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Terrorismo

La Francia uccide un capo ISIS nel Sahara

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Kamel Abderrahmal  su gentile concessione di Asianews.

 

 

Un attacco con un drone dell’esercito francese ha colpito a morte il capo del gruppo terrorista sanguinario Stato islamico nel Grande Sahara. Anche i contractor russi si affacciano nel Sahel. Ma il jihadismo è un’ideologia ben più forte delle singole persone ed è su questo terreno che va combattuto.

 

 

«Un colpo al cuore per lo Stato islamico nel Grande Sahara e un grande successo nella lotta ai gruppi terroristici nel Sahel». Con queste parole l’altra sera il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato l’uccisione in un raid delle forze francesi di Adnan Abou Walid al Sahrawi, capo del gruppo terrorista Stato islamico nel Grande Sahara.

Occorre ricordare che Adnan Abou Walid al Sahrawi faceva inizialmente parte del Fronte Polisario sostenuto dallo Stato algerino, poi membro molto attivo del movimento jihadista Al-Qaida nel Maghreb islamico (AQMI).

 

Dal maggio 2015 si era poi impegnato nell’organizzazione dello Stato Islamico nel Grande Sahara, il gruppo jihadista più pericoloso del Sahel, formazione che non risparmia né civili né militari e che prospera in tre Paesi diversi – il Mali, il Niger e il Burkina Faso – senza riconoscere le frontiere «imposte dal colonizzatore».

 

Al Sahrawi non sarebbe sopravvissuto alle ferite riportate dopo un raid effettuato in Mali dall’esercito francese con un drone il 17 agosto.

 

Al Sahrawi non sarebbe sopravvissuto alle ferite riportate dopo un raid effettuato in Mali dall’esercito francese con un drone il 17 agosto

Tra i tanti attacchi terroristici di cui lo Stato islamico del Grande Sahara si è reso responsabile anche quello dell’agosto 2020 costato la vita a sei operatori umanitari francesi, insieme alle loro guide e autisti nigeriani: una strage che Adnan Abou Walid al Sahrawi aveva guidato personalmente.

Al di là della sua uccisione restano molte le domande sul futuro della presenza dell’esercito francese nel Sahel, soprattutto dopo l’annuncio da parte di Macron di una diminuzione del contingente militare in questa regione dell’Africa e la fine dell’operazione antijihadista Barkhane a vantaggio di un dispiegamento selettivo, destinato specificamente ad operazioni mirate da effettuare insieme agli eserciti africani locali nell’ambito di una coalizione internazionale che associ potenze europee.

 

La situazione potrebbe complicarsi ulteriormente se i contatti in corso tra i soldati maliani al potere e una società militare privata russa sfociassero in un accordo. Un’eventualità, questa, che inquieta l’Occidente e Parigi prima di tutti.

 

In un tweet in cui ha reso omaggio alle vittime francesi morte nella lotta al terrorismo, Macron ha scritto:

 

«La nazione pensa questa sera a tutti i suoi eroi morti per la Francia nel Sahel nelle operazioni Serval e Barkhane, alle famiglie in lutto, ai feriti. Il loro sacrificio non è stato vano. Con i nostri partner africani, europei e americani, continueremo questa battaglia».

 

Tra i tanti attacchi terroristici di cui lo Stato islamico del Grande Sahara si è reso responsabile anche quello dell’agosto 2020 costato la vita a sei operatori umanitari francesi, insieme alle loro guide e autisti nigeriani: una strage che Adnan Abou Walid al Sahrawi aveva guidato personalmente

L’impegno militare della Francia nella guerra al terrorismo islamico è innegabile, ma anche se la neutralizzazione di terroristi pericolosi e sanguinari è un risultato, la vera lotta rimane ideologica. La storia del terrorismo islamico ci ha dimostrato che i leader non sono più importanti dell’ideologia fondantw.

 

In altre parole, non dobbiamo cadere nella trappola di credere che il terrorismo islamico cesserà di spiarci, di minacciarci, di minacciare la pace e la stabilità dei popoli in Oriente, in Africa, in Asia e in Occidente.

 

L’islamismo – con tutte le molteplici denominazioni che può avere – non dipende da nessuna persona fisica precisa. I leader di questo movimento non sono così importanti di fronte all’ideologia, perché essi stessi sono solo fedeli a idee egemoniche e totalitarie, un nazismo contemporaneo.

 

Tuttavia, sono spesso potenti e arrivano a sedurre gli «islamisti moderati». Scrivo questa espressione tra virgolette, perché non faccio distinzione tra i due islamismi: entrambi militano in un modo o nell’altro per la reintegrazione del califfato – soprattutto dopo la rivoluzione iraniana che ha mostrato come esista la possibilità di fondare Stati puramente islamici basati sulle «leggi islamiche».

 

 

 

 

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Terrorismo

Gli islamisti manifestano per il «califfato» tedesco ad Amburgo

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Sabato nella città di Amburgo si è tenuta una grande manifestazione contro l’islamofobia. Secondo le autorità, l’evento è stato organizzato da una persona legata a un «gruppo estremista affermato».

 

Secondo i dati di polizia pubblicati dalle autorità cittadine, hanno preso parte circa 1.100 manifestanti. Foto e video condivisi sui social media mostrano una grande folla che occupa un’area significativa lungo Steindamm Strasse, nel centro della città.

 

I partecipanti sono stati visti tenere cartelli e manifesti con la scritta: «Germania = dittatura dei valori», «La Palestina ha vinto la guerra dell’informazione» e soprattutto «Kalifat ist der Loesung», cioè «il Califfato è la soluzione». I manifestanti hanno cantato «Allahu Akbar» durante tutto l’evento.

 

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Secondo gli organizzatori, come citato dai media tedeschi, la manifestazione è stata organizzata per protestare contro quelle che hanno definito politiche islamofobe e una campagna di disinformazione mediatica contro i musulmani in Germania. I relatori hanno accusato politici e giornalisti di «bugie a buon mercato» e di «reportage codardi» nel conflitto tra Israele e il gruppo militante Hamas con sede a Gaza.

 

Sui social media si afferma inoltre che gli oratori invocano la creazione di un califfato islamico in Germania, riporta RT. I video mostrano uno degli oratori che definisce il califfato un «sistema che… fornisce sicurezza» ma che è «odiato» e «demonizzato» in Germania. La folla risponde conripetendo «Allahu Akbar».

 

L’organizzatore della manifestazione è stato identificato dal quotidiano locale Hamburger Morgenpost come Joe Adade Boateng, 25 anni, cittadino tedesco e sedicente imam che diffonde quella che il giornale definisce «propaganda islamica» sui social media, compreso TikTok.

 

Secondo quanto riportato dai media, l’uomo è anche membro di Muslim Interaktiv, un’organizzazione ufficialmente designata dal Servizio di sicurezza nazionale (BfV) come «gruppo estremista affermato».

 


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Tale status non porta a un divieto automatico in Germania, ma consente ai funzionari della sicurezza di prendere di mira i membri con tutti gli strumenti di intelligence disponibili, inclusa la sorveglianza segreta, gli informatori riservati e le intercettazioni telefoniche.

 

La polizia tedesca afferma di aver dispiegato grandi forze durante l’evento, che si è concluso «pacificamente» senza incidenti. Tuttavia, nei video condivisi sui social media non si vede alcuna presenza importante della polizia.

 

Il gruppo ha anche tenuto una manifestazione senza preavviso nell’ottobre dello scorso anno che si è conclusa con scontri con la polizia. I manifestanti hanno colpito gli agenti con bottiglie e pietre, ferendone tre. È stato avviato un procedimento penale contro 20 rivoltosi.

 

Nel febbraio 2023, Muslim Interaktiv aveva anche organizzato una protesta contro il rogo del Corano in Svezia, alla quale, secondo i media, hanno partecipato 3.500 persone.

 

Lo sviluppo ha suscitato preoccupazioni tra alcuni politici. Kazim Abaci, portavoce della politica migratoria della fazione socialdemocratica nel Parlamento di Amburgo, ha definito «insopportabile» che agli islamici sia permesso di marciare liberamente per le strade.

 

Secondo l’Hamburger Morgenpost, Herbert Reul, il ministro degli Interni del vicino Land tedesco della Renania Settentrionale-Vestfalia, chiede «da molto tempo» il divieto di Muslim Interaktiv.

 

Come riportato da Renovatio 21, secondo le autorità terroristi jihadisti avrebbero programmato di attaccare gli stadi di calcio duranti i Campionati Europei in partenza tra poche settimane.

 

La Germania si produce, relativamente all’immigrazione islamica, in situazioni sempre più grottesche. Il Gay Pride tedesco 2022 è stato attaccato da quelli che i giornali chiamarono pudicamente «uomini di origine meridionale». L’attacco terroristico nella piccola cittadini di Wuerzburg, che suscitò nel sindaco la preoccupazione che si sarebbero discriminati gli immigrati. Si ricorda anche la vicenda del politico verde di origine cingalese Manoj Subramamian, che si inventò molestie e attacchi nazisti contro di lui, mentre nella città di Hanau abbiamo visto invece parcheggi riservati solo a immigrati e LGBT.

 

La Repubblica Federale, che ha accettato un titanico afflusso di immigrati con la crisi del 2015 grazie alle decisioni di Angela Merkel, è tuttavia già stata traumatizzata dalla questione dell’immigrazione, non solo che il terrorismo che ha colpito il mercatino di Berlino nel Natale 2016 (l’attentatore era entrato con i barconi, dall’Italia) ma anche con il dramma degli stupri di massa al capodanno 2015 davanti al Duomo Colonia: è la tahurrush gamea, la «molestia collettiva» che abbiamo visto consumarsi anche in Italia al capodanno 2021 davanti al Duomo di Milano.

 

Il Paese è annualmente teatro anche degli indimenticabili capodanni di Berlino, con devastazioni perpetrate da immigrati nella più totale sfida alle forze dell’ordine.

 

Come riportato da Renovatio 21, la città di Duesseldorf ha celebrato un anno fa il suo primo cartello stradale islamico.

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Terrorismo

La rete dell’ISIS-K dietro all’attentato alla chiesa di Santa Maria a Istanbul

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Sotto indagine almeno 12 persone, sei delle quali si trovano al momento in carcere. Al centro dell’indagine una cellula con base a Başakşehir e responsabile dell’attacco alla parrocchia francescana di fine gennaio. Allo studio altre operazioni con obiettivo il Parlamento, caserme militari e stazioni di polizia.   Giro di vite delle autorità turche contro gruppi legati allo Stato islamico in Turchia, sospettati fra gli altri di legami con l’attacco ad una chiesa cattolica di Istanbul a fine gennaio scorso. È di queste ore la notizia dell’incriminazione di almeno 12 persone presumibilmente legate alla Islamic State Khorasan Province, meglio nota come ISIS-K, parte di una rete più vasta e responsabile di attività terroristiche sul territorio.   Gli indagati sarebbero responsabili della gestione di una cellula locale con base a Başakşehir, distretto nella parte europea della metropoli, e stavano organizzando una serie di attentati: nel mirino il Parlamento turco, alcune caserme militari e stazioni di polizia.   L’incriminazione dei sospettati è il risultato di una lunga indagine in atto da tempo sulle attività di ISIS-K in Turchia, che hanno riguardato anche l’assalto alla parrocchia francescana di Santa Maria a Istanbul, nella quale è morta una persona.   Un bilancio contenuto solo dal fatto che le armi usate dagli assalitori si sono inceppate al momento di aprire il fuoco, scongiurando quella che poteva trasformarsi in una strage per un attentato dalla chiara matrice confessionale come denunciato ad AsiaNews da personalità cattoliche.   L’ufficio del Procuratore capo di Istanbul ha avviato le indagini sulla base delle informazioni raccolte dalla polizia. I sospetti, sei dei quali si trovano attualmente in custodia cautelare in carcere, sono accusati di aver ricevuto istruzioni dai leader di ISIS-K per compiere attacchi a sedi istituzionali, fra le quali il Parlamento, e a sedi di forze dell’ordine ed esercito

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Il centro oggetto di indagine, denominato «Darul Vefa İlim ve Amel Merkezi», sarebbe stato un punto di smistamento per i membri uzbeki, kirghisi e caucasici di ISIS-K. Questi elementi mantenevano stretti legami con rappresentanti dello Stato islamico in Siria e Afghanistan e progettavano di inviare reclute dalla Turchia per unirsi ai ranghi dei miliziani attivi nella provincia del Khorasan.   Il centro, che era sorvegliato dalle unità di sicurezza, avrebbe adoperato per infiltrare propri elementi o associati in diverse moschee, per poi riunirsi nel centro per occasioni speciali o incontri di pianificazione. All’interno della struttura vi erano anche dormitori che hanno ospitato elementi provenienti da Uzbekistan, Tagikistan, Caucaso, Iraq ed Egitto e che, in precedenza, avevano operato per conto dello Stato islamico in Siria. Inoltre, il centro forniva istruzione a circa 70 ragazzi fra i 16 e i 17 anni, i cui genitori erano stati uccisi in Siria.   Dall’inchiesta sarebbe inoltre emerso che, nel giugno dello scorso anno, almeno nove membri di una cellula locale si sono incontrati a Istanbul per pianificare attacchi al Parlamento e altre sedi istituzionali strategiche, seguendo le direttive impartite dai capi ISIS in Siria.   Inoltre il sospetto Fuad Rasulov, identificato col nome di battaglia di «Fuad Azeri», avrebbe fornito munizioni e componenti esplosivi per gli attacchi, mentre altri erano incaricati di raccogliere fondi per sostenere la lotta. Egli è stato arrestato durante una operazione dei reparti della sicurezza il 20 giugno 2022, poi rilasciato in libertà vigilata, ed è accusato di aver fatto propaganda per l’ISIS, aver reclutato membri dal Tagikistan e di aver partecipato a zone di conflitto in Siria del movimento jihadista.   Il centro a Istanbul, perquisito il 14 luglio dello scorso anno, comprendeva aule, dormitori e una moschea. Gli account dei social media a esso associati, che pubblicavano in russo, annunciavano nuove iscrizioni alle classi, eventi iftar e richieste di aiuto finanziario per le festività.   Questo atto d’accusa fornisce uno spaccato dettagliato sulla vasta rete e sulle attività di ISIS-K in Turchia, evidenziando la continua minaccia rappresentata dal gruppo terroristico e gli sforzi delle autorità turche per contrastarne le operazioni.   Del resto proprio il recente attacco alla chiesa cattolica sottolinea le capacità del gruppo di compiere atti violenti sul territorio.   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.  

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Terrorismo

Patrushev: il legame tra la strage del Crocus e l’Ucraina «è confermata»

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Gli investigatori russi hanno confermato che esiste un legame tra gli autori dell’attacco terroristico del mese scorso a Mosca e i nazionalisti ucraini, ha detto il segretario del Consiglio di sicurezza russo Nikolaj Patrushev.

 

Il Patrushev ha ribadito i sospetti di Mosca sul ruolo dell’Ucraina nell’atrocità del municipio Crocus, in cui sono state uccise oltre 140 persone.

 

«Durante l’indagine è stato confermato il legame tra l’autore di questo attacco terroristico e i nazionalisti ucraini», ha detto Patrushev durante una riunione dell’organismo.

 

Quattro presunti uomini armati sono stati arrestati in una regione russa al confine con l’Ucraina poche ore dopo l’omicidio di massa di cui sono accusati. I funzionari russi li avevano precedentemente descritti come islamici radicali e sostenevano che una pista di denaro li collegava ai nazionalisti ucraini. Il gruppo è stato incaricato dal loro accompagnatore di fuggire oltre il confine, hanno affermato gli investigatori.

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Patrushev ha ribadito l’impegno del suo Paese a ritenere responsabile ogni persona responsabile di questo crimine.

 

«Gli autori, i complici e gli organizzatori del mostruoso e sanguinoso attacco terroristico, gli individui affiliati, ovunque si nascondano e comunque cerchino di coprire le loro tracce, affronteranno la meritata punizione», ha detto.

 

Kiev, che inizialmente sosteneva che fosse stata Mosca stessa a inscenare il massacro, ha negato ogni coinvolgimento. I suoi sostenitori occidentali sostengono che tutte le prove in loro possesso indicano come colpevole l’ISIS-K, una propaggine con sede in Afghanistan dell’organizzazione terroristica internazionale Stato Islamico, un tempo potente. Il gruppo ha rivendicato la responsabilità dell’attacco.

 

Come riportato da Renovatio 21, Patrushev aveva detto già poche ore dopo il massacro di ritenere che dietro vi sarebbe l’Ucraina.

 


Patrushev è noto anche per dichiarazioni significative negli ultimi anni, come quando disse che gli USA stanno cercando di far rivivere il fascismo in Europa e che ben quattro presidenti americani sono stati vittime di omicidi legati alle multinazionali.

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Immagine di Secretary of Defense via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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