Pensiero
La potenza atomica europea al collasso politico e sociale: cosa accadrà alla Francia?
Succede che le elezioni francesi hanno mostrato qualcosa di prevedibile ma al contempo incredibile. Succede che la situazione di Parigi, oramai, è considerabile solo come pericolosissima.
Andiamo con ordine: le elezioni sembrava le dovesse vincere, anzi, stravincere, la Le Pen con il suo delfino Bardella. L’«estrema destra» al potere a Parigi: si era a pochi metri. Come hanno notato molti osservatori, Macron – l’uomo del sistema, forse in maniera così profonda ed esoterica che non ancora possiamo comprendere – ha manovrato così bene che invece al potere ci andrà l’estrema sinistra del Nouveau Front Populaire.
Capito? In meno di qualche giorno, da una Francia di estrema destra ci siamo ritrovati in una Francia di estrema sinistra. Interessante.
Rubo le considerazioni di David Sacks, investitore americano che viene dalla cosiddetta «PayPal mafia», il gruppo di ragazzi (da Musk a Peter Thiel ad una manciata di altri) che hanno creato gran parte di internet così come la conosciamo ora.
«Macron ha cospirato con l’NFP per eliminare 200 candidati dal ballottaggio, assicurando che RN vincesse il terzo maggior numero di seggi anche se aveva la percentuale più alta di voti. Ciò potrebbe essere stato legale, ma non è stato “solo” il voto a produrre questo risultato».
Yes they voted, but for a reduced set of choices. Macron conspired with NFP to drop 200 candidates from the ballot, ensuring RN won the 3rd most seats even though it had the highest % of the vote. It may have been legal but let’s not pretend “just voting” produced this result. https://t.co/fFxk5PKUM3 pic.twitter.com/vWXhPFqSs0
— David Sacks (@DavidSacks) July 8, 2024
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«Sì, hanno votato, ma per un ventaglio di scelte ridotto. Macron ha cospirato con l’NFP per eliminare 200 candidati dal ballottaggio, assicurando che RN vincesse il terzo maggior numero di seggi anche se aveva la percentuale più alta di voti. Potrebbe essere stato legale, ma non facciamo finta che “il semplice voto” abbia prodotto questo risultato».
Aveva ragione Macron: alla destra è stata tirata davvero una granata fra le gambe. E mica è finita: ora la magistratura muove contro la Le Pen. Si sa, i francesi amano distinguersi: in Italia e negli USA la giustizia ad orologeria colpisce prima delle elezioni, in Francia dopo. Forse, oltre che segno chic, è anche indice di una coordinazione maggiore, di una certezza salda sull’esito delle cose. Chissà.
C’è da dire che bisogna ritirare tanti mugugni fatti in questi anni sul Front National ora Rassemblement National «venduto». È chiaro: ai Le Pen non faranno mai toccare il potere francese. Un qualcosa che dice molto non solo su Marine e compagni, ma anche su un altro suo amico al quale chiaramente mai faranno vedere davvero la stanza dei bottoni – Matteo Salvini – e quindi forse qui c’è un rilievo da fare anche su Giorgia Meloni…
La tempesta di citochine politiche contro i Le Pen è risalente.
Chi scrive ricorda il primo vero botto: era il 2002, c’erano le presidenziali, era vivo il presidente Chirac, gollista atomico completamente fuso nell’establishment nazionale francese e in quello europeo – vabbè sintetizziamo pure che dicono che avesse dei massoni in famiglia. Incredibilmente, al ballottaggio non arrivò il socialista Jospin, ma lui, l’innominabile, il guercio, il picaresco, l’intollerabile, irricevibile, inimitabile Jean-Marie Le Pen.
Fu una di quelle prime volte in cui giornali ed opinionisti cominciarono a lasciarsi scappare che sì, la democrazia non va benissimo, la democrazia può dare scandalo.
Rammento il discorso di Le Pen al suo popolo ad un festone in una villa di Montmartre: inarrestabile, ironico, forse già vecchio, ma emanante l’aria di chi ha fatto l’impresa. La gente lo acclamava: «Le-Pen-président-Le-Pen-président». Per qualche ragione, finito il comizio, fecero partire la canzone di Kylie Minogue che spopolava in quel momento. «Na-na-na, na-na-nan-nan-na». Ci stava pure.
Notai all’epoca, anche in Italia, come nessuno fosse davvero preoccupato della possibilità che Jean-Marie potesse ascendere all’Eliseo. In TV c’era Giuliano Ferrara, che sorvolava sulla cosa, dicendo che più che Le Pen bisognava guardare le motivazioni che avevano portato i francesi a votarlo (forse al giornalista romano interessava all’epoca più che altro la questione islamica, per certi motivi), che comunque in pochi giorni il Front National sarebbe – spero di ricordare bene l’espressione, tornato nelle fogne. Sapete, era un vecchio adagio dell’estrema sinistra da cui proveniva il Ferrara: «fascisti/carogne/tornate nelle fogne».
Così fu: al ballottaggio stravinse lo Chirac.
Sarebbero seguiti altri déjà vu. 2017: Marine Le Pen, che oramai da anni ha ereditato il partito dal padre, va al ballottaggio con Macron e perdere, nonostante il record di 10 milioni di voti, mai visti per il FN: è il doppio dei voti che prendeva il genitore.
Alle presidenziali 2022 Marine prende addirittura 13 milioni di voti, ma – guarda guarda – lo strano personaggio che viene dalla Banca Rothschild e ha sposato la sua insegnante di quando era ragazzino la batte e si tiene il potere. Au revoir, Marine.
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2024, fino a poche ore fa la vittoria tanto agognata sembrava a portata, vento degli exit poll in poppa. Macché. Ecco il pazzesco fenomeno per cui è possibile passare dall’estrema destra all’estrema sinistra, perché tutto può cambiare al fine di mantenere le cose come stanno – e quindi lasciare i Le Pen fuori dai giochi.
A questo punto bisogna fare un discorsetto storico-morfologico sull’accaduto, tanto per unire qualche puntino.
Le Pen è un fenomeno organico. Si è fatto largo partendo dal nulla. Dalla sua aveva, si dice, un finanziatore che era il re francese dei cementi, la simpatia non nascosta di Brigitte Bardot, e una capacità affabulatoria e persuasiva unica nel panorama ingessato dei burocrati politici d’Oltralpe. È poca cosa, se si va contro il mastodonte dell’establishment illuminista francese, che ha radici violente che affondano in più di due secoli.
La prima crescita fu quando, si dice, Mitterand gli permise di andare in TV: al furbo presidente serviva far crescere il FN per sgonfiare gli avversari gollisti. Giammaria si fece strada alla grande, talk show dopo talk show, sparando verità indicibili una dopo l’altra. È il modello che una trentina di anni dopo avrebbe portato a Brasilia Javier Messias Bolsonaro.
Un amico mi raccontò di quando andò a prendere parte dell’occupazione della chiesa parigina di Saint Nicolas du Chardonnet da parte della Fraternità San Pio X – i lefebvriani, per chi non sa. Era il febbraio 1977: un manipolo di membri della FSSPX sotto la guida del sacerdote letterato Francois Ducaud-Bourget (1897-1984) entrarono nella chiesa e ne presero possesso – ancora oggi vi si celebrano quantità di messe vetus ordo.
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L’amico mi racconta che, arrivato con il primo treno da Firenze, trovò una situazione unica: c’erano fedeli e novizi di tutte le razze che dormivano sulle panche, c’era un senso di urgenza e di unione unico, era come sentire una Francia sepolta che stava tornando fuori in maniera potente, forse perfino circense: mi dice che fuori dalla chiesa ad un certo punto si presentò un tizio con un coccodrillo al guinzaglio, cose così, era membr0 del circo – anche quella una comunità dedita ad un’arte antica incompatibile con il mondo moderno, così come c’erano personaggi di ogni risma.
Ad un certo punto, mi dice, apparve anche Jean-Marie Le Pen.
In quello storico coacervo di stranezza e determinazione, mica poteva mancare: del resto, a differenza della figlia, della sua stravaganza lui ha fatto la sua cifra. È poco noto che Jean-Marie fu amicissimo di Marco Pannella, e diceva di stimarlo enormemente. Qualcuno anni fa ha raccontato ai giornali che se andavi a casa di Pannella a Roma poteva anche capitarti di trovarci ebbro il Le Pen, che in anni recenti ha pure protestato per la fine dei finanziamenti pubblici a Radio Radicale (!)
È chiaro quindi cosa è costata questa scalata: una vita intera, partita dai bassifondi più strambi, un’anabasi attraverso i decenni, mentre la Francia socialista diventava sempre più solidamente mondialista ed apertamente massonica, mentre la quantità di immigrati che vi venivano buttati dentro – da molto prima delle crisi migratorie degli anni Duemila – rendevano le città francesi delle bombe ad orologeria.
La risalita di Le Pen, che sistematizza un partito copiando il simbolo da quello dell’MSI (la fiammella, che dovrebbe essere ancora da qualche parte nello stemma del partito di governo in Italia FdI), giocoforza, accelerava mentre il popolo veniva aggredito ogni giorno di più dalla realtà. Tutti quei temi strani, le idee «della fogna» (sulla minaccia di immigrazione, droga libera, decadenza dei costumi), divengono una realtà sensibile per tanti cittadini francesi… al contempo, la castrazione della sua impresa politica si fa inevitabile.
Avete capito dove voglio arrivare: il potere francese è detenuto ancora oggi dagli eredi della ghigliottina, i massoni che rivoltarono trono e altare, con relativo genocidio in Vandea e non solo. Secoli sono passati, ma il potere mai davvero è passato di mano: anzi, nonostante le batoste belliche, vive ancora tranquillo con i suoi miti, come quello del distruttore d’Europa Napoleone Bonaparte: gli italiani dovrebbero capirlo meglio di chiunque altro, perché è proprio da lì che viene l’atteggiamento della Francia nei confronti del nostro Paese, visto – con una punta di rabbia, o ammirazione, o invidia – come una terra da depredare. L’assalto del capitalismo francese sulle nostre grandi aziende, sulle nostre banche, assicurazioni etc. deriva da qui. Il «Trattato del Quirinale», pure.
Questa conformazione politica storica – che, essendo basata su sempiterni ideali antireligiosi, è in realtà metapolitica e metastorica – forma una cappa da cui nessun’altra Francia è lasciata emergere. C’est-à-dire: la «cristianissima Francia», la Francia dei paesini e dei campi, la Francia delle famiglie e dei bambini, la Francia della storia e della tradizione cattolica, non la vedrete mai, e quelle volte che si è affacciata (sovvengono le proteste contro il matrimonio gay a metà anni 2010) viene soffocata, repressa con la forza.
Insomma: se la Le Pen vuole arrivare, deve fare più di un’abiura laicista (non costa niente, magari pure possiamo considerare che l’abbia già fatta: del resto i suoi deputati hanno votato l’aborto in Costituzione di Macron): deve purgare da sé il germe della Francia morale, la Francia eterna, la Francia cristiana. Perché la paranoia massonica altrimenti mai le permetterà di avvicinarsi al vertice: il rischio che scoppi la rivoluzione – cioè, la Controrivoluzione – è troppo grande per loro, che temono il vulcano. La valanga di voti di RN, i gilet gialli, le messe strapiene della FSSPX, i movimenti giovanili identitari, le proteste spontanee contro l’omosessualizzazione della società… sono geyser, sono lapilli di un abisso di magma che la piramide occhiuta non sa stimare, e che teme assai.
Ecco perché alla Le Pen non sarà mai consentito di vincere nulla.
Ecco perché, quindi, la situazione nel Paese potrebbe diventare pericolosa al punto da far tremare l’Europa, e il mondo.
Lo stop, ennesimo e repentino, del RN porterà ad un malcontento immenso presso gli autoctoni, i cittadini contribuenti orgogliosamente francesi. Assistere a cosa succederà con un governo di estrema sinistra – che adotterà provvedimenti che sono l’esatto contrario di quello per cui votano i lepenisti – radicalizzerà diverse frange di giovani e meno giovani.
In pratica: avranno voglia di menare le mani. L’incastro avviene immediatamente: all’estrema sinistra e nelle banlieue degli immigrati, la voglia di picchiare è permanente. Basta vedere che ci sono stati disordini pure la sera della loro vittoria elettorale. È una nuova usanza etnica: pensiamo ai danni a Milano e in altre città dopo le partite del Mondiali di Calcio in cui il Marocco vinceva. Spaccano tutto, anche quando sono felici.
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Il grande romanziere Michel Houellebecq è finito sui giornali anche in Italia dicendo che dopo queste elezioni ci sarebbe stata la guerra civile, in ispecie se avesse vinto il FN. I media hanno mancato di notare che non è una previsione nuova per lo scrittore francese: nel suo Sottomissione (2015), libro fantapolitico bello e disperato, raccontava dell’ascesa di un partito islamico e di guerriglia nel giorno delle elezioni, anche con morti: solo che i media insabbiavano tutto, e quindi sembrava che non fosse accaduto nulla.
Houellebecq scriveva in pratica che la guerra civile potrebbe anche esserci, ma potrebbe finire per non essere registrata. Basta che l’establishment ordini di ignorarla.
Abbiamo visto con quanto poco si può creare il caos in Francia: basta un petardo nelle banlieue, e ottiene città intere messe a ferro e fuoco, negozi razziati, violenza indiscriminata, urla «Allahu akbar», le forze dell’ordine, lo Stato, che recedono totalmente e lasciano il cittadino sprotetto.
È l’anarco-tirannia, ne abbiamo parlato tanto. La Francia rimane un esempio plastico: nonostante lo smacco subito dallo Stato francese nell’estate della rivolta etnica delle banlieue, Macron è rimasto tranquillo al suo posto. Anzi: ricordiamo pure che nella sera in cui Parigi andava a fuoco, lui era con Brigitta al concerto di Elton John (lui).
Ma quanto può durare una situazione di questo tipo? Quanto può la tensione covare, ed esplodere, e continuare a bruciare, prima che l’intero sistema non si rovesci?
Gli apprendisti stregoni con il grembiule credono di poter evocare il demone anarco-tirannico per stare in sella. Pensano di poterlo controllare: del resto, divide et impera è il trucchetto più vecchio nel manuale del vero potere. Sappiamo cosa accadrà: come sempre, il genio scapperà dalla lampada, il golem si ribellerà al padrone, Frankestein comincerà ad agire per conto suo. L’incantesimo gli si ritorcerà contro. On connait la chanson.
Vedere la Francia ribaltata non sarebbe solo un problema per i francesi, o per il resto degli europei, e in special modo l’Italia – un altro trucchetto del manuale: nessun Paese può tollerare il caos ai suoi confini: per far terminare la bagarre ci piazzi un tuo uomo forte, o lo invadi. La Francia consumata dalla guerra civile porrebbe una questione ancora più seria: Parigi ha le testate atomiche.
Tenetelo a mente: dopo la Brexit, gli unici che possono fornire l’ombrello atomico alla UE – un qualcosa che pare sempre più apprezzato anche dai socialisti tedeschi, un tempo antinuclearisti e pacifisti – sono i francesi. Gli esperimenti di Mururoa, voluti da Chirac nella tradizione della force de frappe di De Gaulle, a quello servivano. A farci capire che hanno le bombe, e ora che gli inglesi si sono tolti, ci rimangono solo le loro, e pure nella situazione di più alto pericolo di guerra termonucleare mondiale, con da una parte intellettuali russi che parlano di nuclearizzare città europee e dall’altro la valigetta nucleare USA in mano ad un uomo in demenza senile conclamata.
Cosa ne sarebbe delle atomiche francesi qualora a Parigi scoppiasse il finimondo, e la società, e la politica, collassassero del tutto?
E cosa dovrebbe fare, in quel caso, l’Italia?
Sono belle domande, a cui non vogliamo rispondere noi. Ci limitiamo a ricordare che forse, dietro allo strano, stranissimo atteggiamento di Macron degli ultimi mesi, potrebbe esserci un computo che nulla ha a che fare con la politica, con la geopolitica, con l’economia.
Del resto, è stato lui ad accendere lo scontro con la Russia, a poca distanza dallo sforzo, unico nella storia, di mettere il feticidio in Costituzione, e poi passare all’eutanasia e a breve a chissà cos’altro (non fatecelo dire).
Ci sono quelle storie assurde sulla moglie, ma qualche commentatore dice che la storia ufficiale, fra i due, non è in realtà meno allucinante. E quindi, chiediamoci: cosa hanno intronizzato, mettendo all’Eliseo Macron?
Quale parte del programma deve portare avanti la Francia in questo momento fatale?
Roberto Dal Bosco
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Pensiero
Di tabarri e boomerri. Pochissimi i tabarri
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Pensiero
Trump e la potenza del tacchino espiatorio
Il presidente americano ha ancora una volta dimostrato la sua capacità di creare scherzi che tuttavia celano significati concreti – e talvolta enormi.
L’ultima trovata è stata la cerimonia della «grazia al tacchino», un frusto rito della Casa Bianca introdotto nel 1989 ai tempi in cui vi risiedeva Bush senior. Il tacchino, come noto, è l’alimento principe del giorno del Ringraziamento, probabilmente la più sentita ricorrenza civile degli americani, che celebra il momento in cui i Padri Pellegrini, utopisti protestanti, furono salvati dai pellerossa che indicarono ai migranti luterani come a quelli latitudini fosse meglio coltivare il granturco ed allevare i tacchini. Al ringraziamento degli indiani indigeni seguì poco dopo il massacro, però questa è un’altra storia.
Fatto sta che il tacchino, creatura visivamente ripugnante per i suoi modi sgraziati e le sue incomprensibili protuberanze carnose, diventa un simbolo nazionale americano, forse persino più importante dell’aquila della testa bianca, perché il rapace non raccoglie tutte le famiglie a cena in una magica notte d’inverno, il tacchino sì. Tant’è che ai due fortunati uccelli di quest’anno, Gobble e Waddle (nomi scelti online dal popolo statunitense, è stata fatta trascorrere una notte nel lussuosissimo albergo di Washington Willard InterContinental.
🦃 America’s annual tradition of the Presidential Turkey Pardon is ALMOST HERE!
THROWBACK to some of the most legendary presidential turkeys in POTUS & @FLOTUS history before the big moment this year. 🎬🔥 pic.twitter.com/QT2Oal12ax
— The White House (@WhiteHouse) November 24, 2025
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Da più di un quarto di secolo, quindi, eccoti che qualcuno vicino alla stanza dei bottoni si inventa che il commander in chief appaia nel giardino delle rose antistante la residenza e, a favore di fotografi, impartista una grazia al tacchino, salvandolo teoricamente dal finire sulla tavola – in realtà ci finisce comunque suo fratello, o lui stesso, ma tanto basta. Non sono mancati i momenti grotteschi, come quando il bipede piumato, dinanzi a schiere di alti funzionari dello stato e giornalisti, ha scagazzato ex abrupto e ad abundantiam lasciando puteolenti strisce bianche alla Casa Bianca.
Non si capisce cosa esattamente questo rituale rappresenti, se non la ridicolizzazione del potere del presidente di comminare grazie per i reati federali, tema, come sappiamo quanto mai importante in quest’ultimo anno alla Casa Bianca, visti le inedite «grazie preventive» date al figlio corrotto di Biden Hunter, al plenipotenziario pandemico Anthony Fauci, al generale (da alcuni ritenuto golpista de facto) Mark Milley. Sull’autenticità delle firme presidenziali bideniane non solo c’è dibattito, ma l’ipostatizzazione del problema nella galleria dei ritratti dei presidenti americani, dove la foto di Biden, considerato in istato di amenza da anni, è sostituita da un’immagine dell’auto-pen, uno strumento per automatizzare le firme forse a insaputa dello stesso presidente demente.
Ecco che Donaldo approffitta della cerimonia del pardon al tacchino per lanciare un messaggio preciso: appartentemente per ischerzo, ma con drammatico valore neanche tanto recondito.
Trump si mette a parlare di un’indagine approfondita condotta da Bondi e da una serie di dipartimenti su di « una situazione terribile causata da un uomo di nome Sleepy Joe Biden. L’anno scorso ha usato un’autopsia per concedere la grazia al tacchino».
«Ho il dovere ufficiale di stabilire, e ho stabilito, che le grazie ai tacchini dell’anno scorso sono totalmente invalide» ha proclamato il presidente. «I tacchini conosciuti come Peach and Blossom l’anno scorso sono stati localizzati e stavano per essere macellati, in altre parole, macellati. Ma ho interrotto quel viaggio e li ho ufficialmente graziati, e non saranno serviti per la cena del Ringraziamento. Li abbiamo salvati al momento giusto».
La gente ha iniziato a ridere. Testato il meccanismo, Trump ha continuato quindi ad usare i tacchini come veicoli di attacco politico.
«Quando ho visto le loro foto per la prima volta, ho pensato che avremmo dovuto mandargliele – beh, non dovrei dirlo – volevo chiamarli Chuck e Nancy», ha detto il presidente riguardo ai tacchini, facendo riferimento ai politici democratici Chuck Schumer e Nancy Pelosi. «Ma poi ho capito che non li avrei perdonati, non avrei mai perdonato quelle due persone. Non li avrei perdonati. Non mi importerebbe cosa mi dicesse Melania: ‘Tesoro, penso che sarebbe una cosa carina da fare’. Non lo farò, tesoro».
Dopo che il presidente ha annunciato che si tratta del primo tacchino MAHA (con tanto di certificazione del segretario alla Salute Robert Kennedy jr.), l’uso politico del pennuto è andato molto oltre, nell’ambito dell’immigrazione e del terrorismo: «invece di dar loro la grazia, alcuni dei miei collaboratori più entusiasti stavano già preparando le carte per spedire Gobble e Waddle direttamente al centro di detenzione per terroristi in El Salvador. E persino quegli uccelli non vogliono stare lì. Sapete cosa intendo».
Tutto bellissimo, come sempre con Trump. Il quale certamente non sa che l’uso del tacchino espiatorio non solo non è nuovo, ma ha persino una sua festa, in Alta Italia.
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Parliamo dell’antica Giostra del Pitu (vocabolo piementose per il pennuto) presso Tonco, in provincia di Asti. La ricorrenza deriverebbe da usanze apotropaiche contadine, dove, per assicurarsi il favore celeste al raccolto, il popolo scaricava tutte le colpe dei mali che affligevano la società su un tacchino, che rappresentava tacitamente il feudatario locale. Secondo la leggenda, questi era perfettamente a conoscenza della neanche tanto segreta identificazione del tacchino con il potere, e lasciava fare, consapevole dello strumento catartico che andava caricandosi.
Tale mirabile festa piemontese va vanti ancora oggi, anticipata da un corteo storico che riproduce la visita dei nobili a Gerardo da Tonco, figura reale del luogo e fondatore dell’Ordine ospedaliero di San Giovanni in Gerusalemme, poi divenuto Sovrano Militare Ordine di Malta.
Subito dopo il gruppo che accompagna Gerardo avanza il carro su cui troneggia il tacchino vivo, autentico protagonista della celebrazione. Seguono quindi i giudici e i carri delle varie contrade del paese, che mettono in scena, con grande realismo, momenti di vita contadina tradizionale. Il passaggio del tacchino è tra ali di folla che non esitano ad insultare duramente il pennuto sacrificale.
Il clou dell’evento è il cosiddetto processo al Pitu, arricchito da un vivace botta-e-risposta in dialetto piemontese tra l’accusa pubblica e lo stesso Pitu, il quale tenta inutilmente di difendersi. Dopo la inevitabile condanna, il Pitu chiede come ultima volontà di fare testamento in pubblico, dando vita a un nuovo momento di ilarità.
Durante la lettura del testamento, infatti, egli si vendica della sentenza rivelando, sempre in stretto dialetto, vizi grandi e piccoli dei notabili e dei personaggi più in vista della comunità. Fino al 2009, al termine del testamento, un secondo tacchino (già macellato e acquistato regolarmente in macelleria, quindi comunque destinato alla tavola) veniva appeso a testa in giù al centro della piazza. Dal 2015, purtroppo, il tacchino è stato sostituito da un pupazzo di stoffa, così gli animalisti sono felici, ma il tacchino in zona probabilmente lo si mangia lo stesso.
Ci sarebbe qui da lanciarsi in riflessioni abissali sulla meccanica del capro espiatorio di Réné Girard, ma con evidenza siamo già oltre, siamo appunto al tacchino espiatorio.
Il tacchino espiatorio diviene il dispositivo con cui è possibile, se non purificare, esorcizzare, quantomeno dire dei mali del mondo.
Ci risulta a questo punto impossibile resistere. Renovatio 21, sperando in una qualche abreazione collettiva, procede ad accusare l’infame, idegno, malefico tacchino, che gravemente nuoce a noi, al nostro corpo, alla nostra anima, al futuro dei nostri figli.
Noi accusiamo il tacchino di rapire, o lasciare che si rapiscano, i bambini che stanno felici nelle loro famiglie.
Noi accusiamo il tacchino di aver messo il popolo a rischio di una guerra termonucleare globale.
Noi accusiamo il tacchino di praticare una fiscalità che pura rapina, che costituisce uno sfruttamento, dicevano una volta i papi, grida vendetta al cielo.
Noi accusiamo il tacchino di essere incompetente e corrotto, di favorire i potenti e schiacciare i deboli. Noi accusiamo il tacchino di essere mediocre, e per questo di non meritare alcun potere.
Noi accusiamo il tacchino di aver accettato, se non programmato, l’invasione sistematica della Nazione da parte di masse barbare e criminali, fatte entrare con il chiaro risultato della dissoluzione del tessuto sociale.
Noi accusiamo il tacchino di favorire gli invasori e perseguitare gli onesti cittadini contribuenti.
Noi accusiamo il tacchino di aver degradato la religione divina, di aver permesso la bestemmia, la dissoluzione della fede. Noi accusiamo il tacchino di essere, che esso lo sappia o meno, alleato di Satana.
Noi accusiamo il tacchino di operare per la rovina dei costumi.
Noi accusiamo il tacchino per la distruzione dell’arte e della bellezza, e la sua sostituzione con bruttezza e degrado, con la disperazione estetica come via per la disperazione interiore.
Noi accusiamo il tacchino di essere un effetto superficiale, ed inevitabilmente tossico, di un plurisecolare progetto massonico di dominio dell’umanità.
Noi accusiamo per la strage dei bambini nel grembo materno, la strage dei vecchi da eutanatizzare, la strage di chi ha avuto un incidente e si ritrova squartato vivo dal sistema dei predatori di organi.
Noi accusiamo il tacchino del programa di produzione di umanoidi in provetta, con l’eugenetica neohitlerista annessa.
Noi accusiamo il tacchino di voler alterare la biologia umana per via della siringa obbligatoria.
Noi accusiamo il tacchino di spacciare psicodroghe nelle farmacie, che non solo non colmano il vuoto creato dallo stesso tacchino nelle persone, ma pure le rendono violente e financo assassine.
Noi accusiamo il tacchino per l’introduzione della pornografia nelle scuole dei nostri bambini piccoli. Noi accusiamo il tacchino per la diffusione della pornografia tout court.
Noi accusiamo il tacchino per l’omotransessualizzazione, culto gnostico oramai annegato nello Stato, con i suoi riti mostruosi di mutilazione, castrazione, con le sue droghe steroidee sintetiche, con le sue follie onomastiche e istituzionali.
Noi accusiamo il tacchino di voler istituire un regime di biosorveglianza assoluta, rafforzato dalla follia totalitaria dell’euro digitale.
Noi accusiamo il tacchino, agente inarrestabile della Necrocultura, della devastazione inflitta al mondo che stiamo consegnando ai nostri figli.
Tacchino maledetto, i tuoi giorni sono contati. Sappi che ogni giorno della nostra vita è passato a costruire il momento in cui, tu, tacchino immondo, verrai punito.
Roberto Dal Bosco
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