Spirito
Il cardinale Kasper torna a sostenere le «diaconesse»: «utili dal punto di vista pastorale»

Il cardinale Walter Kasper ha nuovamente promosso il diaconato femminile, sostenendo che è «teologicamente possibile e potrebbe essere utile dal punto di vista pastorale».
«Personalmente credo che aprire il diaconato permanente alle donne sia teologicamente possibile e potrebbe essere utile dal punto di vista pastorale» ha affermato il Kasper in una nuova intervista al giornale renano Rheinische Post.
Il Kasper, che ora ha 92 anni, è stato uno dei prelati più influenti della Chiesa di questi tempi, in particolare durante il pontificato di Francesco. È tristemente noto che Kasper sia stato uno dei più importanti sostenitori della Santa Comunione per i divorziati «risposati», tanto che l’argomento è stato soprannominato «proposta Kasper» prima della pubblicazione di Amoris Laetitia.
«Certo», ha detto Kasper a proposito dei diaconi donne, «so che non c’è ancora un consenso unanime su questo tema. Non spetta a me decidere se e quando sarà il momento giusto».
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Nel sostenere la sua argomentazione, Kasper ha cercato di garantire una divisione tra il diaconato femminile e il sacerdozio femminile:
«Come suggerisce la parola stessa, non esiste un percorso che dal diaconato permanente porti al presbiterato e all’episcopato (sacerdozio e vescovado, ndr). C’è una differenza fondamentale tra il diaconato e gli altri due ordini di ministero: il diaconato non rappresenta Cristo come capo della Chiesa allo stesso modo degli altri due ordini. Inoltre, non vi è alcun fondamento per aprirlo alle donne nella tradizione della Chiesa. Quindi non c’è motivo di preoccuparsi che l’apertura alle donne possa sfuggire di mano».
Il porporato tedesco ha anche accantonato l’idea di un papa donna, affermando che si tratta di «una questione che va oltre la mia immaginazione. Poiché il papa ha il primato come vescovo di Roma, una risposta affermativa richiederebbe che le donne abbiano accesso all’episcopato, il che non è il caso, secondo quanto ho appena detto».
Kasper è da tempo sostenitrice dell’importanza che le donne assumano ruoli più importanti nella liturgia, soprattutto attraverso l’ordine sacro. Poco dopo il Sinodo amazzonico del 2019 – e l’appello al diaconato femminile e ai ministeri femminili da esso promosso – Kasper ha affermato: «penso che, col tempo, le porte saranno aperte» alle donne sull’altare.
Negli ultimi anni la questione del diaconato femminile ha avuto infatti un rilievo notevole, soprattutto a causa del pluriennale Sinodo sulla sinodalità. Il paragrafo 60 del testo finale del Sinodo afferma che «resta aperta la questione dell’accesso delle donne al ministero diaconale» (258 favorevoli, 97 contrari).
È questa la questione che sarà studiata dal Gruppo di studio 5 del Sinodo sulla sinodalità, che comprenderà il «possibile accesso delle donne al diaconato», basandosi sul Rapporto di sintesi dell’ottobre 2023 e sulle commissioni del 2016 e del 2020 sui cosiddetti «diaconi donne».
Quel gruppo di studio avrebbe dovuto pubblicare i suoi risultati questo mese, ma è probabile che i recenti funerali papali e il conclave ne abbiano ritardato l’attività. Tuttavia, è stato affidato alle cure del Dicastero per la Dottrina della Fede (DDF), e Papa Leone ha incontrato più volte il prefetto e il segretario dottrinale di quell’ufficio, il che significa che potrebbe essere imminente la pubblicazione di un testo ufficiale.
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L’ultima intervista di Kasper si basa sul suo principio di dividere il sacramento dell’Ordine in due parti: separare il diaconato dal sacerdozio e dall’episcopato, consentendo alle donne l’accesso al primo ma non agli ultimi due.
Tuttavia, la Chiesa cattolica insegna che il sacramento dell’Ordine è riservato solo agli uomini e prevede tre gradi: vescovo, sacerdote e diacono.
Nella sua lettera apostolica del 1994 Ordinatio Sacerdotalis, Papa Giovanni Paolo II insegnò: «dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa».
Nel 2002, la Commissione Teologica Internazionale del Vaticano scrisse che le cosiddette «diaconi donne» della Chiesa primitiva, tanto travisate e citate oggi dagli attivisti, non erano in realtà diaconi come vengono intesi oggi, e certamente non erano ordinati ad alcun ministero. La Commissione sottolineò anche il triplice grado dell’unico sacramento, il che significa che il diaconato fa parte del sacramento dell’Ordine Sacro, riservato esclusivamente agli uomini,
Nel 2018, l’allora prefetto della DDF, il cardinale Ladaria Ferrer, SJ, difese l’insegnamento di Ordinatio Sacerdotalis come portatore del marchio di «infallibilità», con Giovanni Paolo II che aveva «formalmente confermato e reso esplicito, così da togliere ogni dubbio, ciò che il Magistero ordinario e universale ha considerato per lungo tempo nel corso della storia come appartenente al deposito della fede».
Anche il predecessore di Ladaria, il cardinale Gerhard Müller, si è espresso in modo coerente sull’argomento, dichiarando di recente a questo corrispondente che la tradizione apostolica della Chiesa cattolica e le sue infallibili pronunce difendono tutte il sacramento dell’Ordine Sacro, riservato esclusivamente agli uomini.
Il diaconato femminile, uno degli argomenti di discussione abituali del cardinale Kasper, probabilmente rimarrà per qualche tempo un aspetto di primo piano nel dibattito ecclesiale, poiché gli attivisti cercheranno di rifiutare l’insegnamento immutabile sulla questione.
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Spirito
Cardinale Burke: il messaggio di Fatima mette in guardia dall’«apostasia pratica del nostro tempo»

Cardinal Burke: Fatima “speaks about the practical apostasy of our time that is the going away from Christ by so many in the Church, & the violence & death which are its fruit”
Many “embrace the confusion, lies, & violence of contemporary culture. Their lives contradict the most… pic.twitter.com/OPKhNEji75 — Michael Haynes 🇻🇦 (@MLJHaynes) July 14, 2025
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Spirito
I riti nella Chiesa cattolica

Il termine «rito» si riferisce comunemente all’ordine della preghiera ufficiale, ovvero alla norma dell’azione liturgica stabilita dall’autorità e che trova la sua espressione pubblica e concreta nella liturgia. Il III secolo vide i primi segni di liturgie diverse nelle tre grandi metropoli dell’Impero: Roma, Alessandria e Antiochia.
Nel IV secolo emersero le zone liturgiche, costituite secondo le grandi divisioni politiche dell’epoca, dove alla fine prevalsero le forme liturgiche che costituiscono la base dei riti odierni.
Rito latino
In Occidente, la liturgia derivata da Roma prevale universalmente. L’antichissima liturgia gallicana, ampiamente utilizzata e fonte di numerosi elementi per le liturgie locali e persino per la liturgia romana, fu sostituita, a partire dall’epoca di Carlo Magno, dalla liturgia romana.
Lo stesso accadde nell’XI secolo per la liturgia ispanica o mozarabica, che in alcuni elementi si avvicinava alla liturgia gallicana. Fu ripresa nel XVI secolo in una cappella della cattedrale e in alcune parrocchie di Toledo, dove è ancora conservata.
Nell’arcidiocesi di Milano e in alcune parrocchie delle diocesi di Bergamo, Novara, Pavia e Lugano è ancora vigente la liturgia ambrosiana, riorganizzata da san Carlo Borromeo.
Diverse particolarità delle liturgie locali furono abolite dal Concilio di Trento, poiché da due secoli non avevano più alcuna autorità; alcune, tuttavia, sopravvissero fino al Concilio Vaticano II nelle arcidiocesi di Braga (rito di Braga) e di Lione (rito lionese) e nelle famiglie religiose, ad esempio tra i domenicani e i certosini (riti domenicano e certosino).
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Riti orientali
Il concetto di «rito» in senso stretto è riservato alle azioni liturgiche. Il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, promulgato il 18 ottobre 1990, ne definisce una nozione più ampia, che si estende all’intero «patrimonio liturgico, teologico, spirituale e disciplinare» delle singole Chiese orientali.
Questo patrimonio trae origine da una delle seguenti tradizioni: alessandrina, antiochena, armena, caldea e costantinopolitana. Tre di queste hanno avuto origine nell’Impero romano: alessandrina e costantinopolitana in Cappadocia, antiochena a Gerusalemme; due sono nate alla periferia dell’Impero: caldea in Mesopotamia e Persia, e armena per gli armeni.
La tradizione alessandrina conobbe uno sviluppo particolare in Etiopia, dove subì l’influsso di quella antiochena, mentre quella costantinopolitana o bizantina si conservò, senza subire profonde modificazioni, nelle Chiese nate dal Patriarcato stesso.
Sia la tradizione alessandrina che quella antiochena, nelle comunità fedeli ai concili di Efeso e di Calcedonia, furono gradualmente sostituite, dopo le controversie cristologiche del V secolo, dalla tradizione costantinopolitana, cioè quella dell’Impero e della Corte.
Così, a partire dal Medioevo, la liturgia alessandrina fu praticata solo dagli oppositori del Concilio di Calcedonia in Egitto ed Etiopia e di quello di Antiochia in Siria, Palestina e Mesopotamia, nonché dai Maroniti, che in seguito vi apportarono alcune modifiche.
A coloro che sono in comunione con la Chiesa cattolica, la Santa Sede lascia normalmente il proprio patrimonio. È un principio già affermato da San Leone IX: «La Chiesa romana sa che le consuetudini diverse a seconda del luogo e del tempo non impediscono la salvezza dei credenti, quando un’unica fede, operando attraverso la carità il bene che può, raccomanda tutti gli uomini a un solo Dio».
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Tradizione alessandrina
Questa tradizione si divise in due: egiziana ed etiope. Dominò in Egitto fino al XIII secolo, quando fu abbandonata a favore della tradizione costantinopolitana. Dopo la conquista musulmana, l’arabo soppiantò gradualmente il greco, di cui rimangono solo poche tracce (il rito copto).
In Etiopia ed Eritrea, la liturgia alessandrina subì profonde modifiche e si arricchì di nuovi testi, influenzati dai testi antiocheni. La lingua liturgica utilizzata è stata il Ge’ez, già lingua ufficiale nel V secolo, quando furono effettuate le prime traduzioni di testi biblici e liturgici in Axum (rito Ge’ez).
Tradizione antiochena
Formatasi liturgicamente a Gerusalemme e poi soprattutto ad Antiochia, e diffusa in Palestina, Siria e Mesopotamia settentrionale, questa tradizione si diffuse gradualmente a partire dalla seconda metà del XVII secolo fino ai cristiani di San Tommaso nell’India meridionale. I maroniti conservarono la tradizione antiochena, con modifiche in senso latino (rito maronita).
Praticato inizialmente in greco e siriaco, oggi è celebrato solo in siriaco con molte parti in arabo, in particolare tra i siriani (rito siro-antiocheno). I Malankaresi, cattolici di tradizione antiochena dell’India, usano, oltre al siriaco, il malayalam (rito siro-malankarese).
Tradizione armena
La tradizione armena si sviluppò a partire da testi antiocheni, con notevole influenza dei testi cappadoci e bizantini, ma con un notevole elemento originale fin dai tempi più antichi (rito armeno). Elementi latini furono introdotti nel Medioevo.
La lingua liturgica è l’armeno classico, lingua ufficiale dell’Armenia nel V secolo. In alcune eparchie del Patriarcato cattolico di Cilicia (nell’attuale Turchia sud-orientale), si osserva un crescente uso liturgico dell’arabo.
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Tradizione caldea
Questa tradizione si sviluppò indipendentemente nell’ex Impero Sasanide, da cui il termine «rito persiano». Dal XVII secolo in poi, il termine «caldeo» prevalse a Roma, ma le regioni abitate dai caldei la chiamarono «siro-orientale» (rito caldeo).
Questa eredità rituale fu trasmessa dai missionari della Mesopotamia all’Asia centrale, alla Cina e all’India. L’uso del siriaco, scritto e pronunciato in modo molto diverso da quello usato in Siria, si conservò quasi esclusivamente nella liturgia. In Mesopotamia, alcune chiese adottarono l’usanza di leggere pericopi scritturali e altre formule in arabo.
Il ramo più numeroso è la Chiesa siro-malabarese, che, secondo la tradizione, risale all’apostolo San Tommaso. La lingua liturgica usata oggi è il malayalam (rito siro-malabarese).
Tradizione costantinopolitana o bizantina
Questa tradizione, spesso chiamata «rito greco» in Occidente, si sviluppò a Costantinopoli, anticamente Bisanzio, essenzialmente da quella di Antiochia, ma con elementi provenienti da Alessandria e dalla Cappadocia (rito greco o bizantino).
Nel corso dei secoli, i testi liturgici e quelli relativi alla disciplina canonica di Costantinopoli furono tradotti dal greco nelle lingue dei popoli sottoposti alla giurisdizione dei Patriarchi di Costantinopoli, Alessandria e Antiochia, aderendo alla fede di Calcedonia: prima in georgiano, siriaco, paleoslavo e arabo, poi in romeno e, più di recente, in molte altre lingue.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Spirito
«Decimare la popolazione, rendere schiavi i superstiti»: mons. Viganò contro il green deal


La «conversione» green
Dichiarazione a proposito dell’endorsement vaticano alla frode climatica dell’Agenda 2030
La teoria che attribuisce all’uomo la responsabilità dei cambiamenti climatici derivanti dall’emissione di CO2 nell’atmosfera è sostenuta da una parte ampiamente minoritaria della comunità scientifica, peraltro in gravissimo e palese conflitto di interessi. La sua sovraesposizione mediatica è data dalla sistematica censura di tutte le voci davvero indipendenti e autorevoli, e costituisce una totale falsificazione della realtà. È sulla riduzione della CO2 che si basa l’intero castello di menzogne e frodi che dovrebbero legittimare la «transizione green». In realtà l’anidride carbonica è indispensabile alla sopravvivenza della vita sul Pianeta, e ridurla significa distruggere ogni forma vivente sulla Terra. E quand’anche il riscaldamento globale fosse reale, esso non avrebbe alcun significativo rapporto con l’attività umana, essendo originato principalmente dall’attività solare. Infine, le soluzioni proposte per porre rimedio all’aumento dell’anidride carbonica suonano risibili, poiché vengono adottate solo da una parte delle Nazioni, mentre Cina e India continuano a costruire centrali a carbone e ad utilizzare l’energia derivante dai combustibili fossili. D’altra parte, gli impianti per la produzione di energia alternativa risultano molto più inquinanti di quelli tradizionali.Sostieni Renovatio 21
- L’emergenza climatica è una frode, in quanto non è basata su dati oggettivi, e non è attribuibile all’azione umana (e ancor meno risolvibile solo da parte dei Paesi occidentali mediante la deindustrializzazione forzata);
- questa crisi – come quella pandemica, quella economica e quella bellica – costituisce un pretesto per l’imposizione di misure coercitive ad esclusivo danno dei cittadini, minacciati non solo nei loro beni ma anche nella loro salute e nella loro stessa esistenza;
- gli artefici del green deal hanno come esplicito scopo della transizione ecologica l’eliminazione fisica di gran parte della popolazione mondiale e l’instaurazione di una dittatura tecnocratica volta al controllo sociale e alla limitazione delle libertà fondamentali;
- per dare corpo alla frode green, le organizzazioni coinvolte si avvalgono di tecniche di manipolazione dell’opinione pubblica e di ingegneria sociale, ricorrendo non solo alla falsificazione sistematica delle notizie tramite i media – ad esempio attribuendo le morti di questi giorni all’emergenza climatica – ma anche creando artificialmente eventi meteorologici disastrosi (pensiamo alle distruzioni provocate a Maui nelle Hawaii, a Valencia in Spagna e più recentemente in Texas tramite l’impiego della geoingegneria e delle tecnologie dell’HAARP, High frequency Active Auroral Research Programme).
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