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Militaria

Generali e libri, ricordando lo Zibaldone del comandante Celentano e le rimozioni del «governo filogay»

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Il generale Roberto Vannacci, al centro delle polemiche estive per la sua rimozione a seguito dell’autopubblicazione di un libro, ha una carriera talmente vasta che sarebbe davvero riduttivo ricordarlo semplicemente come comandante della Brigata Paracadutisti «Folgore», l’unica, grande, prestigiosa unità aviotrasportata dell’Esercito Italiano. I giornali mainstream, tuttavia, associano il Vannacci soprattutto ai baschi amaranto.

 

A sentire questa storia di scandalo librario che coinvolge un generale della Folgore è difficile non ricordare il caso dello «Zibaldone del comandante Celentano», che occupò i giornali nel 1999.

 

Il caso emerse durante la questione del decesso di Emanuele Scieri, trovato morto in una caserma, una vicenda in cui cominciarono a piovere sospetti riguardo al nonnismo. A distanza di due decenni, il cadavere è stato riesumato con continuazione di indagini e processi.

 

Sui giornali emerse un testo, lo «Zibaldone del comandante Celentano», che era di fatto un insieme di vignette, barzellette, testi variegati «approntato nel tempo senza schema, se non della cronologia del reperimento casuale degli scritti ivi contenuti, dal diverso peso specifico e spessore di cui alcuni suscettibili di meditazione».

 

Nonostante l’aspetto definito da alcuni come innocuo (ma non si dice «scherzi fa caserma»?), lo Zibaldone finì su tutti i giornali: è possibile leggerlo sul sito di Repubblica in una primitiva impaginazione internet che oggi fa un po’ sorridere.

 

Nel documento, molti trovarono specialmente impressionante una cartina satirica – che non è nemmeno possibile descrivere come leghista, paraleghista o criptoleghista – dove l’Italia Settentrionale e Meridionale consistevano del solo Nord del Paese (dove erano quindi dislocate «Basi NATO nuclei antiterroni organizzati»), Toscana ed Emilia erano allagate dal «Canale d’Europa» che portava al «Mar Mediterroneo», il Centro Italia era detto «Nuova Albania», la Campania «Maradonia», la Calabria era «Calabria Saudita», la Puglia diveniva il «Principato Turco» mentre la Sicilia era «Ghedafiland» (sic), cioè il «Sahara settentrionale». Interessante che per la Sardegna, detta «Sardegnau», venisse specificato come «durante la bonifica del canale è prevista la totale distruzione». Nel basso tirreno, notevole l’«allevamento squalo bianco tigre 100.000 esemplari».

 

 

In seguito allo scandalo e alle polemiche, il comandante della Folgore Celentano fu silurato.

 

È assai indicativo, e gustoso, andare a ripescare il vecchio articolo de L’Unità sulla rimozione del comandante. Titolo «Rimozioni scandalo, governo filogay». Occhiello: «AN all’attacco». Sì, avete letto bene: AN, il partito da cui deriva il partito attualmente al governo, accusava per la rimozione del vertice della Folgore il filo-omosessualismo dell’esecutivo.

 

«È una vergogna per le forze armate avere come ministro un saltimbanco della politica come Scognamiglio» diceva il capogruppo dei senatori di AN Giulio Maceratini. «Si tratta di punizioni per accontentare in qualche modo i verdi e tutti gli schieramenti politici filogay che sostengono il governo D’Alema».

 

Ora, quasi un quarto di secolo dopo, ancora una storia di libri di comandanti e rimozioni governative, più la tematica dell’omosessualismo di Stato che aleggia su tutto.

 

La storia si ripete? Parrebbe, ma, significativamente, a parte invertite: il governo che rimuove per commenti suoi gay è fatto dagli eredi del partito che tuonava 24 anni fa contro il «governo filogay».

 

In realtà, per altri versi, la storia non è nemmeno chiusa: condanne per il caso Scieri, il 26enne parà della Folgore morto nel 1999, sono arrivate poche settimane fa, quasi a cavallo con lo scandalo scoppiato attorno al libro di Vannacci. Una coincidenza, per cui il nome della Folgore torna sui giornali.

 

Il generale dello Zibaldone nel 2021 era stato assolto dalle accuse che lo riguardavano.

 

 

 

 

 

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Geopolitica

Le truppe americane lasceranno il Ciad

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Pochi giorni dopo l’annuncio da parte dell’amministrazione americana che più di 1.000 militari americani avrebbero lasciato il Niger, Paese dell’Africa occidentale nei prossimi mesi, il Pentagono ha annunciato che ritirerà le sue 75 forze per le operazioni speciali dal vicino Ciad, già la prossima settimana. Lo riporta il New York Times.

 

La decisione di ritirare circa 75 membri del personale delle forze speciali dell’esercito che lavorano a Ndjamena, la capitale del Ciad, arriva pochi giorni dopo che l’amministrazione Biden aveva dichiarato che avrebbe ritirato più di 1.000 militari statunitensi dal Niger nei prossimi mesi.

 

Il Pentagono è costretto a ritirare le truppe in risposta alle richieste dei governi africani di rinegoziare le regole e le condizioni in cui il personale militare statunitense può operare.

 

Entrambi i paesi vogliono condizioni che favoriscano meglio i loro interessi, dicono gli analisti. La decisione di ritirarsi dal Niger è definitiva, ma i funzionari statunitensi hanno affermato di sperare di riprendere i colloqui sulla cooperazione in materia di sicurezza dopo le elezioni in Ciad del 6 maggio.

 

«La partenza dei consiglieri militari statunitensi in entrambi i paesi avviene nel momento in cui il Niger, così come il Mali e il Burkina Faso, si stanno allontanando da anni di cooperazione con gli Stati Uniti e stanno formando partenariati con la Russia – o almeno esplorando legami di sicurezza più stretti con Mosca» scrive il giornale neoeboraceno.

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L’imminente partenza dei consiglieri militari statunitensi dal Ciad, una vasta nazione desertica al crocevia del continente, è stata provocata da una lettera del governo ciadiano di questo mese che gli Stati Uniti hanno visto come una minaccia di porre fine a un importante accordo di sicurezza con Washington.

 

La lettera è stata inviata all’addetto alla difesa americano e non ordinava direttamente alle forze armate statunitensi di lasciare il Ciad, ma individuava una task force per le operazioni speciali che opera da una base militare ciadiana nella capitale e funge da importante hub per il coordinamento delle operazioni militari statunitensi. missioni di addestramento e consulenza militare nella regione.

 

Circa 75 berretti verdi del 20° gruppo delle forze speciali, un’unità della Guardia nazionale dell’Alabama, prestano servizio nella task force. Altro personale militare americano lavora nell’ambasciata o in diversi incarichi di consulenza e non è influenzato dalla decisione di ritirarsi, hanno detto i funzionari.

 

La lettera ha colto di sorpresa e perplessi diplomatici e ufficiali militari americani. È stata inviata dal capo dello staff aereo del Ciad, Idriss Amine; digitato in francese, una delle lingue ufficiali del Ciad; e scritto sulla carta intestata ufficiale del generale Amine. Non è stata inviata attraverso i canali diplomatici ufficiali, hanno detto, che sarebbe il metodo tipico per gestire tali questioni.

 

Attuali ed ex funzionari statunitensi hanno affermato che la lettera potrebbe essere una tattica negoziale da parte di alcuni membri delle forze armate e del governo per fare pressione su Washington affinché raggiunga un accordo più favorevole prima delle elezioni di maggio.

 

Mentre la Francia, l’ex potenza coloniale della regione, ha una presenza militare molto più ampia in Ciad, anche gli Stati Uniti hanno fatto affidamento sul Paese come partner fidato per la sicurezza.

 

La guardia presidenziale del Ciad è una delle meglio addestrate ed equipaggiate nella fascia semiarida dell’Africa conosciuta come Sahel.

 

Il Paese ha ospitato esercitazioni militari condotte dagli Stati Uniti. Funzionari dell’Africa Command del Pentagono affermano che il Ciad è stato un partner importante nello sforzo che ha coinvolto diversi paesi nel bacino del Lago Ciad per combattere Boko Haram.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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Militaria

Gli Stati Uniti considerano «basi mobili» per la guerra nel Pacifico

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Un appaltatore militare americano vuole riutilizzare le piattaforme petrolifere inutilizzate come basi mobili che aiuterebbero a rifornire le navi della Marina americana nel Pacifico e ad ospitare lanciatori di missili. Lo riporta RT.   Gibbs & Cox, una filiale di architettura navale di Leidos, ha presentato il concetto di Mobile Defense/Depot Platform (MODEP) alla mostra Sea Air Space 2024 a Washington, DC all’inizio di questo mese.   «Il nostro obiettivo qui è trovare una soluzione per risolvere il difficile problema dei problemi di capacità nel Pacifico occidentale. Perché non abbastanza cellule, non abbastanza missili, non abbastanza possono mantenere quelle navi in posizione avanzata», ha detto a Naval News Dave Zook, architetto di soluzioni e responsabile del dipartimento dei sistemi di combattimento di Gibbs & Cox.  

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Il concetto MODEP si riferisce a «una grande base isola galleggiante» in grado di posizionarsi «a una distanza ideale dalla riva» e di operare in modo indipendente per quasi sei mesi. Sarebbe configurato per una funzione di rifornimento o per il lancio di missili.   La Marina americana attualmente non ha la capacità di ricaricare i suoi lanciamissili in mare. La fornitura MODEP risolverebbe questo problema disponendo di due gru capaci di sollevare 100 tonnellate ciascuna.   La versione della base missilistica potrebbe contenere fino a 512 celle missilistiche del sistema di lancio verticale (VLS) o fino a 100 nuovi lanciamissili di grandi dimensioni (LML). Il concetto inoltre «riduce i rischi e i costi associati ai sistemi di difesa terrestre», hanno affermato anche Leidos e Gibbs & Cox. Il Giappone ha preso in considerazione l’utilizzo di piattaforme petrolifere convertite come alternativa al suo programma di difesa missilistico Aegis Ashore cancellato.   Entrambe le varianti potrebbero viaggiare a velocità di 5-8 nodi per coprire circa 200 miglia nautiche al giorno e mantenere la stabilità anche in onde alte fino a 20 metri.   Il concetto prevede che il MODEP abbia un’autonomia di 4.000 miglia nautiche senza rifornimento, generi tra 6 e 20 megawatt di potenza, contenga fino a 8,7 milioni di litri di carburante e ospiti un’officina di manutenzione e riparazione per navi da guerra.   La parte migliore, secondo Gibbs & Cox, è che ci sono fino a sei piattaforme petrolifere commerciali che potrebbero essere convertite ad uso militare a un costo relativamente basso a causa di un “eccesso di offerta nel mercato petrolifero”. Le piattaforme potrebbero essere pronte entro appena due anni, ha affermato la società.   Né il Pentagono né la Marina hanno commentato ufficialmente la proposta.

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Gli USA potrebbero inviare fino a 60 «consiglieri militari» per aiutare Kiev. Alla Camera USA i deputati sventolano bandierine ucraine

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Gli Stati Uniti stanno valutando la possibilità di inviare fino a 60 «consiglieri di truppe militari» all’ambasciata americana a Kiev, per «sostenere gli sforzi logistici e di supervisione per le armi che gli Stati Uniti stanno inviando all’Ucraina». Lo riporta Politico.

 

Nell’articolo pubblicato il 20 aprile e intitolato «Gli USA valutano l’invio di armi all’Ucraina mentre la Russia guadagna slancio» è uscito lo stesso giorno in cui la Camera degli Stati Uniti ha approvato una legislazione che prevede l’invio di 60,8 miliardi di dollari in armi e altri aiuti all’Ucraina.

 

Il portavoce del Pentagono, il maggiore generale Pat Ryder, ha dichiarato a Politico che «durante questo conflitto, il dipartimento della Difesa ha rivisto e adattato la nostra presenza nel Paese, man mano che le condizioni di sicurezza si sono evolute. Attualmente stiamo valutando l’invio di numerosi consulenti aggiuntivi per potenziare l’Ufficio di cooperazione in materia di difesa (ODC) presso l’Ambasciata».

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Sebbene l’ODC sia un ufficio presso l’Ambasciata, il Dipartimento della Difesa lo controlla principalmente. Ryder ha detto a Politico che le truppe coinvolte sarebbero «non combattenti».

 

Politico ha parlato con «quattro funzionari statunitensi e una persona che ha familiarità con i piani, a cui è stato concesso l’anonimato per parlare di un argomento delicato», rivelando che «uno dei compiti che i consiglieri affronteranno sarà quello di aiutare gli ucraini a pianificare il mantenimento delle complesse attrezzature donate dagli Stati Uniti mentre si prevede che i combattimenti estivi diventeranno più intensi, secondo la persona a loro familiare».

 

Il personale inviato aiuterà anche alla «supervisione» delle armi, spiega la testata raccontando che così le truppe statunitensi «rinforzeranno anche quello che è un contingente relativamente piccolo presso l’ambasciata americana a Kiev e coordineranno le nuove spedizioni di armi quando l’attuale disegno di legge supplementare al Congresso diventerà legge e consentirà a più armi ed equipaggiamenti di fluire verso il fronte ucraino».

 

Politico ha riferito che «non era chiaro quante ulteriori truppe statunitensi sarebbero state infine inviate in Ucraina, ma due funzionari statunitensi hanno affermato che il numero sarebbe arrivato a 60».

 

In una scena incredibile, e secondo alcuni perfino illegale, una quantità di legislatori del Partito Democratico USA hanno sventolato bandierine ucraine dopo che lo stanziamento di miliardi di dollari è passato alla Camera dei Rappresentanti, dove è speaker il repubblicano Mike Johnson.

 

 

«Questa è la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti sotto la direzione del presidente Mike Johnson» scrive il deputato Thomas Massie mostrando l’incredibile video. «I democratici stanno celebrando la sua capitolazione totale senza alcuna vittoria per la sicurezza del nostro confine».

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Come riportato da Renovatio 21, il Massie mesi fa si fece notare per aver denunciato come gli aiuti all’Ucraina in verità altro non sono che un riciclo di danaro per il complesso militare-industriale USA.

 

Il deputato del Kentucky ha quindi raddoppiato la dose rivelando qualcosa di ancora più pazzesco: pressioni da parte della Camera USA per fargli rimuovere il video da Twitter.

 

«Invece di multare i democratici per aver sventolato bandiere, il Sergente d’Armi della Camera ha appena chiamato e ha detto che sarò stato multato di 500 dollari se non eliminerò questo post video» scrive il Massie in un ulteriore post. «Mike Johnson vuole davvero far finire nel dimenticatoio questo tradimento dell’America».

 

Come riportato da Renovatio 21, la deputa della George Marjorie Taylor Greene, in conversazione con il giornalista Tucker Carlson, ha dichiarato che lo speaker repubblicano Mike Johnson, avendo cambiato posizione su tutte le cose fondamentali, potrebbe essere sotto ricatto.

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