Civiltà
Deputato USA: la tirannia arriverà «dritta nel soggiorno di tutti molto, molto presto»
Il deputato del Partito Repubblicano Pennsylvania Scott Perry ha dichiarato che i suoi concittadini americani dovrebbero accettare il fatto che la «tirannia» entrerà nelle loro case sotto forma di agenti federali se si rifiutano di comportarsi bene con le autorità.
Perry, presidente dell’House Freedom Caucus, ha rivelato che l’FBI ha recentemente sequestrato il suo telefono, poche ore dopo che i federali avevano effettuato un raid nel complesso di Mar-a-Lago del presidente Trump.
«Un giorno dopo l’irruzione nella casa del presidente, gli agenti dell’FBI si sono presentati mentre viaggiavo con la mia famiglia, mia moglie ei nostri due bambini piccoli, i miei suoceri, la famiglia allargata», ha dichiarato Perry in un’apparizione su Fox News.
Il membro del Congresso ha raccontato come i federali «si sono presentati e hanno chiesto il mio cellulare, hanno detto che avrebbero immaginato che non lo avrebbero cercato e poi alla fine lo hanno restituito».
Perry, che siede nella commissione per gli affari esteri della Camera, ha inoltre dichiarato di «aver sempre sostenuto le forze dell’ordine. L’ho sempre fatto, abbiamo venerato l’FBI, ma questo è un abuso di potere».
«Non c’è stata alcuna responsabilità», ha continuato Perry, spiegando che «James Comey, il direttore dell’FBI ha utilizzato informazioni riservate in modo improprio per ottenere un secondo consiglio speciale, no, no, nessuna responsabilità per questo».
«Che si tratti di John Eastman, di Scott Perry, del presidente Trump e dell’approvazione di un disegno di legge che pagherà l’assunzione di 87.000 agenti dell’IRS, la tirannia entrerà nel soggiorno di tutti molto, molto presto», ha proclamato Perry.
«Si tratta di intimidire chiunque si rifiuti di piegare il ginocchio alla narrativa», ha ulteriormente avvertito il membro del Congresso.
«Questo è un abuso di potere e ovviamente stanno usando queste tattiche fiscali per intimidire le persone per costringere le persone».
«Chiunque non si pieghi in ginocchio, non sia intimidito, che non stia ripetendo a pappagallo la narrativa è ora soggetto a questo tipo di tattiche da repubblica delle banane del terzo mondo», ha sottolineato Perry.
Altrove durante l’intervista, Perry ha detto agli spettatori che «dovrebbe essere abbastanza evidente a chiunque sia stato vivo negli ultimi 5 anni che la famiglia Biden è completamente compromessa dal Partito Comunista Cinese».
Come riportato da Renovatio 21, i controversi intrecci economici tra il clan Biden e la Cina passano attraverso personaggi importanti dell’Intelligence cinese e forse addirittura per lo stesso presidente Xi Jinping.
A dimostrarlo ci sarebbe il contenuto del PC di Hunter Biden, in possesso dell’FBI da anni, ma sul quale le autorità mai hanno voluto davvero indagare.
Come noto, in questo momento di crisi energetica con il prezzo del carburante alle stelle per il comune cittadino americano, il presidente Biden a venduto 1 milione di barili dalla riserva di petrolio strategica USA all’azienda cinese in cui ha investito suo figlio Hunter.
Immagine di rachaelvoorhees via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
Civiltà
Condanna finita, ma nessuna notizia della blogger che raccontò la pandemia a Wuhan
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Cristiana in prima linea per i diritti umani a Shanghai, oggi quarantenne, Zhang Zhan avrebbe dovuto essere liberata oggi scontati i quattro anni di reclusione, ma alla famiglia è stato imposto il silenzio e non si hanno notizie certe su di lei. Gli attivisti che seguono il suo caso temono che la sua detenzione stia proseguendo sotto altre forme, come già accaduto in altri casi.
Trascorsi i quattro anni di carcere a cui era stata condannata con la classica accusa di «provocare litigi e creare problemi», oggi doveva essere il giorno della liberazione di Zhang Zhan, la blogger cristiana di Shanghai che nel febbraio 2020 si era recata a Wuhan e dalla città epicentro della pandemia da COVID-19 come «cittadina giornalista» per tre mesi aveva provato a raccontare quanto stava succedendo.
A fine giornata, però, dal carcere femminile di Shanghai dove ha scontato la sua detenzione non è ancora filtrata alcuna notizia. E la preoccupazione degli attivisti per i diritti umani è che la sua privazione della libertà stia semplicemente continuando sotto un’altra forma.
Quarant’anni, laureata alla Southwestern University di Chengdu, Zhang Zhan era un avvocato a cui a Shanghai le autorità locali avevano già sospeso la licenza a causa delle sue battaglie per i diritti umani. Era già stata arrestata una prima volta nel settembre 2019 per aver marciato con un ombrello su Nanjing Road a Shanghai, a sostegno delle proteste di Hong Kong.
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Alle prime notizie della pandemia si era quindi recata a Wuhan per documentare quanto stava succedendo, pubblicando un centinaio di video in tre mesi e rispondendo anche a domande di media internazionali. Arrestata nel maggio 2020 era diventata la prima blogger a essere condannata per le notizie diffuse sulla pandemia.
In una nota diffusa questa sera alle ore 19,30 di Pechino la campagna Free Zhang Zhan – che dalla Gran Bretagna ha tenuto accesi i riflettori sul suo caso – ha confermato che non è arrivata nessuna conferma sul fatto che la donna abbia effettivamente lasciato il carcere e sia tornata a casa.
«Sappiamo che la famiglia di Zhang Zhan è stata sottoposta a enormi pressioni e ha ricevuto un severo avvertimento a non rilasciare interviste ai media» si legge in una nota diffusa stasera. «Anche le telefonate degli amici sono rimaste senza risposta. Almeno un attivista di Shanghai nei giorni scorsi è stato convocato dalla polizia per aver espresso l’intenzione di andare a prendere Zhang Zhan all’uscita della prigione insieme alla madre. Un’attivista dell’Henan è stata intercettata in una stazione ferroviaria mentre cercava di recarsi a Shanghai; voleva salutare Zhang Zhan o almeno mostrarle solidarietà fuori dal carcere femminile, ma le è stato impedito di comprare il biglietto ferroviario».
La campagna Free Zhang Zhan parla di «segnali estremamente preoccupanti». «Se Zhang Zhan si troverà nella stessa situazione di Chen Jianfang (un’altra attivista che nell’ottobre 2023, quando è stata rilaciata dal carcere, è stata posta agli arresti domiciliari ndr), avrà poche possibilità di ricevere le cure mediche urgenti di cui ha bisogno per riprendersi. È assolutamente inaccettabile che il governo cinese sottoponga molti difensori dei diritti umani e le loro famiglie a questo tipo di crudeltà. Anche dopo il loro rilascio, sono ancora privati dei loro diritti fondamentali. Per alcuni è come se avessero ricevuto una condanna a vita».
«Avremmo già dovuto avere notizie da lei o dalla sua famiglia» conclude la nota. «Invece, ci chiediamo dove sia, come stia fisicamente e mentalmente, che cosa sia successo alla sua famiglia e che cosa le riservi il futuro: rimarrà prigioniera in casa sua (come accaduto a Chen Jianfang)? Sarà detenuta in una struttura medica senza accesso alla sua famiglia (come capitato all’attivista dell’Hubei Yin Xu’an)? Scomparirà forzatamente (come l’avvocato per i diritti umani Gao Zhisheng)? Il silenzio parla chiaro. Esortiamo la comunità internazionale a chiedere conto al regime comunista cinese della sua orrenda pratica di “detenzione morbida” o di “non rilascio” degli ex prigionieri politici».
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Civiltà
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Civiltà
Tutti contro lo spot con l’Eucarestia sostituita da una patatina. Ma il vero scandalo è il Concilio e la caduta della civiltà cristiana
Circola da ieri in rete l’indignazione per il nuovo spot pubblicitario di un noto marchio di patatine.
La storia è raccontata con il linguaggio tipico della pubblicità TV: mentre sullo sfondo odiamo la melodia dell’Ave Maria di Schubert, vediamo un gruppo di novizie di un convento che si allinea per ricevere la comunione dalle mani del parroco. Tuttavia, la prima a ricevere l’ostia consacrata si ritrova a masticare una patatina. Scopriamo quindi una suora ai margini del gruppo fa lo stesso direttamente dalla busta.
In pratica, una suora ha sostituito la Santa Eucarestia con delle patatine fritte prodotto industrialmente. La voce fuori capo è di una femmina che con voce languida dice «Il divino quotidiano».
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Il canale YouTube della casa di produzione specializzata in pubblicità, che sul sito dice di essere il marchio di una società a responsabilità limitata con sede in una località termale austriaca, ha caricato il video ieri. Al momento è ancora visibile.
È segnato il nome del regista, Dario Piana, che spiega il linguaggio classico, qualcuno direbbe un po’ antiquato, del filmato: si tratta di uno dei più grandi nomi della pubblicità TV italiana, certo forse conosciuto poco oltre la cerchia dei pubblicitari milanesi e della loro filiera, uno specialista ultrasettantenne con decenni di esperienza fatti negli anni d’oro dell’ascesa delle réclame nelle TV berlusconiane, una firma-garanzia vista per qualche ragione come il pinnacolo cui aspirare per chi vuole fare uno spottone per un’aziendona.
La pubblicità, scrivono i giornali, sarebbe visibile nei canali social dell’azienda, che ricordiamo è nota per aver fatto in passato spot con l’attore pornografico Rocco Siffredi, e polemiche per lo slogan scelto per la campagna pubblicitaria – «la patata tira».
Era inevitabile che i cattolici si incazzassero. Ha chiesto l’immediata sospensione dello spot che «offende la sensibilità religiosa di milioni di cattolici praticanti» una sigla chiamata AIART (Associazione Italiana Ascoltatori Radio e Televisione), che mai avevamo sentito prima e che dicono sia di ispirazione cattolica.
Secondo l’associazione dei catto-ascoltatori cui sarebbe oltraggioso «banalizzare l’accostamento tra la patatina e la particola consacrata», e si potrebbe parlare di un vero ricorso alla blasfemia: «strappare un applauso ad un pubblico compiacente con riferimenti blasfemi, è degradante per chi fa, o pretende di fare, pubblicità», dicono.
«Ci si appella al politically correct e alla cancel culture, ma solo contro la religione cristiana (ma solo quella) ci si sente autorizzati a qualsiasi obbrobrio?».
Notiamo che siamo davanti ad una posizione moderata. Quanto mostrato è gravissimo: perché la Santa Eucarestia è il centro della religione cristiana, o meglio è Cristo stesso, è Dio stesso.
L’Eucarestia è il miracolo fondamentale della fede cattolica. Insultare la Santa Comunione è offendere la Fede, e direttamente Dio in persona. Quei cattolici che credono si tratti di un atto perfettamente equivalente alla bestemmia, ragionano con logica basica, inevitabile.
Non per scandalizzarci, tuttavia, che scriviamo, aggiungendosi a quanti ora si battono il petto. Ricordiamo che qualche anno fa un gruppo di avvocati denunciò un cantante del concerto dei sindacati – quello del 1° maggio, dove ora si tifa per armi ucraine e vaccini – per aver simulato l’atto di consacrazione dell’Eucarestia con un preservativo – grande provocazione, davvero… se poi un giorno ci spiegano pure perché uno deve rivendicare felice di coprirsi la parte più sensibile del suo corpo con un pezzo di gomma sintetica che per soprammercato lo sterilizza). Non sappiamo quanta strada abbia fatto quella denunzia…
Non è la blasfemia ad essere rilevante qui, ma il come possa, contro ogni logica, essere prodotta. Perché c’è un grosso problema in tutta la storiella dello spot raccontato.
La trama è palesemente incongrua ed irreale, per il motivo semplice che prima di venire data ai fedeli, l’eucarestia viene consacrata. Che vuol dire, perfino nel rito postconciliare, innalzata dal sacerdote che pronuncia le formule necessarie a che avvenga la transustanziazione. Cioè: il prete della finzione pubblicitaria, avrebbe dovuto accorgersi che stava consacrando delle patatine. E nel caso il sacerdote fosse orbo od ubriaco, se ne sarebbero accorti i chierichetti, i fedeli, tutti.
In pratica: chi ha scritto e girato e mandato in giro lo spot, sembra ignorare come funziona una Messa, come funziona la Comunione. Ciò potrebbe includere una discreta quantità di persone che vanno dai geniali pubblicitari che l’hanno pensata, ai committenti che l’hanno accettata, ai produttori, al regista, alle maestranze presenti, agli attori, ai montatori, all’ufficio marketing dell’azienda, etc. Tanta gente. Nessuno a cui sia venuto il dubbio: ma non è che questa storia della pisside piena di patatine non tiene? Non è che qualcuno si può accorgere di questo errore narrativo gigantesco – quello che in gergo cinematografico è chiamato «buco di sceneggiatura»?
Qui, secondo noi, sta il vero scandalo. La società è talmente decristianizzata che pure nella blasfemia non c’è conoscenza della tradizione cattolica che si va a negare, o deridere, o anche solo a criticare. Non hanno idea di come sia fatta, eppure vogliono usare la chiesa cattolica e le sue forme, ci si avvicinano appena possono – un fenomeno che appare chiaro anche nel mondo LGBT, dove alla prima fessura che si apre gli attivisti omotransessualisti si ficcano nelle cattedrali, come visto nel caso di San Patrizio a Nuova York usato per le celebrazioni blasfeme di un transessuale argentino.
Va detto che gli LGBT, tuttavia, hanno in qualche modo presente cosa sia la chiesa, e questo spiega perché ne sono ossessionati. I pubblicitari, invece, non è detto che lo sappiano.
Quindi se non sanno quello che fanno, ci si chiede se si può parlare davvero di intenzioni blasfeme. Ma di questo non ci importa. Rileva realizzare come blasfema sia l’intera società post-cristiana dove, in mancanza di fede e pure di conoscenza basilare, cose come questa posson saltar fuori.
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La causa dell’abisso di bestemmia, sciatteria ed ignoranza in cui è caduta la società umana ha un nome ed un cognome: si chiama Concilio Vaticano II, la più grande catastrofe vissuta dall’umanità negli ultimi secoli, l’alterazione profonda del sistema operativo spirituale e personale di miliardi di persone, con conseguente sabotaggio dell’intera civiltà.
Prima del Concilio, lo scandalo dello spottino patatino era impensabile: non solo perché la gente non avrebbe mai accettato un’offesa del genere, non solo perché non gli sceneggiatori nemmeno l’avrebbero concepita, ma perché quasi tutti erano stati almeno una volta a Messa, e sapevano che l’Ostia, prima di essere distribuita, va consacrata pubblicamente (cosa perfino evidente nel nuovo rito, dove si fa ad populum, cioè rivolti ai fedeli).
Lo scandalo vero, dunque, non è la pubblicità blasfema, ma il Concilio che ci ha portato dove siamo ora, dove l’attacco a Dio pare scritto nel codice stesso dello Stato moderno.
E quindi: cari cattolici, cari telespettatori, cari cittadini sincero-democratici, cari democristiani, cari post-cristiani, avete voluto il Paese laico, adesso beccatevi la patatina ignorante, e tutta la sua filiera di lavoratori intellettuali strapagati.
Avete voluto detronizzare Cristo al punto da accostare il suo corpo ad una patata fritta, al punto da dimenticare perfino il rito centrale degli ultimi millenni; adesso proseguite pure con la cancellazione delle statue con donne che allattano e le vacanze scolastiche pel Ramadan.
Blasfemie a parte, lo scandalo è qui: nella decadenza del consorzio umano, nella caduta della civiltà cristiana.
Roberto Dal Bosco
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