Pensiero
Ecco la fine del giornalismo. E l’inizio della propaganda neofeudale

Un lettore un giorno ha chiamato per significare il suo sostegno: era giusto, diceva, che aiutasse Renovatio 21, che gli arriva tutti i giorni aggratis, visto che pagava profumatamente l’abbonamento ad un noto quotidiano, considerabile come il più «indipendente» in circolazione.
Alla domanda su quale dei due, noi o loro, fornisse articoli più approfonditi sulla realtà presente, il lettore non ha esitato: noi.
Ora, alcuni si chiedono la differenza tra una testata indipendente come Renovatio 21 e una testata mainstream: ebbene, dietro ogni giornale tradizionale c’è una macchina grande come una montagna. Giornalisti, redattori e collaboratori, titolisti, correttori di bozze, grafici, direttori – e abbiamo solo iniziato. C’è chi stampa e chi distribuisce, chi tiene in piedi un sito (lavoro, lo sappiamo, non facile e costoso). C’è chi vende la pubblicità – una specie a parte, circolante nelle acque sempre meno profonde dell’editoria, una razza dai denti bianchissimi che ho imparato a conoscere a Milano tanti anni fa.
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Soprattutto, un giornale mainstream ha a differenza di qualsiasi «voce indipendente» come la nostra qualcosa di raro, rarissimo: un editore, o meglio, un editore con i soldi.
Perché mandare avanti la montagna e la sua macchina richiede una quantità di capitale assurdo, e visto che oggi il business di un giornale non è redditizio e nemmeno sostenibile, l’editore deve avere un qualche motivo non-economico per imbarcarsi nel mondo delle notizie. Niente di nuovo qui: i grandi giornali hanno storicamente dietro di loro imperi industriali e finanziari di vario tipo che vogliono, che devono, dare alle notizie uno spin che magari favorisca la loro esistenza: in Italia abbiamo visto gli Agnelli e i Berlusconi, ma non è diverso se pensate all’America dove il Washington Post lo ha comprato il padrone di Amazon (che era bersaglio di raffiche di articoli-denuncia sul concorrente New York Times) Jeff Bezos.
Ora, bisogna capire che l’editore con i soldi garantiva al giornale, al giornalista, oltre che uno stipendio (alcune volte pure buono) anche l’ulteriore elemento che rendeva necessario al giornalismo (oltre che alla civiltà, al progresso, alla giustizia, all’umanità), cioè la libertà di parola. La quale, come sa il lettore, non esiste in Europa, né tantomeno in Italia.
Dopo anni di Renovatio 21 lo sappiamo bene: come ti avvicini a certi argomenti, ecco che fioccano le lettere degli avvocati, minacce di ogni sorta, richieste di censura. Non è che ci stupiamo: è la dinamica fisiologica della finta democrazia, che altro non è che oligarchia: il potente si avvale dei suoi danari e contatti per mettere a tacere qualcosa che non vuole sia reso pubblico – e pubblicare a favore del bene comune ciò che dovrebbe rimane segreto è il compito del giornalismo.
Quindi, capite la vera funzione del giornale con dietro l’editore coi soldi: schermare il giornalista davanti alle richieste economiche devastatrici di chi ti denuncia. Tutto qua. Il giornalismo d’inchiesta, in pratica, non esiste senza un paperone dietro di esso. E chi mai vuole pubblicare una storia sconvolgente, sapendo che questa distruggerebbe per sempre la sua economia, la sua famiglia, la sua vita?
Benvenuti nella realtà: notate come scoop e rivelazioni, sulle quali poi si imbastiscono le narrative della cosiddetta controinformazione, sono portate avanti da giornali all’antica con alle spalle il gruppo editoriale solido. Tutti i canaletti Telegram, i sitarelli, i blogghini, i wannabe anchormanni che seguite su YouTube, almeno per quanto riguarda tante rivelazioni sul piano nazionale, sono di fatto parassiti del lavoro che fanno i giornalisti vecchio stile, spalleggiati da istituzioni e fondi che rendono possibile la difesa giudiziaria.
Ricordo ancora una serata – anzi oramai era notte – dopo un grande convegno organizzato anni fa da Renovatio 21 a fronte di un grande scandalo che ricorderete. A termine dei lavori, parlai con una giovanissima, brava giornalista di una grande testata che stava portando avanti il tema. Mi disse, in pratica, che era già stata denunciata dopo i primi articoli, e nemmeno da chi si aspettava, cioè dai protagonisti della vicenda, ma da un’ente che credo avesse citato solo di striscio. Le chiesi: ma non sei preoccupata? Lei rispose con semplicità: no, se ne occupa l’ufficio legale.
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Come dire: era davvero libera di scrivere quello che rilevava nella sua ricerca, condotta incontrando persone, scovando documenti, captando storie mentre era inviata nel territorio. Le querele, grazie alla schermatura, erano come rumore di fondo, un’evenienza quasi fisiologica del lavoro giornalistico. La noncuranza con cui sorvolava sul processo che poteva avviarsi mi stupì – e mi riempì di una sorta di bonaria invidia.
Sì, una questione organica, naturale, automatica: ho presente il sito dell’Ordine dei Giornalisti di una regione che, tra le pagina, ha anche un «SOS querele», in pratica una FAQ per il giornalista che finisce al solito denunciato da qualcuno. Ora, come questo sia compatibile con la tanto sbandierata «libertà di stampa» non è dato sapere, né come sia possibile che le leggi in Italia tendono a punire più severamente che si esprime contro politici e figure pubbliche, mentre quelle dell’Europa – dove comunque non esiste la libertà di parola, mettetevela via – attenuano, e rendono poi il risarcimento economico proporzionale alle possibilità del condannato (cosa che da noi invece non è).
Tutto questo per dirvi quanto consideri disperante la notizia battuta pochi giorni fa dal sito Dagospia e ripresa da Mowmag. Ci sarebbe una «cura dimagrante» in corso nei giornali del gruppo Angelucci – dominus della Sanità del Lazio, deputato della Lega Nord, personaggio verso cui confessiamo di avere simpatia visto il mondo in cui manda a quel Paese (diciamo così) i reporter microfonati che lo pedinano.
Angelucci, già editore di Libero, si è comprato dai Berlusconi anche Il Giornale. Voci dicevano che avrebbe avuto interesse anche per La Verità, mentre fece ancora più scalpore quando si disse che voleva acquistare l’AGI, l’agenzia notizie fondata dall’ENI. (Enrico Mattei, che nel 1956 aveva fondato pure Il Giorno, aveva compreso il summenzionato ruolo della stampa nelle dinamiche «democratiche» del padronato: decisamente)
Ora, scrive Dagospia, oltre ai tagli agli stipendioni come quello di Vittorio Feltri, sarebbero «previsti prepensionamenti a pioggia», «obbligo di strisciare il badge aziendale altrimenti la porta rimane chiusa (anche se il contratto giornalistico lo esclude)», «risparmio spasmodico per tutto: viaggi centellinati, gli inviati non vengono più inviati da nessuna parte (a meno che siano spesati e invitati da altri, immaginarsi che inchieste…) e tutti devono presenziare alla riunione del mattino dove Sallusti o non c’è o non dice una parola». In più non sarebbe «stato rinnovato neanche il noleggio dell’auto, concesso ai tempi di Paolo e Silvio Berlusconi».
Non siamo in grado di verificare l’indiscrezione, tuttavia possiamo anche dire che di questi dettagli non ci interessa nulla. È altro che ci fa sobbalzare.
Secondo la nota di Dagospia, ai grandi nomi dei due giornali «le spese legali sono ancora garantite per contratto, ma ai giornalisti no, tanto che un paio di cronisti hanno rischiato il licenziamento (per una querela)».
Viene buttato lì anche un elemento preciso «Filippo Facci, che ormai scrive per le pagine della cronaca di Milano, ha riferito in assemblea che si è dovuto pagare l’avvocato e una transazione economica da 30mila euro dopo una denuncia di un giudice antimafia».
Facci, per chi non lo conoscesse, è una delle penne più alte di cui dispone oggi il giornalismo italiano. Samurai del tardo craxismo, abbracciato quando era giovanissimo, a lui dobbiamo tantissime storie riguardo il vero volto di Mani Pulite. A lui dobbiamo la disamina precisa di azioni e trasformazioni della magistratura italiana. A lui dobbiamo inchieste eccezionali, che si sono susseguite nei decenni: ricordiamo quelle su Di Pietro, ma anche una, antica e profetica, sulla vita a Genova di Beppe Grillo prima che il suo partito sfondasse in Parlamento.
A Facci riconosco inoltre il fatto di essere l’unico, sia pur molto brevemente, ad aver accennato alla possibilità che una crisi degli oppioidi come quella americana possa scatenarsi nel nostro Paese.
Qualcuno può trovare Facci irritante, e in varie questioni dissentire con lui totalmente (è il caso dei vaccini). Bisogna capire però che senza una voce come la sua – cioè di un giornalista vero, un giornalista d’inchiesta – il discorso pubblico non può che morire. Nessuno dei compiaciuti canali della «controinformazione» può avere di che parlare, se prima non c’è qualcuno che, con le spalle coperte, si espone per tirare fuori la verità.
Se fosse vero quanto scrive Dagospia, dobbiamo chiederci se uno come Facci scriverà ancora, oppure, come detto, si occuperà solo della «cronache di Milano», magari nemmeno delle cose che gli piacciono come la classica alla Scala e le risse verbali con Fedez, perché ambo le cose potrebbero portare querele. Avvisiamo pure che la pagina Wikipedia inerente al Facci, al momento, risulta «bloccata», e scrive: «Attenzione: questa pagina è stata oscurata e protetta a scopo cautelativo a causa di una possibile controversia legale. Verrà eventualmente ripristinata alla fine della vicenda che la riguarda».
Per quanto mi riguarda, questa storia dei giornalisti privati della difesa legale del giornale rappresenta un elemento incontrovertibile della fine del giornalismo – o meglio, della sua trasformazione in senso neofeudale: da informazione a propaganda pure e semplice – più intrattenimento, cioè istupidimento.
Se il giornalista viene esposto al rischio della querela, non scriverà più nulla.
Se il giornalista non scava più, se le inchieste spariscono, l’informazione diviene puramente trasmissione alle masse delle volontà dell’oligarcato. I giornali (i siti, i TG, etc.) divengono puri imbuti che fanno colare i desiderata del potere sulla popolazione: uffici stampa, o nemmeno quelli, degli oligarchi. I quali oligarchi ora, a differenza dei tempi di Berlusconi-De Benedetti, magari non litigano nemmeno più (ordinandosi inchieste e campagne giornalistiche l’uno contro l’altro): sono tutti attovagliati al tavolone, e perché mai farsi la guerra? Perché mai desiderare un giornalismo fatto di ricerca della verità, e non di comunicati stampa misti a sciocchezze narcotiche?
Siamo preoccupati? Un po’, ma un po’ anche no. Con estrema cautela, e con estremo sacrificio, Renovatio 21 va avanti lo stesso – costi quello che costi.
Tuttavia il fatto rimane: fosse vero quanto scrivono, i segni della fine del giornalismo, cioè della fine di articoli che vale la pena di leggere, è dietro l’angolo, e minaccia sempre più di divenire un ingrediente del totalismo ultra-orwelliano che sappiamo essere avviato: Stato-partito, biosorveglianza, censura, financo vera e propria riforma del pensiero, cioè lavaggio del cervello universale.
Non cose di poco conto.
Per questo vi chiediamo di aiutare Renovatio 21 a continuare ad esistere.
Fatelo davvero. Perché dietro di noi l’editore paperone non c’è.
Roberto Dal Bosco
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Pensiero
Oligarchia e aristocrazia eurodemocratica mondialista, da Ventotene a Kalergi e oltre

“Non so se questa è la vostra Europa, ma certamente non è la mia”.
Applausi, soltanto applausi per il Presidente Meloni che demolisce la propaganda europeista usando il Manifesto di Ventotene. pic.twitter.com/ai0DtPmAIP — Francesco 🇮🇹 (@SaP011) March 19, 2025
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92 minuto di applausi all’ On. #Fornaro.#Meloni dimettiti, sei la vergogna di chi ha un briciolo di cervello in testa e l’orgoglio di chi usa il cranio solo per dividere le orecchie. pic.twitter.com/5wRxDA66eM
— Antonio nbo15🇪🇺🇮🇹 (@AntonioNbo15) March 19, 2025
E niente, dopo aver chiesto alla Meloni di inginocchiarsi davanti al #ManifestodiVentotene, il deputato dem @Fornaro62 scoppia in lacrime. pic.twitter.com/n4pTImMll9
— Francesca Totolo (@fratotolo2) March 19, 2025
Bravo premier: leggere in Parlamento passi come questo era la cosa migliore da fare. Trump lo sta indicando con chiarezza: sgonfiare il pallone di menzogne e corruzione dello Stato-partito è possibile, oltre che doveroso. Anche perché, sinceramente, non tutti capiscono da dove salta fuori questa cosa di Ventotene oramai assurto a culto di Stato. Crediamo che sia un’operazione di ridefinizione della storia (con occultamento di verità lapalissiane) nello stile che conosciamo: la guerra in Italia non l’anno vinta americani e inglesi (e i loro bombardieri, che mi racconta ancora oggi lo zio sopravvissuto, erano tanti da oscurare il cielo sopra una piccola città di provincia), macché, la vittoria è stata dei partigiani. Eccerto: e ce lo hanno ripetuto sino a che ciò non è divenuto dogma inscalfibile e fondamentale (la «Repubblica fondata dalla resistenza»), al contempo cancellando altri fattori del processo – e qui vorremo, al solito, fare il nome di James Jesus Angleton, la superspia americana cresciuta in Italia che fu «madre della CIA», poeta e stratega che fu con probabilità il vero padre dello Stato italiano del dopoguerra. E quindi: l’Europa non nasce da interessi geopolitici immani, e probabilmente non Europei. Viene piantata a Bruxelles, dove sta la NATO, per caso. L’Europa non nasce nemmeno da macchinazioni massoniche che affondano nei secoli. No, ora ci dicono che l’Europa Unita parte da tre signori messi al confino da Mussolini. Ecco, qui sorge una domanda, scusate: ma perché i fascisti, che sono tremendi, mandavano su un’isola i dissidenti invece di metterli in galera o peggio? Riconosciamo che per alcuni questa domanda suona come una bestemmia, ma non credo che ci possano dare una risposta. Il fascismo uccide Matteotti ma lascia vivere Spinelli? (È vero, tuttavia, che i fascisti uccisero Colorni: ci torneremo sotto)Elly Schlein su Ventotene “la Presidente Meloni ha deciso di oltraggiare la memoria europea e noi non accetteremo i vostri tentativi di riscrivere la storia…stiamo ancora aspettando che si dichiari antifascista!”#Schlein #Meloni #Ventotene#MELONI_CHE_SQUALLORE pic.twitter.com/co7uVyY3Qp
— Sirio 🏀 (@siriomerenda) March 19, 2025
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Pensiero
Mons. Viganò: la UE concepita per distruggere la sovranità nazionale

L’arcivescovo Carlo Maria Viganò ha scritto su X alcune considerazioni riguardo l’Unione Europea, tema più che mai attuale nel momento in cui questa chiede un riarmo del continente.
«L’Unione Europea è un’entità concepita per sottrarre sovranità alle Nazioni, assorbendole in un superstato tecnocratico totalmente asservito agli interessi di una ristrettissima oligarchia finanziaria, eversiva e criminale» accusa monsignore. «I principi che la ispirano, gli scopi che si prefigge e i mezzi che intende usare sono antitetici rispetto alla nostra identità, alla nostra civiltà, alla nostra Religione».
Viganò lancia quindi un accorato appello alle superpotenze planetarie.
«Il Presidente Putin e il Presidente Trump devono aver ben chiara la minaccia costituita dal globalismo guerrafondaio dell’Unione Europea, nella quale emergono sempre più evidenti i tratti di una dittatura contro i propri stessi cittadini. Ed anche se la questione ucraina sembra prossima ad una soluzione grazie ai colloqui tra Mosca e Washington, è indispensabile estromettere dalla scena politica internazionale quanti – come Macron, Starmer e Carney, ma anche von der Lyen e Draghi – si credono investiti di un ruolo che nessuno riconosce loro».
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«Quanto più emergeranno gli scandali e i conflitti di interesse di questi cortigiani dell’élite globalista – che la censura di regime non riesce più a insabbiare – tanto più la loro azione diverrà marginale e la loro presenza imbarazzante» dice l’arcivescovo lombardo.
Quindi un auspicio per il futuro, dove giudizio e castigo siano possibili per quanti hanno portato il continente sull’orlo del baratro.
«Un futuro di pace e di concordia tra i popoli è possibile solo dove gli eversori che da decenni tramano contro i loro popoli siano portati a rispondere dinanzi all’opinione pubblica dei propri tradimenti, dei propri crimini, delle proprie menzogne».
Come riportato da Renovatio 21, un mese fa in merito alla UE contraria l’accordo per la pace in Ucraina monsignor Viganò aveva dichiarato che «è a dir poco sconcertante vedere con quale cinismo l’Unione Europea e la NATO stiano cercando di impedire la fine di un conflitto provocato dall’élite globalista che manovra entrambi».
Quindi, «di fronte a questa ostinata determinazione a creare morte e distruzione, e ai vergognosi tentativi di ostacolare il processo di pace, dobbiamo esprimere il nostro sostegno a coloro che agiscono nell’interesse della pace e condannare apertamente le azioni dei guerrafondai asserviti al globalismo massonico».
In un discorso su governo mondiale e sinarchia del gennaio 2024, Viganò aveva detto che «in un certo senso, l’élite è riuscita a estromettere lo Stato dal suo ruolo naturale per favorire un super-Stato che agisce non nell’interesse della collettività, ma dell’élite stessa. Questo in definitiva è il ruolo dell’Unione Europea e del governo federale americano in mano al deep state».
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Immagine di Thijs ter Haar via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Economia
Draghi della distruzione: reloaded

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🚨⚠️ Draghi parla di cessione di sovranità come se fosse una banale chiacchiera da bar, minimizzando un tema cruciale con una leggerezza pericolosa, come se non fosse un tradimento delle fondamenta stesse della nostra nazione. 🇮🇹#eversione pic.twitter.com/HsoXSHvwbS
— Sabrina®️🇮🇹 (@SabrySocial) March 18, 2025
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