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Bioetica

Considerazioni sull’utilizzo di linee cellulari provenienti da bambini abortiti allo stadio fetale

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Renovatio 21 pubblica questo testo dell’avv. Maria Cecilia Peritore.

 

 

 

L’occasione della riflessione nasce dalla – ormai acclarata – circostanza secondo la quale, nello sviluppo dei vaccini anti-SARS-CoV-2, sono impiegate linee cellulari ricavate da materiale biologico derivante da organi o tessuti prelevati da bambini abortiti allo stadio fetale. 

 

È bene premettere che le cellule in questione sono state espiantate, se non sempre, in un gran numero di casi ampiamente documentati (1), da bambini funzionalmente abortiti; e che le modalità dell’interruzione di gravidanza sono state fortemente condizionate dalle esigenze tecniche della sperimentazione, essendo necessario che il prelievo avvenisse da tessuti vivi, di bambini dissezionati vivi.  

 

Ma perché prelevare da bimbi abortiti e non da donatori di organi?

 

Perché le cellule embrionali e fetali (2) sono idonee ad una riproduzione differenziata pressoché infinita,e risultano immunologicamente incontaminate. Di fatto lo sviluppo della ricerca si è basato su prerogative superumane (potenza creativa e purezza), abusando, quindi, della natura angelica, senza macchia, di questi piccolissimi innocenti sacrificati.

 

Il quesito etico concerne, in primo luogo, la legittimità della sperimentazione svolta a partire da un aborto (e, analogamente, da materiale biologico derivante da embrioni soprannumerari); secondariamente, la liceità o scusabilità delle modalità di prelievo da organismi umani vivi, soprattutto quando queste siano la causa diretta della morte dell’abortito; in ultimo, la giustificabilità dell’utilizzo, da parte dell’utente finale, di prodotti che impieghino tale «materiale biologico» nelle fasi di ricerca e/o produzione.  

 

  

La posizione assunta dalla Chiesa Cattolica 

 

Le Riflessioni del 2005

Il primo intervento sulla questione, per la verità assai poco reperibile nella divulgazione, è costituito dalle Riflessioni morali sui vaccini preparati da cellule derivate da feti umani abortiti (3) della Pontificia Accademia per la Vita, pubblicate il 9 giugno 2005.

 

L’Accademia osserva che potrebbe prospettarsi una contraddizione nella condotta di chi, per un verso, condanna l’aborto volontario e, per altro verso, ammette l’uso di vaccini prodotti servendosi di materiale biologico derivato da feti abortiti. Si tratterebbe di cooperazione al male?

 

Lo studio dell’Istituzione pontificia distingue tra cooperazione formale e materiale, precisando che vi sarebbe cooperazione formale quando tra i due agenti vi fosse condivisione dell’intenzione illecita.

 

La cooperazione sarebbe materiale in assenza di tale condivisione d’intenti e si distinguerebbe in immediata o diretta (allorché vi sia cooperazione esecutiva nell’atto) e mediata o indiretta (allorché le condotte degli agenti, restando indipendenti, realizzino le condizioni o forniscano strumenti, o prodotti, tali da agevolare l’atto illecito). Infine, si distingue tra cooperazione prossima e cooperazione remota. (4)

 

Dopo avere esaminato le varie forme di cooperazione, l’Accademia conclude prospettando: il dovere di usare i vaccini alternativi; il dovere di invocare l’obiezione di coscienza; il dovere di promuovere i vaccini alternativi e di usarne solo nella misura in cui ciò sia necessario per evitare un pericolo grave per la salute dei propri figli e della popolazione.

 

 

Il riferimento alla morale alfonsiana

La categoria della cooperazione materiale è ripresa in particolar modo dall’insegnamento di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori (5), che ammette la liceità della condotta di cooperazione materiale qualora ricorrano tre condizioni: 1) che la condotta sia di per sé buona o almeno indifferente, cioè non sia di per se stessa illecita; 2) che la condotta sia dettata da motivazione ragionevole e da buona intenzione, e che non sia di aiuto al peccato; 3) che il soggetto non abbia l’obbligo di impedire l’evento. (6) 

 

Il ragionamento dell’Accademia iscrive quindi l’utilizzo delle linee cellulari in questione nella categoria della cooperazione al male e ne disapprova l’utilizzo ponendo una graduazione di colpa a seconda della condotta dell’agente, distinguendo se formale o materiale, se diretta o indiretta, se prossima o remota al male identificato con l’aborto. Offre quindi agli utilizzatori una giustificazione morale consistente nello «stato di necessità» legato alle esigenze della salute pubblica e familiare e alla indisponibilità di altri vaccini.

 

Questa impostazione, nella quale si coglie già una sorta di cesura logica tra la premessa (illiceità dell’aborto innanzitutto e, poi, della sperimentazione) e la conclusione (liceità dell’utilizzo sia pure in via di eccezione), è stata nel tempo revisionata con l’accentuazione dei profili di distanza dall’atto e di costrizione della coscienza nell’utilizzatore finale.

 

   Volendo, tuttavia, ricondurre il ragionamento nell’alveo dell’originale insegnamento alfonsiano, non sembrano ravvisabili nel caso in questione le tre condizioni sopra richiamate, per le quali la condotta di cooperazione materiale possa essere qualificata come lecita ovvero scusabile.

 

La prima di tali condizioni è che la condotta sia di per sé lecita, ossia buona o almeno indifferente.

 

Ora, non sembra potersi dubitare della illiceità in sé della condotta dei sanitari che operano il prelievo di tessuti da feto vivo, con modalità contrarie al rispetto della dignità della creatura umana.

 

Parimenti illecita pare la condotta dei ricercatori che, consapevoli delle modalità di reperimento e prelievo del «materiale biologico» in questione, ne fanno uso legittimando in tal modo l’industria dell’aborto e della sperimentazione.

 

A tutto concedere, «indifferente» potrebbe essere considerata la condotta di chi utilizza il vaccino qualora non vi sia consapevolezza della provenienza abortiva, anche se la gravità della materia di che trattasi ne rende di per sé inaccettabile l’utilizzo senza adeguata ponderazione.

 

 

La seconda di tali condizioni riguarda la motivazione ragionevole e la buona intenzione, purché non agevoli comunque il peccato. L’oggettiva agevolazione al peccato, quindi, costituisce in colpa l’agente anche qualora l’intenzione fosse buona. Il che certamente accade nel caso di specie, poiché l’utilizzo di «materiale biologico» proveniente da aborti indubbiamente rappresenta un’agevolazione per l’aborto stesso ed ancor più per l’aborto praticato con le specifiche modalità di cui s’è prima fatto cenno.

 

La terza condizione è che l’agente non abbia l’obbligo di impedire l’evento. A tal proposito appare indubitabile che il medico sia tenuto ad operare per la salute di ogni persona, ivi compreso il bambino-feto, evitando le sofferenze non finalizzate alla sua cura. Né il principio trova deroga allorché si intenda perseguire un progresso scientifico a beneficio della collettività, non essendo comunque consentito servirsi della sofferenza individuale e del sacrificio umano, specie se non volontario, per un ipotetico bene comune.

 

 

L’Istruzione del 2008

Il tema viene successivamente ripreso dalla Congregazione per la Dottrina della Fede con l’Istruzione Dignitas personae – Su alcune questioni di bioetica pubblicata l’8 settembre 2008. (7)

 

Secondo la Congregazione «l’uso degli embrioni o dei feti umani come oggetto di sperimentazione costituisce un delitto nei riguardi della loro dignità di esseri umani, che hanno diritto al medesimo rispetto dovuto al bambino già nato e ad ogni persona. Queste forme di sperimentazione costituiscono sempre un disordine morale grave».

 

Si condanna ancora una volta l’utilizzo del «materiale biologico di origine illecita» ma si conferma il criterio della distanza rispetto al fatto illecito (aborto) per una graduazione di responsabilità che finisce per elidere quella dell’utente finale (l’utilizzatore del vaccino, costretto da una sorta di necessità derivante dalla indisponibilità di vaccini «etici»).

 

 

La Nota del 2017

Con la Nota circa l’uso dei vaccini (8), pubblicata il 31 luglio 2017,la Pontificia Accademia per la Vita, unitamente all’Ufficio per la Pastorale della Salute della CEI e all’Associazione dei Medici Cattolici Italiani, riprende i temi sviluppati nello studio del 2005, rimarcando ancora il concetto di distanza dal male.

 

Di fatto, però, ribalta le conclusioni cui era pervenuta in precedenza l’Accademia medesima: la giustificazione, provvisoria e dettata da stato di necessità, diventa ora una vera e propria «assoluzione»; e ciò

 

«… in considerazione del fatto che le linee cellulari attualmente utilizzate sono molto distanti dagli aborti originali e non implicano più quel legame di cooperazione morale indispensabile per una valutazione eticamente negativa del loro utilizzo.  [] Per quanto riguarda la questione dei vaccini che nella loro preparazione potrebbero impiegare o avere impiegato cellule provenienti da feti abortiti volontariamente, va specificato che il male in senso morale sta nelle azioni, non nelle cose o nella materia in quanto tali. Le caratteristiche tecniche di produzione dei vaccini più comunemente utilizzati in età infantile ci portano ad escludere che vi sia una cooperazione moralmente rilevante tra coloro che oggi utilizzano questi vaccini e la pratica dell’aborto volontario. Quindi riteniamo che si possano applicare tutte le vaccinazioni clinicamente consigliate con coscienza sicura che il ricorso a tali vaccini non significhi una cooperazione all’aborto volontario».

 

Desta perplessità la considerazione secondo la quale il «male» sta nelle azioni e non nella materia.

 

Tale considerazione, che potrebbe facilmente scivolare verso una prospettiva gnostica, sembra funzionale ad una visione sempre più «incorporea» dell’illecito, che meglio si presta ad una rappresentazione in termini di cooperazione remota.

 

È vero che l’illiceità risiede nelle azioni, ma l’immanenza di ciò che materialmente deriva dall’azione illecita non può non condizionare il giudizio sulla liceità del prodotto finale dell’azione dell’uomo. (9)

 

 

La recente Nota sui vaccini anti-Covid

Da ultimo, con la Nota sulla moralità dell’uso di alcuni vaccini anti-COVID-19 (10), del 21 dicembre 2020, la Congregazione per la Dottrina della Fede è intervenuta con specifico riguardo ai vaccini anti-SARS-CoV-2. 

 

Il documento si pone in continuità argomentativa con i precedenti, adottando i criteri noti: la differenziazione delle responsabilità a seconda della maggiore o minore distanza dal fatto illecito (aborto); l’utilizzo del vaccino da parte del singolo costituisce cooperazione materiale passiva tanto remota da giudicarsi alfine inesistente, specialmente laddove, come di fatto è, non siano disponibili vaccini etici.

 

Tuttavia, quella che nel documento del 2005 era indubitabilmente condotta di cooperazione al male, sia pure variamente graduata e articolata e giustificata da stato di necessità, è ora considerata un comportamento moralmente lecito in sé, a motivo della distanza dal fatto-aborto e del carattere materiale e indiretto della cooperazione.

 

In sostanza, pur nel contesto della medesima linea argomentativa, v’è una sorta di rovesciamento di prospettiva: la disapprovazione dell’utilizzo di materiale biologico di provenienza abortiva è chiaramente espressa nel documento del 2005, e da essa scaturisce l’obiezione di coscienza del cattolico, solo eccezionalmente giustificata, quale extrema ratio, dallo stato di necessità. (11)

 

In virtù del documento del 2020 si perviene alla vaccinazione «con coscienza sicura» anche in riferimento ai vaccini anti-SARS-CoV-2.

 

Ciò in quanto, da un lato, la cooperazione all’aborto, perché «remota», viene considerata moralmente lecita; dall’altro, il pericolo, «altrimenti incontenibile», della diffusione pandemica del COVID-19 renderebbe inesigibile il dovere morale di evitare l’utilizzo di materiale biologico di provenienza fetale.

 

Tale ragionamento ha fatto da presupposto alla concreta azione di adesione e supporto alla campagna vaccinale capillarmente diffusa, anche nelle parrocchie, sebbene con qualche eccezione. 

 

 

Dalla cooperazione al male  alla corresponsabilità nell’appropriazione del male

 

Considerazioni critiche non si sono fatte attendere (12), sollecitando una presa di posizione più netta e auspicando una maggiore sensibilità sull’argomento. Per la maggioranza dei cattolici, però, la «soluzione» offerta dal documento del 2020 ha rappresentato una comoda via per partecipare «con coscienza sicura» alla campagna vaccinale senza dover fare alcuna riflessione ulteriore ed anzi facendosene sovente promotori e sostenitori.

 

Tuttavia, se proviamo a leggere secondo logica giuridica gli argomenti elaborati dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, perveniamo a conclusioni difformi da quelle da ultimo elaborate dall’organo pontificio. 

 

Il ragionamento svolto a partire dal concetto di «cooperazione» risulta subito miope, sganciato dalla realtà dei fatti e strumentale ad una visione parziale e aprioristicamente «orientata» della questione.

 

Co-operano, cioè operano insieme, i soggetti che perseguono un medesimo risultato. Se quindi l’illecito è rappresentato dall’aborto volontario, operano insieme i soggetti che lo decidono o vi prendono parte ponendo in essere condotte differenti ma finalizzate al medesimo unico risultato: l’interruzione della gravidanza.

 

Al contrario, le condotte poste in essere da quanti eseguono la dissezione del feto abortito e il trattamento dei tessuti prelevati a fini di sperimentazione, così come le condotte di quanti producono, commercializzano e utilizzano i prodotti così ottenuti, non sono eziologicamente ascrivibili alla serie causale propria dell’aborto, non prendono parte all’aborto, non co-operano allo stesso, ma si giovano delle sue conseguenze.

 

Se quindi il nostro riferimento concettuale va alla condotta di cooperazione, arriviamo facilmente alla conclusione che essa non è ravvisabile nel caso di specie: a maggior ragione quando sia «passiva» e «remota».

 

A margine, comunque, osservo: lo scienziato cerca il materiale biologico per i suoi esperimenti e il mercato acquista i prodotti della ricerca: sono condotte attive, non passive.

 

E se diamo al termine «remota» significato temporale, non mi pare significativa la relazione di distanza temporale rispetto all’aborto: anche il peccato originale è «remoto», ma «segna» irrimediabilmente la persona umana fino al lavacro del battesimo.

 

Se invece definiamo «remota» la cooperazione perché tra l’aborto e l’utilizzo del farmaco si interpongono molti passaggi, non mi pare che ciò possa affievolire la connessione, ossia il rapporto di utilità/necessità che ciascuna condotta trae da quella antecedente.

 

 In realtà si tratta di condotte indipendenti, aventi finalità diverse (quindi non di cooperazione) ma che, considerate nell’insieme, nella loro connessione, nella loro relazione di utilità/necessità reciproca, finiscono per alimentare un meccanismo che presuppone un delitto, l’aborto.  

 

 Se illecito è l’aborto, pure illecito è accettare l’aborto come antefatto necessario di una ricerca che utilizza la potenzialità creatrice e la purezza originaria di un corpo innocente, soppresso per mano «umana».

 

Né l’aborto rappresenta il mero antefatto teorico di una serie di illeciti ulteriori: della serie causale di illeciti, l’aborto è il luogo del primo reato morale, ed è un reato con un corpo tangibile (i tessuti sottratti alla loro vita naturale) che conserva tutta la sua materialità anche nei passaggi impropriamente definiti «remoti».

    

Nella procedura di sviluppo e produzione dei vaccini il male quindi non può essere isolato nel fatto remoto dell’aborto, la cui responsabilità, derivante dalla scelta e dalla operatività, può essere ascritta in senso stretto solo ai genitori e ai sanitari che lo hanno praticato.

 

Una volta deciso ed eseguito l’aborto, l’utilizzo di questa «opportunità» di avere a disposizione cellule «fresche» e vive, prelevate da una persona viva che prova dolore, con modalità in spregio della dignità umana, non è di per sé un «male»?

 

Diverso rispetto all’aborto, ma pur sempre un male? E se è così, mi pare vi sia la corresponsabilità di quanti si adoperano per questo “utilizzo” privo di pietà del corpo del bimbo abortito e anche di quanti se ne giovano, fino all’ultimo anello della catena, i vaccinati.

 

Al concetto di cooperazione al male, da cui partono i documenti dottrinali per pervenire, dapprima nella forma della giustificazione per stato di necessità, quindi in quella della  liceità incondizionata, sembra preferibile quello di «appropriazione del male» coniato dalla teologa Cathleen Kaveny. (13)

 

Secondo la studiosa l’utilizzo nella ricerca scientifica di materiale derivante da aborto più che costituire cooperazione al male si configura come appropriazione del male; e ciò in quanto l’azione adiuvante di un soggetto agente rispetto al fatto illecito non nasce nella sua sfera volitiva e non è il prodotto di una finalità comune a tutti gli agenti, ma si sviluppa per una serie di connessioni casuali ovvero dipendenti da fattori ultronei, sicché  il vantaggio non deriva da una premeditazione della condotta comune ma da una utilità reciproca comunque ricavata e individualmente posta in essere.

 

Nel caso dei vaccini anti-SARS–oV-2, il ricercatore, il vaccinatore e il vaccinato non cooperano in alcun modo all’atto abortivo, già compiuto nel passato, ma si appropriano degli esiti prodotti da quell’atto per trarne vantaggio.

 

Il quesito morale allora non è più se vi sia o non vi sia cooperazione al male (cooperazione che, quand’anche ritenuta in origine esistente, sarebbe poi destinata ad affievolirsi), bensì se e in quale misura sia lecito di per sè utilizzare il prodotto di una condotta iniqua compiuta da altri soggetti per ragioni diverse dalle proprie.

 

Ma a questo punto anche la Kaveny scivola verso una troppo facile «assoluzione»: la sperimentazione e l’utilizzo sarebbero lecite poiché il vantaggio scientifico e terapeutico è stato ricavato per accidens dall’atto abortivo, non essendo lo scopo dell’aborto ma rappresentando un sorta di conseguenza utile a suo tempo non voluta.

 

Neppure questa prospettiva risulta però convincente.

 

In realtà, ammesso e non concesso che l’aborto non fosse finalizzato all’espianto dei tessuti fetali, le condotte umane sono da considerarsi, ad un tempo, indipendenti ma interconnesse nell’agire collettivo.

 

Le condotte successive all’aborto, consistenti nelle varie forme di utilizzo del feto vivo come se si trattasse di mero «materiale biologico», fino all’utente finale che è il vaccinato, si appropriano dell’aborto mediante un utilizzo consapevole e volto a soddisfare un interesse proprio, quand’anche diverso e individuale per ciascuno degli agenti.

 

È responsabile non solo chi trae dall’illecito il profitto voluto, ma anche chi ne trae una qualsiasi utilità anche indiretta e non prevista ovvero diversa da quella inizialmente voluta.

 

Allo stesso modo, è responsabile non solo chi ha eseguito e deciso l’aborto, ma anche chi da tale fatto (l’aborto) tragga una utilità diversa (la possibilità dell’estrazione delle cellule) o consapevolmente ne profitti (vaccinazione).

 

La speculazione giuridica sulle condotte di partecipazione nel reato, finalizzata a definire l’area della partecipazione punibile rispetto a quella non punibile (e dunque dell’illecito rispetto al lecito) ha individuato categorie che possono essere qui utilmente richiamate.

 

La cooperazione al male si può assimilare al concorso di persone nel reato: sicché ciascuno degli agenti risponde dell’unico reato commesso, e le condizioni individuali (maggiore o minore apporto, dolo, stati soggettivi, etc.) incidono solo sulla determinazione della pena e su eventuali aggravanti/attenuanti. Condizione perché si applichi il concorso è il contributo causale dell’agente all’illecito e la consapevolezza dell’agire in cooperazione.

 

Se assumiamo l’aborto come unico illecito, l’ipotesi di responsabilità concorsuale deve necessariamente fermarsi ai genitori e agli ausiliari che vi abbiano preso parte. Ricercatori, sviluppatori, produttori, utilizzatori finali non prestano alcun contributo causale al fatto-aborto verificatosi prima e a prescindere dalle condotte successive.

 

Consideriamo però che: 

 

  • illecito è anche il prelievo di tessuti mediante dissezione di feto vivo e senziente, in spregio alla dignità dell’essere umano. Assumendo come illecito non solo l’aborto ma anche le modalità di prelievo, e con la consapevolezza, oggi possibile anche da parte dell’utente finale, circa le modalità di produzione dei vaccini, la cooperazione/concorso risulta evidente anche per le condotte successive e conseguenti all’aborto.

 

  • la cooperazione/concorso non esaurisce le categorie di partecipazione al reato. Infatti il diritto penale prevede il concorso di cause indipendenti e il favoreggiamento, riconducendo l’apporto agevolativo all’area dell’illecito anche se manchi identità del disegno criminoso (14) se la condotta sia successiva al reato già commesso (favoreggiamento). In questi casi la condotta di partecipazione è sempre illecita ma per un titolo proprio. 

 

Il concetto di appropriazione del male appare simmetrico a quelli di concorso di cause indipendenti e di favoreggiamento, a nulla rilevando l’accidentalità del profitto.

 

Peraltro, non può essere considerato accidentale il prelievo di tessuti da bambini abortiti quando assuma, come di fatto assume, caratteristiche di predeterminazione, organizzazione, sistematicità e rilevanza economica.

 

Non è ragionevole sostenere che in ambito morale le condotte di partecipazione al male, sia sotto forma di cooperazione che sotto forma di appropriazione, conoscano un margine di irrilevanza maggiore di quello riconosciuto comunemente dalla teoria generale del diritto penale.

 

Partecipazione materiale o formale, diretta o indiretta, prossima o remota, volontaria o accidentale sono elementi di caratterizzazione della condotta idonei ad influire sul giudizio di gravità o di tenuità, ma non consentono di operare il discrimine tra lecito e illecito.

 

In altri termini, l’illecita condotta di partecipazione al male può atteggiarsi in vario modo e con ampia graduazione, così come l’illecita condotta di reato può consistere nel concorso formale, nel concorso di cause indipendenti, nel favoreggiamento.

 

Il fatto che anche in campo morale, così come in campo giuridico, possano sussistere cause di giustificazione, quale lo «stato di necessità», non elide a priori illiceità alla condotta, semmai incide sulla colpevolezza del reo.

 

Nel caso di specie, peraltro, la richiamata esimente dello «stato di necessità» appare espediente debolissimo, data la incerta efficacia dei vaccini e le terapie disponibili per la cura del COVID-19.

 

La conclusione cui si perviene è dunque nel senso della generale illiceità, radicale e ingiustificabile, dell’uso di vaccini e altri farmaci nel cui processo di sviluppo e/o produzione vengano utilizzate linee cellulari provenienti da bambini abortiti.

 

Affermare la liceità dell’uso di questi vaccini perché utili a salvare la vita a più persone ricorda il discorso di Caifa: ne sacrifichiamo uno per salvarne tanti.

 

Ammesso che i tanti si salvino veramente – il che è quanto meno controverso –  e che nell’uno, piccolissimo, che siamo disposti a sacrificare non si nasconda proprio il «nostro» Gesù. 

 

 

Maria Cecilia Peritore

Avvocato

 

Licata, 7 luglio 2021

 

 

NOTE

1)  https://www.renovatio21.com/wp-content/uploads/2021/05/Renovatio-21-linee-cellulari-feto-abortito-nei-vaccini.pdf. https://www.avvenire.it/mondo/pagine/coronavirus-vaccini-da-aborti-cosa-dice-la-chiesa

2) M. Sampaolesi, , Cellule staminali, inhttps://www.treccani.it/enciclopedia/cellule-staminali_(XXI-Secolo)/: «Le cellule staminali sono cellule non specializzate presenti in tutti gli organismi viventi. […]Si distinguono diversi stadi di potenza delle cellule staminali: la totipotenza è la capacità di generare tutti i tessuti embrionali ed extraembrionali […]; la pluripotenza è la capacità di differenziarsi in tutti i tessuti embrionali, […]; la multipotenza è la capacità di differenziare in tutti i tipi cellulari di un foglietto germinativo (endoderma, mesoderma o ectoderma); l’unipotenza è la capacità di differenziarsi in un unico tipo cellulare, tipico dei progenitori».

3) https://www.pro-memoria.info/wp/wp-content/uploads/Riflessioni-morali-sui-vaccini-preparati-da-cellule-derivate-da-feti-umani-abortiti-PAV-09-06-2005.pdf. Il documento non si trova sul sito web della Pontificia Accademia per la Vita.  

4) «Nel caso specifico in esame, ci sono tre categorie di persone che sono coinvolte nella cooperazione al male, male che ovviamente è rappresentato dall’azione di un aborto volontario compiuto da altri: a) coloro che preparano i vaccini utilizzando linee cellulari umane in arrivo da aborti volontari; b) coloro che partecipano alla commercializzazione di massa di tali vaccini; c) coloro che necessitano di utilizzarli per motivi di salute. In primo luogo, si deve considerare moralmente illecita ogni forma di cooperazione formale (condivisione dell’intenzione malvagia) all’azione di chi ha compiuto un aborto volontario, che a sua volta ha consentito il recupero dei tessuti fetali, necessario per la preparazione dei vaccini. Pertanto, chiunque – indipendentemente dalla categoria di appartenenza – coopera in qualche modo, condividendone l’intenzione, alla realizzazione di un aborto volontario con l’obiettivo di produrre i suddetti vaccini, partecipa, in realtà, allo stesso male morale come la persona che ha eseguito quell’aborto. Tale partecipazione avverrebbe anche nel caso in cui qualcuno, condividendo l’intenzione dell’aborto, si astenga dal denunciare o criticare tale azione illecita, pur avendo il dovere morale di farlo.(cooperazione formale passiva). Nel caso in cui non vi sia tale condivisione formale dell’intenzione immorale della persona che ha eseguito l’aborto, qualsiasi forma di cooperazione sarebbe materiale , con le seguenti specifiche. Per quanto riguarda la preparazione, la distribuzione e la commercializzazione di vaccini prodotti a seguito dell’utilizzo di materiale biologico la cui origine è collegata a cellule provenienti da feti volontariamente abortiti, tale processo è dichiarato, in linea di principio, moralmente illecito, perché potrebbe contribuire ad incoraggiare l’esecuzione di altri aborti volontari, con lo scopo della produzione di tali vaccini. Tuttavia, va riconosciuto che, all’interno della catena di produzione-distribuzione-commercializzazione, i vari agenti cooperanti possono avere responsabilità morali diverse. Tuttavia, c’è un altro aspetto da considerare, ed è la forma di cooperazione materiale passiva che sarebbe svolta dai produttori di questi vaccini, se non denunciassero e rifiutassero pubblicamente l’atto immorale originale (l’aborto volontario), e se non si dedicano insieme alla ricerca e alla promozione di modalità alternative, esenti dal male morale, per la produzione di vaccini per le stesse infezioni. Tale cooperazione materiale passiva , se dovesse verificarsi, è ugualmente illecita. Per quanto riguarda coloro che hanno bisogno di utilizzare tali vaccini per motivi di salute, va sottolineato che, al di là di ogni forma di collaborazione formale , in generale, medici o genitori che ricorrono all’uso di questi vaccini per i propri figli, pur sapendo la loro origine (aborto volontario), svolgono una forma di cooperazione materiale mediata moltoremota , e quindi molto mite, nell’esecuzione dell’atto originario dell’aborto, e una cooperazione materiale mediata , per quanto riguarda la commercializzazione di cellule provenienti da aborti, e immediato, per quanto riguarda la commercializzazione di vaccini prodotti con tali cellule. La collaborazione è quindi più intensa da parte delle autorità e dei sistemi sanitari nazionali che accettano l’utilizzo dei vaccini. Tuttavia, in questa situazione, l’aspetto della cooperazione passiva è quello che spicca di più. Spetta ai fedeli e ai cittadini di retta coscienza (padri di famiglia, medici, ecc.) opporsi, anche facendo un’obiezione di coscienza, agli attacchi sempre più diffusi contro la vita e la “cultura della morte” che li sottende. Da questo punto di vista, l’uso di vaccini la cui produzione è collegata all’aborto procurato costituisce almeno una cooperazione materiale passiva remota media all’aborto, e una cooperazione materiale passiva immediata per quanto riguarda la loro commercializzazione. Inoltre, a livello culturale, l’uso di tali vaccini contribuisce alla creazione di un consenso sociale generalizzato al funzionamento delle industrie farmaceutiche che li producono in modo immorale. Pertanto, medici e padri di famiglia hanno il dovere di ricorrere a vaccini alternativi (se esistono), facendo pressioni sulle autorità politiche e sui sistemi sanitari affinché siano disponibili altri vaccini senza problemi morali. Devono ricorrere, se necessario, all’obiezione di coscienza per quanto riguarda l’utilizzo di vaccini prodotti mediante linee cellulari di origine fetale umana abortita. Allo stesso modo, dovrebbero opporsi con tutti i mezzi (per iscritto, attraverso le varie associazioni, mass media, ecc.) ai vaccini che non hanno ancora alternative moralmente accettabili, facendo pressione affinché vengano preparati vaccini alternativi, che non siano collegati all’aborto di un feto umano e richiedendo un rigoroso controllo legale dei produttori dell’industria farmaceutica. Per quanto riguarda le malattie contro le quali non esistono vaccini alternativi disponibili ed eticamente accettabili, è giusto astenersi dall’utilizzare questi vaccini se può essere fatto senza che i bambini, e indirettamente la popolazione nel suo insieme, subiscano rischi significativi per la loro salute. Tuttavia, se questi ultimi sono esposti a pericoli considerevoli per la loro salute, possono essere utilizzati anche vaccini con problemi morali ad essi pertinenti. La ragione morale è che il dovere di evitare la cooperazione materiale passiva non è obbligatorio in caso di grave inconveniente. Inoltre, troviamo, in tal caso, una ragione proporzionale, al fine di accettare l’utilizzo di questi vaccini in presenza del pericolo di favorire la diffusione dell’agente patologico, dovuto alla mancata vaccinazione dei bambini. Ciò è particolarmente vero nel caso della vaccinazione contro il morbillo tedesco. In ogni caso, resta il dovere morale di continuare a lottare e di impiegare ogni mezzo lecito per rendere la vita difficile alle industrie farmaceutiche che agiscono senza scrupoli e senza etica. Tuttavia, il peso di questa importante battaglia non può e non deve ricadere sui bambini innocenti e sulla situazione sanitaria della popolazione, soprattutto per quanto riguarda le donne incinte».

5) Della cooperazione materiale al peccato altrui, nn. 31-32, in Istruzione e pratica per i confessori: «La cooperazione materiale comunemente è ammessa per lecita da’ dottori quando v’è giusta causa. Intendasi qui, che altra è la cooperazione formale, la quale succede, quando si coopera direttamente al peccato (com’è in colui che fornicatur); o pure quando s’influisce nella mala volontà del prossimo, che vuol peccare, come sarebbe il guardare le spalle all’assassino o ladro, acciocché uccida o rubi con più sicurezza: lo scriver lettere amorose in nome del concubinario o portare doni alla di lui concubina: il ricever doni da persona che insidia l’onestà. Queste e simili cooperazioni sono intrinsecamente male, perché con esse si dà animo al prossimo ad eseguire il peccato, e almeno si fomenta la sua mala intenzione, e perciò per niuna causa, anche di morte, possono elle scusarsi da peccato mortale. Altra poi è la cooperazione materiale, la quale è, quando l’azione è indifferente, e ‘l prossimo può già servirsene senza peccato, ma egli per sua malizia se ne abusa a peccare, come sarebbe il prender danaro a mutuo da alcuno che non vuol darlo senza usura: porgere il vino a chi se ne serve per ubbriacarsi: dar le chiavi a chi le adopera per rubare. Or queste cooperazioni materiali possono esser lecite quando vi concorrono tre condizioni: 1. che l’atto della tua cooperazione (come già si è detto) sia per sé indifferente. 2. Che tu non sii tenuto per officio ad impedire l’altrui peccato. 3. Che tu abbi causa giusta e proporzionata di poter così cooperare; poiché allora il peccato del prossimo non proviene dalla tua cooperazione, ma dalla malizia di colui il quale si serve della tua azione per peccare. Sicché allora non è che la tua azione si congiunga alla mala volontà del prossimo, ma quegli congiunge la sua mala volontà alla tua azione, ond’è, che la tua azione non è causa del di lui peccato, ma è solamente occasione la quale tu non sei obbligato a togliere quando hai giusta causa di porla; e così è lecito all’oste dare il vino a chi vuole ubbriacarsi, semprecché altrimenti temesse grave danno, Sanch., Busem., Bon., Tourn. ed altri comunemente. Si è detto causa giusta e proporzionata, perché quanto più è vicina la tua cooperazione al peccato del prossimo, tanto più grave ha da essere la causa che ti scusi. Per giudicare poi quando la causa sia o no proporzionata, per primo bisogna regolarsi da ciò che ne dicono i dd., perché dipendendo ciò dall’estimazione de’ prudenti, l’esser in tal materia una sentenza più comune , fa ancora che sia più probabile, come diremo ancora parlando della materia grave del furto al cap. X. n. 22. In oltre trattandosi di pregiudizio del prossimo, bisogna aver la regola che noi non possiamo cooperare al danno altrui, se non quando il danno che temiamo de’ beni nostri, è d’ordine superiore: per esempio, quando alcuno ti minaccia la morte se tu non vuoi cooperare alla morte del di lui nemico con dargli v. gr. la spada, tu non puoi dargliela perché non puoi positivamente concorrere alla morte di un altro per liberare te dalla morte. Così ancora quando il ladro minaccia di toglier la roba tua se non cooperi a fargli prendere la roba altrui, tu neppure puoi in ciò cooperare. Altrimenti poi sarebbe, se non cooperando tu a fargli prendere quella roba avessi tu a perdere la vita o la fama; perché allora stando tu in estrema necessità, è obbligato il prossimo a permetterti quella cooperazione circa la perdita delle sue robe, acciò tu non perda la vita o la fama».

6) De praeceptocaritatis, De praeceptiscaritatis erga proximum,V,III, 59: «Resp. cooperari tantum materialiter, subministrando tantum materiam et facultatempeccandi, velexhibendoobjectum, licet. si sequentesconditionesadsint: I. Si tuum opus velcooperatiositsecundum se bona velsaltemindifferens; II. Si bona intentione et rationabili ex causa fiat, et non ut juvesalterum peccare; III. Si alteriuuspeccatum impedire nequeas, aut saltem non tenearisproptercausamrationabilem».

7) https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20081208_dignitas-personae_it.html

8) http://www.academyforlife.va/content/pav/it/the-academy/activity-academy/note-vaccini.html

9) Tale concetto non è estraneo alla teoria generale del diritto penale, laddove il prodotto, il profitto o il prezzo del reato vengono sussunti nell’ambito dell’illecito mediante la previsione di una specifica aggravante. Recita infatti l’art. 61, c. 1 n. 2 del Codice Penale: «Aggravano il reato […]le circostanze seguenti: […] 2) l’aver commesso il reato […]per conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero l’impunità di un altro reato».

10) https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20201221_nota-vaccini-anticovid_it.html (i corsivi sono dell’originale): «1. Come afferma l’Istruzione Dignitas Personae, nei casi di utilizzazione di cellule procedenti da feti abortiti per creare linee cellulari da usare nella ricerca scientifica, «esistono responsabilità differenziate» di cooperazione al male. Per esempio, «nelle imprese, che utilizzano linee cellulari di origine illecita, non è identica la responsabilità di coloro che decidono l’orientamento della produzione rispetto a coloro che non hanno alcun potere di decisione».2. In questo senso, quando non sono disponibili vaccini contro il Covid-19 eticamente ineccepibili (ad esempio in Paesi dove non vengono messi a disposizione dei medici e dei pazienti vaccini senza problemi etici, o in cui la loro distribuzione è più difficile a causa di particolari condizioni di conservazione e trasporto, o quando si distribuiscono vari tipi di vaccino nello stesso Paese ma, da parte delle autorità sanitarie, non si permette ai cittadini la scelta del vaccino da farsi inoculare) è moralmente accettabile utilizzare i vaccini anti-Covid-19 che hanno usato linee cellulari provenienti da feti abortiti nel loro processo di ricerca e produzione. 3. La ragione fondamentale per considerare moralmente lecito l’uso di questi vaccini è che il tipo di cooperazione al male (cooperazione materiale passiva) dell’aborto procurato da cui provengono le medesime linee cellulari, da parte di chi utilizza i vaccini che ne derivano, è remota. Il dovere morale di evitare tale cooperazione materiale passiva non è vincolante se vi è un grave pericolo, come la diffusione, altrimenti incontenibile, di un agente patogeno grave: in questo caso, la diffusione pandemica del virus SARS-CoV-2 che causa il Covid-19. È perciò da ritenere che in tale caso si possano usare tutte le vaccinazioni riconosciute come clinicamente sicure ed efficaci con coscienza certa che il ricorso a tali vaccini non significhi una cooperazione formale all’aborto dal quale derivano le cellule con cui i vaccini sono stati prodotti. È da sottolineare tuttavia che l’utilizzo moralmente lecito di questi tipi di vaccini, per le particolari condizioni che lo rendono tale, non può costituire in sé una legittimazione, anche indiretta, della pratica dell’aborto, e presuppone la contrarietà a questa pratica da parte di coloro che vi fanno ricorso.4. Infatti, l’uso lecito di tali vaccini non comporta e non deve comportare in alcun modo un’approvazione morale dell’utilizzo di linee cellulari procedenti da feti abortiti. Si chiede, quindi, sia alle aziende farmaceutiche che alle agenzie sanitarie governative, di produrre, approvare, distribuire e offrire vaccini eticamente accettabili che non creino problemi di coscienza, né a gli operatori sanitari, né ai vaccinandi stessi.5. Nello stesso tempo, appare evidente alla ragione pratica che la vaccinazione non è, di norma, un obbligo morale e che, perciò, deve essere volontaria. In ogni caso, dal punto di vista etico, la moralità della vaccinazione dipende non soltanto dal dovere di tutela della propria salute, ma anche da quello del perseguimento del bene comune. Bene che, in assenza di altri mezzi per arrestare o anche solo per prevenire l’epidemia, può raccomandare la vaccinazione, specialmente a tutela dei più deboli ed esposti. Coloro che, comunque, per motivi di coscienza, rifiutano i vaccini prodotti con linee cellulari procedenti da feti abortiti, devono adoperarsi per evitare, con altri mezzi profilattici e comportamenti idonei, di divenire veicoli di trasmissione dell’agente infettivo. In modo particolare, essi devono evitare ogni rischio per la salute di coloro che non possono essere vaccinati per motivi clinici, o di altra natura, e che sono le persone più vulnerabili.6. Infine, vi è anche un imperativo morale, per l’industria farmaceutica, per i governi e le organizzazioni internazionali, di garantire che i vaccini, efficaci e sicuri dal punto di vista sanitario, nonché eticamente accettabili, siano accessibili anche ai Paesi più poveri ed in modo non oneroso per loro. La mancanza di accesso ai vaccini, altrimenti, diverrebbe un altro motivo di discriminazione e di ingiustizia che condanna i Paesi poveri a continuare a vivere nell’indigenza sanitaria, economica e sociale».

11) Stato di necessità che nel 2005 era legato alla epidemia di rosolia,  che in quel momento concretizzava lo stato di costrizione della volontà dell’utilizzatore, e che gli estensori del documento hanno certamente tenuto presente.

12)  Per l’intervento di Athanasius Schneider:  https://www.lifesitenews.com/news/catholic-bishop-calls-for-new-pro-life-movement-to-protest-abortion-tainted-medicines-like-covid-vaccine

13) M.C. Kaveny, «Appropriation of Evil: Cooperation’s Mirror», Theological Studies 61 (2000) 280-313.Vedi anche S. Kampowski, https://veritasamoris.org/files/KAMPOWSKI-Cooperazioneappropriazioneevaccini2021028a.pdf

14) Cfr. art. 41 C.P.: concorso di cause indipendenti.

 

 

Bibliografia

 

Testi citati in nota nel presente contributo:

 

 

altri testi: 

 

 

 

 

 

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Bioetica

Polonia, l’aborto avanza in Parlamento

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Il 12 aprile 2024, i parlamentari polacchi hanno votato a favore di quattro progetti di legge volti a generalizzare l’accesso delle donne all’aborto nel paese. Fatto senza precedenti in quasi trent’anni, ma che non dovrebbe cambiare radicalmente la situazione a breve termine, perché una modifica della legge in questa direzione si scontrerebbe con il veto presidenziale del conservatore Andrzej Duda.

 

«Lo Stato deve fare tutto affinché l’aborto sia accessibile, legale, praticato in condizioni adeguate, senza pericoli». I commenti espressi l’11 aprile 2024 da Katarzyna Kotula non hanno mancato di offendere più di un cattolico polacco, poiché erano inimmaginabili anche un anno fa.

 

Tuttavia, è dalla piattaforma della Dieta – la camera bassa del parlamento polacco – che il ministro dell’Uguaglianza presenta il disegno di legge portato avanti dalla Coalizione Civica del primo ministro Donald Tusk, volto a liberalizzare l’accesso all’aborto fino a dodici settimane di gravidanza.

 

Per essere più precisi, quattro testi sono stati presentati da componenti della coalizione filoeuropea arrivata al potere in seguito alle elezioni del 15 ottobre 2023, dopo otto anni di governo del partito nazionalista Diritto e Giustizia (PiS).

 

La Sinistra Unita ha presentato i primi due progetti che prevedono, da un lato, la depenalizzazione dell’aborto assistito, e dall’altro la legalizzazione completa dell’aborto, senza ostacoli, fino alla dodicesima settimana di gravidanza.

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Il terzo progetto viene dal partito politico del primo ministro Donald Tusk, e chiede anch’esso la legalizzazione fino alla dodicesima settimana, con diverse riserve rispetto al testo della Sinistra Unita.

 

Il quarto testo, presentato dalla Terza Via, un’alleanza del partito contadino conservatore PSL e del movimento cristiano-democratico Polonia 2050 del presidente della Dieta, Szymon Holownia, chiede il ritorno allo status quo in vigore tra il 1993 e il 2020. L’IVG era possibile in tre casi: malformazione del feto, pericolo per la vita o la salute della madre, stupro o incesto.

 

Il partito della Terza Via è anche favorevole all’indizione di un referendum su un’eventuale legalizzazione più ampia dell’aborto, un ricorso al voto popolare sorprendentemente criticato dalle organizzazioni femministe – che però hanno sulle labbra solo le parole di «democrazia» e «libertà» – e per una buona ragione.

 

Secondo un sondaggio effettuato poco prima del voto in Parlamento da IPSOS, la società polacca appare divisa sulla questione. Il 35% delle intervistate vuole avere accesso all’aborto fino alla dodicesima settimana di gravidanza; Il 21% è favorevole al ripristino di questo diritto in caso di malformazione fetale; Il 23% vuole un referendum e il 14% si ritiene soddisfatto dell’attuale stato della legislazione nel Paese. Una prova, se fosse necessaria, che la secolarizzazione avanza a passi da gigante sulle rive della Vistola.

 

Tuttavia, il campo progressista non rivendica la vittoria: «abbiamo motivi di soddisfazione, tuttavia molto moderati e cauti», ha dichiarato Donald Tusk dopo il voto alla Dieta del 12 aprile. Perché la liberalizzazione dell’aborto in Polonia non è per domani: resta da convocare la Commissione parlamentare speciale che dovrà essere incaricata di adottare un disegno di legge da sottoporre in seconda lettura.

 

Probabilmente il futuro testo dovrà essere corretto in senso meno liberale per conquistare la maggioranza del parlamento polacco e, se così fosse, il capo dello Stato potrebbe porre il veto. Andrzej Duda – affiliato al PiS – dovrebbe normalmente rimanere al potere fino al 2025: abbastanza per dare ai conservatori polacchi qualche mese di tregua per organizzare la difesa del diritto alla vita.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

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Bioetica

Bioeticiste contro la genitorialità genetica: «usare liberamente gli embrioni congelati»

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Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.   Alcuni bioeticisti mettono in dubbio l’importanza di una relazione genetica tra genitori e figli. Ciò che conta, sostengono, è un ambiente familiare favorevole, non i geni.    Nel Journal of Medical Ethics, una bioeticista svedese, Daniela Cutas, e una collega norvegese, Anna Smajdor, affermano che la riproduzione assistita apre le porte a nuove relazioni tra generazioni. Ma, purtroppo, l’aspettativa è che le persone imitino una famiglia nucleare convenzionale e una struttura genitore-figlio. C’è pochissima varietà o creatività.   Ad esempio, dopo la donazione di sperma postumo, una madre o una nonna portano in grembo il bambino in modo da mantenere una relazione genetica. Ma perché la genitorialità genetica e quella sociale dovrebbero coincidere?   Cutas e Smajdor sono realiste. Nel mondo di oggi, è improbabile che le persone abbandonino il loro attaccamento alle relazioni genetiche. Nel frattempo, ciò che propongono è una maggiore creatività nell’uso degli embrioni fecondati in eccedenza.    «Considerando la crescente prevalenza di infertilità in combinazione con una scarsità di gameti donati, qualcuno potrebbe, ad esempio, scegliere di utilizzare gli embrioni di propri zii. Oppure potrebbero desiderare di avere gli embrioni rimanenti dei loro fratelli. Se la preferenza delle persone ad avere una prole geneticamente imparentata è importante nei servizi di fertilità, allora ha importanza quale sia l’esatta relazione genetica?»   Esaminano più in dettaglio il caso di una donna i cui genitori hanno creato embrioni IVF. Se sono ancora disponibili, perché non dovrebbe dare alla luce i suoi fratelli? In un certo senso, questo potrebbe essere migliore di una relazione eterosessuale convenzionale:   «Innanzitutto perché gli embrioni sono già creati: non è necessario sottoporsi alla stimolazione ovarica per raccogliere e fecondare gli ovociti. In secondo luogo, le relazioni genitore-figlio sono piene di tensioni, alcune delle quali derivano da una lunga tradizione di non riconoscimento completo dello status morale dei bambini e di vederli come parte dei loro genitori in modo quasi proprietario».   Sembra un peccato sprecare tutti quegli embrioni congelati. Concludono con questo pensiero:   «In un mondo in cui i tassi di infertilità sono in aumento e i costi sociali, medici e sanitari dei trattamenti per la fertilità sono elevati, suggeriamo che ci siano motivi per ampliare le nostre prospettive su chi dovrebbe avere accesso ai materiali riproduttivi conservati».   Michael Cook   Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.    
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Bioetica

Approvato il progetto di inclusione dell’aborto nella Carta europea

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Mercoledì 11 aprile 2024 gli eurodeputati hanno adottato, con 336 voti favorevoli, 163 contrari e 39 astensioni, una risoluzione che chiede l’inclusione dell’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che stabilisce “diritti, libertà e principi riconosciuti” negli Stati membri.

 

La risoluzione, promossa dai liberaldemocratici (Renew), dai socialdemocratici (S&D) e dalla sinistra, afferma che «controllare la propria vita riproduttiva e decidere se, quando e come avere figli è essenziale per la piena realizzazione dei diritti umani per le donne, le ragazze e tutte coloro che possono rimanere incinte».

 

I promotori hanno motivato la loro posizione con documenti delle Nazioni Unite che invitano a mantenere la «decisione individuale di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza».

 

La mozione cita anche la decisione della Francia di includere l’aborto nella Costituzione come esempio da seguire, sostenendo la «necessità di una risposta europea al declino dell’uguaglianza tra uomini e donne».

 

Minaccia ai gruppi pro-vita

I deputati sono preoccupati anche per «l’aumento dei finanziamenti ai gruppi contrari all’uguaglianza di genere e all’aborto» in tutto il mondo e nell’UE. Chiedono alla Commissione di garantire che le organizzazioni che «lavorano contro l’uguaglianza di genere e i diritti delle donne» non ricevano finanziamenti dall’UE.

 

Il testo insiste affinché gli Stati membri e le amministrazioni aumentino la spesa per programmi e servizi sanitari e di pianificazione familiare.

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Contro gli «agenti religiosi ultraconservatori»

La mozione adottata parla ancora di «forze regressive e attori religiosi ultraconservatori e di estrema destra» che «stanno cercando di annullare decenni di progressi nel campo dei diritti umani e di imporre una visione del mondo dannosa sui ruoli degli uomini e delle donne nelle famiglie e nella vita pubblica».

 

Il testo adottato dal Parlamento europeo critica alcuni Stati membri: Polonia, Malta, Slovacchia e Ungheria, le cui politiche sull’aborto sono più conservatrici della maggior parte degli altri. Esorta i governi europei a «rendere obbligatori i metodi e le procedure di aborto nel curriculum dei medici e degli studenti di medicina».

 

Nel 2022, il Parlamento Europeo aveva già adottato una risoluzione a favore dell’aborto, che condannava la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di abolire Roe vs Wade.

 

Una risoluzione che, si spera, non dovrebbe essere adottata

Questa risoluzione chiede solo una modifica alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, senza avere il potere di apportare tale modifica. La risoluzione adottata propone che l’articolo 3.2a sia modificato come segue:

 

«Tutte le persone hanno diritto all’autonomia corporea, all’accesso libero, informato, pieno e universale alla salute e ai diritti sessuali e riproduttivi e a tutti i servizi sanitari correlati senza discriminazioni, compreso l’accesso all’aborto sicuro e legale».

 

Per apportare una modifica alla Carta dei diritti fondamentali sarebbe necessaria l’approvazione unanime dei 27 Stati membri. Alcuni Paesi in cui la vita dei bambini non ancora nati è meglio tutelata – Malta, Ungheria e Polonia – non dovrebbero, al momento, dare il loro consenso.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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