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Igor Kolomojskij, l’oligarca dietro a Zelens’kyj

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Un video risalente a prima dell’elezione di Zelen’skyj alla presidenza ucraina, mostra i legami tra l’attore e il controverso oligarca Igor Kolomohskij.

 

La fonte del video è nientemeno che Radio Free Europe – Radio Liberty, l’emittente del Congresso degli Stati Uniti nata durante la Guerra Fredda per diffondere i valori della democrazia liberale nel mondo comunista. È riportato che la CIA abbia finanziato RFE RL almeno fino al 1972.

 

Il servizio fa emergere il tono con cui, anche dopo l’elezione di Zelensky, si usasse talvolta con l’Ucraina, indicandola come Paese endemicamente corrotto – a differenza di ora, dove è santificato sia il Paese che il suo presidente-comico.

 

 

Il video mostra tantissime cose interessanti.

 

È detto senza mezzi termini il fatto che l’uomo che aveva creato per le sue TV lo Zelens’kyj presidente della serie TV avrebbe poi finanziato la campagna dello Zelens’kyj presidente nella vita reale, fornendo poi guardie del corpo, veicoli di sicurezza, avvocati.

 

Il presidente ucraino Petro Poroshenko, installato al potere dal Dipartimento di Stato US Victoria Nuland, dichiarava pubblicamente che lo Zelens’kyj, allora suo avversario alle elezioni, altro non era che una marionetta di Kolomojskij.

 

Il servizio dà conto del finanziamento da parte di Kolomojskij di gruppi paramilitari (di quelli che talvolta esibiscono una bella svastica: ecco l’origine dell’espressione ucraina «giudeobanderismo»)che, secondo i critici, potevano costituire una sorta di «esercito privato». Sappiamo come ora tali bande siano inquadrate all’interno dell’esercito regolare ucraino stesso.

 

Come riportato da Renovatio 21, Dmitrij Yarosh, il capo di Pravij Sektor, in una intervista del 2019 dichiarava di non aver «niente contro Igor Valeryevic [Kolomojskij]. Abbiamo lavorato molto fruttuosamente nel 2014, quando era il governatore della regione di Dnepropetrovsk. Pertanto, Kolomojskij non è una storia dell’orrore per me. Capisco che la demonizzazione avvenuta sia basata più sulla propaganda che sulla realtà. E nei flussi per i quali c’è una guerra: petrolio, gas, miliardi… E so per certo che Kolomojskij non era comunque una minaccia per lo Stato».

 

La storia degli eserciti privati era stata approfondita nel 2015 da un articolo di Reuters, che adduceva anche questioni di crimini di guerra:

 

«Amnesty International ha riferito che il battaglione Aidar, anch’esso parzialmente finanziato da Kolomoisky, ha commesso crimini di guerra, inclusi rapimenti illegali, detenzioni illegali, rapine, estorsioni e persino possibili esecuzioni».

 

Nel pezzo dell’agenzia di sette anni fa, veniva citato anche il famigerato Battaglione Azov, con toni bizzarramente diversi da quelli con i quali è descritto ora dalla stampa italiana e internazionale:

 

«Alcuni dei battaglioni privati ​​ucraini hanno infangato la reputazione internazionale del paese con le loro opinioni estremiste. Il battaglione Azov, parzialmente finanziato da Taruta e Kolomojskij, usa il simbolo nazista Wolfsangel come logo e molti dei suoi membri sposano apertamente opinioni neo-naziste e antisemite. I membri del battaglione hanno parlato di “portare la guerra a Kiev” e hanno affermato che l’Ucraina ha bisogno di “un dittatore forte per salire al potere che possa versare molto sangue ma unire la nazione”».

 

Dopo aver parlato del caso spinoso Privat Bank, istituto di credito dal quale Kolomojskij è accusato di aver fatto sparire miliardi, il servizio di Radio Free Europe mostra l’increscioso episodio del raid notturno  (compiuto, secondo Reuters, da membri dell’esercito privato sostenuti dal magnate),  alla Ukrtransnafta, compagnia petrolifera dove Kolomojskij sarebbe stato coinvolto in una lotta per l’egemonia all’interno dell’azienda.

 

Sono quindi passati in rassegna i numerosi viaggi di Zelens’kyj in Svizzera, dove dapprima si era trasferito Kolomojskyj, e in Israele, dove si era spostato poi l’oligarca ucraino, che gode anche della cittadinanza israeliana e cipriota (la legge ucraina non permette la doppia cittadinanza: lui sostiene tuttavia che la tripla è quindi permessa).

 

Zelen’skyj ha sostenuto di essere andato a Ginevra una volta sola. L’emittente americana conta invece almeno 10 voli sulla città svizzera e tre su Tel Aviv.

 

Kolomoyskyi è stato classificato come la seconda o terza persona più ricca in Ucraina (dopo Rinat Akhmetov e Viktor Pinchuk) e, nel 2019, è stata classificata al 1941° posto nell’elenco dei miliardari internazionali della rivista Forbes. Nel 2007 risultava invece il 799esimo più ricco al mondo, con un patrimonio di 3,8 miliardi di dollari.

 

Nel marzo 2015 The Economist ha indicato il suo patrimonio netto a 1,36 miliardi di dollari. Nel 2019, la rivista ucraina Focus ha inserito Kolomoyskyi al terzo posto nell’elenco dei 100 ucraini più influenti.

 

Nel 2021 gli Stati Uniti hanno vietato a lui e alla sua famiglia di entrare nel Paese a causa di «significativa corruzione», con il segretario di Stato americano Antony Blinken che ha affermato che l’uomo sarebbe stato «coinvolto in atti di corruzione che hanno minato lo stato di diritto e la fiducia del pubblico ucraino nella democrazia del loro governo, istituzioni e processi pubblici, compreso l’uso della sua influenza politica e del potere ufficiale a proprio vantaggio» e che egli «rappresenta una seria minaccia per il futuro dell’Ucraina».

 

Nell’aprile 2019 è stato riferito che l’FBI stava indagando su Kolomojskyj per crimini finanziari  in relazione alle aziende siderurgiche di Kolomojskij nel West Virginia e nell’Ohio settentrionale negli Stati Uniti e ai suoi interessi in miniere in Ghana e Australia.

 

Il 6 agosto 2020, il Dipartimento di giustizia degli Stati Uniti nel distretto meridionale della Florida (Miami) ha affermato che Ihor Kolomoisky e altri avrebbero ottenuto collettivamente numerose proprietà nell’ambito di uno schema Ponzi da 5,5 miliardi di dollari nell’ambito di «una cospirazione internazionale per riciclare denaro sottratto e ottenuto in modo fraudolento da PrivatBank», che è stato nazionalizzata nel 2016 e che utilizza la «filiale di Cipro… come lavatrice per i fondi rubati».

 

Come riportato da Renovatio 21, la società di Cipro – di cui l’oligarca ha la cittadinanza – rimandano anche i documenti sulla villa in Toscana di Zelens’kyj, già contestato in patria da inchieste giornalistiche per il suo strano giro di società offshore.

 

Kolomoyskyi usa il soprannome Benja, che secondo alcuni sarebbe un riferimento del famigerato reprobo criminale ucraino (ed ebreo) Benja Krik, la cui vita è stata romanzata ne I racconti di Odessa (1948) dello scrittore sovietico Isaac Babel.

 

Occasionalmente, Kolomoyskyi è chiamato Bonifatsij, come l’omonimo protagonista di un popolare cartone animato sovietico della Soyuzmultfilm, Kanikuly Bonifatsija, «Le vacanze di Bonifacio».

 

Kolomojskij è stato presidente della Comunità Ebraica Unita dell’Ucraina, e nel 2010 è stato nominato – con quello che poi sarà definito «un putsch» – presidente del Consiglio Europeo delle Comunità Ebraiche (ECJC).

 

Tuttavia, dopo le veementi proteste degli altri membri del consiglio, dovette lasciare e fondarsi una lega ebraica tutta sua, la European Jewish Union.

 

La compresenza, in questa storia, di ebrei e nazisti ha creato l’espressione, dapprima scherzosa, «zhidobandera», ossia «giudeobanderista», dove per Bandera si intende quello Stepan Bandera collaborazionista di Hitler considerato il padre del nazionalismo ucraino.

 

L’espressione è stata pure stampata su t-shirt satiriche dove al simbolo nazionale ucraino, il tridente, si sovrappone il candelabro ebraico.

 

Con grande senso dello humor, il Kolomojskij si è fatto fotografare mentre ne indossa una.

 

 

Non tutti hanno trovato la cosa divertente. In un articolo intitolato «è questo l’ebreo più potente al mondo?», il quotidiano israeliano Haaretz trovava la cosa scandalosa, visto che «zhid» è una «parolarusso-ucraina per dire ebreo normalmente considerata offensiva», mentre Stepan Bandera è «la più controversa figura nella storia di Ucraina (…) almeno alcuni dei suoi seguaci eseguirono pogrom e omicidi di massa degli ebrei».

 

Il contesto in cui il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha parlato di antisemitismo potrebbe essere questo.

 

Non è chiaro se in questo momento Kolomojskij abbia ancora una qualche influenza su Zelens’kij nel bunker. Distante nello spazio, potrebbe esserlo divenuto anche politicamente: un conto è provocare lo zar, un conto è farlo adirare fino a provocare una guerra internazionale.

 

Il lettore, dunque, può indovinare chi può essere rimasto – nel bunker – a tirare qualche filo dell’attore Zelens’kyj.

 

Renovatio 21, a riguardo, ha scritto qualche idea.

 

 

 

 

 

Immagine di Anna Besulik via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported (CC BY 3.0); immagine modificata

 

 

 

Geopolitica

Putin: la Russia raggiungerà tutti i suoi obiettivi nel conflitto ucraino

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La Russia porterà a compimento tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale in Ucraina, ha dichiarato il presidente Vladimir Putin.

 

Tra gli scopi principali enunciati da Putin nel 2022 vi sono la protezione degli abitanti delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk dall’aggressione delle forze di Kiev, nonché la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina.

 

«Naturalmente porteremo a termine questa operazione fino alla sua logica conclusione, fino al raggiungimento di tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale», ha affermato Putin in videocollegamento durante la riunione del Consiglio presidenziale per i diritti umani di martedì.

 

Il presidente russo quindi ricordato che il conflitto è scoppiato quando l’esercito ucraino è stato inviato nel Donbass, regione storicamente russa che nel 2014 aveva respinto il colpo di Stato di Maidan sostenuto dall’Occidente. Questo, secondo il presidente, ha reso inevitabile l’intervento delle forze armate russe per porre fine alle ostilità.

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«Si tratta delle persone. Persone che non hanno accettato il colpo di Stato in Ucraina nel 2014 e contro le quali è stata scatenata una guerra: con artiglieria, armi pesanti, carri armati e aviazione. È lì che è iniziata la guerra. Noi stiamo cercando di mettervi fine e siamo costretti a farlo con le armi in pugno».

 

Putin ha ribadito che per otto anni la Russia ha cercato di risolvere la crisi per via diplomatica e «ha firmato gli accordi di Minsk nella speranza di una soluzione pacifica». Tuttavia, ha aggiunto la settimana scorsa in un’intervista a India Today, «i leader occidentali hanno poi ammesso apertamente di non aver mai avuto intenzione di rispettarli», avendoli sottoscritti unicamente per guadagnare tempo e permettere all’Ucraina di riarmarsi.

 

Mosca ha accolto positivamente il nuovo slancio diplomatico impresso dal presidente statunitense Donald Trump, che ha proposto il suo piano di pace in 28 punti come base per un’intesa.

 

Lunedì Trump ha pubblicamente invitato Volodymyr Zelens’kyj ad accettare le proposte di pace, lasciando intendere che il leader ucraino non abbia nemmeno preso in esame l’ultima offerta americana.

 

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

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Lavrov elogia la comprensione di Trump delle cause del conflitto in Ucraina

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Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha dichiarato che il presidente statunitense Donald Trump rappresenta l’unico leader occidentale in grado di cogliere le vere motivazioni alla base del conflitto ucraino.   Parlando mercoledì al Consiglio della Federazione, la camera alta del parlamento russo, Lavrov ha spiegato che, mentre gli Stati Uniti manifestano una «crescente impazienza» verso il percorso diplomatico mirato a cessare le ostilità, Trump è tra i pochissimi esponenti occidentali a comprendere le dinamiche che hanno originato la crisi.   «Il presidente Trump… è l’unico tra tutti i leader occidentali che, subito dopo il suo arrivo alla Casa Bianca nel gennaio di quest’anno, ha iniziato a dimostrare di aver compreso le ragioni per cui la guerra in Ucraina era stata inevitabile», ha dichiarato.   Lavrov ha proseguito sottolineando che Trump possiede una «chiara comprensione» delle dinamiche che hanno forgiato le politiche ostili nei confronti della Russia da parte dell’Occidente e dell’ex presidente statunitense Joe Biden, strategie che, a suo dire, «erano state coltivate per molti anni».

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Il ministro ha indicato che «si sta avvicinando il culmine dell’intera saga» ucraina, affermando che Trump ha sostanzialmente ammesso che «le cause profonde identificate dalla Russia devono essere eliminate».   Il vertice della diplomazia russa ha menzionato in modo specifico le storiche riserve di Mosca sull’aspirazione ucraina all’adesione alla NATO e la persistente violazione dei diritti della popolazione locale.   Lavrov ha poi precisato che Trump resta «l’unico leader occidentale a cui stanno a cuore i diritti umani in questa situazione», contrapposto ai governi dell’UE che, secondo Mosca, evadono il tema. Ha svelato che la roadmap statunitense per un’intesa includeva esplicitamente la tutela dei diritti delle minoranze etniche e delle libertà religiose in Ucraina, «in linea con gli obblighi internazionali».   Tuttavia, sempre secondo Lavrov, tali clausole sono state indebolite nel momento in cui il documento è stato sottoposto all’UE: il testo è stato modificato per indicare che l’Ucraina dovrebbe attenersi agli standard «adottati nell’Unione Europea».   Da tempo Mosca denuncia la soppressione della lingua e della cultura russa da parte di Kiev, oltre ai sforzi per limitare i diritti delle altre minoranze nazionali, e al contempo accusa i leader ucraini di fomentare apertamente il neonazismo nel paese.

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Immagine dell’Ufficio stampa della Duma di Stato della Federazione Russa via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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Geopolitica

Gli europei sotto shock per la strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti per il 2025

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I leader europei e i media dell’establishment sono in preda al panico dopo la diffusione, sul portale ufficiale della Casa Bianca, della «Strategia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America 2025» (NSS).

 

A terrorizzare Bruxelles e dintorni è l’impegno esplicito del governo USA a privilegiare «Coltivare la resistenza all’attuale traiettoria dell’Europa all’interno delle nazioni europee», descritta in termini aspri ma realistici. Il report si scaglia in particolare contro l’approccio dell’UE alla Russia.

 

L’NSS ammonisce che il Vecchio Continente rischia la «cancellazione della civiltà» se non invertirà la rotta imposta dall’Unione Europea e da altre entità sovranazionali. La «mancanza di fiducia in se stessa» del Continente emerge con evidenza nelle interazioni con Mosca. Gli alleati europei detengono un netto primato in termini di hard power rispetto alla Russia in quasi tutti i campi, salvo l’arsenale nucleare.

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Dopo l’invasione russa in Ucraina, i rapporti europei con Mosca sono drasticamente deteriorati e numerosi europei vedono nella Federazione Russa una minaccia esistenziale. Gestire le relazioni transatlantiche con la Russia esigerà un impegno diplomatico massiccio da Washington, sia per reinstaurare un equilibrio strategico in Eurasia sia per scongiurare frizioni tra Mosca e gli Stati europei.

 

«È un interesse fondamentale degli Stati Uniti negoziare una rapida cessazione delle ostilità in Ucraina, al fine di stabilizzare le economie europee, prevenire un’escalation o un’espansione indesiderata della guerra e ristabilire la stabilità strategica con la Russia, nonché per consentire la ricostruzione post-ostilità dell’Ucraina, consentendole di sopravvivere come Stato vitale».

 

Il conflitto ucraino ha paradossalmente accresciuto la vulnerabilità esterna dell’Europa, specie della Germania. Oggi, le multinazionali chimiche tedesche stanno erigendo in Cina alcuni dei più imponenti complessi di raffinazione globale, sfruttando gas russo che non possono più procurarsi sul suolo patrio.

 

L’esecutivo Trump si scontra con i burocrati europei che coltivano illusioni irrealistiche sul prosieguo della guerra, appollaiati su coalizioni parlamentari fragili, molte delle quali calpestano i pilastri della democrazia per imbavagliare i dissidenti. Una vasta maggioranza di europei anela alla pace, ma tale aspirazione non si riflette nelle scelte politiche, in gran parte ostacolate dal sabotaggio dei meccanismi democratici perpetrato da quegli stessi governi. Per quanto allarmati siano i continentali, l’establishment britannico lo è ancor di più.

 

Ruth Deyermond, docente al dipartimento di Studi della Guerra del King’s College London e specialista in dinamiche USA-Russia, ha commentato su X che il testo segna «l’enorme cambiamento nella politica statunitense nei confronti della Russia, visibile nella nuova Strategia per la Sicurezza Nazionale – il più grande cambiamento dal crollo dell’URSS». Mosca appare citata appena dieci volte nel corposo documento, nota Deyermond, e prevalentemente per evidenziare le fragilità europee.

 

In un passaggio esemplare, il report afferma che «questa mancanza di fiducia in se stessa è più evidente nelle relazioni dell’Europa con la Russia». «L’assenza della Russia dalla Strategia di Sicurezza Nazionale 2025 appare davvero strana, sia perché la Russia è ovviamente uno degli stati che hanno l’impatto più significativo sulla stabilità globale al momento, sia perché l’amministrazione è così chiaramente interessata alla Russia (…) Non è solo la mancanza di riferimenti alla Russia a essere sorprendente, è il fatto che la Russia non venga mai menzionata come avversario o minaccia» scrive l’accademica.«La mancanza di discussione sulla Russia, nonostante la sua importanza per la sicurezza e l’ordine internazionale e la sua… importanza per l’amministrazione Trump, fa sembrare che stiano semplicemente aspettando di poter parlare in modo più positivo delle relazioni in futuro».

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La parte dedicata al dossier ucraino – che allude al fatto che «l’amministrazione Trump si trova in contrasto con i politici europei che nutrono aspettative irrealistiche per la guerra» – pare quasi redatta dal Cremlino. L’incipit della Deyermond è lapidario: «Se qualcuno in Europa si aggrappa ancora all’idea che l’amministrazione Trump non sia inamovibile filo-russa e ostile alle istituzioni e ai valori occidentali, dovrebbe leggere la Strategia per la Sicurezza Nazionale del 2025 e ripensarci».

 

Il NSS dedica scarsa attenzione alla NATO, se non per insistere sulla cessazione della sua espansione indefinita, ma stando ad un articolo Reuters del 5 dicembre, Washington intende che l’Europa rilevi entro il 2027 la gran parte delle competenze di difesa convenzionale dell’Alleanza, dall’intelligence ai missili. Questa scadenza «irrealistica» è stata illustrata questa settimana a diplomatici europei a Washington dal team del Pentagono incaricato della politica atlantica, secondo cinque fonti «a conoscenza della discussione».

 

Nel corso dell’incontro, i vertici del Dipartimento della Difesa avrebbero espresso insoddisfazione per i passi avanti europei nel potenziare le proprie dotazioni difensive dopo l’«invasione estesa» russa in Ucraina del 2022. Gli esponenti USA hanno avvisato i loro omologhi che, in caso di mancato rispetto del termine del 2027, gli Stati Uniti potrebbero sospendere la propria adesione a certi meccanismi di coordinamento difensivo NATO, hanno riferito le fonti. Le capacità convenzionali comprendono asset non nucleari, da truppe ad armamenti, e i funzionari non hanno chiarito come misurare i progressi europei nell’assunzione della quota preponderante del carico, precisa Reuters.

 

Non è dato sapere se il limite temporale del 2027 rifletta la linea ufficiale dell’amministrazione Trump o meri orientamenti di singoli addetti del Pentagono. Diversi rappresentanti europei hanno replicato che un tale orizzonte non è fattibile, a prescindere dai criteri di valutazione di Washington, dal momento che il Vecchio Continente necessita di risorse finanziarie aggiuntive e di una volontà politica più marcata per rimpiazzare alcune dotazioni americane nel breve periodo.

 

Tra le difficoltà, i partner NATO affrontano slittamenti nella fabbricazione degli equipaggiamenti che intendono acquisire. Sebbene i funzionari USA abbiano sollecitato l’Europa a procacciarsi più hardware di produzione statunitense, taluni dei sistemi difensivi e armi made in USA più cruciali imporrebbero anni per la consegna, anche se commissionati oggi.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

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