Geopolitica
Belgrado «maidanizzata»: stanno tentando una rivoluzione colorata in Serbia
Ieri, durante quella che per gli occidentali è la vigilia di Natale, sostenitori dell’opposizione in Serbia hanno fatto breccia nel municipio di Belgrado durante le proteste di massa, contestandole recenti elezioni municipali nella capitale, vinte dal partito al governo. Lo riporta RT.
I manifestanti sostengono che il voto è stato truccato. Migliaia di manifestanti dell’opposizione si sono radunati domenica davanti all’Assemblea cittadina di Belgrado per protestare contro la vittoria del Partito progressista serbo (SNS) di Vucic sulla coalizione filo-UE Serbia contro la violenza (SPN) alle elezioni parlamentari della scorsa settimana. La
Alti funzionari nazionali hanno descritto le proteste come un tentativo di «rivoluzione colorata» e hanno affermato di essere stati avvertiti dalla Russia: il presidente serbo Vucic ha affermato che la protesta è stata sponsorizzata dalle potenze occidentali che volevano rimuoverlo dall’incarico per i suoi cordiali rapporti con la Russia e per il rifiuto di abbandonare le rivendicazioni della Serbia sul Kosovo, citando i rapporti dei servizi segreti stranieri.
Belgrado ospita circa un quarto della popolazione del Paese di oltre 6,6 milioni di abitanti. Il ruolo del sindaco della capitale di conseguenza è considerato uno dei più importanti nello Stato serbo.
❗️SERBIA MAIDAN || BELGRADE | 🇷🇸 Protesters in Belgrade attempted to attack the Assembly.
The gendarmerie used spray gas and smoke grenades against the storming crowds to disperse the people. pic.twitter.com/mXYh853biJ— Bloomberg Whistleblower (@bloombergblower) December 25, 2023
Il Partito Progressista Serbo (SNS) del presidente ottenuto il maggior numero di seggi nell’Assemblea cittadina di Belgrado ha ottenuto il maggior numero di seggi nell’Assemblea cittadina di Belgrado. Tuttavia, la cosiddetta alleanza di opposizione Serbia contro la violenza (SPN) sostiene che il risultato è stato ottenuto attraverso brogli.
BREAKING: Color revolution attempt in Serbia
Pro-EU party supporters in Belgrade attempt to storm parliament after losing election last week pic.twitter.com/Ged00Qrwnr
— Jack Poso 🇺🇸 (@JackPosobiec) December 25, 2023
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Nella settimana successiva alle elezioni, l’opposizione ha organizzato diverse manifestazioni a Belgrado, alcune delle quali segnate dalla violenza.
Lunedì scorso, durante la manifestazione davanti alla Commissione elettorale repubblicana, il principale statistico serbo Milorad Kovacevic e molti dei suoi collaboratori sarebbero stati aggrediti dagli attivisti. La polizia ha sequestrato diversi coltelli e mazze ai manifestanti, hanno riferito i media locali.
Les grands démocrates, après leur défaite aux élections, pro UE et OTAN tentent vainement de prendre le pouvoir à Belgrade par la force. Chez nous en Europe contre un pouvoir légitime avec l’aide et le soutien des merdes de Bruxelles et Washington. Vivement la mort de l’UE pic.twitter.com/dKqQ3NIBeB
— Rolgrat (@rolgrat) December 25, 2023
La Commissione elettorale ha denunciato le violenze e ha affermato che la manifestazione era un tentativo di interrompere le sue attività. Il capo della commissione Vladimir Dimitrijevic ha espresso la speranza che si sia trattato di un incidente isolato e che ogni futuro tentativo di contestare il risultato elettorale rimanga legale.
L’organismo ha indagato sulle accuse dell’opposizione secondo cui «elettori fantasma» avrebbero potuto votare a Belgrado, ma domenica ha riferito di non aver trovato prove che le elezioni fossero state «rubate».
Domenica sera centinaia di manifestanti filo-opposizione si sono radunati nel centro di Belgrado dopo essere stati radunati dall’SPN. Alla leader dell’opposizione Marinika Tepic, che lunedì scorso ha dichiarato uno sciopero della fame e afferma di vivere grazie a flebo (!), è stato impedito l’ingresso nell’edificio della Commissione elettorale.
Nel frattempo, vicino alla residenza presidenziale è stato allestito un palco improvvisato, con oratori e artisti che incitavano la folla.
Globalists attempting a Christmas Eve color revolution in Belgrade, Serbia after their party lost the election last week
Guess they forgot Serbia is Orthodox and doesn't celebrate Christmas for another 2 weekspic.twitter.com/uWf66oXhZS
— Jack Poso 🇺🇸 (@JackPosobiec) December 25, 2023
Più tardi, in serata, alcuni attivisti hanno fatto irruzione nel municipio, sostenendo che stavano cercando di «liberare le istituzioni». La polizia è intervenuta e li ha cacciati.
Aleksandar Sapic, capo dell’amministrazione provvisoria della città, ha condiviso le immagini dei danni causati dai rivoltosi all’edificio storico, definendoli «irreparabili».
Footage of the consequences of the riots in Belgrade – earlier protesters threw pieces of paving stones at the doors of the Assembly pic.twitter.com/0ZfGuCLPwD
— S p r i n t e r (@Sprinter99800) December 25, 2023
Sapic ha dichiarato che la Serbia deve essere protetta dall’uso della violenza per scopi politici, usando il termine «maidanizzazione», riferendosi al colpo di stato armato del 2014 a Kiev, che ha posto le basi per le attuali ostilità tra Russia e Ucraina.
Il presidente Vucic ha denunciato l’origine occulta della rivolta, definendola un tentativo di «rivoluzione colorata» e sostenendo che una nazione straniera aveva avvertito in anticipo il suo governo della minaccia. Il primo ministro Ana Brnabiс ha ringraziato i servizi speciali russi per aver fornito informazioni a Belgrado.
«Non c’è nessuna rivoluzione in corso», ha detto Vucic in un discorso pubblico. «Niente andrà per il verso giusto», ha continuato, riferendosi ai manifestanti. «Coloro che giurano di lottare contro la violenza hanno dimostrato di essere dei veri delinquenti».
Vucic ha affermato che la protesta è stata sponsorizzata dalle potenze occidentali che volevano rimuoverlo dall’incarico per i suoi cordiali rapporti con la Russia e per il rifiuto di abbandonare le rivendicazioni della Serbia sul Kosovo, citando i rapporti dei servizi segreti stranieri.
Il presidente serbo ha ribadito queste accuse nel discorso di domenica, ringraziando i «servizi esteri» senza nome per aver fatto sì che i suoi servizi di sicurezza «sapessero esattamente cosa stavano preparando i delinquenti».
«La Serbia è stufa delle vostre rivoluzioni», ha detto Vucic durante le prime proteste «anti-violenza» all’inizio di quest’anno. «La Serbia è stufa dell’arrivo di coloro che sono sotto l’influenza straniera e della distruzione di tutto ciò che è serbo».
Russians are very busy with de-Maidanisation of Serbia, following the protests in Belgrade.
"Attempts by the collective West to inflame the situation in the country, using “Maidan-style coup d’etat' techniques are obvious," Zakharova said.
“The only possible reaction is to… pic.twitter.com/7dYklIHnKb
— Yasmina (@yasminalombaert) December 25, 2023
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Il termine «rivoluzione colorata» viene spesso applicato alle rivolte di massa da parte di forze politiche apparentemente filo-democratiche negli anni ’90 e 2000, inclusa la Jugoslavia nel 2000. La Russia e alcune altre nazioni percepiscono l’ondata come architettata dall’Occidente per promuovere i propri obiettivi geopolitici, ed eseguito attraverso ONG, organi di stampa e partiti finanziati dagli Stati Uniti e dai loro alleati.
Il governo Vucic si trova di fronte a un dilemma nell’attuale confronto tra Russia e Occidente. Sta cercando l’adesione della Serbia all’UE, il che richiederebbe il riallineamento della politica estera di Belgrado con quella di Bruxelles – ciò include l’isterica minaccia, fatta da Scholz a Vucic, di riconoscere il Kosovo albanese indipendente oppure scordarsi l’ingresso in Europa.
Il presidente Vucic, tuttavia, ha rifiutato le richieste occidentali di tagliare i legami con la Russia e di unirsi alla campagna di sanzioni guidata dagli Stati Uniti contro Mosca.
BREAKING:
Protesters are trying to storm City Hall in Belgrade pic.twitter.com/wdkBxmntmS
— Amit Shah (Parody) (@Motabhai012) December 25, 2023
In risposta ai disordini a Belgrado, la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha affermato che si trattava di un «evidente tentativo da parte dell’Occidente collettivo di destabilizzare la situazione nel paese attraverso “colpi di Stato stile Maidan”», secondo l’agenzia russa RIA Novosti.
La coalizione SPN è nata dalle proteste antigovernative a seguito di un paio di sparatorie di massa a maggio. Sebbene il movimento di protesta avesse inizialmente chiesto le dimissioni del ministro degli Interni Bratislav Gasic e del capo dell’intelligence Aleksandar Vulin, presto ha chiesto la caduta del governo Vucic.
Chi segue le vicende di politica internazionale conosce il ruolo della Serbia (all’epoca Jugoslavia) nella storia recente delle rivoluzioni colorate sostenute dagli USA e la dalla ridda di loro attori (ONG, istituzioni transnazionali, servizi segreti miliardari, militari etc.). In particolari, molti si ricorderanno, a fine anni Novanta, il clamore internazionale attorno ad Otpor, parola che in lingua serbocroata che significa «resistenza».
Otpor è forse l’operazione più capillare ed efficace che gli specialisti hanno fatto risalire a George Soros. Ufficialmente si ritiene che Otpor sia nato nel 1998 durante le proteste contro Slobodan Milosevic nell’allora Repubblica di Yugoslavia, dove era apparso d’improvviso come un semplice movimento di protesta non violento fatto di giovani svegli. Il gruppo fu premiato con il Free Your Mind Award da MTV, canale televisivo legato a potentati finanziari un tempo preposto alla manipolazione delle masse giovanili su base mondiale.
Otpor quindi divenne protagonista di vari documentari che vinsero premi a destra e a manca – una nuova strategia di egemonia culturale, portata all’apoteosi da Al Gore con il suo documentario premio Oscar sul cambiamento climatico (invece che parlare di film, anche agli Oscar si parla del tema ecologico) e poi arrivata al parossismo con i documentari sui caschi bianchi siriani, presentati come eroi dall’Occidente che li foraggiava ma considerati da altri come sostenitori di Al Qaeda.
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Il coinvolgimento di Soros nei disordini serbi degli anni a cavallo del 2000 fu descritto dal quotidiano Los Angeles Times già nel 2001:
«È un risultato che il finanziere ungherese George Soros non ostenta. Vantarsene, dopo tutto, potrebbe solo rendere la sua missione globale di costruzione democratica più difficile (…) il multimiliardario filantropo ha silenziosamente giocato un ruolo chiave nella drammatica detronizzazione l’anno passato del Presidente Slobodan Milosevic. La sua Soros Foundations Network ha aiutato a finanziare molti gruppi pro-democrazia, inclusa l’organizzazione studentesca Otpor, che ha lanciato la resistenza dal basso all’autoritario leader yugoslavo».
«“Noi eravamo qui per fiancheggiare il settore civile – la gente che stava combattendo contro il regime di Slobodan Milosevic negli ultimi 10 anni”, ha detto Velimir Curgus del ramo di Belgrado del network di Soros. “Molto del nostro lavoro era sotto copertura (…) il ramo belgradese di Soros fu tra i primi finanziatori di Otpor, sotto cui crebbe una giovane e decentralizzata leadership che rafforzava alla frammentaria opposizione a Milosevic: “gli abbiamo dato i primi fondi già nel 1998, quando apparvero come organizzazione studentesca” ha detto Ivan Vejvoda, direttore esecutivo del Fund for an Oper Society-Yugoslavia, il ramo del network qui».
Otpor aveva come logo quell’inconfondibile pugno – che si sostiene essere modellato in base al pugno di Saruman, un personaggio de Il Signore degli Anelli – che avremo poi visto comparire infinite altre volte in tutte le rivoluzioni colorate in tutto il globo.
La Serbia è tornata al centro dello stesso copione di 25 anni fa (provato ovunque: Georgia, Siria, Kirghizistan, Ucraina…). Perché i padroni del vapore non hanno creatività né talento, quindi cercano di propinare ai popoli sempre la stessa sbobba.
A quanto pare, non attacca.
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Hamas deporrà le armi se uno Stato di Palestina verrà riconosciuto in una soluzione a due Stati
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Geopolitica
Birmania, ancora scontri al confine, il ministro degli Esteri tailandese annulla la visita al confine
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Il primo ministro Sretta Thavisin ha rinunciato alla visita, ma ha annunciato la creazione di un comitato ad hoc per gestire la situazione. Nel fine settimana, infatti, si sono verificati ulteriori combattimenti lungo la frontiera tra Myanmar e Thailandia e migliaia di rifugiati continuano a spostarsi da una parte all’altra del confine. Per evitare una nuova umiliazione l’esercito birmano ha intensificato i bombardamenti.
Il primo ministro della Thailandia Sretta Thavisin questa mattina ha cancellato la visita che aveva in programma a Mae Sot, città al confine con il Myanmar, e ha invece mandato al suo posto il ministro degli Esteri e vicepremier Parnpree Bahidda Nukara.
Nei giorni scorsi era stata annunciata la creazione di «un comitato ad hoc per gestire la situazione derivante dai disordini in Myanmar», ha aggiunto il premier. «Sarà un meccanismo di monitoraggio e valutazione» che avrà come scopo quello di «analizzare la situazione complessiva» e «dare pareri e suggerimenti per gestire in modo efficace la situazione».
La Thailandia, dopo i ripetuti fallimenti da parte dell’ASEAN (Associazione delle nazioni del sud-est asiatico) di far rispettare l’accordo di pace in Myanmar, sta cercando di evitare che un esodo di rifugiati in fuga dalla guerra civile si riversi sui propri confini proponendosi come mediatore. «Il ruolo della Thailandia è quello di fare tutto il possibile per aiutare a risolvere il conflitto nel Paese vicino, e un ruolo simile è atteso anche dalla comunità internazionale», ha dichiarato ieri il segretario generale del primo ministro Prommin Lertsuridej.
Durante il fine settimana si sono verificati ulteriori scontri a Myawaddy (la città birmana dirimpettaia di Mae Sot), nello Stato Karen, tra le truppe dell’esercito golpista e le forze della resistenza, che hanno strappato il controllo della città ai soldati, grazie anche al cambio di bandiera della Border Guard Force, che, trasformatasi nell’Esercito di liberazione Karen (KLA), è passata a sostenere la resistenza e sta combattendo per la creazione di uno Stato Karen autonomo.
Giovedì scorso, l’Esercito di Liberazione Nazionale Karen (KNLA, una milizia etnica da non confondere con il KNA) aveva annunciato di aver intercettato l’ultimo gruppo di militari rimasto, il battaglione di fanteria 275. Alla notizia, l’esercito ha risposto con pesanti bombardamenti, lanciando l’Operazione Aung Zeya (dal nome del fondatore della dinastia Konbaung che regnò in Birmania nel XVIII secolo), nel tentativo di riconquistare Myawaddy ed evitare così un’altra umiliante sconfitta.
The Irrawaddy scrive che l’aviazione birmana ha sganciato nei pressi del Secondo ponte dell’amicizia (uno dei collegamenti tra Mae Sot e Myawaddy) circa 150 bombe, di cui almeno sette sono cadute vicino al confine thailandese dove sono di stanza le guardie di frontiera. Si tratta di una tattica a cui l’esercito birmano sta facendo ricorso sempre più frequentemente a causa delle sconfitte registrate sul campo a partire da ottobre, quando le milizie etniche e le Forze di Difesa del Popolo (PDF, che fanno capo al Governo di unità nazionale in esilio, composto dai deputati che appartenevano al precedente esecutivo, spodestato con il colpo di Stato militare) hanno lanciato un’offensiva congiunta. Una tattica realizzabile, però, solo grazie al continuo sostegno da parte della Russia. Fonti locali hanno infatti dichiarato che gli aerei e gli elicotteri «utilizzati per bombardare i villaggi e per consegnare rifornimenti e munizioni» a «circa 10 chilometri dal confine tra Thailandia e Myanmar» erano «tutti russi».
Bangkok è stata presa alla sprovvista dalla situazione. Sabato un proiettile vagante ha colpito il retro di una casa sulla parte thailandese del confine, senza ferire nessuno, ma l’episodio ha costretto il Paese a rafforzare le proprie difese di confine, aumentando i controlli su coloro che attraversano i due ponti che collegano Myawaddy e Mae Sot, al momento ancora aperti.
La polizia thai ha anche arrestato 15 birmani e due thailandesi che stavano cercando di fuggire in Malaysia in cerca di migliori opportunità di lavoro. Il gruppo ha raccontato di aver valicato il confine a Mae Sot grazie all’aiuto di intermediari. Viaggi di questo tipo rischiano di diventare sempre più frequenti con l’esacerbarsi della violenza in Myanmar, sostengono gli esperti, i quali si aspettano un prosieguo dei combattimenti, almeno finché non comincerà la stagione delle piogge, che ogni anno pone un freno agli scontri.
Ma la Thailandia ha anche inviato aiuti in Myanmar (sebbene tramite enti gestiti dai generali) e attivato una risposta umanitaria a Mae Sot. Il Governo di unità nazionale in esilio ha ringraziato Bangkok per aver fornito riparo e assistenza ai rifugiati, prevedendo tuttavia ulteriori sfollamenti. Almeno 3mila persone – perlopiù anziani e bambini – hanno varcato il confine solo nel fine settimana, ha dichiarato due giorni fa il ministro degli Esteri Parnpree Bahidda Nukara, ma circa 2mila sono tornati a Myawaddy lunedì.
Il mese scorso Parnpree aveva annunciato che il Paese avrebbe potuto ospitare fino a 10mila rifugiati birmani a Mae Sot e dintorni.
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