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Geopolitica

I soldati israeliani hanno attaccato il loro stesso popolo il 7 ottobre: lo conferma l’ex ministro della Difesa

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L’ex ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha ammesso la scorsa settimana che Israele aveva utilizzato la famigerata «Direttiva Annibale» il 7 ottobre. Lo riporta LifeSite.

 

Intervistato per un’ora dal canale israeliano Channel 12, a Gallant, licenziato da Netanyahu, è stato chiesto: «È stato dato l’ordine di usare la direttiva Annibale?»

 

Gallant rispose: «penso che tatticamente in alcuni posti lo fosse, e in altri no, e questo è un problema».

 


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Un rapporto del luglio 2024 sull’uso di questa direttiva era stato minimizzato come accuse. Tuttavia ora l’ex capo della difesa israeliana afferma che alle sue forze è stato effettivamente ordinato di uccidere la propria gente.

 

Il suo sorprendente resoconto solleva seri interrogativi sulla politica di caos organizzato dello Stato israeliano.

 

Gallant racconta di essere stato informato degli attacchi del 7 ottobre da sua figlia: «Mia figlia mi chiama e dice: “Ci sono allarmi a Tel Aviv”». «Ecco come il ministro della Difesa ha ricevuto le prime notizie del peggior disastro nella storia dello Stato di Israele» ha commentato Yonit Levi sul canale israeliano Channel 12.

 

 

Tutti i leader dell’opposizione israeliana hanno accusato Netanyahu di non essere intervenuto per impedire gli attacchi del 7 ottobre, per i quali ha ricevuto ripetuti avvertimenti.

 

Allo stesso tempo, persone come il suo ministro per la sicurezza nazionale, il supersionista Itamar Ben-Gvir, stavano organizzando proteste provocatorie che, secondo quanto avvertito il 5 ottobre dal servizio di sicurezza interna israeliano, lo Shin Bet, avrebbero portato a uno scoppio di violenza.

 

Gallant ha affermato nell’intervista che le azioni di Ben-Gvir avrebbero intenzionalmente «innescato la situazione» con ripetute incursioni nella moschea di Al-Aqsa. Nonostante tutto questo, il giorno degli attacchi, l’unica persona ad informare il capo dell’esercito è sua figlia.

 

Netanyahu ha provato per la prima volta a licenziare Gallant nell’aprile 2023, in seguito alle critiche di Gallant alle riforme giudiziarie politicizzate di Netanyahu. Nella sua intervista di giovedì, Gallant afferma che queste «riforme legali» sono state «un fattore che ha contribuito agli attacchi del 7 ottobre», attribuendo direttamente la colpa a Netanyahu.

 

In seguito alle proteste indignate, note in Israele come la «Gallant night», Netanyahu ha annullato la decisione di licenziare Gallant nel 2023, che è rimasto ministro della Difesa fino alla sua estromissione avvenuta il 5 novembre dell’anno scorso.

 

Era seguita quindi la «Gallant Night II» , con proteste ignorate questa volta. Gallant avvertì che «l’oscurità morale è calata su Israele» in un discorso dopo la sua rimozione.

 

Il Ben-Gvir ha celebrato il licenziamento di Gallant, dicendo che «non è possibile ottenere una vittoria assoluta» nella guerra di Israele a Gaza con l’esercito sotto di lui. Gallant, l’uomo che ha chiesto un «assedio» agli «animali umani», è stato visto dal ministro della sicurezza nazionale israeliano come un «ostacolo», secondo il Times of Israel.

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L’ipersionista Ben-Gvir aveva chiesto la rimozione di Gallant nel maggio 2024, dopo che Gallant aveva criticato Netanyahu per non aver avuto un piano «per il giorno dopo» per Gaza dopo la fine della guerra.

 

Mentre il Netanyahu ha spiegato che il licenziamento è avvenuto in seguito a una rottura del rapporto di fiducia, Gallant ha affermato di essere stato rimosso perché aveva esortato Netanyahu ad accettare un accordo per la restituzione degli ostaggi israeliani e aveva chiesto un’inchiesta sugli attacchi del 7 ottobre.

 

Netanyahu si è rifiutato di fare entrambe le cose per oltre un anno e si vocifera che sia stato costretto ad accettare l’accordo di ostaggi e di cessate il fuoco mediato da Trump da Miriam Adelson, una delle principali donatrici di Trump.

 

Gallant aveva anche deriso il discorso di Netanyahu sulla «vittoria assoluta» a Gaza come «incomprensibile» in dichiarazioni trapelate da un incontro nell’agosto 2024. Quando è stato sfidato, Gallant ha risposto: «sono pronto a discutere con fatti e azioni. Potrei essere debole con i media e la politica, ma sulla sicurezza so di cosa sto parlando».

 

Gallant ha dichiarato infamemente «un assedio completo sulla Striscia di Gaza» il 9 ottobre, annunciando che «non ci sarà elettricità, né cibo, né acqua, né carburante. Tutto è chiuso. Stiamo combattendo contro gli animali umani e stiamo agendo di conseguenza».

 

È stato accusato di «crimini di guerra» dalla Corte penale internazionale (CPI), che ha giurato di perseguire il suo caso contro di lui nonostante l’imposizione di sanzioni al suo staff da parte del presidente Donald Trump.

 

La CPI è stata istituita tramite trattato ai sensi dello Statuto di Roma del 1998, in seguito agli sforzi intrapresi dal 1907 per formare un organismo internazionale che armonizzasse le leggi di guerra. Sia gli Stati Uniti che Israele hanno respinto questa convenzione, con gli USA che nel 1998 si sono opposti alla «politicizzazione» di una CPI il cui potere legalizza la sostituzione della sovranità nazionale.

 

In assenza di un diritto internazionale significativo, sembra che ci siano ben pochi standard di legge e ordine anche in Israele, come dimostra l’intervista di un’ora al Gallant.

 

Il Gallant afferma inoltre che i tentativi di riordinare il sistema legale di Israele da parte di Netanyahu, per i suoi fini politici, hanno portato direttamente agli attacchi del 7 ottobre. Questo è un esempio di «politicizzazione» di una corte in patria, intrapresa da un leader israeliano, che i suoi critici, tra cui Gallant, affermano abbia minato la sua sovranità sostituendo la governance con una «crisi costituzionale».

 

Continuano le lotte intestine per stabilire quale fazione della coalizione controllerà il sistema giudiziario.

 

Le recenti dimissioni del capo delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno provocato ulteriore scossa nell’esercito israeliano.

 

Pochi giorni dopo l’annuncio del cessate il fuoco di Trump, il 7 ottobre Herzi Halevi si è dimesso da capo delle IDF, affermando che l’esercito israeliano aveva «fallito nella sua missione di proteggere i cittadini di Israele», aggiungendo che i funzionari israeliani «devono fornire risposte» per il fallimento del 7 ottobre in una lettera di dimissioni descritta dal Times of Israel come un «colpo di grazia» al regime di Netanyahu.

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La BBC ha aggiunto nel suo rapporto del 21 gennaio che «il leader dell’opposizione Yair Lapid ha elogiato la decisione di Halevi e ha invitato Netanyahu a fare lo stesso». Il Lapid ha incolpato direttamente Netanyahu e il suo «governo catastrofico», affermando: «Ora è tempo che si assumano la responsabilità e si dimettano».

 

Gallant dimostra che Netanyahu è direttamente responsabile della morte di alcuni degli ostaggi israeliani che si è rifiutato di salvare. «La proposta che Hamas ha accettato all’inizio di luglio era identica alla proposta attuale. … Sfortunatamente, ora ci sono meno ostaggi ancora vivi» ha spiegato l’ex ministro.

 

L’intervista rilasciata da Yoav Gallant è stata descritta da Chaim Levinson, corrispondente diplomatico senior di Haaretz , come «un importante documento storico» che «non ha lasciato nulla di intentato in tutto ciò che è accaduto prima del 7 ottobre e da allora».

 

Come riportato da Renovatio 21, sette mesi fa Haaretz aveva ottenuto documenti secondo cui l’IDF aveva autorizzato attacchi contro i propri soldati.

 

All’inizio dell’estate 2024 erano emerse prove secondo cui membri della brigata di intelligence israeliana Unità 8200 avevano avvisato i loro superiori di un imminente attacco da parte di Hamas, che si sarebbe svolto quasi esattamente come era avvenuto il 7 ottobre.

 

Un anno fa soldatesse israeliane di sorveglianza al confine avevano denunciato il fatto che avevano avvertito dell’intensificazione dell’attività di Hamas prima dell’attacco del 7 ottobre. Tuttavia, il loro allarme sarebbe stato ignorato dai vertici della catena di comando.

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Immagine di U.S. Secretary of State via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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Geopolitica

Putin: la Russia raggiungerà tutti i suoi obiettivi nel conflitto ucraino

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La Russia porterà a compimento tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale in Ucraina, ha dichiarato il presidente Vladimir Putin.   Tra gli scopi principali enunciati da Putin nel 2022 vi sono la protezione degli abitanti delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk dall’aggressione delle forze di Kiev, nonché la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina.   «Naturalmente porteremo a termine questa operazione fino alla sua logica conclusione, fino al raggiungimento di tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale», ha affermato Putin in videocollegamento durante la riunione del Consiglio presidenziale per i diritti umani di martedì.   Il presidente russo quindi ricordato che il conflitto è scoppiato quando l’esercito ucraino è stato inviato nel Donbass, regione storicamente russa che nel 2014 aveva respinto il colpo di Stato di Maidan sostenuto dall’Occidente. Questo, secondo il presidente, ha reso inevitabile l’intervento delle forze armate russe per porre fine alle ostilità.

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«Si tratta delle persone. Persone che non hanno accettato il colpo di Stato in Ucraina nel 2014 e contro le quali è stata scatenata una guerra: con artiglieria, armi pesanti, carri armati e aviazione. È lì che è iniziata la guerra. Noi stiamo cercando di mettervi fine e siamo costretti a farlo con le armi in pugno».   Putin ha ribadito che per otto anni la Russia ha cercato di risolvere la crisi per via diplomatica e «ha firmato gli accordi di Minsk nella speranza di una soluzione pacifica». Tuttavia, ha aggiunto la settimana scorsa in un’intervista a India Today, «i leader occidentali hanno poi ammesso apertamente di non aver mai avuto intenzione di rispettarli», avendoli sottoscritti unicamente per guadagnare tempo e permettere all’Ucraina di riarmarsi.   Mosca ha accolto positivamente il nuovo slancio diplomatico impresso dal presidente statunitense Donald Trump, che ha proposto il suo piano di pace in 28 punti come base per un’intesa.   Lunedì Trump ha pubblicamente invitato Volodymyr Zelens’kyj ad accettare le proposte di pace, lasciando intendere che il leader ucraino non abbia nemmeno preso in esame l’ultima offerta americana.  

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 
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Lavrov elogia la comprensione di Trump delle cause del conflitto in Ucraina

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Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha dichiarato che il presidente statunitense Donald Trump rappresenta l’unico leader occidentale in grado di cogliere le vere motivazioni alla base del conflitto ucraino.

 

Parlando mercoledì al Consiglio della Federazione, la camera alta del parlamento russo, Lavrov ha spiegato che, mentre gli Stati Uniti manifestano una «crescente impazienza» verso il percorso diplomatico mirato a cessare le ostilità, Trump è tra i pochissimi esponenti occidentali a comprendere le dinamiche che hanno originato la crisi.

 

«Il presidente Trump… è l’unico tra tutti i leader occidentali che, subito dopo il suo arrivo alla Casa Bianca nel gennaio di quest’anno, ha iniziato a dimostrare di aver compreso le ragioni per cui la guerra in Ucraina era stata inevitabile», ha dichiarato.

 

Lavrov ha proseguito sottolineando che Trump possiede una «chiara comprensione» delle dinamiche che hanno forgiato le politiche ostili nei confronti della Russia da parte dell’Occidente e dell’ex presidente statunitense Joe Biden, strategie che, a suo dire, «erano state coltivate per molti anni».

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Il ministro ha indicato che «si sta avvicinando il culmine dell’intera saga» ucraina, affermando che Trump ha sostanzialmente ammesso che «le cause profonde identificate dalla Russia devono essere eliminate».

 

Il vertice della diplomazia russa ha menzionato in modo specifico le storiche riserve di Mosca sull’aspirazione ucraina all’adesione alla NATO e la persistente violazione dei diritti della popolazione locale.

 

Lavrov ha poi precisato che Trump resta «l’unico leader occidentale a cui stanno a cuore i diritti umani in questa situazione», contrapposto ai governi dell’UE che, secondo Mosca, evadono il tema. Ha svelato che la roadmap statunitense per un’intesa includeva esplicitamente la tutela dei diritti delle minoranze etniche e delle libertà religiose in Ucraina, «in linea con gli obblighi internazionali».

 

Tuttavia, sempre secondo Lavrov, tali clausole sono state indebolite nel momento in cui il documento è stato sottoposto all’UE: il testo è stato modificato per indicare che l’Ucraina dovrebbe attenersi agli standard «adottati nell’Unione Europea».

 

Da tempo Mosca denuncia la soppressione della lingua e della cultura russa da parte di Kiev, oltre ai sforzi per limitare i diritti delle altre minoranze nazionali, e al contempo accusa i leader ucraini di fomentare apertamente il neonazismo nel paese.

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Immagine dell’Ufficio stampa della Duma di Stato della Federazione Russa via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International

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Geopolitica

Gli europei sotto shock per la strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti per il 2025

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I leader europei e i media dell’establishment sono in preda al panico dopo la diffusione, sul portale ufficiale della Casa Bianca, della «Strategia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America 2025» (NSS).   A terrorizzare Bruxelles e dintorni è l’impegno esplicito del governo USA a privilegiare «Coltivare la resistenza all’attuale traiettoria dell’Europa all’interno delle nazioni europee», descritta in termini aspri ma realistici. Il report si scaglia in particolare contro l’approccio dell’UE alla Russia.   L’NSS ammonisce che il Vecchio Continente rischia la «cancellazione della civiltà» se non invertirà la rotta imposta dall’Unione Europea e da altre entità sovranazionali. La «mancanza di fiducia in se stessa» del Continente emerge con evidenza nelle interazioni con Mosca. Gli alleati europei detengono un netto primato in termini di hard power rispetto alla Russia in quasi tutti i campi, salvo l’arsenale nucleare.

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Dopo l’invasione russa in Ucraina, i rapporti europei con Mosca sono drasticamente deteriorati e numerosi europei vedono nella Federazione Russa una minaccia esistenziale. Gestire le relazioni transatlantiche con la Russia esigerà un impegno diplomatico massiccio da Washington, sia per reinstaurare un equilibrio strategico in Eurasia sia per scongiurare frizioni tra Mosca e gli Stati europei.   «È un interesse fondamentale degli Stati Uniti negoziare una rapida cessazione delle ostilità in Ucraina, al fine di stabilizzare le economie europee, prevenire un’escalation o un’espansione indesiderata della guerra e ristabilire la stabilità strategica con la Russia, nonché per consentire la ricostruzione post-ostilità dell’Ucraina, consentendole di sopravvivere come Stato vitale».   Il conflitto ucraino ha paradossalmente accresciuto la vulnerabilità esterna dell’Europa, specie della Germania. Oggi, le multinazionali chimiche tedesche stanno erigendo in Cina alcuni dei più imponenti complessi di raffinazione globale, sfruttando gas russo che non possono più procurarsi sul suolo patrio.   L’esecutivo Trump si scontra con i burocrati europei che coltivano illusioni irrealistiche sul prosieguo della guerra, appollaiati su coalizioni parlamentari fragili, molte delle quali calpestano i pilastri della democrazia per imbavagliare i dissidenti. Una vasta maggioranza di europei anela alla pace, ma tale aspirazione non si riflette nelle scelte politiche, in gran parte ostacolate dal sabotaggio dei meccanismi democratici perpetrato da quegli stessi governi. Per quanto allarmati siano i continentali, l’establishment britannico lo è ancor di più.   Ruth Deyermond, docente al dipartimento di Studi della Guerra del King’s College London e specialista in dinamiche USA-Russia, ha commentato su X che il testo segna «l’enorme cambiamento nella politica statunitense nei confronti della Russia, visibile nella nuova Strategia per la Sicurezza Nazionale – il più grande cambiamento dal crollo dell’URSS». Mosca appare citata appena dieci volte nel corposo documento, nota Deyermond, e prevalentemente per evidenziare le fragilità europee.   In un passaggio esemplare, il report afferma che «questa mancanza di fiducia in se stessa è più evidente nelle relazioni dell’Europa con la Russia». «L’assenza della Russia dalla Strategia di Sicurezza Nazionale 2025 appare davvero strana, sia perché la Russia è ovviamente uno degli stati che hanno l’impatto più significativo sulla stabilità globale al momento, sia perché l’amministrazione è così chiaramente interessata alla Russia (…) Non è solo la mancanza di riferimenti alla Russia a essere sorprendente, è il fatto che la Russia non venga mai menzionata come avversario o minaccia» scrive l’accademica.«La mancanza di discussione sulla Russia, nonostante la sua importanza per la sicurezza e l’ordine internazionale e la sua… importanza per l’amministrazione Trump, fa sembrare che stiano semplicemente aspettando di poter parlare in modo più positivo delle relazioni in futuro».

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La parte dedicata al dossier ucraino – che allude al fatto che «l’amministrazione Trump si trova in contrasto con i politici europei che nutrono aspettative irrealistiche per la guerra» – pare quasi redatta dal Cremlino. L’incipit della Deyermond è lapidario: «Se qualcuno in Europa si aggrappa ancora all’idea che l’amministrazione Trump non sia inamovibile filo-russa e ostile alle istituzioni e ai valori occidentali, dovrebbe leggere la Strategia per la Sicurezza Nazionale del 2025 e ripensarci».   Il NSS dedica scarsa attenzione alla NATO, se non per insistere sulla cessazione della sua espansione indefinita, ma stando ad un articolo Reuters del 5 dicembre, Washington intende che l’Europa rilevi entro il 2027 la gran parte delle competenze di difesa convenzionale dell’Alleanza, dall’intelligence ai missili. Questa scadenza «irrealistica» è stata illustrata questa settimana a diplomatici europei a Washington dal team del Pentagono incaricato della politica atlantica, secondo cinque fonti «a conoscenza della discussione».   Nel corso dell’incontro, i vertici del Dipartimento della Difesa avrebbero espresso insoddisfazione per i passi avanti europei nel potenziare le proprie dotazioni difensive dopo l’«invasione estesa» russa in Ucraina del 2022. Gli esponenti USA hanno avvisato i loro omologhi che, in caso di mancato rispetto del termine del 2027, gli Stati Uniti potrebbero sospendere la propria adesione a certi meccanismi di coordinamento difensivo NATO, hanno riferito le fonti. Le capacità convenzionali comprendono asset non nucleari, da truppe ad armamenti, e i funzionari non hanno chiarito come misurare i progressi europei nell’assunzione della quota preponderante del carico, precisa Reuters.   Non è dato sapere se il limite temporale del 2027 rifletta la linea ufficiale dell’amministrazione Trump o meri orientamenti di singoli addetti del Pentagono. Diversi rappresentanti europei hanno replicato che un tale orizzonte non è fattibile, a prescindere dai criteri di valutazione di Washington, dal momento che il Vecchio Continente necessita di risorse finanziarie aggiuntive e di una volontà politica più marcata per rimpiazzare alcune dotazioni americane nel breve periodo.   Tra le difficoltà, i partner NATO affrontano slittamenti nella fabbricazione degli equipaggiamenti che intendono acquisire. Sebbene i funzionari USA abbiano sollecitato l’Europa a procacciarsi più hardware di produzione statunitense, taluni dei sistemi difensivi e armi made in USA più cruciali imporrebbero anni per la consegna, anche se commissionati oggi.

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