Pensiero
Omaggio a Niccolò Ghedini
È morto l’avvocato Niccolò Ghedini. Ci dispiace tantissimo, e la cosa strana e che non lo sapevamo.
Cioè, non solo non sapevamo che stesse male. Non sapevamo nemmeno che la sua morte potesse toccarci in questo modo.
Con Ghedini si chiude un pezzo di storia italiana. Forza Italia è archiviata per sempre. L’era berlusconiana forse non finirà con Berlusconi – quello potrebbe durare per sempre. Finisce con Ghedini: cioè, la lucidità, la disciplina, la serietà.
Rivendicava di non andare a teatro, di non intrattenersi nei salotti – soprattutto, anche se non lo diceva, a differenza di altri esponenti di spicco del partito, non finiva in storie sordide di escort. Finito il suo lavoro, cioè difendere Berlusconi, tornava a casa a Padova da moglie e figlio. Tutto vero, certificato. E nemmeno se ne faceva troppo un vanto: era il suo modo di essere, efficace, operativo, il resto è nulla. Un uomo vero, un uomo di altri tempi.
Qualcuno di quelli che stanno facendo eulogi a destra e a manca non ha mancato di usare l’aggettivo «freddo».
A noi Ghedini sembrava tutto meno che freddo. Ci sembrava brillante, sicuro.
Gli rinfacciano la diffusione del termine, crediamo giuridicamente ineccepibile, di «utilizzatore finale». Lui forse pure si scusò, tanto fu il fango sparatogli addosso dai dipendenti di De Benedetti e gli ulteriori minions.
Ebbene, a noi invece sembra un’espressione perfetta, strepitosa, attecchisce subito e spiega tutto, altro che «petaloso».
«Utilizzatore finale»: per definire uno cui piacciono le donne è sublime. Non lo pensiamo solo noi: più di un decennio fa c’era un sito eccezionale, si chiamava Gnocca Travel (che non so se esista ancora, e ho paura di andare a controllare, perché chissà cosa è diventato, quindi scordatevi che vi cerco il linko). Si trattava di una guida mondiale, città per città, per appassionati della «materia», scritto da un manipolo di pseudonimi appassionati della «materia» con estremo stile e soluzioni linguistiche esilaranti – nonché profonda cognizione della geografia umana, cioè della geografia femmina, di ogni continente. Piazzarono subito nei loro articoli l’espressione «utilizzatore finale», riconoscendone la paternità all’avvocato.
Non si tratta dell’unico «meme» ante-litteram espresso dal Ghedini.
Per anni, pure quando YouTube era una cosa non troppo estesa e i social contavano solo qualche avanguardista, tirò il leggendario «ma va là».
Crediamo di ricordare che fu pronunziato contro la Bonino durante un dibattito da Santoro. Ci sembra di ricordare che la radicale non ne uscì benissimo, affondata dai «ma va là» che puntellavano l’ineffabile vis oratoria dell’avvocato.
È irresistibile, impareggiabile. Ve lo riproponiamo.
Dopo qualche anno, il tormentone del «ma va là» si spense.
Abbiamo fatto in tempo, tuttavia, a vedere lasciata ai posteri questa semplice clip che spiegherà ai posteri la potenza di Ghedini: l’incontro-scontro col Piero Ricca.
Il personaggio, figlio e fratello di avvocati esattamente come Ghedini, aveva ottenuto una qualche popolarità in era protogrillina: beccava i politici e altre personalità per strada, e partiva con considerazioni e domande, diciamo così, piuttosto critiche. Nel 2003 (sì, quasi 20 anni fa…) urlò «fatti processare, buffone!» a Silvio Berlusconi che usciva dall’aula del processo SME al Tribunale di Milano. Berlusconi lo denunziò, lui si difese dicendo che aveva in realtà detto «puffone».
Dopo aver transitato per i V-Day e il blog di Grillo, non sappiamo che fine abbia fatto nell’ultima dozzina d’anni. Quando ancora il risentimento non era incarnato in un partito con percentuali di voto mostruose, Ricca era, possiamo dire, una figura temuta: le sue videointerviste aggressive attecchivano nella mente dell’elettorato sempre più convinto della totale irrecuperabilità dell’elemento politico italiano.
Ebbene, potete guardar qui come dal confronto con Ricca uscì Ghedini.
Neutralizzato. Di più: lo stesso Ricca deve riconoscere che Ghedini non scappa e risponde a tutto, che probabilmente è un modo per dire «ti rispetto». Ebbene sì: simpatia per l’avvocato del Diavolo. Un fenomeno impressionante, che Ghedini rendeva possibile.
Vi basti guardare i commenti degli utenti su YouTube di questo video vecchio 14 anni: anche quelli che chiaramente sarebbero finiti una manciata di anni dopo a votare Grillo si sperticano in lodi per Ghedini, taluni rimpiangono di non aver i danari per avere lui come avvocato.
Finora abbiamo un po’ scherzato, in realtà volevamo tentare di dire qualcosa di più serio. Di struggente, financo.
Se cerco di capire perché mi ha colpito la morte di Ghedini è perché, automaticamente, trasmetteva una fibra cerebrale, morale, umana, incontrovertibile.
Riusciva a stare a fianco di Berlusconi – ossia nell’occhio del ciclone politico, geopolitico, metapolitico italiano del secolo – rimanendo immobile, altero, discreto, perfetto nella sua funzione: spegnere le tempeste. Lo ha fatto, tante volte. Probabilmente più di quante ne riusciamo a ricordare.
E perché lo faceva? Per i soldi? Abbiamo appreso dagli articoli di questi giorni che la sua famiglia ha lo studio legale da centinaia di anni. In un’intervista parla di aziende agricole, Travaglio – che nel suo coccodrillo riesce a dargli dello «stronzo» anche post-mortem, senza rendersi conto che era Ghedini che gli concedeva una chiacchierata, e non viceversa (un po’ come quella volta che Berlusconi gli disse di alzarsi dalla sedia e Travaglio obbedì immantinente) – scrive che l’avvocato patavino avrebbe confessato di avere un paio di dogi nell’albero genealogico.
No, non gli servivano i soldi: anche perché, non abbiamo idea di quanti ne servano per accettare la quantità di roba oscura che ti lanciano addosso se sei di fianco al babau politico del secolo.
Tutti, nei ricordi di queste ore, ricordano un’altra motivazione: i due si volevano bene. Proprio così: Berlusconi non faceva mistero del suo affetto per Ghedini; Ghedini ribadì più volte che si accollava l’immane lavoro di difesa del Silvio perché gli voleva bene.
Crediamo loro. Perché con Berlusconi, pensatene quel che volete, è così: il sentimento, la parola data, la generosità, i rapporti umani all’antica. Abbiamo visto che è stato così, tra gratitudine e vera simpatia umana con tutti: da Mike Bongiorno a Lele Mora, dall’ultima ballerina a Emilio Fede, da Iva Zanicchi a Vladimir Putin.
L’amicizia, il rispetto, accada quel che accade, non si cambia – non si vende. È forse uno dei motivi per cui le élite globali hanno odiato così profondamente Berlusconi. Ora odiano Trump, e gli americani hanno trovato una parola per definire il veleno dell’odio sparso sulla popolazione con un termine, che non non abbiamo trovato, Trump Derangement Syndrome, «sindrome da disturbo di Trump».
Da quest’ultimo pensiero consegue che, trovata necrologicamente una madeleine che li conduce all’estatico ricordo degli anni 2000, quando Berlusconi lo si odiava in massa con impegno e voluttà, tutti coloro che stanno insultando la memoria di Ghedini sono tecnicamente persone malate.
Sono persone malate fuori tempo massimo, sono pazienti tristemente recrudescenti: sono malati mai veramente guariti, sono falsi asintomatici.
Soprattutto, ed è il pensiero che abbiamo fatto, sono creature larvali che mai nella vita avrebbero potuto reggere al confronto de visu con Ghedini. Non solo per la quantità di cose realizzate dall’avvocato, ma proprio, come abbiamo visto, perché nessuna aggressività, nessuna convinzione giacobina reggeva più di tanto se ce lo avevi davanti.
Immaginatevi il modello umano di cui parliamo: peloso, flaccido, bilioso, senza una vera padronanza di nulla se non dell’opinione da bar, ora trasferita su Twitter.
Poi dipingetevi nella mente Ghedini: dritto, retto, lucido, estremamente capace, padrone della situazione al punto che, anche quando veniva aggredito, pareva che sapesse già cosa stava succedendo e come sarebbe finita – il tutto senza mai perdere equilibrio.
Quelli che lo insultano, e virtualmente già sputazzano sulla sua tomba dal maniero fatto di anonimato più tastiera, immaginiamo siano gli stessi parassiti parastatali di sempre, quelli che hanno votato PCI, PDS, DS, PD, poi magari M5S, a breve con probabilità torneranno a votare PD. Ominidi che mai e poi mai possono vantare, più che il curriculum impressionante del Niccolò, la fibra morale di chi, con sacrificio non indifferente difende un amico – l’uomo più perseguitato della Repubblica – perché gli vuole bene.
E che continua a farlo perché, cosa ancora più importante forse, è la cosa da fare, è il tuo lavoro, che esegui al meglio del tuo essere. Stai lì e lo fai: con il sacrificio, con la bravura, con la competenza, con te stesso. E se ce la fai, con la pace interiore. Fino alla fine, fino a che hai tempo, fino a che hai respiro.
A Dio avvocato.
Noi non dimentichiamo uomini come Lei. Lottiamo per un Paese che, pulitosi delle larve elettroniche, torni a produrre, nutrire e celebrare figure come la Sua.
Roberto Dal Bosco
Immagine di Senato Italiano via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0); immagine modificata.
Pensiero
Miseria dell’ora legale, contro Dio e la legge naturale
Ho un argomento molto metafisico, e al contempo concretissimo, per combattere l’abominio dell’ora legale. Un argomento che sono persino in grado di visualizzare.
Ci sono, certo i numeri: ci dicono che risparmieremo 300 gigawattora. Quando stanotte mi sono svegliato ad un’orario innaturale, nella confusione inevitabile di non sapere se è troppo presto o troppo tardi, ho ripensato ad un altro dato: quante persone, in questi giorni, moriranno negli incidenti stradali dovuti ai colpi di sonno? Non credo che nessuno abbia mai fatto questo calcolo, che sarebbe più importante che qualsiasi discorso sparagnino.
Ma a chi importa? L’ora legale, teorizzata da Beniamino Franklin che, democraticamente, voleva piazzare un cannone in ogni via per svegliare la popolazione all’ora che diceva lui per risparmiare in candele, in Italia fu adottata nel 2016, in piena Prima Guerra Mondiale: i nostri ragazzi andavano verso l’inutile strage, il potere pensava a cambiargli l’orologio. Non sono in grado di calcolare l’effetto che l’ora legale può aver avuto sulle trincee, e non ho voglia nemmeno di chiedermelo.
Tuttavia non è questo pensiero di morte – diligente e terminale conseguenza dell’azione dello Stato moderno, che è macchina antiumana – che mi spinge a vedere nell’ora legale un’aberrazione satanica.
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Ho, negli occhi, e nel cuore, un’immagine invincibile, quella della chiesetta dove assisto alla Santa Messa, ovviamente in rito tridentino. Molti lettori già la conoscono, perché ho usato la sua foto in vari articoli.
Andò più o meno così: oramai sette anni fa, trovammo questa chiesetta – dell’estrema nobiltà della proprietà che ce la concesse parlerò altrove. Si tratta di un oratorio che risale al XII secolo, ma notizie certe in merito non si hanno, e mi piace pensare che vi sia davvero un millennio di storia lì.
La chiesa sta fuori dalla città, sopra un borghetto che sa ancora di medioevo, su una collina di boschi e pareti di roccia. L’oratorio stesso sembra posato su un’enorme roccia, anzi sembra esservi stato scolpito, sottratto una scalpellata dopo l’altra da quantità di mani laboriose e fedeli vissute in secoli dimenticati.
Arrivati al nostro secolo, arrivati a noi, c’era pronto tutto quello che serviva: il luogo era stato restaurato, nessuno vi aveva introdotto il tavolone-alare conciliare, a poca distanza c’era tanto parcheggio… per i tanti che, non solo dalla provincia, finalmente potevano avere a portata la Messa in latino.
Iniziarono così le celebrazioni del rito antico, tuttavia ottenemmo dai sacerdoti, impegnati a dire Messe in tanta parte della regione ed oltre, un orario pre-serale, alle 18.
D’inverno, a quell’ora è il buio. Nella scala di pietra mettevamo delle candeline, e lo facciamo ancora oggi in caso di celebrazione notturna. L’effetto è abbastanza magico, tuttavia nulla ha a che fare con quanto avremmo scoperto più avanti.

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Anni dopo, a fronte di una comunità di fedeli sempre più vasta e persistente (unita davvero, come dimostrò la solidarietà in pandemia…) aumentarono il numero di Sante Messe, e fu concessa quindi una celebrazione la domenica mattina, alle 11:00.
Saltò così fuori il fenomeno che ancora mi stupisce, mi commuove. Ci accorgemmo che, precisamente a mezzogiorno – ora nella quale si ha, con la messa iniziata alle 11, la consacrazione eucaristica, un raggio di luce entra dalla finestra a lato e colpisce esattamente il centro dell’altare, dove è posato il tabernacolo.
L’incenso aiuta a vederlo, tuttavia a volte può capitare di notarlo anche in assenza di fumo. È impressionante. Tendo a sospettare di quanti vedono questa cosa e non restano sbalorditi. Le immagini che vedete qui sotto non sono ritoccate in nessun modo. Anzi, ad occhio nudo l’effetto è ancora più forte.



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È interessante notare che lo abbiamo riscoperto noi a Messa, ma da qualche parte l’eco di questo miracolo luminoso risuonava ancora. Una signora della Pro Loco, che ha stampato un libro sulla chiesetta, mi aveva domandato se mai fosse vera una leggenda locale secondo cui nel giorno del Santo patrono dell’oratorio un raggio di luce colpisce l’altare. Ho risposto invitandola a Messa la domenica successiva, dove ha fatto tante foto con il telefonino, e compreso che la leggenda conteneva una realtà ancora più stupefacente: quel raggio si produce ogni giorno.
Il fenomeno impone tanti pensieri. Il primo, è che le mani che hanno eretto questa chiesa sapevano fare cose che i moderno non sono in grado di fare. Di più: chi l’ha costruita, l’ha basata su principi che sono sconosciuti all’architettura moderna. Per fare una chiesa, bisogna orientarla, cioè l’abside deve dare ad orientem (come il sacerdote prima del Concilio), ma non solo.
Ho l’idea che chi ha costruito la chiesetta lo abbia fatto proprio a partire da quel raggio, alla faccia di quanti ne osservino gli elementi (scala esterna, portone, altare) e li considerino disallineati. Ossia, l’intera chiesa è concepita a partire dal rapporto del Vielo con la Terra, cioè di Dio con l’uomo – questo è un senso ultimo della religione cristiana, quella della divinità che si fa essere umano, del Dio del Cielo che scende sulla Terra, del Cielo che nutre la Terra con la sua luce, il suo calore la sua grazia, .

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Quel raggio, che casca durante la Santa Messa esattamente nel momento più alto, significa in maniera incontrovertibile l’armonia tra il Cielo e la Terra. L’accordo, nella bellezza, accordato all’uomo da un Dio buono, un Dio che è luce, che è amore.
Questo è l’ordine celeste, infinito, stupendo. Questo è il logos. Questo è il cosmos.
Non ci sono voluti tanti mesi per capire che, a parte il cattivo tempo, c’era solo una cosa in grado di distruggere il nostro raggio divino: l’ora legale. Come a marzo si cambia l’ora, quella luce svanisce, si fa più tenue, fino a sparire, facendo capolino, forse, solo dopo la Messa, quando qualcuno si attarda ad una confessione fuori tempo ed altri (io) rassettano prima di chiudere.
Di fatto, poi, il fascio luminoso scompare del tutto, dalla vista come dai cuori. Fine della magia, per ordine dello Stato moderno.

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Ho sempre preso questo fatto come la prova definitiva della nequizia dell’ora legale – del suo essere un invento contronatura, e quindi contro Dio.
Solo il mondo moderno poteva pensare di alterare persino il tempo: l’uomo si sente in grado di modificare l’immutabile, l’uomo introduce il suo artificio in un sistema la cui complessità ha milioni di anni. Non è diverso per tante altre questioni: ad esempio, i vaccini, la fecondazione in vitro, la bioingegneria…
L’uomo-dio crede di poter mettere mano su qualsiasi cosa, devastando le leggi stesse della creazione, disintegrando quindi l’equilibrio del Cielo e della Terra – una realtà conosciuta dalla saggezza cinese: «l’uomo si conforma alla Terra / La Terra si conforma al Cielo / il Cielo si conforma al Tao» ( Tao Te King, XXV). Era chiaro, agli antichi cinesi, che il Cielo è legato alla morale: «Sotto il cielo tutti / sanno che il bello è bello, / di qui il brutto, sanno che il bene è bene, / di qui il male» ( Tao Te King, II).
Ora, nel Cristianesimo l’armonia tra la Terra e il Cielo è in realtà una vera alleanze tra persone, cioè tra gli uomini e Dio – e questa nuova alleanza è il Cristo risorto.
Alterare il tempo significa frantumare la relazione naturale con il Cielo. Adulterare la luce del sole significa quindi andare contro il divino, contro la legge naturale, contro Dio.
Non poteva essere altrimenti: il mondo moderno odia, più ancora dell’uomo, Nostro Signore, che vuole sostituire con l’essere umano ubriacato di hybris satanica, l’umanità onnipotente che, apoteosi del non serviam, si crede capace di cambiare le leggi del cosmo.
Ecco perché combatto l’ora legale: perché, ve ne rendiate conto o no, fa parte della macchina in atto per distruggere la presenza di Dio sulla Terra.
E quel raggio magnifico me lo ha ricordato anche domenica scorsa: sì, tornata l’ora del Sole, l’ora vera, è tornato. E con lui è venuta ancora da noi questa immagine potente di reincanto del mondo, di bellezza divina, di armonia cosmica, questa visione sacra che vale più di qualsiasi risparmio.
Vale tutto. Vale il senso vero dell’esistenza e dell’universo.
Roberto Dal Bosco
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Pensiero
Mons. Viganò: dissonanza cognitiva e rivelazione del metodo, il colpo da maestro di Satana
Ex fructibus igitur eorum cognoscetis eos.
Mt 7, 20
Premessa
La crisi nella Chiesa è di natura teologica, non canonica. Non solo: questa non è una crisi tra le tante, ma la crisi dell’Autorità, perché è appunto l’Autorità ad essere oggetto di un sovvertimento che fino a sessant’anni fa non era nemmeno immaginabile in seno alla Chiesa Cattolica. Se infatti l’Autorità, quando è esercitata per il bene, è certamente lo strumento più idoneo ad assicurare il buon governo dell’istituzione che presiede, così essa si può mutare in uno strumento altrettanto efficace per distruggerla, nel momento in cui chi la ricopre rescinde il proprio vincolo di obbedienza verso Dio, che dell’Autorità è supremo garante (1).
Questo hanno fatto i Giacobini nel 1789, questo hanno ripetuto i fautori della rivoluzione conciliare nel 1965: appropriarsi illegittimamente dell’Autorità per costringere i sudditi ad accettare di obbedire a ordini iniqui, finalizzati ad un piano eversivo. E tanto i Giacobini quanto i Modernisti si sono avvalsi non solo della collaborazione attiva dei propri complici e dell’inazione dei codardi, ma anche del consenso di coloro che obbedivano in buona fede e da una massa progressivamente indotta ad accettare in nome dell’obbedienza qualsiasi cambiamento (2).
L’idealizzazione dell’autorità
Nelle scorse settimane «conservatori» come Riccardo Cascioli, Luisella Scrosati, Daniele Trabucco e Giovanni Zanone hanno sostenuto che laici e chierici, dinanzi alla crisi della Gerarchia cattolica, non dovrebbero adottare forme di resistenza nei confronti di cattivi Superiori; né dovrebbero mettere in discussione la loro Autorità, dal momento che essa promana direttamente da Nostro Signore.
Costoro affermano che l’indegnità di un vescovo o del papa non inficia la legittimità della loro autorità, ma questo può essere vero nel caso di un’indegnità personale che non coinvolge l’esercizio dell’autorità stessa. L’autorità, tuttavia non può essere esercitata legittimamente al di fuori dei confini che le sono dati né tantomeno contro i propri fini o contro la volontà del divino Legislatore. Un vescovo che coopera consapevolmente ad uno scopo iniquo con atti di governo, inficia la legittimità di quegli atti e la sua stessa autorità, proprio perché sono posti in fraudem legis.(3)
La visione idealista e sconnessa dalla realtà degli Autori citati, secondo la quale l’Autorità non perderebbe la propria legittimità nemmeno quando i suoi ordini sono volti al male, rende evidente il cortocircuito logico tra la realtà di papi e vescovi eretici – formali o materiali, poco importa: è comunque una cosa inaudita – e la teoria di un’Autorità immune dall’eresia e dalle cattive intenzioni di chi ricopre quell’Autorità.
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Una crisi sistemica
Chi si ostina a giudicare i singoli fatti prescindendo dall’evidente coerenza che li lega tra loro e dal quadro complessivo che se ne evince, falsifica la realtà dandone una rappresentazione ingannevole. Questa è una crisi che dura da sessant’anni, sempre nella medesima direzione, sempre con la connivenza dell’Autorità, sempre contraddicendo gli stessi articoli di Fede e sostenendo i medesimi errori già condannati.
I responsabili di questa crisi sono tutti accomunati dalla volontà eversiva di appropriarsi e mantenere il potere per raggiungere gli scopi che si prefiggono. E a riprova che deep state e deep church agiscono di concerto, basti vedere come gli artefici di questa sovversione in campo ecclesiastico agiscono specularmente ai loro omologhi nella sfera civile, giungendo a mutuarne il lessico e le tecniche di manipolazione di massa. L’evidenza dei risultati disastrosi ottenuti dai papi e dai vescovi conciliari non li ha indotti a tornare sui propri passi e a riparare al danno compiuto, ma al contrario li vediamo proseguire ostinatamente sulla medesima linea, confermando dolo e premeditazione, ossia la mens rea. (4)
Ci troviamo in una situazione di gravissimo conflitto istituzionale, dal quale emerge che la maggior parte dei vescovi costituiti in Autorità – senza alcuna ombra di dubbio – agisce con l’intenzione determinata e volontaria di commettere atti illeciti contro il bene della Chiesa e delle anime, nella consapevolezza delle loro conseguenze.
Se in costoro non vi fosse intenzione di compiere il male – se, cioè, essi fossero in buona fede – non si ostinerebbero a ripetere i medesimi errori, nel perseguimento dei medesimi risultati. Né cercherebbero con ogni mezzo di indurre fedeli e sacerdoti a rinnegare ciò che la Santa Chiesa ha insegnato per secoli, facendo loro abbracciare quanto essa condannava e puniva con le pene più severe.
L’accettazione della frode
Abbiamo dunque una Gerarchia composta da vescovi e papi traditori che pretende dai propri fedeli non solo il silenzio inerte dinanzi ai peggiori scandali dei suoi membri, ma anche l’entusiastica accettazione e condivisione di questo tradimento, secondo quel principio esoterico che il satanista Aleister Crowley aveva così riassunto agli inizi del Novecento: «Il male deve nascondersi alla luce del sole, poiché le regole dell’universo impongono che chi viene ingannato acconsenta al proprio inganno».
Questo è il modus operandi del demonio e dei suoi servi, che troviamo confermato dalla narrazione delle tentazioni cui Satana sottopone Nostro Signore nel deserto: «Tutto questo io ti darò – dice il Maligno a Cristo – se prostrato mi adorerai» (Mt 4, 9). Nel pretendere di essere adorato come Dio, Satana chiede anzitutto l’accettazione della frode, ossia della premessa – Tutto questo io ti darò – che è assolutamente falsa, in quanto Satana non può cedere ciò che non gli appartiene. Se per assurdo Nostro Signore si fosse prostrato a Satana adorandolo, Egli non avrebbe avuto da lui nemmeno un granello di polvere del deserto e questo baratto si sarebbe rivelato una frode.
er questo il Signore gli risponde «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto» (ibid., 10). Con queste parole Nostro Signore svela l’identità del tentatore e i suoi inganni. Anche nell’Eden, tentando Eva, il Serpente aveva prospettato ai Progenitori di diventare sicut dii (Gen 3, 5).
Essi sapevano benissimo che Satana non sarebbe stato in grado di renderli come dèi e che avrebbero dovuto rispondere a Dio della loro orgogliosa disobbedienza, ma nonostante questo hanno consentito alla menzogna del Maligno come se fosse vera, rendendosi responsabili del sovvertimento di Bene e Male e agendo come se Dio non fosse onnipotente e in grado di punirli. È questa, in definitiva, la ὕβρις, la superbia che spinge l’uomo a sfidare Dio scegliendo di compiere il peccato, che ha come conseguenza la νέμεσις, ossia la punizione inevitabile che colpisce chi ha violato l’ordine divino oltrepassando i limiti imposti da Dio.
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La «Rivelazione del Metodo»
Lo storico ed esperto di ingegneria sociale Michael A. Hoffman ha affrontato il medesimo tema da una prospettiva differente, identificando un’élite nascosta che usa tecniche di manipolazione per controllare le masse. Essa non vuole solo conquistare il potere, ma intende condurre una guerra psicologica che trasforma la realtà in un rituale magico, alchemico (e in questo coincide con le parole di Crowley).
Questa élite non nasconde più tutto, ma rivela deliberatamente parti del suo piano (da qui la Rivelazione del Metodo), come atto di umiliazione dei sudditi e di affermazione della propria supremazia. Gli studi di psicologia sociale confermano che questo gioco crudele per soggiogare e dominare le vittime serve a provocare la dissonanza cognitiva, ossia quello stato di disagio psicologico che si verifica quando ci troviamo dinanzi a due affermazioni o fatti in conflitto tra loro, come ad esempio è avvenuto quando le autorità sanitarie sostenevano, mentendo, che il siero genico sperimentale fosse «sicuro ed efficace» ma allo stesso tempo chiedevano lo scudo penale per i medici inoculatori; o quando abbiamo sentito affermare da Jorge Bergoglio che «Dio non è cattolico».
Questa dissonanza cognitiva, questa percezione di una contradictio in terminis è voluta, perché ci demoralizza (siamo consapevoli della nostra impotenza), perché ci induce ad un consenso implicito (un consenso passivo, come dire: «Ti mostro cosa faccio, e tu non fai nulla, quindi acconsenti») e infine perché ci porta all’accettazione di un potere dispotico (anche se esso sbeffeggia le masse, rafforzando su di noi il proprio controllo psicologico).(5)
La «dissonanza cognitiva» e il «gaslighting» dei conservatori
Non ci deve dunque stupire se queste tecniche di manipolazione di massa sono usate anche nella sfera ecclesiastica, allo scopo di provocare la stessa dissonanza cognitiva nei fedeli, la stessa demoralizzazione, lo stesso consenso estorto, la medesima accettazione dell’autorità che ostenta la contraddizione ma pretende obbedienza. Pensiamo al paradosso di Leone che dichiara la libertà religiosa un diritto umano sulla base del Vaticano II e allo stesso tempo canonizza il Beato Bartolo Longo, che nei suoi scritti condanna l’indifferentismo religioso e il concetto di libertà religiosa (6); o che presiede incontri ecumenici con gli islamici, ma canonizza il Beato Ignazio Choukrallah Maloyan, vescovo armeno martirizzato dai maomettani per essersi rifiutato di apostatare la vera Fede.
Non ci deve stupire nemmeno che la Nuova Bussola si comporti esattamente come previsto in questi casi dai manuali di psicologia sociale, negando ostinatamente la contraddizione ancorché evidente, in un’operazione di vero e proprio gaslighting (7): «Ciò che hai visto non è mai successo».
Anche il ricorso a video o immagini generate dall’AI diventa strumento di destabilizzazione, perché queste contribuiscono a erodere la base sensibile della conoscenza della realtà, rendendo impossibile distinguere il vero dal falso e di fatto cancellando la nozione stessa di «reale» mediante la sua sostituzione con il «verosimile».
L’apparenza prende così il posto della sostanza, solo perché essendo veicolata dall’immagine che appare sul cellulare o sul computer noi non sappiamo se ciò che ci sembra vero lo è davvero o lo sembra soltanto. Come non vedere in questo nuovo fenomeno un attacco con cui Satana sfida con i suoi artifici teatrali e con i suoi effetti speciali la verità di Dio che è simplex, senza pieghe?
Questi sono test di massa per mettere alla prova la devozione alla religione sinodale, esattamente come in ambito civile avviene con la religiones anitaria o la religione green. E non è diverso chiedere al fedele di accettare la messa protestantizzata di Paolo VI se vuole avere il permesso di assistere alla Messa tridentina, che del Novus Ordo è l’antitesi.
Anche la «scomunica» che Jorge Bergoglio mi ha inflitto palesa una enorme contraddizione: da un lato io sono stato dichiarato scismatico per aver denunciato gli stessi errori che tutti i Papi fino a Pio XII incluso hanno condannato; dall’altro i veri eretici e scismatici sono ammessi alla communicatio in sacris con chi mi condanna, senza alcuna conseguenza canonica. Il messaggio è chiaro: «Possiamo mostrarti la contraddizione tra le nostre parole e le nostre azioni, e tu non farai nulla. Accetterai sia la menzogna che la prova di essa».
Ogni assurdità accettata indebolisce la capacità di discernimento dei fedeli e del Clero, per poter responsabilmente obbedire ai propri Pastori. Se la nostra Fede non è forte e convinta, questo ci porta ad una forma di apatia verso ogni nuova provocazione. È una forma di umiliazione rituale che funziona non più attraverso la segretezza, ma attraverso una sfacciata ostentazione, specialmente quando l’obbedienza all’Autorità che imparte ordini abusivi e addirittura criminali è richiesta come un sacrificio della propria razionalità, come un’immolazione della volontà mediante un concetto pervertito di autorità e di obbedienza.
Se l’Autorità della Gerarchia, fino ai suoi massimi vertici, si rende responsabile di questa manipolazione psicologica dei fedeli finalizzata a perpetuare il proprio potere per demolire la Chiesa, a chi dovrebbero rivolgersi, sacerdoti e laici, per veder condannati i colpevoli di tanto tradimento? A quegli stessi eretici manipolatori, incistati a Roma e in tutti gli organi e le istituzioni della Chiesa Cattolica?
Non stupisce che troppe vocazioni sacerdotali si perdano e che molti fedeli si rassegnino o abbandonino la pratica religiosa. È il risultato voluto e pianificato di questo crudele stillicidio.
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Il «colpo da maestro» di Satana
Il demonio vuole ottenere la nostra adesione al male non per inganno, ma portandoci ad accettare la menzogna con la quale egli definisce bene il male, e ad accettare la finzione mediante la quale ci presenta il bene come un male. Il colpo da maestro di Satana consiste in questo: nell’ottenere da noi un assenso irrazionale, pur dinanzi all’evidenza della frode e del sovvertimento che riconosciamo per tali ma che, in un atto di folle annientamento suicida, accettiamo come se fossero verità divinamente rivelate. Per il Cattolico la Fede non è mai irrazionale: rationabile sit obsequium vestrum, dice San Paolo (Rom 12, 1), perché Dio è autore della Fede e della ragione, e non vi può essere contraddizione nella Verità.
Satana, al contrario, essendo menzognero e padre della menzogna (Gv 8, 44) non può non dissimulare i propri inganni con la frode, per i quali pretende da noi non un’adesione razionale, ma un consenso superstizioso, un atto di fede al contrario, nel quale l’assenso dell’intelletto a errori e eresie evidenti è motivato non dall’autorità di un Dio verace, ma dall’usurpazione di quell’autorità da parte di una creatura ribelle, bugiarda e che sappiamo che ci vuole ingannare e perdere.
Satana vuole che abdichiamo alla ragione e allo stesso sensus fidei, trasformando l’atto di fede in una folle apostasia.
L’assolutizzazione dell’obbedienza
Assolutizzare l’obbedienza, scardinandola dalla necessaria coerenza che essa presuppone tra tutti i soggetti del corpo gerarchico in cui essa viene esercitata,[8] significa consegnare nelle mani dell’autorità vicaria della Gerarchia un potere che il supremo Legislatore non le ha mai concesso, ossia la facoltà di poter legittimamente legiferare contro la volontà del Legislatore stesso e in danno dei fedeli.
Qui non stiamo parlando di ordini incidentalmente sbagliati, o di singoli vescovi che abusano della propria autorità in un contesto ecclesiale in cui la Virtù è incoraggiata e il peccato condannato e punito. Qui stiamo parlando di un intero sistema gerarchico che è riuscito – nella Chiesa Cattolica come nella cosa pubblica – ad impossessarsi del potere, ottenendo riconoscimento e obbedienza dai sottoposti mediante l’uso di mezzi coercitivi.
Non solo: l’assolutizzazione dell’obbedienza nei riguardi dell’autorità finisce anche con l’essere deresponsabilizzante: un comodo alibi offerto ai tanti, troppi don Abbondio in veste filettata o in clergyman, ben attenti a non dispiacere ad alcuno, ad «evitare polarizzazioni» – secondo l’auspicio di Leone – a beneficiare dei favori del potente che si conosce come iniquo ma a cui si presta ossequio per viltà o interesse.
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Conclusione
La Sacra Scrittura, i Padri, i mistici e la stessa Vergine Maria a Fatima ci hanno messi in guardia su un’apostasia che la Chiesa dovrà affrontare negli ultimi tempi. Come possiamo pensare che questa apostasia si concretizzi, se non attraverso falsi pastori al posto di buoni pastori, e di pseudocristi e falsi profeti al posto di Cristo e dei Profeti? Come potrebbero gli eletti essere tratti in inganno dagli eretici e dagli scismatici (Mt 24, 24), se non nel momento in cui questi ricoprono ruoli d’autorità nella Chiesa? Ma la Chiesa è indefettibile, ripetono alcuni con petulanza.
E lo è davvero: nonostante la stragrande maggioranza dei suoi vescovi infierisca su di essa e agisca di concerto con nemici di Cristo. La Chiesa Cattolica è indefettibile nel senso che essa non può mai venir meno nella sua missione di custodire e trasmettere la Verità rivelata da Dio, né può cadere in errore definitivo nella sua Fede e nella sua Morale. E questo di fatto non accade nemmeno quando una Gerarchia eretica e corrotta cerca di oscurare o di sfigurare il sacro Deposito della Fede. Non dimentichiamo che la Chiesa non è solo quella militante su questa terra (hic) e oggi (nunc), ma è anche quella penitente in Purgatorio e trionfante in Paradiso.
La sua compagine celeste è garanzia di quell’indefettibilità che il suo divino Fondatore le ha promesso e che lo Spirito Santo le assicura. E se la chiesa conciliare-sinodale che oggi si presenta come militante contraddice quella di ieri, spezzando la continuità e l’unità nella Professione dell’unica Fede che la rende una e apostolica anche nel fluire del tempo e non solo nella sua diffusione nello spazio, essa non è più la stessa Chiesa.
Per questo il Signore non manca di suscitare una vox clamantis in deserto che rompa il muro di silenzio e di complicità dei congiurati: mi riferisco ai “dottori degli ultimi tempi” cui accenna Augustin Lémann (9) nel suo saggio L’Anticristo. Sono i nuovi Sant’Atanasio imprigionati, esiliati, perseguitati ma infine risarciti dalla Giustizia divina con la proclamazione della loro santità. Ecco come il grande Vescovo di Alessandria e Dottore della Chiesa si rivolge ai fedeli durante la grande eresia ariana (10):
Che Dio vi consoli! (…) Quello che rattrista (…) è il fatto che gli altri hanno occupato le chiese con violenza, mentre in questo periodo voi vi trovate fuori. È un dato di fatto che hanno la sede, ma voi avete la Fede apostolica. Possono occupare le nostre chiese, ma sono al di fuori della vera Fede. Voi rimanete al di fuori dei luoghi di culto, ma la Fede abita in voi. Vediamo: che cosa è più importante, il luogo o la Fede? La vera Fede, ovviamente. Chi ha perso e chi ha vinto in questa lotta – quella che mantiene la sede o chi osserva la Fede? È vero, gli edifici sono buoni, quando vi è predicata la Fede apostolica; essi sono santi, se tutto vi si svolge in modo santo… Voi siete quelli che sono felici, voi che rimanete dentro la Chiesa per la vostra Fede, che mantenete salda nei fondamenti come sono giunti fino a voi dalla Tradizione apostolica, e se qualche esecrabile gelosamente cerca di scuoterla in varie occasioni, non ha successo. Essi sono quelli che si sono staccati da essa nella crisi attuale. Nessuno, mai, prevarrà contro la vostra Fede, amati fratelli, e noi crediamo che Dio ci farà restituire un giorno le nostre chiese. Quanto più i violenti cercano di occupare i luoghi di culto, tanto più essi si separano dalla Chiesa. Essi sostengono che rappresentano la Chiesa, ma in realtà sono quelli che ne sono a loro volta espulsi e vanno fuori strada. Anche se i Cattolici fedeli alla Tradizione sono ridotti a una manciata, sono loro che sono la vera Chiesa di Gesù Cristo.
L’accusa ricorrente che tanto i Conservatori e i Sinodali rivolgono a chi rimane saldo nella Fede e denuncia i loro errori è di volersi creare una propria chiesa, separandosi con lo scisma dalla Chiesa Cattolica, visibile e gerarchica, di cui essi si sono però impossessati con un vero e proprio golpe e nella quale pretendono di esercitare una legittima Autorità per gli scopi opposti a quelli che Nostro Signore le ha affidato.
Ma non sono stati forse costoro, con i loro errori condannati da tutti i Papi preconciliari, a crearsi una chiesa parallela che contraddice il Magistero immutabile e sovverte il Papato? Come può un’autorità ribelle a Cristo Capo del Corpo Mistico pretendere di esercitare l’Autorità di Cristo per contraddire la Sua Parola?
Come può chi si è separato dalla comunione ecclesiale con la vera Chiesa Cattolica Apostolica Romana accusare di scisma chi le rimane fedele?
+ Carlo Maria Viganò
Arcivescovo
Il Canonico Augustin Lémann, ebreo francese, si convertì al Cattolicesimo insieme al fratello Joseph. Divenuti amici di Pio IX, furono entrambi consultori del Concilio Vaticano I.
10) Sant’Atanasio, Epistolæ festales, Lettera XXIX, in: Coll. Selecta SS. Eccl. Patrum, a cura di Caillaud e Guillon, vol. 32, pagg. 411-412.Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Pensiero
Ci risiamo: il papa loda Don Milani. Torna l’ombra della pedofilia sulla Chiesa e sul futuro del mondo
Ci risiamo, ed è l’ennesimo spettacolo doloroso e mostruoso cui tocca assistere: il nuovo papa loda Don Milani. Le implicazioni di questa scelta sono spaventose.
L’11 ottobre, parlando ai pellegrini delle diocesi toscane, Prevost ha citato in modo molto benevolo il controverso prete-maestro della Barbiana: «Don Lorenzo Milani, profeta della Chiesa toscana, che Papa Francesco ha definito “testimone e interprete della trasformazione sociale ed economica”, aveva come motto “I care“, cioè “mi importa”, mi interessa, mi sta a cuore».
Questa cosa del Don Milani «profeta» (colui che anticipa i tempi: a suo modo, non errato) non è nuova: Leone il 12 giugno all’incontro con il clero della diocesi di Roma aveva definito di Don Lorenzo Milani come di «un profeta di pace e giustizia».
La chiesa conciliare, quindi, non lascia Don Milani. No: raddoppia.
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Per noi non è solo il segno chiaro della contiguità assoluta, e infame, con il papato di Bergoglio. Ci prende l’idea di forze oscure – davvero oscure – che bramano per espugnare definitivamente il Soglio e devastare l’umanità tutta.
Perché, per chi si è perso le puntante precedenti – o chi, da buon boomer, si informa su TV e giornali senza chiedersi nessuno sforzo personale per la comprensione della realtà – Don Milani, la grande icona della sinistra (non solo quella, vero Salvini?) e dei cattolici benpensanti, negli ultimi anni è stato accusato di essere una figura molto ambigua, che in una sua lettera, pubblicata dagli stessi seguaci, parlava della sodomizzazione dei suoi allievi ragazzi.
Citiamo dalla lettera di Don Milani a Giorgio Pecorini, contenuta nel libro di quest’ultimo Don Milani! Chi era Costui?, edito Baldini&Castoldi nel 1996, alle pagine3 86-391.
«… Come facevo a spiegare che amo i miei parrocchiani più che la Chiesa e il Papa? E che se un rischio corro per l’anima mia non è certo quello di aver poco amato, ma piuttosto di amare troppo (cioè di portarmeli anche a letto!). E chi non farà scuola così non farà mai vera scuola e è inutile che disquisisca tra scuola confessionale e non confessionale e inutile che si preoccupi di riempire la sua scuola di immaginette sacre e di discorsi edificanti perché la gente non crede a chi non ama e è inutile che tenti di allontanare dalla scuola i professori atei … E chi potrà mai amare i ragazzi fino all’osso senza finire col metterglielo anche in culo se non un maestro che insieme a loro ami anche Dio e tema l’Inferno e desideri il Paradiso?». Il corsivo è nostro.
Ora, questo brano è impossibile che in Vaticano non lo hanno letto. Non dopo che, all’altezza del fallito push per la beatificazione del 2019, era rispuntato fuori in tutta il suo orrore. E non solo nei circoletti tradizionalisti, o in intelligentissimi pubblicazioni come Il Covile. La faccenda era rispuntata nel mainstream, quello dei giornaloni e dei grandi editori.
Mi hanno scritto in diversi che dell’episodio non ricordano più niente. Quindi, sintetizzo.
Il 5 giugno il ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli organizza al MIUR «un evento dedicato a Don Milani, a cinquant’anni dalla sua scomparsa (…) “Avere una scuola aperta ed inclusiva era l’obiettivo di Don Milani ed è l’impegno del mio ministero».
C’è, notevole, una vera convergenza con il Sacro Palazzo: «a scuola, come ci ha ricordato il papa nel messaggio inviato per l’evento dedicato oggi a Don Milani, nell’ambito della Fiera dell’editoria, deve essere capace di dare una risposta alle esigenze delle ragazze e dei ragazzi più giovani» scrive la nota del MIUR.
Non ci sono solo le parole. Il 20 giugno 2017 Bergoglio effettua un «pellegrinaggio» (sic – proprio come per i viaggi presso santuari e luoghi sacri) a Barbiana, per onorare don Milani.
In quei giorni, strana coincidenza davvero, esce per Rizzoli un libro di un celebrato scrittore nazionale, tale Walter Siti. Sedicente omosessuale, nei circoli giusti il Siti conta: normalista, professore universitario, studioso di Montale, curatore delle opere di Pasolini (lui), collaboratori dei giornali di De Benedetti Repubblica e Domani, pochi anni prima aveva vinto il premio Strega. Una voce difficile da ignorare nel contesto dei grandi media di regime.
Il romanzo, che oggi per qualche ragione si vende su Amazon in cartaceo a 100 euro, si intitola Bruciare tutto. Racconta la storia di Don Leo, un immaginario prete pedofilo, e dei suoi struggimenti. È un’opera di fiction, ma si apre con una dedica che apre un bello squarcio sulla realtà: «All’ombra ferita e forte di don Lorenzo Milani».
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Boom. I giornali cominciano ad occuparsene: «Ho creduto che don Milani somigliasse al mio prete pedofilo» titola un articolo sul sito apparso su La Repubblica. Qualche giorno prima, un commento («La pedofilia come salvezza. L’inaccettabile romanzo di Siti») era partito dalla filosofa del PD Michela Marzano, nota per la sua attenzione al tema dell’anoressia e il suo abortismo militante.
Il 21 aprile la bizantinista TV Silvia Ronchey, figlia del ministro PRI Alberto Ronchey e cognata della collaboratrice dell’Osservatore Romano Lucetta Scaraffia in Galli della Loggia, aveva scritto un’ulteriore difesa («Le vere parole di Don Milani») su La Repubblica, che forse è una toppa peggio del buco: prima definisce il Milani come «è un ebreo non praticante che fa “indigestione di Cristo” (…) la sua conversione non è certo dall’ebraismo al cristianesimo, bensì da un battesimo di convenienza, ricevuto per sfuggire alle leggi razziali, a un abito scomodo, indossato per vocazione di riscatto»; poi lo scrive egli era «calamitato dalla letteratura, dalla poesia, dalla pittura fin da adolescente, artista bohémien dalla non celata omosessualità nella Firenze di fine anni Trenta».
«Non celata omosessualità»: quindi, almeno dell’omofilia del prete-icona tutti sapevano, allora come oggi? Almeno fra le élite, era cosa nota? È un argomento che non va trattato con il popolo? Chiediamo.
Non che l’interessato non sapesse di cosa si parlasse. in una lettera sul suo direttore spirituale don Raffaele Bensi, nume tutelare della chiesa «resistenziale» della Firenze del dopoguerra, scrisse: «può darsi che lei abbia in vista una felice sintesi delle due cose, di cui io invece non intravedo la compatibilità p. es. passare a un tempo da finocchio e da maestro, da eretico e da padre della Chiesa, da murato vivo nel chiostro e da pubblicatore del più polemico dei libri».
A Firenze, va detto, chiacchierano di Bensi. Si dice avesse bruciato tutta la corrispondenza privata, dove, sostiene Neera Fallaci, forse si parlava anche di Paolo VI.
Le pulsioni sono disseminati in altre regioni dell’epistolario milaniano. In un’altra lettera ad un amico vi sarebbe scritto «Vita spirituale? Ma sai in che consiste oggi per me? Nel tenere le mani a posto».
Forse, abbiamo pensato, davvero tutti sapevano. Tuttavia qui c’è un primo grande mistero: come è possibile che prima del Concilio Vaticano II, quando la selezione dei sacerdoti scartava immediatamente quanti erano anche solo lontanamente sospettati di avere pulsioni omofile, il Milani sia riuscito a farsi consacrare?
Andiamo poco oltre, e troviamo un’ulteriore storia terrificante, quella del Forteto. Va chiarito che non vi sono prove del coinvolgimento dei guru fortetani con il Milani. La comunità nacque dopo la morte di Don Lorenzo, tuttavia il fatto che il donmilanismo potesse essere stato un’ispirazione è un’idea piuttosto accettata.
Il Forteto è, secondo il vaticanista Sandro Magister, «quella catastrofe che si è consumata in quel di Firenze, tra i circoli cattolici che fanno riferimento a don Lorenzo Milani e alla sua scuola di Barbiana. Una catastrofe che opinionisti e media hanno a lungo negato o passato sotto silenzio, per ragioni che si intuiscono dalla semplice ricostruzione dei fatti».
Al Forteto, scrive la Relazione della Commissione regionale d’inchiesta «l’omosessualità era non solo permessa ma addirittura incentivata, un percorso obbligato verso quella che Fiesoli [il leader della comunità, ndr] definiva “liberazione dalla materialità” (…) l’amore riconosciuto e accettato, l’amore vero, alto e nobile era solo quello con lo stesso sesso (…) Il bene e l’amore vero erano quelli di tipo omosessuale, perché lì non c’è materia».
Faccenda è complicata e spaventosa. Ci hanno messo dentro di tutto. Renovatio 21 ha pubblicato un’intervista al magistrato Giuliano Mignini, che si occupò oltre che del caso Kercher anche di quello del Mostro di Firenze, in cui accenna a questioni di cui ha parlato di recente anche alla «Commissione Parlamentare d’inchiesta sui fatti accaduti presso la comunità Il Forteto»,
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In realtà, non vorremmo tornare a riparlare di tutto questo – ne abbiamo trattato più di dieci anni fa, arrivando a partecipare una conferenza in Regione Toscana con vari soggetti, tra cui Giovanni Donzelli, allora consigliere regionale e oggi parlamentare membro del cerchio magico della Meloni, mentre ad organizzare c’era l’indomito Pucci Cipriani, che per decenni ha combattuto il Don Milani e il donmilanismo.
Qui ci importa di notare altro. Dinanzi a questa mole assoluta di melma, Leone, come con il blocco di ghiaccio benedetto e la sua benedizione cringe, tira dritto, come se niente fosse: viva Don Milani, dice il papa americano, chiaramente imbeccato da qualche puparo della gerarchia. L’agenda della neochiesa va avanti. Ma verso dove?
Già. Noi avevamo una nostra allucinante ipotesi. In quell’articolo di oramai otto anni fa scrivevamo: «La finestra di Overton, già spalancata per l’omoeresia, ora pare aprirsi, per mano del Papa, per la pederastia ecclesiastica (…) Il cosiddetto “ritardo cattolico” martiniano è finito. La società secolare può metterci anni a normalizzare la pedofilia; la Chiesa ci può invece impiegare pochissimo. Con il golpe modernista è tutto chiaro: la dissoluzione aumenta esponenzialmente, e la foga satanica contro l’Ecclesia è ben maggiore di quella usata contro la società civile».
Cosa stai dicendo? Il Vaticano, che tanto sta pagando per la questione delle vittime degli orrendi abusi commessi da sacerdoti e vescovi… starebbe lavorando per normalizzare la pedofilia?
Le forze che controllano l’agenda del papato possono volere un tale abisso? Eccerto.
E cosa pensate, che il Male non si concentri sul katechon? Che l’avversario non voglia distruggere la diga costruita da Cristo? Credete che Satana non voglia che il pontefice smetta di creare ponti con il Paradiso?
Pensate davvero che chi vuole il dominio del maligno sulla Terra non cerchi di corrompere la Chiesa dall’interno?
Capiteci: la finestra di Overton spalancata sulla pedofilia è solo uno dei tasselli del disegno, che in realtà è già bello che scritto: una società mostruosa, dove i tabù – compreso soprattutto l’incesto – sono rimossi definitivamente dai suoi schiavi perverso-polimorfi, dove la morte (per eutanasia, per aborto, per omicidio tout court pienamente legalizzato) è un valore auspicabile, e con essa, vero obiettivo, il sacrificio umano.
Ecco che approntano il Regno Sociale di Satana, e lavorano incessantemente non solo per plasmarne la «morale» demoniaca, ma per progettarlo biologicamente: Renovatio 21 ha cercato di ripeterlo negli anni, i bambini della provetta potrebbero essere proprio coloro «il cui nome non è scritto nel libro della vita fin dalla fondazione del mondo» (Ap 13, 8) di cui parla San Giovanni nell’Apocalisse. Cioè, il futuro popolo, il futuro esercito, dell’anticristo.
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Roma si sta muovendo anche lì, verso lo sdoganamento papista degli umanoidi: e non solo con conferenze ammicanti, ma con la proposta (incredibile davvero) di beatificare il politico democristiano che tanto lavorò per normare, cioè permettere, la fecondazione in vitro in Italia. Dell’agghiacciante processo di beatificazione di Carlo Casini – che gli ebeti pro-vita italici celebrano ancora oggi – avremo modo di scrivere più avanti.
Non siamo davanti ad una questione politica. Si tratta di una battaglia metafisica, la guerra spirituale per la salute del mondo, per salvare il pianeta dall’inferno.
Volenti o nolenti, lo sappiate o no, a questo siete chiamati dall’ora presente.
E, io dico, non c’è onore più grande.
Roberto Dal Bosco
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Immagine rielaborata da pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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