the people of Ukraine in your prayers. pic.twitter.com/s9Luj8JDag
— Dom Lucre | Breaker of Narratives (@dom_lucre) August 6, 2023
????????DEVELOPING: I have obtained footage of this Ukrainian woman in distress at Fifty Club & Party Place, Holosivs'kyi district in Kyiv Ukraine, it’s hard to believe what the Russians are doing to these people. Nobody should be forced to go through this. pic.twitter.com/wkOgVei2iP
— Dom Lucre | Breaker of Narratives (@dom_lucre) August 7, 2023
C’è da notare il fenomeno che su Twitter, ora detto X, abbondano i «Community Notes» (cioè, la risposta di Elon Musk ai fact-checking) sotto questi video, con motivazioni insensate o ridicole per cercare di negare la questione.
Un video caricato dall’utente Dom Lucre ha ricevuto una casella informativa «Community Note», non perché il suo video contenesse informazioni errate, ma perché Kiev è lontana dal luogo in cui si sta combattendo la guerra.
«Kyiv è a circa 500 km miglia dalla linea del fronte attiva più vicina – lungi dall’essere «dilaniata dalla guerra» – anche se ci sono allerte di raid aerei notturni a causa di attacchi», afferma la Community Note, aggiungendo: «Filmati di persone che cercano di vivere una vita normale sono spesso usati dai filo-russi per scoraggiare gli aiuti occidentali».
????????DEVELOPING: There is currently a party at the Beach Club in war-torn Kyiv Ukraine, please keep the people of Ukraine in your prayers. pic.twitter.com/vN9wkjD4aj
— Dom Lucre | Breaker of Narratives (@dom_lucre) August 6, 2023
Nonostante il lavoro dei nuovi mestatori del fact-checking, il fenomeno della bella vita degli ucraini sotto i missili è stato notato anche da grandi media mainstream, come dimostra questo servizio della CBS.
L’effetto più devastante questi video lo hanno avuto in concomitanza con il catastrofico incendio di Maui, alle Hawaii, che ha distrutto un’intera cittadina, Lahaina.
La differenza tra i miliardi per gli ucraini in festa e i 700 dollari alle famiglie hawaiane costrette a buttarsi in acqua per sfuggire alle fiamme che hanno divorato le loro case ha sconvolto molti utenti dei social.
$700 per family in Hawaii vs $115B+…to the War in Ukraine… pic.twitter.com/hba3NlHD33
— Liz Churchill (@liz_churchill10) August 15, 2023
>"Yo, dude, Ukraine looks lit!"
>"So does Hawaii."
>"Let's send more money to Ukraine." pic.twitter.com/dLoDKEmRXn
— Sam Parker ???????? (@SamParkerSenate) August 14, 2023
Breaking: Hawaii has been rebuild, people just returned their freedom back to life and everything is clean just like in Japan or Norway.
Nah. Sorry, Its Ukraine where Biden plan to spend more than $20 Billion on this. #DemocratsAreDestroyingAmerica
pic.twitter.com/IBaYioVwMA— Eric ???????? (@thewilliamson78) August 12, 2023
How true.
Who voted for this ?
More money to Ukraine! #Maui #MauiFires #Biden #MAGA #Hawaii #HawaiiWildfires #HawaiiBurnsOnPurpose #trump
— Mike (@PantherMike182) August 15, 2023
Non mancano, tuttavia, anche i paragoni con la situazione delle città americane, piagate dalla miseria e dalla disperazione di homeless e drogati.
Peace in America vs war in Ukraine ???? ???? homeless people on street's of Los Angeles can't afford food but Democrats party sending billions of dollars to fight proxy wars. pic.twitter.com/KnIOgZFf3R
— WYCLIF kagina (@NabaasaWyclif1) August 12, 2023
Negli scorsi giorni il Segretario di Stato americano Anthony Blinken ha invitato il Congresso a inviare altri 24,1 miliardi di dollari a sostegno dell’Ucraina, portando gli aiuti a Kiev oltre i 130 miliardi.
In un anno, è stato calcolato, la cifra sborsata dal contribuente americano per l’Ucraina potrebbe superare quella tirata fuori in 20 anni di guerra in Afghanistan.
Immagine screenshot da YouTube
Geopolitica
L’inviato di Trump ha avuto un «incontro teso» con Netanyahu
L’inviato in Medio Oriente del presidente eletto Donald Trump, il miliardario magnate immobiliare Steve Witkoff, ha tenuto un incontro «teso» con il primo ministro Beniamino Netanyahu l’11 gennaio. Lo riporta il Times of Israel, che cita fonti anonime.
Secondo quanto riportato dal giornale israeliano, Witkoff avrebbe «fatto pressioni» sul premier dello Stato Ebraico affinché accettasse i compromessi necessari per garantire un accordo sugli ostaggi entro l’insediamento presidenziale statunitense del 20 gennaio, hanno affermato due funzionari anonimi.
La pressione di Witkoff su Netanyahu sembra aver avuto effetto, con i due funzionari a conoscenza delle negoziazioni che hanno affermato che le lacune chiave sono state colmate durante i colloqui del fine settimana.
Nel frattempo, Al Jazeera ha citato due osservatori informati, uno arabo e l’altro israeliano, che hanno attribuito a Trump il merito di essere il nuovo fattore che ha spinto Israele più vicino a un accordo.
«La differenza principale qui è la nuova variabile che è entrata nell’equazione, ovvero Donald Trump… è chiaramente lui a guidare questo cessate il fuoco», ha detto ad Al Jazeera Mohamad Elmasry, professore di studi sui media al Doha Institute for Graduate Studies. «Ci saranno un sacco di urli e grida da parte dell’amministrazione Biden su come hanno fatto passare questo cessate il fuoco, supponendo che si concretizzi, ma la realtà è che è stato Trump a spingere».
L’esperto del Qatar ha detto che Trump è stato «molto duro» con Netanyahu negli ultimi giorni, citando un video che Trump ha condiviso sulla sua piattaforma Truth Social che mostra l’accademico Jeffrey Sachs che attacca il primo ministro israeliano per la sua visione di politica estera. «Penso che tutti ora siano abbastanza ottimisti sul fatto che riusciremo a tagliare il traguardo», ha detto Elmasry.
Come noto, il Sachs nel video condiviso da Trump chiamava il Netanyahu «deep dark son of a bitch», cioè «figlio di puttana profondamente oscuro».
Trump just posted this link of Jeffery Sachs calling Benjamin Netanyahu “a dark son of a bitch”. Never thought that would happen. Maybe Trump didn’t watch the whole
video (as the piece I’m posting is at the end of the video Trump posted) or there could be some internal… pic.twitter.com/sk6HrPgppZ— Larry McDonald (@FlakesOfGold) January 8, 2025
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Alon Liel, ex direttore generale del ministero degli Esteri israeliano, ha detto che un accordo di cessate il fuoco a Gaza «sembra che accadrà molto presto». «La sensazione è che questa volta non ci sia scelta», ha detto ad Al Jazeera, parlando da Tel Aviv. «Dobbiamo assecondarlo perché la pressione internazionale, o per essere più precisi, la pressione americana, è raddoppiata. Ora ci stanno lavorando due presidenti, Biden e Trump insieme, che fanno pressione… e sembra molto efficace sul nostro governo di destra». C’è un «grande cambiamento» nell’umore di Israele nelle ultime settimane e la politica interna non sembra essere un ostacolo al completamento di un accordo, ha aggiunto Liel.
Come riportato da Renovatio 21, la settimana scorsa il Netanyahu ha annullato il viaggio per la cerimonia di insediamento di Trump.
Come riportato da Renovatio 21, in passato Trump aveva attaccato Netanyahu arrivando a chiederne la sostituzione e ad ipotizzare tagli agli aiuti ad Israele.
Nel contesto di questi commenti aveva rivelato anche dettagli sull’assassinio del generale dei servizi iraniani Qassem Soleimani, suggerendo che fu indotto ad ordinarne la morte dagli israeliani, che poi però si tirarono indietro.
Gli inviti alla moderazione ad Israele e gli attacchi diretti a Netanyahu possono costare a Trump una grossa parte dell’elettorato evangelico USA, portato su posizioni sioniste negli scorsi decenni da una teologia apocalittica che intende accelerare la venuta dell’anticristo e quindi il ritorno di Gesù Cristo.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Geopolitica
Biden rimuoverà Cuba dalla lista dei terroristi
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Geopolitica
Il governo israeliano demolisce villaggi del Negev e svende terre beduine ai coloni
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
L’ultima vicenda riguarda Umm al-Hiran, raso al suolo per edificare la neonata cittadina ebraico-ortodossa di Dror. Parte dei lotti concessi a prezzi irrisori ai membri del gruppo religioso sionista di Garin Torani. L’allarme di Peace Now: col governo Netanyahu-Smotrich-Ben Gvir ogni settimana autorizzazioni per nuove case negli insediamenti.
Il governo israeliano sta «svendendo» una parte delle terre storicamente appartenute ai beduini nel deserto del Negev a prezzi irrisori, dopo aver raso al suolo villaggi, affidandole a coloni provenienti dalla Cisgiordania. E secondo quanto denunciato dal quotidiano israeliano Haaretz, tra i principali beneficiari vi sarebbero membri di Garin Torani, gruppo religioso sionista proveniente dall’insediamento (accademia) di Eli, a nord di Ramallah, cui le autorità affidano lotti ambiti a prezzi paragonabili con quelli di una vettura usata.
Qualche centinaio di metri quadri possono essere rilevati per un importo in shekel euivalente a una cifra tra i 3500 e i 19mila dollari e senza bisogno di gare d’appalto, mentre al prezzo di mercato si sborserebbero almeno 83mila dollari per un lotto analogo. Questa possibilità di acquisto, però, viene negata agli stessi beduini sfollati, a cui è negato lo status di «residenti locali», venendo di fatto trasferiti a forza in una città beduina della zona; solo in rari casi, sono autorizzati a rilevare piccoli appezzamenti – di gran lunga inferiori alle proprietà originarie – ma al valore di mercato.
Prima della creazione di Israele nel 1948, il deserto del Negev ospitava circa 92mila beduini ma solo 11mila sono rimasti nei confini di Israele dopo la guerra arabo-israeliana del 1948; molti vivono in villaggi non riconosciuti, privi di pianificazione e servizi base come acqua corrente, fogne ed elettricità.
In pochissimi hanno accesso a rifugi anti-aereo o missile (l’unica vittima dell’attacco iraniano dei primi di aprile dello scorso anno è stata una bambina beduina), e la gran parte rifiuta di essere re-insediata e per questo incontra grandi difficoltà nella società israeliana. Oggi sono circa 300mila, metà dei quali vivono in città e metà in villaggi non riconosciuti da Israele.
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Di recente Israele ha ripreso l’opera di costruzione di nuovi edifici nella neonata cittadina ebraico-ortodossa di Dror, che sorge sulle ceneri del villaggio beduino meridionale di Umm al-Hiran, mai riconosciuto nelle pianificazioni urbanistiche e demolito a novembre. Un mese dopo – il 29 dicembre – si sono chiuse due gare di appalto promosse da Ila (Israel Land Authority), riguardando la realizzazione del futuro villaggio, nei pressi di Meitar e Hura.
Diversi imprenditori si sono aggiudicati le concessioni per la costruzione di 620 unità residenziali, ad un prezzo complessivo di 40 milioni di shekel (poco meno di 11 milioni di dollari), e costi di sviluppo per un totale di 108 milioni di shekel (29,5 milioni di dollari). A seguire è stata chiusa la gara d’appalto per 36 case unifamiliari, con il costo del singolo appezzamento di terreno pari a 303mila shekel (attorno agli 82mila dollari) per terreno di una casa unifamiliare. A ciò si aggiungono costi di costruzione e profitto dell’imprenditore, in base a prezzi giudicati ragionevoli.
Tuttavia, risulta che nel 2023 e nel 2024 vi siano state tre assegnazioni dell’Israel Land Authority, senza gara di appalto, per l’acquisto di lotti per l’edilizia privata in quella stessa futura comunità, a prezzi completamente diversi. La priorità era assegnata agli acquirenti «locali», definiti come segue: membri dell’Accademia rabbinica di Eli in Cisgiordania, che hanno fondato un garin torani, o residenti del Consiglio regionale di Tamar.
In questo modo, senza appalto, i membri dell’accademia Eli hanno ricevuto 115 dei 345 lotti di estensione fino a 740 m2 ad un prezzo irrisorio (o simbolico), compreso fra i 13mila e i 70mila shekel, cacciando i beduini che dagli anni ‘50 del secolo scorso erano stanziati nella zona. E che, nel 2015, avevano anche ottenuto tramite la sentenza di un tribunale il diritto a vivere nella zona ed essere evacuati solo in cambio di un appezzamento di terra sostitutivo concordato.
Il tutto succede mentre per la sesta settimana consecutiva l’Higher Planning Council (HPC) si è riunito oggi per dare il via libera alla costruzione di nuove unità abitative nelle colonie ebraiche in Cisgiordania: 448 solo nella seduta di oggi. Sotto l’attuale governo del premier Benjamin Netanyahu (e del duo di alleati di estrema destra Smotrich-Ben Gvir), la costruzione di insediamenti ha raggiunto livelli senza precedenti.
Nel 2023, il Consiglio ha approvato 12.349 unità abitative, un massimo storico. A questo hanno fatto seguito 9.884 unità approvate nel 2024. Secondo gli attivisti di Peace Now il passaggio a riunioni settimanali di pianificazione rappresenta sia una «normalizzazione del processo» sia una «intensificazione della costruzione degli insediamenti».
Se anche quelli di oggi saranno approvati, il totale delle sei settimane raggiungerà le 2.377 unità abitative. A questo ritmo, il 2025 potrebbe segnare nuovi record, con proiezioni che superano le 1.500 unità al mese. «Le riunioni settimanali – spiega in una nota l’ONG – indicano un tentativo di normalizzare la pianificazione degli insediamenti, con l’obiettivo di massimizzare le approvazioni delle unità abitative, minimizzando le critiche pubbliche e internazionali» secondo una logica dell’annessione che determina una «crisi politica e di sicurezza».
Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne.
Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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