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Nuova strage in Nigeria: 46 morti: «piano deliberato per scatenare il male contro i cristiani»

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46 abitanti dei villaggi cristiani hanno perso la vita in due attacchi, presumibilmente compiuti da mandriani Fulani. Il vescovo locale lo vede come un «piano deliberato per scatenare il male contro i cristiani».

 

 

La rivalità nello stato di Kaduna, situato nel centro-nord della Nigeria, è duplice, ma sovrapponibile: contrappone una popolazione cristiana del sud, di tradizione agricola, ai pastori Hausa-Fulani, di etnia Fulani, che sono prevalentemente musulmani. La mucca contro la zappa e il musulmano contro il cristiano.

 

Un nome locale materializza questa opposizione. Lo stato di Kaduna, infatti, è diviso dal fiume omonimo, che attraversa la città di Kaduna: la parte settentrionale dello stato è soprannominata «Mecca», mentre la parte meridionale riceve il soprannome di «Gerusalemme».

 

 

Un’escalation di morte

Secondo le informazioni pervenute, il massacro è avvenuto in tre fasi. In un primo momento, i pastori Fulani hanno ucciso un contadino con un’ascia nel villaggio di Kpak, perché difendeva i suoi raccolti dall’invasione delle mucche. Era il 13 dicembre.

 

Tre giorni dopo, lo stesso gruppo ha ucciso altri tre contadini, anch’essi a colpi d’ascia, questi ultimi avendo avuto la sfortuna di trovarsi sulla strada di questo gruppo già ebbro del sangue del loro primo omicidio.

 

E, il 18 dicembre, dei gruppi di Fulani hanno attaccato due villaggi, sparando sugli abitanti e bruciando le case: alcune delle vittime sono morte bruciate. Almeno 100 case sono state rase al suolo. La storia raccontata dai sopravvissuti è terribile.

 

Secondo i testimoni, un gruppo di circa 100 uomini armati, vestiti con divise militari o tuniche nere, è arrivato a Mallagum – uno dei villaggi dei martiri – su moto e camion.

 

«In un primo momento, abbiamo pensato che i soldati che guidavano sulla strada principale fossero venuti in città per fornire sicurezza, perché la voce di un attentato circolava da giorni», ha detto in un sms Emmanuel Allau Dominic, testimone oculare.

 

Credendo che i soccorsi fossero arrivati, molti residenti si sono precipitati verso gli uomini, che hanno aperto il fuoco, ha detto. «Hanno visto quelli che correvano in cerca di aiuto e si sono diretti verso di loro, ed è stata la fine del loro viaggio terreno», ha detto Dominic.

 

Il bilancio attuale è di 46 persone uccise in quattro villaggi in tre giorni. Ma continuano le ricerche in giro per i villaggi per cercare altre possibili vittime, visto che vi sono numerosi dispersi.

 

Gli abitanti del villaggio accusano l’esercito di averli abbandonati, nonostante i primi omicidi commessi. Il generale Timothy Opurum lo ha negato. Ha detto che i suoi soldati hanno ucciso o ferito alcuni degli aggressori, ma crede che i loro corpi siano stati rimossi per far incolpare le autorità…

 

La situazione delle popolazioni agricole cristiane è critica, perché attualmente è la stagione del raccolto, e questi terribili attacchi scoraggiano i contadini dal lavorare in tali condizioni. Ma è la loro sopravvivenza che è in gioco.

 

 

«Speravamo in un Natale sereno»

Il vescovo di Kafanchan, diocesi dello stato meridionale di Kaduna, mons. Yakubu Kundi ha dichiarato alla CNA: «Speravamo che questo Natale sarebbe stato migliore, ma questo recente attacco ha raffreddato i nostri animi e stiamo solo cercando di ispirare le persone a mantenere la fede e la speranza che questa calamità abbia fine».

 

In un testo indirizzato alla stessa agenzia, il vescovo non ha esitato ad affermare: «La motivazione di questi attacchi, per quanto ne sappiamo, fa parte di un piano deliberato per scatenare il male e terrorizzare il nostro popolo, perché non professiamo la stessa religione o perché ci opponiamo alle loro attività violente sulla nostra terra».

 

Tornati nel loro villaggio, i residenti di Mallagum sono troppo traumatizzati per cantare i canti natalizi quest’anno, ha detto un testimone alla CNA. «La gente sta ancora piangendo. L’atmosfera è tesa», ha aggiunto.

 

Dal 1980, circa 20.000 persone sono morte nelle violenze nello stato di Kaduna.

 

Ricordiamoci di pregare per questi poveri in occasione della festa del Natale, perché il Salvatore e sua Madre portino loro consolazione e aiuto nella terribile prova che li ha colpiti, una settimana prima della festa della Natività, quando, come dappertutto, cantavano inni per celebrare Gesù Bambino.

 

 

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

 

 

 

Immagine di Profoss – Uwe Dedering via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported2.5 Generic2.0 Generic and 1.0 Generic 

 

 

 

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India, nuovo rapporto schiacciante sulla persecuzione dei cristiani

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Secondo un rapporto pubblicato il 4 novembre 2025 dall’ONG United Christian Forum (UCF), gli attacchi contro i cristiani in India sono aumentati di oltre il 500% in un decennio. Questa escalation, che continua dall’inizio del 2025 in un contesto di quasi totale blackout mediatico, con 549 casi segnalati tra gennaio e settembre, illustra la persecuzione sistematica condotta in nome dell’ideologia indù promossa dal Bharatiya Janata Party (BJP) di Narendra Modi, al potere dal 2014.

 

Per un Paese che si dichiara una democrazia basata sulla diversità religiosa, il rapporto del 4 novembre è un duro colpo: i cristiani indiani stanno affrontando un’ondata di violenza senza precedenti. Il numero di incidenti registrati è balzato da 139 nel 2014 a 834 nel 2024. In totale, durante questo periodo sono stati registrati 4.595 atti di violenza, che hanno colpito individui, famiglie, comunità e istituzioni. E coloro che scelgono di parlare rappresentano solo la punta dell’iceberg.

 

I leader religiosi e laici delle comunità cristiane non usano mezzi termini: questa violenza si è intensificata ed è diventata sistematica da quando l’attuale primo ministro, Narendra Modi, è salito al potere, il cui governo è accusato di chiudere un occhio sugli abusi degli estremisti indù. AC Michael, coordinatore nazionale dello United Christian Forum (UCF), una ONG fondata nel 2014 per difendere i diritti dei cristiani, denuncia una «crescita esponenziale e senza precedenti della violenza».

 

«Questi attacchi colpiscono l’intero Paese, ma solo 39 indagini di polizia sono state aperte sui 549 casi di quest’anno, il che rappresenta un tasso di impunità del 93%», ha aggiunto. Con solo il 2,3% della popolazione indiana – circa 32 milioni di persone su 1,4 miliardi – i cristiani costituiscono una minoranza vulnerabile, spesso presa di mira per la loro fede in un contesto di crescente nazionalismo indù.

 

Per comprendere questa impennata, dobbiamo tornare al 2014, anno in cui il BJP vinse le elezioni generali sotto la bandiera dell’hindutva, un’ideologia che promuove l’induismo come unica identità nazionale. Dodici dei ventotto stati indiani, per lo più governati dal BJP, adottarono leggi anti-conversione, ufficialmente intese a prevenire le “conversioni forzate”. In realtà, queste leggi vengono utilizzate per vessare i cristiani e altre minoranze.

 

Ad esempio, in Jharkhand, una legge del 2017 punisce le conversioni forzate con una multa di 50.000 rupie (circa 550 euro) e una pena detentiva fino a tre anni. Chiunque desideri convertirsi deve notificarlo alle autorità locali, specificando le ragioni e il luogo in cui si verifica; in caso contrario, rischia un procedimento penale. Le pene sono inasprite per i minori, le donne, i membri di tribù indigene o coloro che appartengono a caste inferiori (i Dalit).

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Queste leggi servono da pretesto per accuse infondate di «tattiche subdole» di proselitismo cristiano. I nazionalisti indù, raggruppati attorno al Rashtriya Swayamsevak Sangh – RSS, l’ala ideologica e dottrinale del BJP – organizzano regolarmente incursioni nei villaggi per cerimonie di «riconversione» forzata all’induismo, il «Ghar Wapsi» o ritorno a casa: un programma davvero notevole.

 

Geograficamente, la violenza è concentrata in cinque stati, che rappresentano quasi il 77% degli incidenti registrati: Uttar Pradesh con 1.317 attacchi, seguito da Chhattisgarh (926), Tamil Nadu (322), Karnataka (321) e Madhya Pradesh (319). In queste regioni, spesso rurali e segnate dalla povertà, i cristiani – per lo più Dalit, spesso convertiti per sfuggire al sistema delle caste – diventano capri espiatori.

 

Nell’Uttar Pradesh, ad esempio, personalità religiose sono state arrestate per «offesa al sentimento religioso» dopo sermoni ritenuti provocatori. Nel Chhattisgarh, interi villaggi sono assediati dalle milizie indù, costringendo le famiglie ad abiurare la propria fede sotto la minaccia di essere bruciate sul rogo o espulse.

 

Le conseguenze sono devastanti. Oltre alle aggressioni fisiche – percosse, incendi di chiese e stupri di gruppo – questi attacchi minano il tessuto sociale e comunitario. I bambini cristiani vengono esclusi dalle scuole, gli ospedali missionari vengono chiusi e gli aiuti governativi vengono negati ai Dalit cristiani, considerati come coloro che hanno «abbandonato» la loro casta d’origine.

 

Di fronte a questa crescente ondata di violenza, le comunità cristiane si stanno mobilitando. Il 29 novembre si è tenuta a Nuova Delhi una grande marcia, con partecipanti provenienti da tutto il Paese. Questa manifestazione mirava non solo a protestare contro la persecuzione in corso, ma anche a denunciare l’esclusione dei Dalit cristiani dai programmi di aiuti governativi e le crescenti minacce ai diritti dei cristiani indigeni.

 

«Stiamo marciando per la nostra dignità e libertà di culto, sancite dalla Costituzione indiana», ha affermato AC Michael, chiedendo una riforma delle leggi anti-conversione e una reale applicazione della giustizia.

 

Questa mobilitazione giunge mentre l’India, quinta economia mondiale, aspira a un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ma come può, sostengono i cristiani, un Paese che tollera una tale persecuzione religiosa rivendicare una qualche autorità morale ? Questo trascura il fatto che l’economia e la geopolitica operano secondo principi sconosciuti alla ragione guidata dallo Spirito Santo.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

 

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Immagine di Prime Minister’s Office, Government of India via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic; immagine ingrandita

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Famosa suora croata accoltellata: possibile attacco a sfondo religioso

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Una suora di 34 anni è stata gravemente ferita a coltellate nel quartiere Malešnica di Zagabria, in Croazia. L’aggressione, avvenuta il 28 novembre, è al centro di un’indagine penale della polizia che non esclude la matrice religiosa.   La vittima, Suor Marija Tatjana Zrno delle Suore della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, è stata colpita più volte all’addome con un oggetto appuntito. Rientrata per pochi istanti in convento, è stata poi immediatamente trasportata al Centro Ospedaliero Universitario delle Suore della Carità, dove i medici l’hanno sottoposta a cure e accertamenti. Le sue condizioni sono serie ma stabili: non è più in pericolo di vita.   Secondo fonti giornalistiche e informazioni circolate immediatamente dopo l’attacco, l’aggressore sarebbe un migrante che avrebbe urlato un inevitabile «Allahu akbar» durante l’aggressione. Il giornalista croato Marin Vlahović, primo a dare la notizia, ha parlato di una fonte attendibile secondo cui l’uomo avrebbe pronunciato slogan di natura religiosa.

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La polizia, pur confermando di aver aperto un fascicolo per lesioni gravi, non ha ancora reso pubblico il movente, limitandosi a dichiarare che sta «verificando tutte le circostanze». Fonti citate dall’agenzia cattolica IKA riferiscono però che gli inquirenti stanno valutando con attenzione eventuali «elementi di motivazione religiosa o ideologica».   Suor Marija Tatjana, originaria di Šujica (Bosnia ed Erzegovina) e residente nel convento di via Frankopanska a Zagabria, è molto conosciuta e amata in Croazia.   Insegna religione in una scuola elementare ed è divenuta celebre per la sua passione per il calcio, vissuta con gioia e senza mai nasconderla sotto l’abito religioso. Conduttrice su Laudato TV di programmi dedicati allo sport, è una grande tifosa del centrocampista Luka Modrić (che ha sempre difeso per la sua fede ostentata) e durante i Mondiali ha promosso l’iniziativa «Rosario per il Fuoco», coinvolgendo migliaia di persone – compresa la nonna di Ivan Perišić – in preghiera per la nazionale croata.   In un’intervista rilasciata in passato aveva spiegato: «Per essere un buon calciatore bisogna allenarsi ogni giorno; lo stesso vale per la vita spirituale: senza costanza nella preghiera si diventa tiepidi».   I media cattolici croati hanno lanciato un appello alla preghiera per la sua completa guarigione, mentre le indagini proseguono per fare piena luce sull’accaduto.

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Difensore dei diritti umani nigeriano: il cardinale Parolin sta «incoraggiando» gli attacchi dei musulmani contro i cristiani

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Il presidente del consiglio direttivo di un’importante organizzazione nigeriana per i diritti umani ha accusato duramente il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, di fornire «copertura diplomatica» ai terroristi islamici e di incoraggiare nuovi massacri di cristiani in Nigeria, sminuendo apertamente il carattere religioso del genocidio in corso nel Paese.

 

In un’intervista rilasciata la scorsa settimana a Crux e pubblicata il 27 novembre, Emeka Umeagbalasi, presidente della International Society for Civil Liberties and the Rule of Law (Intersociety), ha definito «devastanti» le parole di Parolin, che a ottobre aveva descritto la violenza contro i cristiani nigeriani come un semplice «conflitto sociale» e non come persecuzione religiosa, nel corso di un evento in Vaticano dedicato al Rapporto 2025 sulla libertà religiosa di Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS).

 

«Quando il Segretario di Stato vaticano presenta la crisi come un “conflitto sociale” invece che come persecuzione religiosa, demoralizza i cattolici e gli altri cristiani nel mondo che guardano alla Chiesa come guida e sostegno», ha dichiarato Umeagbalasi. «Questa impostazione diplomatica attenua la gravità della situazione e offre copertura a chi compie la violenza».

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L’attivista ha aggiunto che minimizzare la dimensione religiosa del conflitto non solo indebolisce l’autorità morale storica della Chiesa cattolica, ma «incoraggia gli islamisti a proseguire questi attacchi feroci». «La Chiesa è sempre stata un faro di speranza e di autorità morale. Quando i suoi alti rappresentanti sembrano contraddire o attenuare dichiarazioni chiare sulla persecuzione, ciò indebolisce la posizione della Chiesa e incoraggia chi vuole continuare la violenza», ha sottolineato.

 

Umeagbalasi ha anche respinto l’argomentazione di Parolin secondo cui in Nigeria vengono uccisi anche musulmani: «È vero che muoiono musulmani, ma questo non cancella la natura mirata della persecuzione contro i cristiani. Le statistiche indicano che circa sette vittime su dieci per motivi religiosi sono cristiane. I musulmani uccisi lo sono generalmente da altri musulmani in Stati a maggioranza islamica come Zamfara, Sokoto o Katsina, e non certo da “jihadisti cristiani”».

 

Il rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre ha inserito la Nigeria tra i 24 Paesi peggiori al mondo per persecuzione religiosa, sottolineando la combinazione di «governo autoritario ed estremismo religioso» e il ruolo della criminalità organizzata. La Commissione statunitense per la libertà religiosa internazionale (USCIRF) ha nuovamente chiesto che Abuja venga designata «Paese di particolare preoccupazione», denunciando l’impunità di cui godono gli aggressori.

 

Le parole di Parolin hanno già suscitato dure reazioni anche all’interno della Chiesa. L’arcivescovo Carlo Maria Viganò, ex nunzio apostolico in Nigeria (1992-1998), le ha definite «vergognose» e sintomo di «tradimento» verso i cattolici perseguitati.

 

«No, Eminenza: i Cattolici nigeriani sono uccisi in odio alla Fede che essi professano, da parte di mussulmani e in obbedienza al Corano. Quegli stessi mussulmani che stanno trasformando le vostre chiese in moschee, con la vostra vile e cortigiana complicità, e che presto rovesceranno i governi per imporre la sharia agli “infedeli”» ha scritto il prelato lombardo.

 

Secondo Umeagbalasi, la posizione del Segretario di Stato vaticano finisce per «rispecchiare pericolosamente la narrazione del governo nigeriano», che da anni nega che i cristiani siano presi di mira specificamente per la loro fede, nonostante l’intensificarsi degli attacchi jihadisti dopo l’introduzione della sharia in dodici Stati del nord nel 1999 e l’ascesa di Boko Haram nel 2009.

 

Come riportato da Renovatio 21, contrariamente al cardinale Parolin, il presidente americano Donaldo Trump ritiene che in Nigeria sia in atto una persecuzione anticristiana, che potrebbe risolvere con un’azione militare. L’ambasciatore americano all’ONU Mike Waltz ha dichiarato che la persecuzione dei cristriani nigeriani costituisce un «genocidio».

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

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