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Geopolitica

Il Ruanda rompe i rapporti di collaborazione col Belgio che aveva accusato: Kigali dietro gli attacchi in Congo

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Il Ruanda ha sospeso un accordo di cooperazione quinquennale con il Belgio, accusandolo di schierarsi in un conflitto armato in corso nella Repubblica Democratica del Congo orientale e di «politicizzare lo sviluppo».

 

Il ministero degli Esteri ruandese ha annunciato la decisione martedì dopo che il Belgio ha accusato Kigali di sostenere i ribelli M23, che hanno conquistato due grandi città nelle province del Nord e del Sud Kivu in nuovi attacchi contro le forze congolesi e i peacekeeper. Migliaia di persone, tra cui bambini, sono state uccise nell’ex colonia belga nei combattimenti delle ultime settimane, secondo l’ONU.

 

«Il Belgio ha condotto una campagna aggressiva, insieme alla RDC, volta a sabotare l’accesso del Ruanda ai finanziamenti per lo sviluppo, anche nelle istituzioni multilaterali», ha affermato il ministero in una nota.

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«Questi sforzi dimostrano che non esiste più una solida base per la cooperazione allo sviluppo con il Belgio. Di conseguenza, il Ruanda sta sospendendo il resto del programma di aiuti bilaterali 2024-2029», ha aggiunto.

 

Secondo il sito web dell’ambasciata di Bruxelles a Kigali, il budget del Belgio per l’assistenza ammonta a 95 milioni di euro (99 milioni di dollari).

 

Il conflitto decennale nella Repubblica Democratica del Congo ha reso tese le relazioni tra Kinshasa e Kigali. Il governo congolese ha ripetutamente affermato che lo stato vicino sta fornendo supporto alla M23, una delle decine di milizie che lottano per il controllo delle ricche risorse minerarie della regione orientale. L’anno scorso, un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha anche riferito che circa 4.000 soldati ruandesi stavano combattendo a fianco dei militanti.

 

Nonostante abbia costantemente negato le accuse, Kigali è stata ampiamente condannata a livello internazionale dopo la ripresa delle ostilità all’inizio dell’anno.

 

I leader regionali stanno coordinando gli sforzi, tra cui un recente vertice congiunto in Tanzania per porre fine al conflitto, in mezzo alle richieste di cessate il fuoco da parte di paesi tra cui la Russia.

 

Martedì, il Ruanda ha affermato che la «decisione politica» del Belgio, che mira a «sabotare» l’accesso di Kigali ai finanziamenti per lo sviluppo, è «un’ingiustificata interferenza esterna che mina il processo di mediazione guidato dall’Africa».

 

«Il Ruanda non si lascerà intimidire o ricattare per compromettere la sicurezza nazionale», ha affermato il Ruanda, ribadendo che il suo «unico obiettivo è un confine sicuro e una fine irreversibile alla politica di estremismo etnico violento nella nostra regione».

 

In risposta, il ministro degli Esteri belga Maxime Prevot ha affermato che Bruxelles sta già riconsiderando l’intero programma bilaterale con il Ruanda a causa della «violazione dell’integrità territoriale» della Repubblica Democratica del Congo.

 

«Ciò avrebbe portato a misure relative alla nostra cooperazione che il Ruanda sta ora anticipando», ha affermato in un post su X.

 

L’anno scorso, il Ruanda ha attaccato gli Stati Uniti per aver «distorto la realtà» dopo che Washington aveva criticato anche Kigali per aver presumibilmente sostenuto M23. L’amministrazione dell’ex presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha chiesto al Ruanda di rimuovere immediatamente le sue forze di difesa e i sistemi missilistici dal vicino stato in difficoltà.

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Il Ruanda, ora sotto il governo del vatusso Paul Kagame, è Paese che ancora oggi affronta grandi controversie, come il fatto di essere divenuta meta per l’espulsione degli immigrati in Gran Bretagna.

 

In un anno fa si sono registrati nel Paese agghiaccianti episodi di vaccinazione forzata nei villaggi con violenze perpetrate dalle autorità a chi si opponeva alle iniezioni COVID-19, gentilmente offerte agli africani dalle organizzazioni internazionali finanziate da Gates.

 

L’uomo forte di Kigali è coinvolto anche in una strana, incredibile storia di eco internazionale: il rapimento del dissidente ruandese, internazionalmente noto per il film hollywoodiano Hotel Rwanda, che raccontava il suo ruolo nel salvare molti dal genocidio hutu del 1994. I servizi di Kagame lo avrebbero attirato fuori dagli USA, doveva viveva in esilio, fingendo di essere emissari di un movimento di un altro Paese africano, per farlo poi atterrare in Ruanda dove sarebbe stato arrestato. Sul caso ci fu un pesante reportage del New York Times.

 

Lo stesso Kagame è stato accusato da un missionario comboniano di essere implicato nel barbaro assassinio dell’ambasciatore italiano in Congo Luca Attanasio.

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Immagine di Russell Watkins / Department for International Development via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic

 

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Geopolitica

Turchia, effigie di Netanyahu appesa a una gru: «pena di morte»

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Un’effigie raffigurante il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è stata avvistata appesa a una gru edile nel Nord-Est della Turchia, suscitando forte indignazione in Israele.   Secondo la stampa turca, l’episodio si è verificato sabato in un cantiere nella città di Trebisonda, sul Mar Nero. L’iniziativa sarebbe stata organizzata da Kemal Saglam, docente di comunicazione visiva presso un’università locale. Saglam ha dichiarato ai media turchi che il gesto aveva un intento simbolico, volto a denunciare le violazioni dei diritti umani a Gaza.   Le immagini, diffuse viralmente e riportate anche dal quotidiano turco Yeni Safak, mostrano la figura sospesa alla gru, accompagnata da uno striscione con la scritta: «Pena di morte per Netanyahu».   Il ministero degli Esteri israeliano, tramite un post su X, ha condiviso un video dell’incidente, accusando un accademico turco di aver creato l’effigie «con il fiero sostegno di un’azienda statale». Il ministero ha condannato l’atto, sottolineando che «le autorità turche non hanno denunciato questo comportamento scandaloso».  

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Le autorità turche non hanno ancora fornito una risposta ufficiale.   I rapporti diplomatici tra Israele e Turchia sono tesi da anni e si sono ulteriormente deteriorati dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha accusato Netanyahu di aver commesso un «genocidio» a Gaza.   La Turchia, unendosi agli altri Paesi che hanno portato il caso al tribunale dell’Aia, ha accusato Israele di aver commesso un genocidio a Gaza. Il presidente Recep Tayyip Erdogan in precedenza aveva definito il primo ministro Benjamin Netanyahu «il macellaio di Gaza», suggerendo a un certo punto – in una reductio ad Hitlerum che è andata in crescendo, con contagio internazionale – che la portata dei suoi crimini di guerra superasse quelli commessi dal cancelliere della Germania nazionalsocialista Adolfo Hitlerro.   Nel 2023 la Turchia ha richiamato il suo ambasciatore da Israele e nel 2024 ha interrotto tutti i rapporti diplomatici. Mesi fa Ankara aveva dichiarato che Israele costituisce una «minaccia per la pace in Siria». Erdogan ha più volte chiesto un’alleanza dei Paesi islamici contro Israele.   Come riportato da Renovatio 21, i turchi hanno guidato gli sforzi per far sospendere Israele all’Assemblea generale ONU. L’anno scorso il presidente turco aveva dichiarato che le Nazioni Unite dovrebbero consentire l’uso della forza contro lo Stato degli ebrei.   Un anno fa Erdogan aveva ventilato l’ipotesi che la Turchia potesse invadere Israele.   La Turchia ha avuto un ruolo attivo nei recenti negoziati per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi, con diversi rapporti che indicano come l’influenza di Ankara su Hamas abbia facilitato il rilascio degli ostaggi nell’ambito del piano in 20 punti del presidente statunitense Donald Trump.   Venerdì, Erdogan ha dichiarato alla stampa che gli Stati Uniti dovrebbero intensificare le pressioni su Israele, anche attraverso sanzioni e divieti sulla vendita di armi, per garantire il rispetto degli impegni presi nel piano di Trump.   Domenica, Netanyahu ha annunciato che Israele deciderà quali forze straniere potranno partecipare alla missione internazionale proposta per Gaza, prevista dal piano di Trump per garantire il cessate il fuoco. La settimana precedente, aveva lasciato intendere che si sarebbe opposto a qualsiasi coinvolgimento delle forze di sicurezza turche a Gaza.  

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Immagine screenshot da Twitter; modificata  
 
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Droga

Trump punta ad attaccare le «strutture della cocaina» in Venezuela

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Il presidente statunitense Donald Trump sta esaminando proposte per operazioni militari americane contro presunte «strutture per la produzione di cocaina» e altri bersagli legati al narcotraffico all’interno del Venezuela. Lo riporta la CNN, che cita fonti anonime.

 

Due funzionari non identificati hanno dichiarato alla rete che Trump non ha scartato l’ipotesi di un negoziato diplomatico con Nicolás Maduro, nonostante recenti indicazioni secondo cui gli Stati Uniti avrebbero interrotto del tutto i colloqui con Caracas, mentre valutano una possibile campagna per destituire il leader venezuelano.

 

Tuttavia, una fonte della CNN ha precisato che «ci sono piani sul tavolo che il presidente sta esaminando» per azioni mirate all’interno del Venezuela. Un terzo funzionario ha indicato che l’amministrazione Trump sta considerando varie opzioni, ma al momento si concentra sulla «lotta alla droga in Venezuela».

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A giudizio di alcuni esponenti dell’amministrazione statunitense, una campagna antidroga nel Paese sudamericano potrebbe accrescere la pressione per un cambio di regime a Caracas. Trump ha pubblicamente smentito l’intenzione di rimuovere Maduro dal potere.

 

Nelle scorse settimane, le forze armate americane hanno condotto vari raid contro imbarcazioni sospettate di narcotraffico e, secondo Washington, collegate al Venezuela, causando decine di vittime.

 

 

Giovedì, Trump – che aveva già confermato l’autorizzazione di operazioni della CIA in Venezuela – ha dichiarato che gli Stati Uniti potrebbero estendere la loro campagna antidroga dal mare alla terraferma, senza entrare in dettagli. Inoltre, la portaerei USS Gerald R. Ford è stata inviata nei Caraibi per sostenere l’operazione antidroga.

 

Maduro ha respinto ogni legame del suo governo con il traffico di stupefacenti, insinuando che gli Stati Uniti stiano usando le accuse come copertura per un cambio di regime. Dopo le notizie sul dispiegamento della portaerei, il presidente venezuelano ha accusato Washington di perseguire «una nuova guerra eterna».

 

Secondo un reportaggio del New York Times, Maduro stesso avrebbe proposto agli Stati Uniti significative concessioni economiche, inclusa la possibilità per le aziende americane di acquisire una quota rilevante nel settore petrolifero, durante negoziati segreti durati mesi. Tuttavia, Washington avrebbe rifiutato l’offerta, con il futuro politico del presidente Nicolas Maduro come principale ostacolo.

 

Un precedente articolo del quotidiano neoeboraceno riportava che Trump avesse ordinato l’interruzione dei colloqui con il Venezuela, «frustrato» dal rifiuto di Maduro di cedere volontariamente il potere. Il giornale suggeriva anche che gli Stati Uniti stessero pianificando una possibile escalation militare.

 

Nel frattempo, Maduro ha avvertito che il Venezuela entrerebbe in uno stato di «lotta armata» in caso di attacco, aumentando la prontezza militare in tutto il Paese.

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Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso, gli Stati Uniti hanno inviato almeno otto navi della Marina, un sottomarino d’attacco e circa 4.000 soldati vicino alla costa venezuelana, dichiarando che la missione mirava a contrastare i cartelli della droga. Washington ha sostenuto che l’armata ha affondato tre imbarcazioni venezuelane, senza però fornire prove che le persone a bordo fossero criminali.

 

La Casa Bianca accusa da tempo Maduro di guidare una rete di narcotrafficanti nota come «Cartel de los Soles», sebbene non vi siano prove schiaccianti o prove concrete che lo dimostrino, tuttavia lo scorso anno gli USA sono arrivati a sequestrare un aereo presumibilmente utilizzato dal presidente di Carcas. È stato anche accusato di aver trasformato l’immigrazione in un’arma, sebbene Maduro si sia mostrato pronto a dialogare con le delegazioni diplomatiche americane sulla questione.

 

Come riportato da Renovatio 21, a inizio anno Maduro aveva dichiarato che Washington ha aperto il suo libretto degli assegni a una schiera di truffatori e bugiardi per destabilizzare il Venezuela, quando gli Stati Uniti si sono rifiutati di riconoscere le elezioni del 2024 in Venezuela.

 

Secondo Maduro, almeno 125 militanti provenienti da 25 Paesi sono stati arrestati dalle autorità venezuelane. Aveva poi accusato Elone Musk di aver speso un miliardo di dollari per un golpe in Venezuela. Negli stessi mesi si parlò di un piano di assassinio CIA di Maduro sventato.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

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Geopolitica

Thailandia e Cambogia firmano alla Casa Bianca un accordo di cessate il fuoco

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Cambogia e Thailandia hanno siglato un accordo di cessate il fuoco ampliato per porre fine a un violento conflitto di confine scoppiato a inizio anno. La cerimonia di firma, tenutasi domenica, è stata presieduta dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che aveva mediato la tregua iniziale.   Le tensioni storiche tra i due Paesi del Sud-est asiatico, originate da dispute territoriali di epoca coloniale, sono esplose a luglio con cinque giorni di scontri armati, che hanno spinto centinaia di migliaia di persone a fuggire dalla zona di confine. Un incontro ospitato dalla Malesia aveva portato a una prima tregua, segnando l’inizio della de-escalation.   Trump ha dichiarato di aver sfruttato i negoziati commerciali con entrambi i paesi per favorire una riduzione delle tensioni.  

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Durante il 47° vertice dell’ASEAN in Malesia, il primo ministro cambogiano Hun Manet e il primo ministro thailandese Anutin Charnvirakul hanno firmato l’accordo, che amplia la tregua di luglio.   Il documento stabilisce un piano per ridurre le tensioni e assicurare una pace stabile al confine, prevedendo il rilascio di 18 soldati cambogiani prigionieri da parte della Thailandia, il ritiro delle armi pesanti, l’avvio di operazioni di sminamento e il contrasto alle attività illegali transfrontaliere.   Dopo la firma, il primo ministro thailandese ha annunciato l’immediato ritiro delle armi dal confine e il rilascio dei prigionieri di guerra cambogiani, insieme a un’intesa commerciale congiunta. Il primo ministro cambogiano ha lodato l’accordo, impegnandosi a rispettarlo e ringraziando Trump per il suo ruolo, proponendolo come candidato al Premio Nobel per la Pace del prossimo anno.   Trump ha definito l’accordo «monumentale» e «storico», sottolineando il suo contributo e descrivendo la mediazione di pace come «quasi un hobby». Dopo la cerimonia, ha firmato un accordo commerciale con la Cambogia e un importante patto minerario con la Thailandia.

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