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Terrorismo

Attentati contro gli investimenti cinesi in Pakistan

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

In sette giorni tre attacchi hanno colpito i progetti infrastrutturali in Pakistan finanziati da Pechino. Il premier Shehbaz Sharf dovrebbe recarsi in Cina il prossimo mese per consolidare l’agenda economia ma è probabile che il lancio di nuovi progetti subirà un arresto, sostengono gli analisti. Nonostante l’ultimo attentato suicida non sia stato rivendicato, diversi gruppi hanno motivi per colpire i cinesi.

 

Il 26 marzo cinque ingegneri cinesi e un autista pakistano sono stati uccisi in un attentato suicida a Besham, una città a circa 270 chilometri a nord-ovest da Islamabad nella provincia del Khyber Pakhtunkhwa. L’attacco, il terzo in sette giorni contro gli interessi cinesi, va a sommarsi a una serie di episodi simili avvenuti negli ultimi anni che rischiano di mettere a repentaglio gli investimenti di Pechino in Pakistan.

 

Gli ingegneri cinesi vittime dell’attentato si stavano dirigendo verso Dasu, dove è in costruzione di una diga da 4,2 miliardi di dollari parte del corridoio economico tra Cina e Pakistan (CPEC), che a sua volta rientra nella Belt and Road Initiative lanciata da Pechino nel 2013.

 

I portavoce del ministero degli Esteri cinese hanno condannato l’attacco, ribadendo allo stesso tempo l’importanza delle relazioni tra i due Paesi, che non sono solo «partner cooperativi strategici» ma anche «fratelli»: «la Cina chiede al Pakistan di indagare tempestivamente sull’episodio, di compiere ogni sforzo per arrestare i responsabili e assicurarli alla giustizia, e di adottare misure pratiche ed efficaci per proteggere la sicurezza dei cittadini cinesi» ha dichiarato il ministero, aggiungendo anche che «qualsiasi tentativo di indebolire la cooperazione sino-pakistana non avrà mai successo».

 

Il Pakistan, che dipende dagli investimenti cinesi (pari a 62 miliardi di dollari per il CPEC) a causa della mancanza di liquidità, ha formato un comitato che avrà il compito di indagare sull’accaduto. Anche perché, a differenza del passato, nessun gruppo – né i talebani pakistani, né gli indipendentisti beluci, né le cellule locali dello Stato islamico – ha rivendicato l’attacco di Besham.

 

Ragione per cui, secondo diversi analisti, l’attentato è probabilmente stato compiuto da «terroristi mercenari»: si tratta di militanti che «si spostano da un’organizzazione all’altra, raramente perseguono il jihad per ragioni ideologiche», ha spiegato il ricercatore Khuram Iqbal. «Piuttosto, agiscono in modo pragmatico, molto spesso per incentivi finanziari».

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La diga di Dasu era già stata presa di mira nel 2021: in un attentato attribuito ai Tehreek-e Taliban Pakistan (TTP, i talebani pakistani) erano morti 13 cittadini cinesi e 4 pakistani, che anche in quel caso stavano viaggiando in autobus verso il progetto infrastrutturale.

 

La settimana scorsa, invece, un attacco al porto di Gwadar (considerato il fiore all’occhiello del corridoio economico tra Cina e Pakistan) e un successivo attentato a una base navale nel sud-ovest del Pakistan sono stati perpetrati dagli indipendentisti beluci, che si sentono depredati delle loro risorse da parte di Pechino.

 

Non è una novità: l’Esercito di liberazione del Belucistan aveva già compiuto una serie di attentati contro i cinesi, colpendo anche obiettivi slegati dagli investimenti.

 

Ad aprile 2022, per esempio, una donna kamikaze si era fatta esplodere appena fuori dall’Università di Karachi uccidendo tre insegnanti cinesi e il loro autista pakistano. Ma anche lo Stato islamico ha le proprie ragioni per colpire Pechino: secondo l’analista Zaigham Khan, i militanti dell’Isis si oppongono agli abusi contro gli uiguri, la minoranza turcica di fede islamica che abita la provincia autonoma dello Xinjiang, localizzata al confine con la regione pakistana del Gilgit-Baltistan.

 

Indipendentemente dai mandanti, i continui attentati contro i cittadini cinesi sono un problema anche per Islamabad. Il prossimo mese il primo ministro Shehbaz Sharif dovrebbe andare in Cina per rafforzare i legami commerciali con Pechino, ma è probabile che questi passeranno in secondo piano.

 

«I cinesi non porteranno avanti alcun importante impegno economico con il Pakistan», secondo Muhammad Shoaib, professore all’Università Quaid-i-Azam di Islamabad. «La Cina è anche preoccupata per l’instabilità politica in Pakistan».

 

Un’opinione condivisa anche da Michael Kugelman, direttore del South Asia Institute del Wilson Center. Le tensioni in Pakistan probabilmente impediranno «il lancio di nuovi grandi progetti. L’idea è di finire ciò che è già stato iniziato», ha commentato, aggiungendo che Pechino potrebbe chiedere l’intervento di personale cinese per garantire la sicurezza dei propri cittadini, una richiesta che Islamabad aveva più volte rifiutato in passato: «potrebbe non passare molto tempo prima che la Cina chieda di far intervenire il proprio personale di sicurezza, il che sarebbe motivo di imbarazzo per il Pakistan», ha proseguito Kugelman.

 

Il recente attacco «potrebbe intensificare quello che è stata a lungo una rara questione di tensione bilaterale».

 

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Terrorismo

Jihadisti francesi attaccano le forze governative siriane

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Le nuove autorità siriane hanno lanciato un’ampia operazione militare contro le forze jihadiste straniere rimaste nella provincia nord-occidentale di Idlib, con particolare attenzione ai militanti di origine francese.   Il governo damasceno ha dichiarato che questi gruppi, che in passato hanno contribuito a rovesciare l’ex presidente Bashar Assad, costituiscono ora una minaccia alla sicurezza.   Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (SOHR), con sede nel Regno Unito, gli scontri sono scoppiati durante un assalto notturno delle forze governative a un campo noto come «campo francese» nella città di Harem, a ovest di Idlib. Entrambe le parti avrebbero subito perdite, ma il numero esatto di vittime non è stato confermato. Almeno due jihadisti sono stati catturati. Secondo le autorità, il campo sarebbe gestito da combattenti stranieri guidati da Omar Omsen, un cittadino francese di origini senegalesi.   Il Servizio di Sicurezza Generale siriano ha specificato che l’obiettivo era arrestare Omsen e ripristinare la stabilità nella regione. Un canale Telegram legato ai jihadisti ha diffuso una dichiarazione del loro leader, che accusava il governo di collaborare con gli Stati Uniti e una «coalizione internazionale» per eliminare i militanti stranieri in Siria, minacciando Damasco di rappresaglie jihadiste e citando il supporto di altri gruppi militanti stranieri.  

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Un articolo del Washington Post dello scorso maggio riferisce che il governo del presidente ad interim Ahmed al-Sharaa, precedentemente conosciuto come il terrorista jihadista al-Jolani, legato ad al-Qaeda e ISIS, sta affrontando minacce dalle stesse forze che lo hanno insediato al potere a novembre.   Secondo un rapporto di Le Monde del 2023, circa 200 cittadini francesi, tra combattenti e loro familiari, si sono stabiliti a Idlib dopo il collasso dello Stato Islamico nel 2019, descritti come «jihadisti francesi irriducibili».   Il WaPo a maggio riportava che «militanti sunniti estremisti» hanno compiuto stragi di alawiti sulla costa siriana a marzo, causando almeno 1.300 morti, con altre migliaia morti nei mesi successivi.   Come noto, anche i cristiani sono oggetto di continue violenze assassine e genocide da parte dei takfiri jihadisti che perseverano nella loro opera di cruenta persecuzione, tra esecuzioni di donne cristiane e bombe nelle chiese, mentre diviene sempre più chiaro che la sharia è l’unica legge del Paese un tempo laico.   Alcuni di questi gruppi jihadisti hanno poi rivolto la loro ostilità contro al-Jolani, specialmente dopo il suo incontro con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che ha portato alla rimozione delle sanzioni contro la Siria, ma lo ha fatto apparire come un «infedele» agli occhi dei radicali.  

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Terrorismo

Episodio di terrorismo a Belgrado

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Il presidente serbo Aleksandar Vucic ha descritto la sparatoria di mercoledì vicino all’Assemblea nazionale di Belgrado come un «terribile attacco terroristico». Un uomo di 70 anni avrebbe aperto il fuoco nella capitale serba e dato fuoco a una tenda.

 

L’autore, identificato come Vladan Andelkovic, è stato arrestato. Secondo i resoconti, ha ferito un uomo di 57 anni, Milan Bogdanovic, sparandogli e ha poi incendiato una tenda dei sostenitori del presidente Vucić davanti all’Assemblea nazionale. Kurir ha riportato che il sospettato ha anche gettato munizioni tra le fiamme.

 

La vittima, colpita alla coscia, non ha subito ferite gravi. I vigili del fuoco hanno domato l’incendio, mentre la polizia ha isolato l’area e avviato un’indagine.

 

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In un discorso televisivo, Vucic ha condannato l’episodio come un «attacco terroristico contro persone e proprietà», dichiarando che il sospettato aveva acquistato benzina per appiccare intenzionalmente il fuoco alla tenda, con l’obiettivo di seminare paura. Vučić ha mostrato un video in cui Andelkovic afferma di aver agito con intenti suicidi: «L’occupazione del centro città mi infastidisce. Ho dato fuoco alla tenda con la benzina», si sente nella registrazione.

 

«Volevo che mi uccideste perché non posso più vivere», ha aggiunto l’uomo.

 

Tuttavia, Vucic ha suggerito che l’uomo potrebbe aver «finto di essere pazzo», sottolineando che il suo passato nelle forze di sicurezza indica una piena consapevolezza delle sue azioni. «Questa persona e i suoi eventuali complici saranno puniti severamente», ha promesso.

 

Il presidente ha poi invitato a evitare reazioni impulsive: «Ho visto la rabbia causata da questo episodio, alcuni oppositori dei bloccanti vogliono radunarsi, ma chiedo loro di non farlo. La vendetta non porta a nulla di buono. Non deve esserci vendetta, e metto in guardia tutti dal cercarla».

 

 

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Terrorismo

Preparavano un altro attentato a Trump?

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Il direttore dell’FBI Kash Patel ha dichiarato domenica 19 ottobre a Fox News che i Servizi Segreti (USSS) hanno individuato una «postazione di caccia» con vista diretta sull’uscita dell’Air Force One del presidente Donald Trump presso l’aeroporto internazionale di Palm Beach. L’FBI sta collaborando con l’USSS e le forze dell’ordine della contea di Palm Beach per le indagini.   Il Patel ha riferito che, fino a ieri, nessuna persona è stata vista o associata alla postazione sopraelevata. Secondo una fonte anonima delle forze dell’ordine citata da Fox, la postazione, situata su un ramo d’albero, sembra essere stata preparata «mesi fa».     Tuttavia, il capo delle comunicazioni dell’USSS, Anthony Guglielmi, ha precisato che gli agenti hanno scoperto la postazione giovedì 16 ottobre durante i «preparativi di sicurezza avanzati» per l’arrivo di Trump a Palm Beach. «Non ci sono state ripercussioni sui movimenti e nessuna persona era presente o coinvolta nel luogo», ha dichiarato Guglielmi a Fox News.   «Sebbene non possiamo fornire dettagli sugli oggetti specifici o sul loro scopo, questo incidente evidenzia l’importanza delle nostre misure di sicurezza a più livelli», ha aggiunto. SOSTIENI RENOVATIO 21
 
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