Epidemie
COVID-19, perché non credere ai complotti
Circolano, oramai da mesi, tutte le possibili insinuazioni sulla diffusione del COVID-19.
Qualcuno ha cercato anche di far emergere la possibilità che esista un ceppo «domestico», italiano o per meglio dire «padano», un virus chesarebbe simile al nuovo Coronavirus. Non riusciamo a capire se questo porti ad un tentativo di difesa della Cina e del suo operato o ad un tentativo di banalizzare l’epidemia.
Il fatto che allo Spallanzani di Roma sia stato isolato il vero e proprio ceppo cinese mentre al Sacco uno sorta di virus autoctono, dimostrerebbe semplicemente il fatto che il virus in questione può mutare e adattarsi all’ambiente, questo rendendolo in realtà ancora più pericoloso ed infido.
In generale però alla pericolosità di questo virus molti, in certi ambienti, non sembrano crederci, continuando a paragonarlo ad un qualsiasi altro virus influenzale o, addirittura, ipotizzando che a Bergamo – tanto per fare un esempio – se la gente muore potrebbe essere a causa dell’inquinamento o di altri motivi.
Alla pericolosità di questo virus molti, in certi ambienti, non sembrano crederci, continuando a paragonarlo ad un qualsiasi altro virus influenzale o, addirittura, ipotizzando che a Bergamo se la gente muore potrebbe essere a causa dell’inquinamento o di altri motivi
A margine di questi argomenti si situa anche l’eterno emblema di una fetta di negazionisti che cercano di attribuire le morti a tutto, appunto, fuorché al COVID-19: morti «per» coronavirus o morti «con» coronavirus.
Il dott. Roberto Mezzetti, primario di chirurgia vascolare a Zongonia, provincia di Bergamo, è stato dirottato insieme a tanti altri suoi colleghi e specialisti verso un reparto dedicato al Covid.
Ieri ha raccontato al Corriere che due notti fa sono arrivati 26 pazienti, «senza questa emergenza sarebbero stati 5 o 6», giusto per capire le proporzioni.
Dalla Riabilitazione alla Chirurgia, i quattro piani di degenza sono stati trasformati in un maxi reparto COVID: pieno. Dai chirurghi agli ortopedici, tutti gli specialisti sono un’unica squadra. Divisi – spiega sostanzialmente Mezzetti – sarebbe impossibile farcela:
Dalla Riabilitazione alla Chirurgia, i quattro piani di degenza sono stati trasformati in un maxi reparto COVID: pieno
«L’emergenza è cresciuta in maniera esponenziale. Ti capita il quarantenne che respira, non ha bisogno di ossigeno oppure solo di piccole dosi, lo sottoponi alla tac e vedi una polmonite terribile. Ho visto morire pazienti che avevo operato anni fa, senza COVID non avrebbero avuto motivo di finire in ospedale. Per o con: di cosa stiamo parlando? Si muore per il coronavirus».
Il fatto è proprio questo: attaccarsi al tema della comorbilità è riduttivo, giacché in molti casi si parla di patologie con le quali la convivenza può durare tranquillamente anni senza recare alcun danno. Se si pensa, ad esempio, che fra le patologie da cui i soggetti morti per COVID-19 erano affetti vi sono le patologie cardiovascolari (situate al 13,2%) o il diabete (9,2%) o l’ipertensione (8,4%) se ne può dedurre che si tratta di patologie per le quali non è poi così automatico morire, anzi una larga fetta di popolazione ne è affetta e ci convive per anni e anni.
«Ho visto morire pazienti che avevo operato anni fa, senza COVID non avrebbero avuto motivo di finire in ospedale. Per o con: di cosa stiamo parlando? Si muore per il coronavirus»
Come dice giustamente il Dott. Mezzetti, la stragrande maggioranza dei pazienti, senza COVID-19, non sarebbe nemmeno finita in ospedale.
Va poi sottolineato che la terapia intensiva, in diversi casi, salva dalla morte quasi certa dal momento che questa infezione colpisce le vie respiratorie ed in particolare i polmoni. Vero è che i tagli alla sanità hanno fatto finire tutto il sistema sanitario sotto l’attuale pressione, ma allora perché lo stesso, come già mostrato, non è successo con qualsiasi altro tipo di influenza? Influenza la quale, fra l’altro, in alcuni casi dicono aver fatto più morti (tutti comunque da verificare, se si tiene in considerazione che le farmaceutiche avevano l’urgente obiettivo di pompare in mondovisione il vaccino antinfluenzale), ma con un contagio mai contrastato con misure restrittive e, quindi, distribuito su scala nazionale senza alcun tipo di problema.
Se il numero di contagi da Covid-19 fossero gli stessi di una qualsiasi influenza stagionale lasciata circolare, quanti morti credete che avremmo già, senza aver raggiunto ancora alcun picco e pur avendo attuato misure restrittive degne della totalitaria Cina?
La stragrande maggioranza dei pazienti, senza COVID-19, non sarebbe nemmeno finita in ospedale
I morti qui esistono già, erano alti sin dalle prime due settimane, non paragonabili rispetto a quelli dell’influenza stagionale all’inizio del suo circolo. Si contano giorno dopo giorno e a Bergamo il problema dei forni crematori sempre accesi e delle 13 pagine di necrologi non sono ancora stati spiegati con logico realismo.
Parlando con alcune mamme bergamasche per la libertà di scelta, combattenti delle prima ora, mi è stato risposto che «stavolta i vaccini non c’entrano niente. Si ammalano persone di ogni età, genitori per la libertà di scelta e bambini che non hanno mai ricevuto alcun vaccino. Muoiono persone che non si sono mai fatti iniettare un’antinfluenzale in vita loro».
Ci dicono delle mamme bergamasche per la libertà di scelta: «stavolta i vaccini non c’entrano niente. Si ammalano persone di ogni età, genitori per la libertà di scelta e bambini che non hanno mai ricevuto alcun vaccino. Muoiono persone che non si sono mai fatti iniettare un’antinfluenzale in vita loro»
La tesi del «è tutta colpa del vaccino!», questa volta, deve farsi da parte e lasciare spazio a considerazioni intellettualmente più oneste.
Se vi sia stato un problema a livello di lotti vaccinali – non lo escludiamo –, quello potremo verificarlo solo dopo, ma dal momento che gli stessi genitori per la libertà di scelta ci dicono che stavolta c’è qualcosa di diverso dai vaccini, non possiamo far altro che rimanere convinti di ciò che abbiamo sempre sostenuto: il COVID-19 i morti li fa, portandosi via vite umane in un modo inspiegabile e in un arco di tempo talmente breve da non lasciare nemmeno il tempo per rendersene conto.
Se l’80% della popolazione contagiata supera la malattia con sintomi lievi o addirittura assenti, il restante 20% è in balia del caso, cioè di un virus che attecchisce in un modo virulento ma anche aggressivo, portandosi via una percentuale non irrisoria di quel 20% che i sintomi li presenta necessitando del ricovero ospedaliero – chi in reparto e chi, meno fortunato, in rianimazione.
Fra i contagiati l’8% sono operatori sanitari: o gli operatori sanitari non sono stati messi nelle condizioni di lavorare in sicurezza oppure il virus ha una forza di contagio talmente alta da superare anche le barriere create dai dispositivi di protezione individuale di cui il nostro SSN già scarseggia
Fra i contagiati l’8% sono operatori sanitari: un dato impressionante. Ciò può significare due cose: o gli operatori sanitari non sono stati messi nelle condizioni di lavorare in sicurezza, cioè senza i DPI adatti, oppure il virus ha una forza di contagio talmente alta da superare anche le barriere create dai dispositivi di protezione individuale di cui il nostro SSN già scarseggia.
Fatto sta che questi dispositivi, aldilà del negazionismo che taluni invocano anche in questo frangente, possono essere di grande aiuto pure nella normale popolazione non impegnata nell’ambito sanitario o a stretto contatto con pazienti COVID, se utilizzati nel modo corretto. Basterebbe semplicemente che il Ministero della Salute fornisse informazioni più precise circa il loro utilizzo, non limitandosi solo a dire di lavarsi le mani spesso (che anche su questo fronte le persone andrebbero istruite ad un corretto e metodologico lavaggio, distinguendo tra lavaggio sociale, antisettico e chirurgico), ma specificando come indossare le mascherine, quando cambiarle e quando, dove e come utilizzare eventualmente i guanti monouso.
Realismo, presa di coscienza e piedi ancorati a terra sono l’unica ricetta culturale ed intellettualmente onesta per affrontare questa enorme prova a cui l’umanità è sottoposta
È indubbio che il virus ora stia particolarmente prolificando all’interno degli ospedali, probabilmente essendo entrato all’interno degli impianti di aerazione degli edifici più vecchi e meno all’avanguardia dal punto di vista strutturale. Pur con queste misure restrittive, infatti, pare non esservi traccia di un ritorno, quasi che nessuna di queste manovre che stanno costando sacrificio e danni enormi di cui ancora non possiamo ipotizzare l’entità, stesse pagando. Si è registrata ieri, certo, una lieve flessione, ma è ancora troppo poco.
I contagi aumentano giorno dopo giorno, e chi parla di «falsi positivi» dovrebbe invece, per onore della verità, tenere conto non solo di tutti i falsi negativi che si verificano, ma anche di tutti i soggetti asintomatici che continuano, forse anche attraverso le strutture ospedaliere e non solo attraverso droplet, a propagare l’infezione.
Non con la superficialità e nemmeno con la sindrome da complotto perenne potremo dimostrare, oggi più che mai, di che pasta siamo realmente fatti
Realismo, presa di coscienza e piedi ancorati a terra sono l’unica ricetta culturale ed intellettualmente onesta per affrontare questa enorme prova a cui l’umanità è sottoposta.
Non con la superficialità e nemmeno con la sindrome da complotto perenne potremo dimostrare, oggi più che mai, di che pasta siamo realmente fatti.
A noi la scelta sul come combattere questa battaglia che Dio ha evidentemente voluto che ci ritrovassimo a combattere qui, ora, in questo preciso momento storico.
Cristiano Lugli
Epidemie
Gli Stati Uniti sotto l’amministrazione Trump non celebreranno più la Giornata mondiale contro l’AIDS
Per la prima volta dal 1988, l’amministrazione statunitense ha deciso di non proclamare il 1º dicembre come «Giornata mondiale contro l’AIDS». Lo riporta il
In una circolare indirizzata al personale, il Dipartimento di Stato ha esplicitamente vietato l’impiego di risorse pubbliche per onorare tale ricorrenza.
La misura si inquadra in una linea direttiva più ampia che impone di «evitare di veicolare comunicazioni in occasione di qualsivoglia giornata commemorativa, ivi inclusa quella dedicata alla lotta contro l’AIDS».
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Ai funzionari è stato ordinato di «rinunciare a qualsivoglia promozione pubblica della Giornata mondiale contro l’AIDS tramite canali di diffusione, inclusi social network, apparizioni mediatiche, orazioni o altri annunci rivolti all’opinione pubblica».
«Una giornata di sensibilizzazione non costituisce una strategia», ha dichiarato al quotidiano il portavoce del dipartimento di Stato Tommy Pigott. «Sotto la presidenza Trump, il Dipartimento opera in sinergia con governi esteri per preservare vite umane e promuovere maggiore accountability e compartecipazione agli oneri».
In una nota ad ABC News, il portavoce della Casa Bianca Kush Desai ha liquidato il Presidential Advisory Council on HIV/AIDS (PACHA) come un «ente prevalentemente simbolico i cui componenti sono immersi in un’inutile kermesse di relazioni pubbliche, svincolata dal concreto impegno dell’amministrazione Trump contro HIV e AIDS».
Dall’esordio dell’epidemia negli anni Ottanta, circa 300.000 uomini gay negli Stati Uniti hanno perso la vita per complicanze legate all’AIDS.
Negli ultimi quarant’anni, a livello globale, oltre 44 milioni di individui sono deceduti per AIDS; nel 2024, la malattia ha causato circa 630.000 morti. Le cure per l’AIDS furono inizialmente oggetto di feroci critiche da parte degli stessi omosessuali, che si scagliavano apertamente contro l’allora figura principale della lotta alla malattia Anthony Fauci.
Come riportato da Renovatio 21, il Fauci, mentre proponeva farmaci altamente tossici e faceva esperimenti allucinanti con gli orfani di Nuova York, arrivò a dire in TV che l’HIV era trasmissibile per «contatti domestici».
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Ora il tema dell’AIDS è più raramente utilizzato dalla comunità omosessuale, dove una frangia – i cosiddetti bugchasers e gift givers – si impegna incredibilmente nell’infezione volontaria del morbo. Grindr, l’app per incontro gay, per un periodo presentava pazzescamente su ogni profilo la spunta sulla sieropositività dell’utente.
Come riportato da Renovatio 21, quattro anni fa studio avanzato sul vaccino contro l’HIV in Africa condotto dalla multinazionale farmaceutica Johnson & Johnson era stato interrotto dopo che i dati hanno mostrato che le iniezioni offrivano solo una protezione limitata contro il virus. Lo studio era stato finanziato da Johnson & Johnson, dall’immancabile Bill and Melinda Gates Foundation e dal National Institutes of Health, la Sanità Nazionale USA dove il dominus (in realtà a capo del ramo malattie infettive) è Tony Fauci, che già in modo molto controverso – e fallimentare – si era occupato dell’AIDS allo scoppio dell’epidemia negli anni Ottanta.
Il premio Nobel Luc Montagnier sconvolse il mondo, attirandosi censure dei social tra fact checker e insulti, disse che analizzando al microscopio il SARS-nCoV-2 aveva notato delle strane somiglianze con il virus HIV – per la scoperta del quale Montagnier vinse appunto il Nobel. «Per inserire una sequenza HIV in questo genoma, sono necessari strumenti molecolari, e ciò può essere fatto solo in laboratorio» disse Montagnier in un’intervista per il podcast Pourquoi Docteur. Oltre a supportare l’allora screditatissima ipotesi del virus creato in laboratorio a Wuhan, Montagnier metteva sul piatto un’idea ancora più radicale: quella di un vaccino anti-AIDS come possibile origine del coronavirus.
Nel 2021 Moderna, azienda biotecnologica salita alla ribalta per il vaccino mRNA contro il COVID – il primo prodotto mai distribuito della sua storia aziendale – si era dichiarata pronta per iniziare la sperimentazione sugli esseri umani per il primo vaccino genico contro l’HIV. L’anno scorso era emerso che i test avevano riscontrato un effetto collaterale alla pelle, con una percentuale insolitamente alta di riceventi ha sviluppato eruzioni cutanee, pomfi o altre irritazioni cutanee.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
Epidemie
Solo 1 tedesco su 7 con test PCR positivo aveva l’infezione da COVID
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I test PCR hanno portato a un «significativo sovrastima» delle infezioni da COVID
Lo studio condotto da tre ricercatori tedeschi, pubblicato il mese scorso su Frontiers in Epidemiology, ha utilizzato due modelli matematici per analizzare quanto i risultati dei test PCR fossero allineati con i risultati degli esami del sangue per la ricerca degli anticorpi SARS-CoV-2. I risultati si basano sui dati ottenuti da laboratori accreditati in Germania che hanno gestito circa il 90% dei test PCR nel Paese da marzo 2020 all’inizio del 2023 e che hanno anche eseguito test del sangue per la ricerca di anticorpi (IgG) fino a maggio 2021. I ricercatori, Michael Günther, Ph.D., Robert Rockenfeller, Ph.D., e Harald Walach, Ph.D., hanno affermato che i loro modelli hanno allineato i dati dei test PCR che rilevano «piccole porzioni di materiale genetico virale nel naso o nella gola» e i test sugli anticorpi che mostrano se il sistema immunitario di una persona «ha risposto a un’infezione reale settimane o mesi prima». Hanno detto al Defender: «Quando abbiamo confrontato il numero di positivi alla PCR con i risultati successivi degli anticorpi, solo circa 1 persona su 7 positiva alla PCR ha mostrato il tipo di risposta immunitaria che indica una vera infezione. Con ipotesi conservative, la percentuale potrebbe essere più vicina a 1 su 10». La loro analisi ha anche mostrato che entro la fine del 2021, «quasi tutti» in Germania erano stati «contagiati, vaccinati o entrambi». Secondo il modello matematico dello studio, il dato di 1 su 7 relativo al test PCR è «quasi perfettamente» in linea con un tasso di immunità dell’intera popolazione a fine anno del 92%. I ricercatori hanno spiegato che i test sugli anticorpi «ci dicono che una persona è stata infettata in un momento qualsiasi dell’ultimo anno circa», mentre un risultato positivo al test PCR può indicare un’infezione, o «una breve esposizione senza infezione, frammenti virali residui o un rilevamento a livelli molto bassi che non portano mai alla malattia». Hanno affermato che il loro studio ha dimostrato che solo circa il 14% dei test PCR positivi corrispondeva a infezioni reali che avevano attivato gli anticorpi IgG, il che suggerisce che i test PCR hanno portato a un «significativo sovrastima» delle infezioni.Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
I test PCR di massa «aumentano la quota relativa di falsi positivi»
I critici delle politiche ufficiali sul COVID-19 hanno spesso citato la dipendenza dai test PCR e le incongruenze nelle soglie virali utilizzate per generare un risultato «positivo» del test. Karl Jablonowski, Ph.D., ricercatore senior presso il CHD, ha affermato che i test PCR sono uno strumento inaffidabile per rilevare e tracciare le epidemie di malattie infettive. Ha citato un incidente del 2006 al Dartmouth-Hitchcock Medical Center, dove una presunta epidemia di pertosse ha portato a 134 risultati positivi ai test. «Sono state distribuite oltre 1.300 prescrizioni di antibiotici e 4.500 persone sono state vaccinate profilatticamente», nonostante non ci fossero «casi confermati in laboratorio». L’ uso improprio dei test PCR ha portato le autorità sanitarie a dichiarare falsamente un’epidemia, ha affermato. Un test PCR «non è un test diagnostico per una popolazione», ha affermato Jablonowski. «È meglio usarlo come test di conferma, essenzialmente per rispondere alla domanda “Quale virus ti ha infettato?” e non “Sei infetto?”». I ricercatori tedeschi hanno affermato che i loro risultati non indicano che la tecnologia PCR sia «imperfetta come metodo di laboratorio». Tuttavia, lo studio dimostra che il modo in cui i test PCR sono stati utilizzati per i test di massa durante la pandemia «non ha indicato in modo affidabile quante persone siano state effettivamente infettate». Hanno affermato che i test PCR rilevano in modo affidabile frammenti di DNA virale, anche in «quantità estremamente piccole» che «non rappresentano alcun rischio di infezione», ma non sono in grado di stabilire se il virus si sta replicando nell’organismo. I risultati positivi non dovrebbero essere utilizzati «come indicatori di infezione», perché i test PCR di massa «aumentano la quota relativa di falsi positivi», hanno concluso i ricercatori.Aiuta Renovatio 21
I test PCR di massa hanno causato «danni sociali, economici e personali non necessari»
L’affidamento dei governi ai risultati dei test PCR per monitorare i livelli di infezione da COVID-19 ha portato a restrizioni legate alla pandemia che hanno contribuito a «danni sociali, economici e personali non necessari», hanno affermato i ricercatori. I governi hanno utilizzato i risultati dei test PCR per giustificare rigide restrizioni, nonostante le agenzie sanitarie pubbliche avessero accesso a dati di test sugli anticorpi di qualità superiore. «Erano disponibili informazioni migliori di quelle comunicate pubblicamente», hanno affermato i ricercatori. Ciò ha sollevato «seri interrogativi sulla trasparenza e sul fatto che le politiche fossero basate sui dati più informativi disponibili». Jablonowski ha affermato che nei primi giorni della pandemia, i test PCR hanno probabilmente fornito un quadro più accurato della diffusione dell’infezione, poiché i kit per i test erano scarsi e venivano quindi utilizzati su coloro che avevano maggiori probabilità di essere infettati. Ma man mano che i test diventavano più facilmente disponibili, «venivano utilizzati su persone asintomatiche e obbligatori per i ricoveri ospedalieri, i viaggi aerei, i datori di lavoro e molte altre attività ad accesso controllato», ha affermato Jablonowski. Gli autori dello studio tedesco hanno affermato che un approccio più scientificamente valido avrebbe incluso dati più accurati sui test PCR che mostravano i risultati in proporzione al numero di test eseguiti, un monitoraggio di routine dei livelli di anticorpi nella popolazione e una «comunicazione trasparente… che indicasse chiaramente cosa la PCR può e non può misurare». «Questo insieme di pratiche… dovrebbe guidare le future politiche di sanità pubblica», hanno affermato i ricercatori. Documenti del governo tedesco trapelati lo scorso anno suggerivano che la risposta ufficiale del Paese alla pandemia di COVID-19 si basava su obiettivi politici e che le contromisure e le restrizioni raccomandate dalla Germania spesso contraddicevano le prove scientifiche. Durante un’intervista del 2022 al podcast «RFK Jr. The Defender Podcast» di Robert F. Kennedy Jr., il matematico Norman Fenton, Ph.D., ha affermato che i funzionari governativi di tutto il mondo hanno manipolato i dati dei test PCR per esagerare l’entità della pandemia. Jablonowski ha affermato che «l’isteria dei test PCR obbligatori ha preparato la mentalità della popolazione alle vaccinazioni obbligatorie che sarebbero arrivate. I test non avevano nulla a che fare con la salute della popolazione, ma solo con il controllo della popolazione». I test PCR per il COVID-19 sono molto meno diffusi oggi rispetto al picco della pandemia. Tuttavia, i ricercatori hanno affermato che il loro studio «è importante oggi perché l’errore strutturale che rivela – trattare i positivi alla PCR come infezioni – non è stato corretto». «Dato che ci troviamo di fronte a nuovi agenti patogeni, come l’influenza aviaria , affidarci solo alla PCR rischia di ripetere gli stessi errori», hanno affermato i ricercatori.Iscriviti al canale Telegram ![]()
Risposta «polarizzata», poiché i risultati «mettono in discussione le ipotesi che hanno plasmato la politica pandemica»
I ricercatori hanno affermato di aver incontrato «notevoli difficoltà» nel pubblicare il loro articolo. Tra queste, il rifiuto da parte di altre sei riviste, di cui solo due hanno inviato il manoscritto per la revisione paritaria. Queste riviste hanno cercato di «proteggere la narrativa prevalente, piuttosto che affrontare il nocciolo della nostra analisi», hanno affermato i ricercatori. I ricercatori hanno affermato che due dei tre revisori originali di Frontiers in Epidemiology «si sono ritirati dai loro incarichi». Ciò ha costretto la redazione a reclutare un quarto revisore, ritardando la pubblicazione dell’articolo. La risposta all’articolo è stata «polarizzata», hanno affermato. «Alcuni lettori hanno accolto con favore il confronto quantitativo dei dati PCR e IgG, ritenendolo in ritardo, mentre altri hanno messo in dubbio le implicazioni dello studio o hanno tentato di liquidarlo senza approfondire la metodologia di base». Ciò non sorprende, «dato che i risultati mettono in discussione i presupposti che hanno plasmato la politica pandemica», hanno affermato. Michael Nevradakis Ph.D. © 26 novembre 2025, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD. Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Epidemie
Il CDC chiude i laboratori con scimmie tra i timori della tubercolosi
Il CDC, l’ente nazionale USA per il controllo epidemico, porrà fine a ogni indagine su primati non umani svolta nelle sue sedi, costituendo la prima occasione dal ritiro degli scimpanzé da parte dei National Institutes of Health nel 2015 in cui un’agenzia sanitaria federale di primo piano ha decretato la cessazione totale di un proprio protocollo interno sulle scimmie. Lo riporta la rivista Science.
Tale determinazione coinvolge approssimativamente 200 macachi alloggiati nel complesso di Atlanta dei CDC. Un portavoce dell’agenzia ha attestato a Bloomberg che si sta approntando un programma di smantellamento, pur astenendosi dal delineare scadenze precise o sul destino degli esemplari.
La scelta matura all’indomani di lustri di contestazioni da parte di associazioni per la tutela animale e taluni ricercatori, i quali lamentano che i paradigmi su scimmie abbiano generato un apporto traslazionale scarso, soprattutto nella elaborazione di sieri anti-HIV, ove decine d’anni di analisi su primati non hanno ancor prodotto un rimedio omologato. I CDC hanno invocato tanto sensibilità etiche quanto un viraggio tattico verso opzioni antropomorfe, come sistemi organ-on-a-chip, colture cellulari evolute e simulazioni algoritmiche, quali elementi cardine della risoluzione.
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In via distinta, i CDC hanno affrontato episodi di vulnerabilità biosicurezza legati a primati importati. Archivi interni scrutinati dall’organizzazione animalista PETA rivelano che, dal 2021 al 2024, i vagli di quarantena hanno smascherato 69 episodi di tubercolosi nei macachi in transito, con ulteriori 16 occorrenze scoperte post-liberazione verso i laboratori.
«La PETA ha allertato i CDC sin dal 2022 che il loro circuito di importazione di scimmie configura una mina vagante per la tubercolosi», ha dichiarato la dottoressa Lisa Jones-Engel, consulente scientifico per la sperimentazione sui primati della PETA. «Nondimeno, la loro ostinata miopia ha consentito a un pericolo biosicuro manifesto di infiltrarsi negli Stati Uniti. Invitiamo i CDC a interrompere l’afflusso di scimmie nei laboratori, a tutela della salute collettiva, della validità scientifica e degli stessi primati».
La dismissione progressiva si allinea a iniziative federali più estese per comprimere la sperimentazione su animali. Ratificato nel 2022, il Modernization Act 2.0 della Food and Drug Administration (FDA) ha soppresso l’esigenza di prove animali preliminari alla sperimentazione umana, mentre NIH, EPA e FDA hanno esteso gli stanziamenti per metodiche prive di impiego animale.
«Questa svolta è epocale. Per la prima volta, un ente statunitense opta per una scienza contemporanea e umana anziché per un apparato obsoleto di test su scimmie», ha esultato Janine McCarthy, direttrice facente funzioni delle politiche di ricerca al Physicians Committee for Responsible Medicine. «Ora i CDC dovrebbero destinare quei budget alla ricerca antropocentrica e assicurare che queste scimmie siano ricollocate in santuari per il resto dei loro giorni».
«I CDC hanno appena trasmesso un segnale all’intero ecosistema biomedico: l’epoca degli esperimenti su scimmie è conclusa», ha soggiunto McCarthy.
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