Razzismo
La vera fine del razzismo nelle università americane

Una recente sentenza della Corte Suprema USA scuote ha scosso la società, mettendo fine a quello che di fatto era un bastione del razzismo istituzionale americano: le quote di ingresso basate sulla razza.
In risposta alle cause intentate da Students For Fair Admissions contro l’Università di Harvard (sulla base del Titolo VI del Civil Rights Act del 1964) e l’Università della Carolina del Nord (sulla base del Quattordicesimo Emendamento), la Corte Suprema ha stabilito che i programmi di ammissione alle università hanno violato il requisito del quattordicesimo emendamento secondo cui nessuno stato deve «negare a nessuna persona … l’eguale protezione delle leggi».
Parlando a favore dell’emendamento, approvato sulla scia della guerra civile, i rappresentanti hanno affermato che rappresentava un «principio fondante all’assoluta uguaglianza di tutti i cittadini degli Stati Uniti politicamente e civilmente davanti alle proprie leggi», che qualsiasi «legge che opera su un uomo dovrebbe operare ugualmente su tutti».
Nel 1886 il rappresentante degli Stati Uniti James A. Garfield osservò che l’emendamento avrebbe messo «su ogni cittadino americano, indipendentemente dal colore, lo scudo protettivo della legge».
Dopo la decisione della Corte Suprema del 1896 Plessy v. Ferguson, che consentiva la segregazione governativa con la pretesa di alloggi «separati ma uguali», la Corte aveva determinato nel 1954, con la sentenza Brown v. Board of Education, che «la discriminazione razziale nell’istruzione pubblica è incostituzionale».
Per quanto riguarda i casi odierni in esame, l’opinione, scritta dal giudice capo John Roberts afferma che «eliminare la discriminazione razziale significa eliminarla tutta».
Il giudice Clarence Thomas conclude, nella sua opinione concordante, che la Corte «vede le politiche di ammissione delle università per quello che sono: preferenze senza timone, basate sulla razza, progettate per garantire un particolare mix razziale nelle loro classi di ingresso. Queste politiche vanno contro la nostra Costituzione che non vede i colori e l’ideale di uguaglianza della nostra Nazione. In breve, sono chiaramente – e audacemente – incostituzionali».
«Mentre sono dolorosamente consapevole delle devastazioni sociali ed economiche che hanno colpito la mia razza e tutti coloro che subiscono discriminazioni – continua il giudice Thomas – nutro una speranza duratura che questo Paese sarà all’altezza dei suoi principi così chiaramente enunciati nella Dichiarazione di Indipendenza e nella Costituzione del Stati Uniti: che tutti gli uomini sono creati uguali, sono cittadini uguali e devono essere trattati allo stesso modo davanti alla legge».
L’opinione concordante del giudice Gorsuch afferma la sua opinione secondo cui, oltre al quattordicesimo emendamento, le pratiche delle università violano anche il titolo VI del Civil Rights Act del 1964, che afferma che «nessuna persona negli Stati Uniti, in base al motivo di razza, colore o origine nazionale, può essere esclusa dalla partecipazione, può avere negati i benefici o essere soggetto a discriminazione nell’ambito di qualsiasi programma o attività che riceve assistenza finanziaria federale.
Da notare che è stato sulla base del titolo VII di questa stessa legge, formulato in modo simile, che Gorsuch ha scritto l’opinione della maggioranza per la decisione Bostock della Corte Suprema nel 2020 – basata su una visione espansiva del «sesso» – secondo cui i datori di lavoro non potevano licenziare i lavoratori sulla base del loro essere omosessuali o trans.
La questione delle quote ha tenuto banco per lungo tempo negli USA, producendo situazioni imbarazzanti come la asian quota, una quota razziale che limita il numero di persone di origine asiatica nelle università a numero chiuso, soprattutto i prestigiosi atenei dell’Ivy League. Gli asiatici, secondo la vulgata, tendono ad eccellere nei test di ingresso, occupando quindi potenzialmente un gran numero di posti a disposizione nel campus.
Si tratta di nuove, forme del razzismo istituzionale americano, che rovescia la sua morfologia ma mantiene attive persecuzioni e discriminazioni di diverso tipo.
Un film di cassetta degli anni Ottanta con Thomas C. Howell, Soul Man, si prendeva giuoco del sistema delle quote razziali raccontando la storia, comica ma anche amara, di un ragazzo bianco che per entrare all’università si fingeva nero. Tale film è probabilmente considerato proibito oggi. A condurre l’attacco contro la pellicola, il solito Spike Lee, le cui pellicola, si può dire, non difettano di razzismo.
Immagine di pubblico dominio CCO via Wikimedia.
Razzismo
Trump chiede la pena di morte per l’assassino della ragazza ucraina

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha chiesto la pena capitale per Decarlos Brown, che il mese scorso ha brutalmente accoltellato una donna ucraina di 23 anni su un treno a Charlotte, nella Carolina del Nord.
L’incidente è salito alla ribalta nazionale dopo la diffusione, nel fine settimana, del video di videosorveglianza del macabro episodio. Nel video, si vede il 34enne aggredire Iryna Zarutska alle spalle, pugnalandola diverse volte al collo poco dopo che si era seduta. La donna è morta dissanguata sul colpo poco dopo.
A giudicare dal filmato, l’aggressione è stata apparentemente immotivata e non c’è stato alcuno scambio di battute tra i due prima dell’accoltellamento.
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In un post pubblicato mercoledì sulla sua piattaforma Truth Social, Trump ha scritto: «L’ANIMALE che ha ucciso in modo così violento la bellissima ragazza ucraina… dovrebbe ricevere un processo ‘rapido’ (non c’è dubbio!) e ricevere solo la PENA DI MORTE».
Lunedì, il presidente degli Stati Uniti aveva descritto il Brown come un «lunatico mentalmente squilibrato», sottolineando che l’uomo era stato arrestato più volte negli ultimi dieci anni, ma che era stato ripetutamente rilasciato su cauzione senza contanti.
Trump ha dichiarato che «il sangue di questa donna innocente… è sulle mani dei democratici che si rifiutano di mettere in prigione le persone cattive».
Intervenendo martedì durante una conferenza stampa, la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt ha affermato che dal 2011 il Brown è stato accusato di rapina a mano armata, furto aggravato, violazione di domicilio e confisca di cauzioni almeno tre volte.
Tuttavia, dopo essere stato nuovamente arrestato a gennaio, l’uomo è stato rilasciato da un giudice democratico a condizione che «firmasse una promessa scritta di tornare per l’udienza in tribunale».
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«I democratici della Carolina del Nord e di tutto il paese sono impegnati a promuovere un programma woke e soft sulla criminalità, indipendentemente da quante persone innocenti ne soffrano le conseguenze», ha affermato la Leavitt.
Ad agosto, Trump ha ordinato l’invio di truppe della Guardia Nazionale a supporto della polizia a Washington, citando gli alti livelli di criminalità violenta. I democratici locali hanno subito criticato la decisione.
La scorsa settimana, il presidente degli Stati Uniti ha lasciato intendere che avrebbe potuto fare lo stesso a Chicago, suscitando anch’esso una forte opposizione da parte dei democratici.
La pena di morte negli Stati Uniti rimane uno dei dibattiti più accesi e divisivi della società americana, un retaggio di un sistema penale che, dal 1976, ha portato all’esecuzione di oltre 1600 persone, tutte per reati gravissimi come l’omicidio aggravato.
Attualmente, la pena capitale è legale in 27 Stati su 50, oltre che a livello federale e militare, ma con significative restrizioni: sei di questi – California, Oregon, Pennsylvania, Ohio, Tennessee e Washington – hanno moratorie in corso, imposte da governatori o corti, riducendo gli Stati attivi a circa 21.
Nel 2025, anno segnato da un ritorno all’espansione federale sotto l’amministrazione Trump, che ha revocato la moratoria di Biden con un ordine esecutivo a gennaio, si contano già 30 esecuzioni, un numero in lieve aumento rispetto agli anni precedenti, con Florida in testa per record di condanne portate a termine.
Il metodo dominante, utilizzato in 25 casi quest’anno, è l’iniezione letale, un cocktail di farmaci somministrato per via endovenosa che induce prima un coma profondo e poi l’arresto cardiaco, considerato il più «umano» dalla Corte Suprema, anche se criticato per iniezioni mal eseguite che causano sofferenza prolungata. Tuttavia, le variazioni statali riflettono una patchwork di tradizioni e innovazioni, spesso nate da difficoltà nel reperire i farmaci per l’iniezione, dovute a boicottaggi etici delle case farmaceutiche.
In Alabama, Oklahoma, Mississippi e Florida, l’iniezione è primaria, ma come alternativa si è diffuso l’ipossia con azoto – una sorta di asfissia controllata inalando gas puro – usata in tre esecuzioni nel 2025, la seconda in Louisiana dopo quella pionieristica in Alabama. South Carolina fa eccezione: qui l’elettrocuzione è il default, ma quest’anno ha optato per il plotone d’esecuzione in due casi, fucilando i condannati con cinque tiratori, il primo uso dal 2010, un metodo crudo che evoca immagini western e ha suscitato orrore per la violenza spettacolare.
In Utah, l’iniezione letale prevale, ma il condannato può scegliere la fucilazione, un’eredità storica; lo stesso vale per Arizona e Missouri, dove la camera a gas è opzionale su richiesta. Arkansas, Kentucky e Tennessee privilegiano l’iniezione, con l’elettrocuzione riservata a vecchie condanne pre-anni Ottanta, mentre New Hampshire, l’unico Stato con un solo detenuto sul braccio della morte, prevede l’impiccagione, sebbene abolita de facto nel 2019.
Questi metodi – tra cui anche gas letale e sedia elettrica, caduti in disuso ma ancora possibili – non sono mai stati dichiarati incostituzionali dalla Suprema Corte, nonostante le denunce di crudeltà e le statistiche allarmanti: il 36% delle iniezioni letali negli ultimi anni è stato «mal eseguito», con agonie che durano minuti.
La Florida guida le esecuzioni del 2025, ma il trend nazionale mostra disparità razziali persistenti, con tre quarti delle vittime bianche, alimentando accuse di sproporzione del sistema.
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Immagine da Twitter
Razzismo
Ucraina uccisa in USA da un nero. Silenzio dei media, interviene Trump

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Strangely, all the clowns with Ukraine flags 🇺🇦 🇺🇦 🇺🇦 in their bio are also all silent on this one. https://t.co/IxqKINziU8
— Donald Trump Jr. (@DonaldJTrumpJr) September 8, 2025
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Razzismo
Julius Malema condannato per incitamento all’odio: il politico sudafricano aveva chiesto l’uccisione dei boeri

Il politico dell’opposizione sudafricana Julius Malema è stato condannato per incitamento all’odio dalla corte per l’uguaglianza del Paese, in seguito alle dichiarazioni rilasciate durante un comizio nel 2022. Lo riporta la BBC.
Malema, leader del partito Economic Freedom Fighters (EFF), è spesso fonte di polemiche in una nazione in cui, 31 anni dopo la fine dell’apartheid, persistono ancora tensioni razziali.
Dopo un episodio in cui un uomo bianco avrebbe aggredito un membro dell’EFF, Malema ha dichiarato: «Nessun uomo bianco mi picchierà… non bisogna mai aver paura di uccidere. Una rivoluzione esige che a un certo punto si uccida».
Recorded TODAY!
“KILL THE BOER” sung at a political rally.
How is this acceptable?
How is this legal? pic.twitter.com/C49V1wdTpm— Volkstaat (@Volkstaat10) March 21, 2025
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La corte per l’uguaglianza ha stabilito che queste osservazioni «dimostravano l’intento di incitare al danno», ma l’EFF ha affermato che erano state estrapolate dal contesto.
Sono state presentate due denunce contro il parlamentare 44enne: una dalla Commissione per i diritti umani del Sudafrica e un’altra da una persona che ha affermato di essere stata minacciata a causa delle dichiarazioni del politico.
Nella sua sentenza, la corte ha affermato: “Sebbene possa essere accettabile chiamare in causa qualcuno che si comporta come razzista, chiederne l’uccisione non lo è. «E chiedere che qualcuno venga ucciso perché è un razzista che ha agito con violenza è un atto di vigilantismo e un’incitamento alla forma più estrema di danno possibile».
In una dichiarazione successiva, l’EFF ha affermato che la sentenza «è fondamentalmente errata e interpreta deliberatamente in modo errato sia il contesto che il significato del discorso». «Si presuppone che l’ascoltatore ragionevole non sia in grado di comprendere la metafora, la retorica rivoluzionaria o la storia delle lotte di liberazione», ha aggiunto l’EFF.
A giugno, al Malema, il cui partito si è classificato quarto alle elezioni parlamentari dell’anno scorso, è stato negato l’ingresso in Gran Bretagna. Il ministero degli Interni britannico ha affermato che l’uomo è stato ritenuto «non favorevole al bene pubblico».
In una lettera pubblicata all’epoca dall’EFF, il ministero dell’Interno ha citato il suo sostegno esplicito ad Hamas, incluso un discorso pronunciato dopo l’attacco del 7 ottobre 2023 a Israele, in cui Malema ha affermato che il suo partito avrebbe armato il gruppo se fosse salito al potere.
Il ministero dell’Interno ha affermato che Malema aveva anche rilasciato «dichiarazioni in cui chiedeva il massacro dei bianchi [in Sudafrica] o aveva lasciato intendere che questa potrebbe essere un’opzione accettabile in futuro».
L’EFF ha condannato la decisione di Londra definendola «codardia» e ha affermato che soffocherà il dibattito democratico.
Shocking video shows South Africa’s black party singing “kill the Boer (Whites), kill the White farmer”
This is all downstream from the rotten secular religion of wokeness and CRT plaguing America today.
You have been warned.
WATCH.
— Benny Johnson (@bennyjohnson) July 31, 2023
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Malema era stato oggetto delle attenzioni del presidente degli Stati Uniti Donald Trump in un incontro conflittuale con il presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa avvenuto nello Studio Ovale a maggio. Trump aveva in quei giorni accolto negli USA un gruppo di richiedenti asilo sudafricani bianchi.
Trump ha mostrato un video del leader dell’EFF che cantava durante i suoi comizi «kill the boer» «uccidete il boero», cioè «uccidete il contadino afrikaner», cioè il sudafricano bianco.
I gruppi di pressione afrikaner hanno cercato di far vietare la canzone, ma la Corte suprema d’appello del Sudafrica ha stabilito che una «persona ragionevolmente informata» capirebbe che quando «si cantano canzoni di protesta, anche da politici, le parole non devono essere intese alla lettera, né il gesto dello sparo deve essere inteso come un invito alle armi o alla violenza».
Come riportato da Renovatio 21, la Corte Suprema del Sudafrica aveva altre volte respinto l’accusa contro Malema per Kill the Boer.
Nel 2022 la divisione per l’uguaglianza della Corte Suprema del Sudafrica ha stabilito che la canzone «Kill the Boers» non costituisce un caso di «incitamento all’odio». Chiedere il massacro di un’intera classe sociale, se non di un’intera razza non è hate speech, se a farlo cantare alle masse è Julius Malema, leader marxista-leninista del partito Economic Freedom Fighers (EFF), panafricanista, anticapitalista, antimperialista, con una certa passione, si dice, per le BMW che guiderebbe anche con un po’ troppa velocità.
Come riportato da Renovatio 21, nel 2022 il tribunale aveva assolto Malema dichiarando legale la canzone genocida: la Corte per l’uguaglianza di Johannesburg ha ribaltato una sentenza che aveva dichiarato la canzone incitamento all’odio e proibito a Malema di cantarla. Il gruppo di difesa afrikaner (cioè di boeri, sudafricano bianco) chiamato AfriForum aveva inizialmente citato in giudizio Malema per aver eseguito la canzone, tuttavia «non è riuscito a dimostrare che il testo della canzone potesse ragionevolmente essere interpretato per dimostrare una chiara intenzione di danneggiare o incitare a danneggiare e propagare l’odio», è stata la pronuncia del giudice Edwin Molahlehi che ha archiviato il caso.
Come riportato da Renovatio 21, ancora due anni fa Musk, che non ha problemi a parlare di un vero e proprio «genocidio bianco in Sudafrica, aveva accusato il New York Times di supportare gli appelli al massacro razziale in corso.
Musk ha anche dichiarato di recente di non poter operare con la sua società Starlink nel suo Paese natìo in quanto non-nero.
Il principale vettore dell’ascesa del canto genocida è senza dubbio il Malema, che scandisce lo slogan sterminatore saltellando in stadi dinanzi a migliaia e migliaia di seguaci, aggiungendo «shoot to kill», «spara per uccidere».
Come riportato da Renovatio 21, vari gruppi boeri da anni ritengono di essere oggetti di una vera persecuzione se non di una pulizia etnica, con abbondanza disperante episodi di crimine, torture e violenza efferata di ogni sorta.
Come riportato da Renovatio 21, Ernst Roets, responsabile politico del Solidarity («Movimento di Solidarietà»), un network di organizzazioni comunitarie sudafricane che conta più di 500.000 membri, ha dichiarato che, nonostante le indicibili violenze e torture subite dalle comunità bianche in Sud Africa, nel prossimo futuro «l’Europa sarà peggio».
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Immagine di Economic Freedom Fighters / Economic Freedom Fighters’ Offical Youtube Channel via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported; immagine tagliata
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