Economia
Nuovo crash delle criptovalute: di mezzo il più grande donatore del Partito Democratico USA dopo Soros
Nuovo collasso nel mondo delle criptovalute.
Forbes riporta che c’è stata «una corsa scioccante sull’exchange di criptovalute FTX del miliardario Sam Bankman-Fried», che era «una delle istituzioni più affidabili e importanti dell’industria delle criptovalute».
Di conseguenza, il Bitcoin è sceso dell’11% l’8 novembre, con una perdita cumulativa del 75% dal picco di 68.000 dollari a bitcoin del novembre 2021.
Ciò che ha particolarmente preoccupato «il mercato», spiega Forbes, è che «il 30enne Bankman-Fried era stato in precedenza una massiccia forza stabilizzatrice nel settore, qualdo suo cripto-banco FTX ha dato 650 milioni al prestatore di criptovalute BlockFi a luglio, entrando un accordo per acquisire la società e a giugno ha offerto una linea di credito di 200 milioni di dollari a Voyager Digital».
In altre parole, il personaggio che era assurto a uomo del bailout, cioè del salvataggio finanziario, nel mondo delle criptovalute ora sembra essere finito a gambe all’aria.
Forbes osserva che il «Bankman-Fried ha donato 39,9 milioni di dollari alle cause democratiche prima delle elezioni di medio termine di martedì, collocandolo tra i 10 maggiori donatori politici individuali del Paese».
Secondo Fox News, il Bankman-Fried (nomen omen: in inglese significa «banchiere fritto») sarebbe divenuto il secondo donatore nazionale del Partito Democratico, dietro solo al mitico George Soros. Nel programma di Tucker Carlson il finanziere Vivek Ramaswami ha rivelato che il ragazzo avrebbe promesso ai Democrat un miliardo di euro; alla domanda sul perché tali donazioni, Ramaswami ha risposto che potrebbe di una sorta di assicurazione politica, come nei primi anni 2000: le banche che avevano donato ai politici si sono salvate dal grande crash 2008, mentre la Lehman Brothers no.
Fox sostiene che il criptomagnate sarebbe irreperibile, tuttavia secondo Coindesk si troverebbe alle Bahamas in una lussuosa villa da cui con una serqua di altri ragazzini si piloterebbero le operazioni in criptovaluta.
Come riportato da Renovatio 21, già sei mesi fa era divenuto chiaro che il mercato delle cripto era divenuto più grandi di quello dei subprime nella crisi 2008.
La crisi delle criptomonete ha portato il licenziamento di migliaia di lavoratori, nonostante le pubblicità costosissime trasmesse anche durante il Super Bowl.
La Russia, che dapprima aveva criticato e arginato il fenomeno degli scambi in Bitcoin e simili, ora sembra averci ripensato. Resistenze possono essere trovate in tutto il mondo: le cripto sono osteggiate dalla Banca Centrale Indiana e dal clero indonesiano, così come dalla Repubblica Popolare Cinese, inizialmente luogo di «scavo» dei bitcoini.
A inizio mandato, Biden aveva promesso che la sua amministrazione avrebbe attaccato le monete digitali. Tuttavia, il capo della CIA ha ammesso l’anno passato che l’agenzia starebbe lavorando con le criptovalute.
Come riportato da Renovatio 21, nel 2021 è emerso con i Rotschild avessero triplicato il loro investimento in Bitcoin.
Contraddittoria, e interessante, la posizione del geniale Venture Capitalist Peter Thiel, che dapprima ha annunciato che il Bitcoin «potrebbe essere un’arma finanziaria cinese contro gli USA» e poi invece vi ha investito molto.
L’epopea della cripto ha anche i suoi misteri: ad esempio il miliardario in Bitcoin rumeno Mircea Popescu, 41 anni trovato affogato a Playa Hermosa, nel Costa Rica paradiso dei bitcoinari. Secondo quanto riportato, Popescu sarebbe deceduto improvvisamente «travolto dalla corrente e morto sul colpo». La sua morte è stata confermata da tre donne che, secondo quanto riferito, gli erano vicine. Tuttavia altri hanno suggerito che potrebbe aver simulato la propria morte.
Immagine di Cointelegraph via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported (CC BY 3.0)
Economia
La Turchia sospende ogni commercio con Israele
Il governo turco ha sospeso tutti gli scambi con Israele in risposta alla guerra di Gaza, ha dichiarato il Ministero del Commercio di Ankara in una dichiarazione pubblicata giovedì sui social media.
La Turchia è stato uno dei critici più feroci di Israele da quando è scoppiato il conflitto con Hamas in ottobre. La sospensione di tutte le operazioni di esportazione e importazione è stata introdotta in risposta all’«aggressione dello Stato ebraico contro la Palestina in violazione del diritto internazionale e dei diritti umani», si legge nella dichiarazione.
Ankara attuerà rigorosamente le nuove misure finché Israele non consentirà un flusso ininterrotto e sufficiente di aiuti umanitari a Gaza, aggiunge il documento.
Israele è stato accusato dalle Nazioni Unite e dai gruppi per i diritti umani di ostacolare la consegna degli aiuti nell’enclave. I funzionari turchi si coordineranno con l’Autorità Palestinese per garantire che i palestinesi non siano colpiti dalla sospensione del commercio, ha affermato il ministero.
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La sospensione totale fa seguito alle restrizioni imposte il mese scorso da Ankara sulle esportazioni verso Israele di 54 categorie di prodotti tra cui materiali da costruzione, macchinari e vari prodotti chimici. La Turchia aveva precedentemente smesso di inviare a Israele qualsiasi merce che potesse essere utilizzata per scopi militari.
Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso il governo turco ha imposto restrizioni alle esportazioni verso Israele per 54 categorie di prodotti.
In risposta alle ultime restrizioni, il ministero degli Esteri israeliano ha accusato la leadership turca di «ignorare gli accordi commerciali internazionali». Giovedì il ministro degli Esteri Israel Katz ha scritto su X che «bloccando i porti per le importazioni e le esportazioni israeliane», il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si stava comportando come un «dittatore». Israele cercherà di «creare alternative» per il commercio con la Turchia, concentrandosi sulla «produzione locale e sulle importazioni da altri Paesi», ha aggiunto il Katz.
.@RTErdogan is breaking agreements by blocking ports for Israeli imports and exports. This is how a dictator behaves, disregarding the interests of the Turkish people and businessmen, and ignoring international trade agreements. I have instructed the Director General of the…
— ישראל כ”ץ Israel Katz (@Israel_katz) May 2, 2024
Come riportato da Renovatio 21 il leader turco ha effettuato in questi mesi molteplici attacchi con «reductio ad Hitlerum» dei vertici israeliani, paragonando più volte il primo ministro Beniamino Netanyahu ad Adolfo Hitler e ha condannato l’operazione militare a Gaza, arrivando a dichiarare che Israele è uno «Stato terrorista» che sta commettendo un «genocidio» a Gaza, apostrofando il Netanyahu come «il macellaio di Gaza».
Il presidente lo scorso novembre aveva accusato lo Stato Ebraico di «crimini di guerra» per poi attaccare l’intero mondo Occidentale (di cui Erdogan sarebbe di fatto parte, essendo la Turchia aderente alla NATO e aspirante alla UE) a Gaza «ha fallito ancora una volta la prova dell’umanità».
Un ulteriore nodo arrivato al pettine di Erdogan è quello relativo alle bombe atomiche dello Stato Ebraico. Parlando ai giornalisti durante il suo volo di ritorno dalla Germania, il vertice dello Stato turco ha osservato che Israele è tra i pochi Paesi che non hanno aderito al Trattato di non proliferazione delle armi nucleari del 1968.
Il mese scorso Erdogan ha accusato lo Stato Ebraico di aver superato il leader nazista uccidendo 14.000 bambini a Gaza.
Israele, nel frattempo, ha affermato che il presidente turco è tra i peggiori antisemiti della storia, a causa della sua posizione sul conflitto e del suo sostegno a Hamas.
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Immagine di Haim Zach / Government Press Office of Israel via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
Economia
La Republic First Bank fallisce: la crisi bancaria USA non è finita
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Economia
BlackRock si unisce al pressing sull’Arabia Saudita: deve uscire dai BRICS
L’Arabia Saudita è oggetto di una pressione da parte di tutta la corte progettata per tirarla fuori dai BRICS e riallinearla con Londra e Washington.
Nello stesso momento in cui il Segretario di Stato americano Tony Blinken era in Arabia Saudita questa settimana per lavorare sulla «normalizzazione delle relazioni» tra Israele e Arabia Saudita – vale a dire, affinché i Sauditi riconoscano Israele in cambio di un patto militare con gli Stati Uniti – erano presenti nel regno wahabita anche Larry Fink e altri alti dirigenti di BlackRock per firmare un accordo con il governo saudita per il lancio della società BlackRock Riyadh Investment Management.
La nuova entità, detta anche BRIM, sarà una nuova «società di investimento multi-class» a Riyadh, con 5 miliardi di dollari di capitale iniziale di origine saudita, che dovrà «gestire fondi che investono principalmente in Arabia Saudita ma anche nel resto del Medio Oriente e del Nord Africa», ha riferito il Financial Times.
«L’obiettivo è attrarre ulteriori capitali esteri in Arabia Saudita e rafforzare i suoi mercati dei capitali attraverso una gamma di fondi di investimento gestiti da BlackRock», che ha in gestione una bella somma di 10,5 trilioni di dollari. Il CEO di BlackRock Larry Fink ha dichiarato in una nota che «l’Arabia Saudita è diventata una destinazione sempre più attraente per gli investimenti internazionali… e siamo lieti di offrire agli investitori di tutto il mondo l’opportunità di parteciparvi».
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L’Arabia Saudita aveva segnalato il suo interesse ad entrare nei BRICS ancora due anni fa.
Come riportato da Renovatio 21, pare che il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman – capo de facto del regno islamico – cinque mesi fa abbia snobbato i britannici per incontrare il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin. Negli stessi mesi il Regno aveva stipulato con la Cina un accordo di scambio per il commercio senza dollari.
Lo scambio di petrolio senza l’intermediazione del dollaro, iniziata nel 2022 con le dichiarazioni dei sauditi sulla volontà di vendere il greggio alla Cina facendosi pagare in yuan, porterà alla dedollarizzazione definitiva del commercio globale.
A gennaio 2023, il ministro delle finanze dell’Arabia Saudita Mohammed Al-Jadaan ha dichiarato al World Economic Forum che il Regno è aperto a discutere il commercio di valute diverse dal dollaro USA.
«Non ci sono problemi con la discussione su come stabiliamo i nostri accordi commerciali, se è in dollari USA, se è l’euro, se è il riyal saudita», aveva detto Al-Jadaan in un’intervista a Bloomberg TV durante il WEF di Davos. «Non credo che stiamo respingendo o escludendo qualsiasi discussione che contribuirà a migliorare il commercio in tutto il mondo».
Il rapporto tra la Casa Saud e Washington, con gli americani impegnati a difendere la famiglia reale araba in cambio dell’uso del dollaro nel commercio del greggio (come da accordi presi sul Grande Lago Amaro tra Roosevelt e il re saudita Abdulaziz nel 1945) sembra essere arrivato al termine.
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Immagine di pubblico dominio CCO via Flickr
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